Pubblicato il

Indennizzo per ingiusta detenzione, i criteri di quantificazione

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.43097 del 12/10/2022 (dep. 14/11/2022)

L'indennizzo per ingiusta detenzione ai sensi degli artt. 314 e 315 del codice di procedura penale consiste nel pagamento di una somma di denaro e costituisce uno strumento indennitario da atto lecito e non risarcitorio, derivando il pregiudizio subito da una legittima attività dell'autorità giudiziaria.

Ma quali sono i criteri per quantificare l'indennizzo?

Sul tema torna la Sesta Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 43097 depositata il 14 novembre 2022.

In primis la Corte ribadisce che, trattatosi di criteri equitativi, essi postulano la valutazione congiunta della durata della custodia cautelare e/o degli arresti domiciliari sofferti e delle conseguenze derivanti dalla privazione della libertà. 

Ciò premesso, la liquidazione va effettuata tenendo conto del parametro aritmetico costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo fissato dall'art. 315 c.p.p., comma 2, e il termine massimo della custodia cautelare pari a sei anni ex art. 303 c.p.p., comma 4, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita.
 
Il quantum è suscettibile di essere opportunamente integrato dal giudice, innalzando o riducendo il risultato di tale calcolo numerico nei limiti dell'importo massimo indennizzabile (pari a 516.456,90 euro), per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alla specificità, positiva o negativa, della situazione concreta.

Lo scostamento, tuttavia, deve trovare giustificazione in particolari specifiche ripercussioni in termini negativi sotto il versante patrimoniale, familiare, della vita di relazione, della pubblica ripercussione dell'evento che altrimenti non risulterebbero adeguatamente soddisfatte, quantomeno in termini di equo ristoro. 

Indennizzo per ingiusta detenzione, scostamento dall'ammontare giornaliero, giustificazione, surplus di effetto lesivo

In tema di indennizzo per ingiusta detenzione, ferma restando la cifra massima stabilita dalla legge in Euro 516.456,90, il giudice della riparazione può discostarsi dall'ammontare giornaliero di Euro 235,82 (Euro 117,91 per gli arresti domiciliari) valorizzando lo specifico pregiudizio, di natura patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla restrizione della libertà dimostratasi ingiusta. 
Lo scostamento, tuttavia, deve trovare giustificazione in particolari specifiche ripercussioni in termini negativi sotto il versante patrimoniale, familiare, della vita di relazione, della pubblica ripercussione dell'evento che altrimenti non risulterebbero adeguatamente soddisfatte, quantomeno in termini di equo ristoro. 
Affinché l'equità non tracimi però in arbitrio incontrollabile, è necessario che il giudice individui in maniera puntuale e corretta i parametri specifici di riferimento, la valorizzazione dei quali imponga di rilevare un surplus di effetto lesivo da atto legittimo rispetto alle gravi ma ricorrenti e, per così dire, fisiologiche conseguenze derivanti dalla privazione della libertà, sia quale atto limitativo della sfera più intima e garantita del soggetto che come alone di discredito sociale.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.43097 del 12/10/2022 (dep. 14/11/2022)

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Napoli, quale giudice della riparazione ex art. 314 c.p.p., ha parzialmente accolto l'istanza proposta nell'interesse di B.G., avente ad oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo per l'ingiusta detenzione (agli arresti domiciliari) patita in forza di ordinanza cautelare emessa con riferimento al reato di cui agli artt. 110 e 321 c.p., in merito al quale è stato assolto con sentenza irrevocabile.

1.1. La Corte territoriale ha sussunto la fattispecie nell'ambito della c.d. "ingiustizia formale", di cui all'art. 314 c.p.p., comma 2, ritenendo accertato con decisione irrevocabile (ordinanza emessa in sede di riesame oltre che la sentenza assolutoria) che il provvedimento che ha disposto la misura sia stato emesso e mantenuto in assenza delle condizioni di applicabilità previste dall'art. 273 c.p.p., in particolare dei gravi indizi di colpevolezza, e che ciò sia emerso sulla base di una diversa valutazione delle medesime circostanze fondanti la misura cautelare.

