Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, distinzione tra inesistenza oggettiva o soggettiva, irrilevanza

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.19595 del 29/03/2023 (dep. 10/05/2023)

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Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, distinzione tra inesistenza oggettiva o soggettiva, irrilevanza

L'art. 2 del Dlgs 74/2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) non distingue tra inesistenza oggettiva o soggettiva: oggetto della sanzione è infatti ogni divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, integrando il suddetto. delitto l'utilizzazione, nella dichiarazione ai fini delle imposte dirette, di fatture formalmente riferite a un contratto di appalto di servizi, che costituisca di fatto lo schermo per occultare una somministrazione irregolare di manodopera, realizzata in violazione dei divieti di cui al previgente D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, sostituito dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, trattandosi di fatture relative a un negozio giuridico apparente, diverso da quello realmente intercorso tra le parti, attinente ad un'operazione implicante significative conseguenze di rilievo fiscale, con riguardo ad entrambe le imposte per le ragioni sopra evidenziate in quanto l'esposizione nella dichiarazione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto.

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Cassazione penale, sez. III, sentenza 29/03/2023 (dep. 10/05/2023), n. 19595

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19 maggio 2022, la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Monza, in data 27 aprile 2021, con la quale l'imputato era stato condannato, alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione, in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 perché quale legale rappresentante della Metalbau srl, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava nelle dichiarazioni presentate per gli anni di imposta 2014 2015 elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture emesse da Emmezeta srl relative ad operazioni inesistenti. Con la medesima sentenza era disposta, in applicazione dell'art. 12-bis del citato decreto, la confisca diretta del profitto del reato, pari a Euro 230.843,28, nei confronti della società Metalbau s.r.l. ed in via subordinata la confisca per equivalente nei confronti dell'imputato.

2. Avverso tale sentenza l'imputato ricorre per cassazione, per il tramite dell'Avv. Claudio Calabria, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

2.1. Con i primi due motivi di ricorso, la difesa deduce l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale, di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 e agli artt. 133 e 163 c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12.

Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato del D.Lgs. n. 74 del 2000, l'art. 2 laddove avrebbe ritenuto integrato il reato in oggetto con riguardo alle imposte dirette, a fronte di fatture soltanto soggettivamente inesistenti. Dovrebbero infatti tenersi distinte, secondo la difesa, le due imposte evase in quanto, se con riferimento all'IVA può applicarsi il principio per cui è irrilevante, ai fini dell'integrazione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 che le prestazioni indicate nelle Fatture siano oggettivamente o soggettivamente inesistenti, lo stesso non potrebbe dirsi per le imposte dirette, con riguardo alle quali il reato sarebbe integrato soltanto nell'ipotesi di inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture.

I giudici del merito, pertanto, una volta accertato o comunque non escluso che le prestazioni oggetto delle fatture contestate siano state effettivamente poste in essere, avrebbero dovuto escludere, trattandosi di un'ipotesi di inesistenza meramente soggettiva, la sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 con riguardo all'evasione dell'IRES.

Alla luce di tali considerazioni, il ricorrente evidenzia nel secondo motivo di ricorso la necessità di rimeditare il trattamento sanzionatorio, valutando anche la possibilità di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena.

2.2. Con il terzo motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 322-ter c.p..

Con riguardo alla confisca per equivalente disposta in via subordinata dal giudice di primo grado e confermata in appello, la difesa rileva, anzitutto, che sarebbe improprio il riferimento al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis con riguardo alla contestazione per l'anno d'imposta 2014, atteso che il reato si è consumato in data 9 settembre 2015, al momento della presentazione della dichiarazione, e dunque in epoca anteriore rispetto all'entrata in vigore della suddetta norma, in data 22 ottobre 2015. Pertanto, con riguardo alla contestazione per l'anno d'imposta 2014, i giudici del merito avrebbero dovuto disporre la confisca ai sensi dell'art. 322-ter c.p., come richiamato dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143.

Proprio il riferimento all'art. 322-ter c.p. consentirebbe di escludere la confisca per equivalente del profitto del reato con riguardo all'anno di imposta 2014, alla luce della tesi difensiva secondo cui il richiamo operato dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, varrebbe soltanto con riferimento all'art. 322-ter c.p., comma 1 quale previsione generale, dove si prevede la confisca per equivalente del solo prezzo del reato, e non anche al comma 2, ritenuta previsione speciale non applicabile al caso di specie.

Pertanto, la difesa argomenta che dovrebbe essere esclusa la confisca per equivalente del profitto del reato in relazione alla contestazione per l'anno d'imposta 2014; argomenta, altresì, che la confisca dovrebbe essere comunque ridimensionata a fronte dell'insussistenza del reato con riguardo all'IRES, di cui al primo motivo di ricorso, scomputando dalla somma individuata quale profitto del reato, pari a Euro 230.843,28, le somme pari a Euro 71.695,00 per l'anno 2014 e ad Euro 56.751,00 per l'anno 2015.

3. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso appare sotto tutte le prospettazioni difensiva, inammissibile perché manifestamente infondato.

2. E' manifestamente infondata la censura devoluta con il primo motivo di appello perché contraria all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità. Secondo quanto accertato dalle conformi sentenze di merito, e non messo in discussione, l'imputato aveva utilizzato nelle dichiarazioni fiscali relative agli anni di imposta 2014 e 2015, fatture emesse da Emme Zeta srl a Matalbau srl, per operazioni soggettivamente inesistenti alla luce dell'emersa intermediazione illegale di manodopera, essendo la prima società non autorizzata a prestare manodopera a terzi, ed avendo le fatture un contenuto falso in quanto non riferito a lavorazioni prestate, contenuto falso giacché non vi era alcun contratto di appalto tra le due società e risultando dal testimoniale che la società Emme Zeta srl aveva prestato manodopera alla Metalbau srl. Secondo l'accertamento di fatto era risultato dimostrato che la società del ricorrente aveva utilizzato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti giacche dissimulavano la somministrazione illecita di manodopera dietro l'apparente indicazione di tipologie di lavori diverse (cfr. pag. 8).

Ciò premesso, secondo l'indirizzo interpretativo che si è formato su vicende analoghe, l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che dissimulano un'attività illecita di somministrazione di manodopera, mascherata dalla conclusione di fittizi contratti di appalto di servizi, D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29 integra una operazione soggettivamente inesistente stante il carattere dissimulato del contratto, integrando quella divergenza tra realtà fenomenica e realtà meramente giuridica dell'operazione che, secondo la giurisprudenza consolidata, integra l'inesistenza di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 1, comma 1, lett. a) (Sez. 3, n. 11633 del 02/02/2022, Casanova, Rv. 282985 - 01; Sez. 3, n. 20901 del 26/06/2020, Rv. 279509; Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017, Sez. 3, n. 27392 del 27/04/2012, Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, Moiseev, Rv. 278378 - 01) che, quanto al versante dell'Iva, fittiziamente interposto apre la strada al recupero indebito dell'imposta stessa (Sez. 3, n. 20901 del 26/06/2020, Rv. 279509 - 02; Sez. 3, n. 29977 del 12/02/2019, Rv. 276289; Sez. 3, n. 4236 del 18/10/2018, Di Napoli, Rv. 275692 - 01; Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017, non mass.; Sez. 3, n. 