1.2. In particolare, ritenuto accertato l'an del diritto all'equa riparazione nei termini di cui innanzi con riferimento a tutto il periodo trascorso dal richiedente agli arresti domiciliari (23 giorni), la Corte territoriale, a fronte di una richiesta di incremento del quantum giornaliero liquidabile, ha liquidato un equo indennizzo in diminuzione del 50% rispetto a quello emergente dal mero criterio aritmetico in considerazione dell'accertata colpa lieve, ritenuta sinergica rispetto all'intervento dell'autorità, argomentata dai fatti emergenti dalla sentenza. Nel dettaglio, la diminuzione finale del 50% è stata operata, in ragione della colpa lieve, tenendo già conto dell'incremento riconosciuto in ragione dell'essere stata, quella in esame, la prima esperienza detentiva per un soggetto incensurato oltre che le conseguenze degli effetti mediatici della notizia dell'applicazione della misura cautelare (diffusa con riferimento allo specifico nominativo dell'indagato). Non sono stati per converso riconosciuti aumenti dell'indennizzo ancorché richiesti mediante la prospettazione di ulteriori conseguenze derivanti dallo stato di restrizione domiciliare sulla salute del ricorrente ed in merito ai di lui redditi.

2. Avverso l'ordinanza emessa dal giudice della riparazione B. ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, articolando un unico motivo complesso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1).

Il ricorrente, sostanzialmente, deduce violazioni degli artt. 314 e 315 c.p.p. e vizi motivazionali tanto con riferimento al mancato riconoscimento di un maggiore indennizzo, nonostante le allegate ripercussioni negative degli arresti domiciliari sulla salute del richiedente e sui suoi redditi, quanto circa l'operata riduzione dell'importo liquidabile argomentata con riferimento alla colpa lieve in rapporto di sinergia con l'intervento dell'autorità.

3. Ha depositato conclusioni scritte la Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte, in persona del Sostituto Procuratore Francesca Costantini, nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei soli limiti e termini di seguito esplicitati.

2. Come ribadito anche di recente dalla Suprema Corte (Sez. 4, nn. 30405 e 30406 del 05/07/2022, in motivazione), l'istituto di cui agli artt. 314 c.p.p. e s. è uno strumento indennitario da atto lecito e non risarcitorio, derivando il pregiudizio subito da una legittima attività dell'autorità giudiziaria. L'equa riparazione scaturisce infatti da un rapporto di solidarietà civile diretto a compensare solo le ricadute sfavorevoli, patrimoniali e non, procurate dalla privazione della libertà attraverso un sistema di chiusura con il quale l'ordinamento riconosce un ristoro per la libertà ingiustamente, ma senza colpe, compressa, correlando, perciò, la quantificazione dell'indennizzo alla sola durata e intensità della privazione della libertà, salvi gli aggiustamenti resi necessari dall'evidenziazione di profili di pregiudizio più vasti rispetto al fisiologico danno da privazione della libertà (cfr. Sez. 4, n. 129 del 31/01/1994, Petriccione, Rv. 196974 e n. 1911 del 22/11/1994, Vaghime, Rv. 200002; si vedano, tre le pronunce recenti, ex plurimis: Sez. 4, n. 2198 del 12/01/2022, Tringali, Rv. 282569, in motivazione; Sez. 4., n. 32069 del 19/05/2021, Graziani, in motivazione, e Sez. 4, n. 32891 del 10/11/2020, Di Domenico, Rv. 280072, in motivazione).

I principi fondamentali cui aver riguardo nella determinazione dell'indennizzo dovuto a colui che abbia subito una detenzione ingiusta sono stati chiariti da due pronunce rese dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Sez. U, n. 1 del 13/01/1995, Castellani, Rv. 201035, e Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001, Caridi, Rv. 218975), seguite dalla successiva giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua la liquidazione deve essere effettuata con criteri equitativi che postulano, ai fini dell'entità della riparazione, la valutazione congiunta dei criteri della durata della custodia cautelare e/o degli arresti domiciliari sofferti e delle conseguenze derivanti dalla privazione della libertà. La liquidazione va effettuata tenendo conto del parametro aritmetico costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo fissato dall'art. 315 c.p.p., comma 2, e il termine massimo della custodia cautelare pari a sei anni ex art. 303 c.p.p., comma 4, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita. Il quantum è suscettibile di essere opportunamente integrato dal giudice, innalzando o riducendo il risultato di tale calcolo numerico nei limiti dell'importo massimo indennizzabile, per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alla specificità, positiva o negativa, della situazione concreta (ex plurimis: Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001, Caridi, Rv. 218975; Sez. 3, n. 29965 del 01/04/2014, Chaaij, Rv. 259940, la quale ha annullato che aveva considerato quale parametro per il calcolo dell'indennizzo un termine massimo della custodia cautelare pari ad anni nove ai sensi dell'art. 304 c.p.p., comma 6).

Ne consegue che, ferma restando la cifra massima stabilita dalla legge in Euro 516.456,90, il giudice della riparazione può discostarsi dall'ammontare giornaliero di Euro 235,82 (Euro 117,91 per gli arresti domiciliari) valorizzando lo specifico pregiudizio, di natura patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla restrizione della libertà dimostratasi ingiusta (ex plurimis: Sez. 4, n. 10123 del 17/11/2011, dep. 2012, Amato, Rv. 252026). Lo scostamento, tuttavia, deve trovare giustificazione in particolari specifiche ripercussioni in termini negativi sotto il versante patrimoniale, familiare, della vita di relazione, della pubblica ripercussione dell'evento che altrimenti non risulterebbero adeguatamente soddisfatte, quantomeno in termini di equo ristoro. Affinché l'equità non tracimi però in arbitrio incontrollabile, è necessario che il giudice individui in maniera puntuale e corretta i parametri specifici di riferimento, la valorizzazione dei quali imponga di rilevare un surplus di effetto lesivo da atto legittimo rispetto alle gravi ma ricorrenti e, per così dire, fisiologiche conseguenze derivanti dalla privazione della libertà, sia quale atto limitativo della sfera più intima e garantita del soggetto che come alone di discredito sociale (Sez. 4, n. 21077 del 01/04/2014, Silletti, Rv. 259237).

Sul punto si vedano, tra le più recenti e senza pretese di esaustività, ex plurimis Sez. 4, n. 32891/2020, Di Domenico, cit., e Sez. 18361 del 11/01/2019, Piccolo, Rv. 276259, che ha annullato con rinvio il provvedimento che aveva liquidato l'indennità in misura lievemente superiore a quella derivante dall'applicazione del criterio aritmetico, in un caso in cui l'istante aveva allegato gravi danni non patrimoniali, consistiti nell'arresto di una procedura adottiva, nell'impossibilità di assistere la madre gravemente malata e di partecipare ai suoi funerali, e in danni psicofisici.

La prima delle due citate sentenze, invece, in applicazione del principio di cui innanzi, ha annullato l'ordinanza impugnata con la quale era stato liquidato l'indennizzo utilizzando, quale unico parametro idoneo a compensare tutti gli effetti derivanti dall'ingiusta detenzione, il solo criterio aritmetico, senza un adeguato approfondimento motivazionale in merito alla perdita di chanches lavorative, sebbene adeguatamente provate. La Suprema Corte ha in particolare sostenuto che una implementazione dell'indennizzo con riferimento anche alla perdita di chanches di natura professionale è giustificata dal richiamo, ex art. 315 c.p.p., comma 3, alle disposizioni in materia di errore giudiziario (artt. 643 c.p.p. e ss.) quanto agli elementi (conseguenze personali, quindi anche professionali, oltre che familiari) di cui il giudice deve tener conto ai fini della decisione in guisa da soddisfare, nel conteggio conclusivo, le diverse "voci di danno" elencate dall'art. 643 c.p.p. Sez. 18361 del 11/01/2019, Piccolo, Rv. 276259, ha invece annullato con rinvio il provvedimento che aveva liquidato l'indennità in misura lievemente superiore a quella derivante dall'applicazione del criterio aritmetico, in un caso in cui l'istante aveva allegato gravi danni non patrimoniali, consistiti nell'arresto di una procedura adottiva, nell'impossibilità di assistere la madre gravemente malata e di partecipare ai suoi funerali, e in danni psicofisici (si veda altresì, con riferimento ai danni conseguenti allo strepitus fori, Sez. 4, n. 39773 del 06/06/2019, Sapignoli, Rv. 277550, oltre che, per un riferimento a essi, anche Sez. 4, n. 2198 del 12/01/2022, Tringali, cit., in motivazione).

Sul piano più strettamente processuale, l'obbligo per il giudice di merito di prendere in esame ogni ulteriore pregiudizio dedotto dal ricorrente è stato desunto da considerazioni in merito alla distinzione dell'istituto in esame dal risarcimento del danno latta però con la lente del temperamento del principio dispositivo nella materia che ci occupa.

La riparazione per ingiusta detenzione si differenzia dal risarcimento del danno da illecito sia per il profilo sostanziale della non necessaria integralità del ristoro, desumibile dalla fissazione di un tetto limite ai sensi dell'art. 315 c.p.p., comma 2 (Sez. 4, n. 39815 del 11/07/2007, Bevilacqua, Rv. 237837, in motivazione), sia per il correlato profilo processuale dell'esclusione dell'onere della prova in merito all'entità del danno, desumibile dall'aggettivo equa utilizzato dal legislatore (art. 314 c.p.p., comma 1). A quanto innanzi si aggiunge però la costante affermazione della Corte di legittimità per la quale, nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, il principio dispositivo per cui la ricerca del materiale probatorio necessario per la decisione è riservata alle parti, tra le quali si distribuisce in base all'onere della prova, è temperato dai poteri istruttori del giudice, il cui esercizio di ufficio, eventualmente sollecitato dalle parti, si svolge non genericamente ma in vista di un'indagine specifica, secondo un apprezzamento della concreta rilevanza al fine della decisione, insindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della correttezza del procedimento logico (Sez. 4, n. 18848 del 21/02/2012, Ferrante, Rv. 253555; sul punto si veda altresì, ex plurimis: Sez. 4, n. 21307 del 26 aprile 2022, in motivazione).

Corollari di tale principio non possono che essere l'onere della parte di allegare l'esistenza del danno, la sua natura e i fattori che ne sono causa e, d'altro canto, il dovere del giudice di prendere in esame tutte le allegazioni della parte in merito alle conseguenze della privazione della libertà personale e, dunque, di esaminare se si tratti di danni causalmente correlati alla detenzione e se sia stata fornita la prova, anche sulla base del fatto notorio o di presunzioni, di dette conseguenze ancorché non della relativa entità, operando il sistema indennitario innanzi descritto (ex plurimis: Sez. 4, n. 32891/2020, Di Domenico, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 19809 del 19/04/2019, Candiano, Rv. 276334, che ha ritenuto immune da censure il provvedimento con cui l'indennità era stata liquidata in misura "standard" e non erano stati riconosciuti i danni all'attività imprenditoriale svolta dall'instante, solo genericamente dedotti, in mancanza di prova del nesso causale con la detenzione).

Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione è però sottratto al giudice di legittimità che può solo verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento senza sindacare la sufficienza o insufficienza della indennità liquidata a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta (ex plurimis: Sez. 4, n. 2198 del 12/01/2022, Tringali, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 24225 del 04/03/2015, Pappalardi, Rv. 263721; Sez. 4, n. 27474 del 02/07/2021, Spedo, Rv. 281513; Sez. 4, n. 10690, del 25/02/2010, Cammarano, Rv. 246424).

Resta fermo, a tale ultimo fine, l'obbligo per il giudice della riparazione di specificare tanto i parametri utilizzati per la liquidazione di alcune conseguenze dannose quanto i criteri logico-giuridici che hanno condotto a negare la liquidazione di altre conseguenze allegate dal richiedente, al fine di non ancorare a parametri astratti o non verificabili l'esito decisorio (ex plurimis: Sez. 4, n. 2198 del 12/01/2022, Tringali, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 39159 del 10/05/2018, Iacenda, in motivazione). Potendo, peraltro, per orientamento di legittimità ormai consolidato, essere il quantum ridotto in ragione dell'accertata colpa lieve, sinergica rispetto all'intervento dell'Autorità e/o al suo mantenimento (per la ricostruzione dell'orientamento di cui innanzi, e per le ragioni sottese alla rilevanza della colpa lieve a fini liquidatori, si veda, ex plurimis, Sez. 4, n. 2198 del 12/01/2022, Tringali, cit., in motivazione, per cui la colpa lieve dell'instante, pur non ostando al riconoscimento dell'indennizzo, deve essere valutata ai fini della riduzione del suo ammontare in base a un'interpretazione a contrario dell'art. 314 c.p.p. e non a un'applicazione analogica dei principi espressi, nel settore della responsabilità civile, dagli artt. 1227 e 2056 c.c., stante la radicale divergenza delle due discipline).

3. Orbene, la Corte territoriale, con motivazione esente dalle prospettate censure, ha fatto corretta applicazione dei principi di cui innanzi, all'esito di valutazioni di merito insindacabili in questa sede in quanto scevre dai prospettati vizi, laddove ha ritenuto non provate le ulteriori conseguenze sulla salute e sui redditi del richiedente prospettate come derivanti degli arresti domiciliari ai quali lo stesso è stato sottoposto per 23 giorni (con conseguente infondatezza dei relativi profili di censura).

3.1. Sul punto, difatti, il giudice di merito ha argomentato, quanto ai prospettati danni alla salute, dall'assenza di prova dell'allegazione del richiedente in quanto supportata da una relazione neuropsichiatrica con diagnosi di "depressione ansioso reattiva", quale "disturbo post-traumatico da stress esterno", fondata sul racconto in sintesi della vicenda vissuta ma redatta (nel (Omissis)) a distanza di ben nove anni dagli applicati arresti domiciliari ed in assenza di elementi circa l'eventuale ricorso al sostegno di specialisti del settore o all'assunzione di specifici farmaci nel contesto di riferimento ed in relazione a 23 giorni di arresti domiciliari. Parimenti sfornita di prova è stata ritenuta l'allegata riduzione dei redditi del richiedente in quanto supportata dalla sola produzione delle dichiarazioni dei redditi, di per sé sola ritenuta nella specie non determinante circa il nesso causale con l'intervento dell'autorità sostanziatosi in 23 giorni di arresti domiciliari.

4. Merita invece accoglimento, ancorché nei limiti e per quanto di seguito evidenziato, il profilo del motivo unico di ricorso con il quale si critica il punto dell'ordinanza impugnata inerente alla rilevanza, ai fini del quantum dell'indennità liquidabile, tra l'accertata sussistenza della c.d. c.d. "ingiustizia formale", di cui all'art. 314 c.p.p., comma 2, e la ritenuta rilevanza della colpa (nella specie, lieve).

4.1. Occorre sul punto premettere che mentre la c.d. "ingiustizia sostanziale", di cui all'art. 314 c.p.p., comma 1, presuppone l'affermazione dell'innocenza del richiedente, la c.d. "ingiustizia formale" prescinde da tale accertamento e richiede solamente l'accertamento della illegalità del provvedimento restrittivo, assunto in difetto delle condizioni previste dagli artt. 273 e 280 codice di rito, quindi anche in assenza dei gravi indizi di colpevolezza.

4.1.2. Le Sezioni Unite della Suprema Corte, nel risolvere il dubbio interpretativo sul puto, hanno precisato che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D'Ambrosio, Rv. 247663-01; in precedenza, nello stesso senso, va ricordata, tra le altre, Sez. 4, n. 6628 del 23/01/2009, Totaro, Rv. 242727-01).

Nel caso dell'insussistenza originaria delle condizioni per l'adozione o il mantenimento della misura custodiale, infatti, l'obiettiva ingiustizia della detenzione subita può trovare scaturigine in comportamenti dolosi o gravemente colposi del richiedente. Sicché, attribuire rilevanza ostativa a tali condotte ben si concilia con il fondamento solidaristico dell'istituto della riparazione per ingiusta detenzione, alla cui stregua è ragionevole che il ristoro assicurato dall'ordinamento sia riconosciuto a chi abbia "patito", e non concorso a determinare, l'applicazione del provvedimento restrittivo.

4.1.3. Il citato intervento nomofilattico delle Sezioni Unite ha però condivisibilmente posto un ineludibile "paletto".

Nel caso in cui l'accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiale avvenga sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, difatti, è preclusa la possibilità di valutare l'incidenza della condotta dolosa o colposa dell'imputato. Ciò, evidentemente, in quanto in tali casi il giudice era oggettivamente nelle condizioni di negare o revocare la misura e, pertanto, nessuna efficienza causale nella sua determinazione può attribuirsi al soggetto passivo. Per converso, dovrà invece valutarsi la sinergia causale del dolo o della colpa grave nel caso in cui l'accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiale sia avvenuto alla stregua di un materiale probatorio contrassegnato da diversità rispetto a quello originariamente detenuto dal giudice della cautela (in merito si vedano, per la successiva giurisprudenza di legittimità, ex plurimis: Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, Bosio, Rv. 281038-01, per l'ipotesi di ingiustizia correlata alla diversa qualificazione del reato, in sede di merito, che ne abbia determinato l'estinzione per prescrizione e il venir meno delle condizioni di applicabilità della misura cautelare; Sez. 3, n. 15786 del 04/02/2020, Ubaldini, Rv. 279385-01, per la quale, comunque, il comportamento doloso o gravemente colposo del richiedente può esplicare efficacia preclusiva per il periodo, a esso successivo, per il quale abbia dato o concorso a dare causa al mantenimento della custodia cautelare; Sez. 4, n. 26269 del 01/03/2017, Rv. 270102-01, che, in applicazione del principio ha annullato l'ordinanza che aveva accolto la richiesta omettendo di considerare che la valutazione in sede di riesame circa l'insussistenza di gravi indizi di colpevolezza aveva trovato fondamento anche sulle spontanee dichiarazioni rese in sede di riesame dall'indagato che, di fronte al G.i.p., si era avvalso della facoltà di non rispondere; Sez. 4., n. 34541 del 24/05/2016, Rv. 267506-01; Sez. 4, n. 26261 del 23/11/2016, dep. 2017, Rv. 270099-01, per il caso di derubricazione del reato contestato, all'esito del giudizio di merito, e applicazione di una pena inferiore alla durata della custodia cautelare sofferta; Sez., 4, n. 8021 del 28/01/2014, Gennusa, Rv. 258621-01; Sez. 4, n. 13559 del 02/12/2011, dep. 2012, Borselli, Rv. 253319-01, per il caso d'ingiustizia correlata alla riqualificazione del fatto in sede di merito, con relativa derubricazione del reato contestato nell'incidente cautelare in altro meno grave i cui limiti edittali di pena non avrebbero consentito l'applicazione della misura custodiale - e conseguente dichiarazione di prescrizione).

4.1.4. Quanto poi al riferimento che l'art. 314 c.p.p., comma 2, fa, ai fini dell'operatività della riparazione per l'ipotesi di ingiustizia formale, alla "decisione irrevocabile", con la quale risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura sia stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità, l'attuale dominante orientamento esclude che esso sia limitato a una decisione irrevocabile in fase cautelare (o, comunque, come nel giudizio direttissimo, con valenza anche cautelare).

Si ritiene difatti il riferimento esteso anche alle ipotesi di accertamento con decisione irrevocabile assunta all'esito del giudizio di merito sempre che, naturalmente, da essa si evinca la mancanza, sin dall'origine, delle condizioni di applicabilità della misura.

E' stato in particolare evidenziato (cfr., in motivazione, Sez. 4 n. 43458 del 2013, Taliento, Rv. 257194-01) che una diversa interpretazione cozzerebbe con i principi affermati dalle Sezioni Unite in punto di rilevanza, ai fini del riconoscimento del diritto alla riparazione, anche degli accertamenti risultanti ex post (Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Durante Rv. 195354) e risulterebbe distonica con il fondamento solidaristico dell'istituto ripetutamente evidenziato anche dal giudice delle leggi, in particolare da Corte Cost. nn. 231 e 413 del 2004 (per l'attuale orientamento dominante si vedano, ex plurimis: Sez. 4, n. 16175/2021, Bosio, cit., Sez. 4 n. 8869 del 22/1/2007, Frajese, Rv. 240332; Sez. 4, n. 23896 del 09/04/2008, Greco, Rv. 240333; Sez. 4, n. 44596 del 16/4/2009, De Cesare, Rv. 245437; Sez. 4, n. 43458 del 15/10/2013, Ta/lento, Rv. 257194; Sez. 4, n. 39535 del 29/5/2014, Scalise, Rv. 261408; per il precedente contrapposto orientamento si vedano: Sez. 4, n. 36 del 12/1/1999, Rv. 213231; Sez. 4, n. 40126 del 13/11/2002, Rv. 223285; Sez. 4, n. 26368 del 3/4/2007, Ucciero, Rv. 236989).

4.2. Orbene, premesso quanto innanzi, deve rilevarsi l'errore nel quale è incorsa la Corte territoriale nel ritenere rilevante, ai fini del quantum dell'indennizzo, l'accertata colpa (nella specie lieve) in fattispecie caratterizzata da c.d. ingiustizia formale per l'assenza ab origine della gravità indiziaria ma argomentata da una diversa valutazione dei medesimi elementi posti alla base dell'ordinanza cautelare.

4.3. In merito si contrappongono due diversi orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

4.4. Secondo una prima tesi ermeneutica, nell'ipotesi in cui l'accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base di una diversa valutazione dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, pur non rilevando la condotta del richiedente sotto il profilo dell'an della riparazione in quanto priva di efficienza causale circa l'intervento dell'autorità ed il suo mantenimento, il giudice della riparazione è tenuto a valutare - al diverso fine della eventuale riduzione dell'entità dell'indennizzo - anche la condotta colposa lieve. Il giudice di merito, dunque, ravvisata la colpa lieve, deve adeguatamente motivare in ordine alla riduzione dell'indennizzo, che non dovrà comunque risultare spropositata.

Questa soluzione interpretativa trova la sua espressione in Sez. 4, n. 34541 del 24/05/2016, Rv. 267506 (seguita da Sez. 3 n. 41600 dell'8/10/2021, Macrì, in motivazione, ancorché in termini di rinvio al detto precedente seguito dall'indicazione dei precedenti difformi).

La tesi in argomento motiva dalla ratio dell'istituto ma argomentando dalla sua ritenuta natura civilistica e, dichiaratamente, affonda radici profonde nella giurisprudenza di legittimità ma, per quanto in questa sede rileva, formatasi non con riferimento all'ipotesi di insussistenza ab origine dei presupposti applicativi della misura cautelare accertata sulla base di una mera diversa valutazione degli elementi già esistenti al momento della sua adozione.

Il riferimento deve intendersi alla risalente tesi per cui "Il giudice investito dell'istanza per l'attribuzione di una somma di denaro a titolo di equa riparazione per l'ingiusta detenzione, ha il dovere di verificare se la condotta dell'istante nel procedimento pende, nel caso del quale la privazione della libertà si verificò, sia connotabile di dolo o di colpa. La condotta colposa concorsuale può assumere varie gradazioni, che vanno da quella lieve, perché apprezzabile, a quella grave, idonea ad escludere il diritto all'indennizzo; nelle altre gradazioni, rispetto a quest'ultima, la colpa sinergica (sotto entrambi i profili considerabili: emissione del provvedimento restrittivo, perdurare della detenzione) non rimane insignificante, dovendo essere valutata ai fini della taxatio sul quantum debeatur in applicazione del principio generale di (auto) responsabilità estraibile dalla lettura degli artt. 1227 e 2056 c.c., per il quale non è da indennizzare il pregiudizio causato, quanto meno per colpa (seppure lieve), dello stesso danneggiato" (in tal senso si veda Sez. 4, n. 529 del 21/04/1994, Lin Xian Le, Rv. 198307, oltre che precedenti conformi tra i quali: Sez. 4, n. 126 del 31/01/1994, Marchetti, Rv. 197955; Sez. 4, n. 544 del 30/04/1993, Cariddi, Rv. 194229).

4.4.1. Deve in questa sede infine evidenziarsi che, stante il fondamento che l'orientamento in esame pone alla base della tesi interpretativa, il quantum liquidabile sarebbe suscettibile di essere ridotto non solo nel caso di condotta lievemente colposa ma, a fortiori, in ragione di una condotta gravemente colposa o dolosa, ferma restando l'irrilevanza di essa ai fini del diritto all'indennizzo.

4.5. Per l'indirizzo interpretativo contrario, sostenuto da un maggior numero di decisioni, invece, nell'ipotesi in cui l'accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base di una diversa valutazione dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, il giudice della riparazione non può valutare la condotta colposa (lieve) neppure al diverso fine della eventuale riduzione dell'entità dell'indennizzo trattandosi di condotta priva di efficienza causale circa l'intervento dell'autorità (si vedano, in particolare: Sez. 4, n. 5452 del 11/01/2019, Raso, Rv. 275021, che esplicita la sottesa ratio individuandola nell'assenza di efficienza causale, oltre che, Sez. 4, n. 22103 del 21/03/2019, Longo, Rv. 276091; Sez.4, n. 54042 del 09/11/2018, Longordo, Rv. 274765; Sez. 4, n. 22806 del 06/02/2018, Morante, Rv. 272993).

4.6. Il collegio condivide il secondo degli orientamenti di cui innanzi.

4.6.1. Nel caso in cui l'accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiale avvenga sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela è preclusa la possibilità di valutare l'incidenza della condotta dell'indagato/imputato, sia essa dolosa ovvero gravemente o lievemente colposa, anche ai fini della determinazione del quantum d'indennizzo liquidabile. Proprio argomentando dalle citate Sez. U, n. 32383 del 2010, D'Ambrosio, deve difatti evidenziarsi che, in tali casi, il giudice era oggettivamente nelle condizioni di negare o revocare la misura in quanto nessuna efficienza causale rispetto all'adozione di essa può attribuirsi alla condotta del soggetto e, di conseguenza, che il comportamento del richiedente non può dirsi aver avuto efficienza causale nel "determinismo dell'evento" (l'intervento cautelare), con conseguente impossibilità di considerarlo ai fini della riduzione del quantum.

La condivisa lettura è peraltro in linea con la natura eminentemente solidaristica dell'istituto (evidenziata peraltro anche da Corte Cost. n. 446 del 1997) quale misura riparatoria e riequilibratrice, e in parte compensatrice, dell'ineliminabile componente di alea per la persona propria della giurisdizione penale (cautelare). Ciò comporta l'accollo per lo Stato di un onere riparatorio nei confronti di chi, per effetto di quell'esercizio è non anche della propria condotta, abbia subito una lesione del bene fondamentale della libertà personale. In tale situazione, quindi, sarebbe irragionevole un istituto che, da un lato, per "diritto vivente", contempli la riparazione in ragione dell'assenza di efficienza causale della condotta del richiedente nel determinismo dell'intervento dell'autorità, e, dall'altro, riduca il quantum liquidabile in forza della medesima condotta priva della descritta efficacia causale. Ne' può infine argomentarsi in senso inverso dalla natura equitativa della riparazione senza finire con l'attribuire, irragionevolmente, all'equità una funzione non propria, quella di sopperire ad un nesso eziologico insussistente.

4.6.2. In forza di quanto evidenziato circa i riflessi anche in merito alla determinazione del quantum liquidabile, fini delle verifiche di pertinenza del giudice della riparazione diviene, quindi, particolarmente importante appurare se l'accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura cautelare sia avvenuto (vuoi nel procedimento cautelare vuoi nel procedimento di merito) sulla base degli stessi presisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela.

Al fine di valutare la sussistenza della c.d. "ingiustizia formale" di cui all'art. 314 c.p.p., comma 2, il giudice non deve pertanto sostituirsi alla "decisione irrevocabile" nell'accertare l'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura ma deve evincere, dalla decisione di merito, l'intervenuto accertamento della detta insussistenza ab origine, in considerazione delle ragioni fondanti e dei sottesi percorsi logico-giuridici. Il giudice della riparazione, poi, su cui compete la verifica (anche d'ufficio) dell'insussistenza della condotta ostativa del richiedente, in quanto elemento negativo del diritto all'indennizzo, in caso di ingiustizia formale deve valutare se la decisione irrevocabile dalla quale risulti accertata l'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura sia avvenuta "sulla base degli stessi presisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela ma in ragione unicamente di una loro diversa valutazione".

5. In conclusione, l'ordinanza impugnata, avendo errato nel dare rilievo al profilo della colpa lieve ai fini della determinazione del quantum liquidabile ex art. 314 e 315 c.p.p., deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Napoli che applicherà il principio innanzi esplicitato.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2022

©2022 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472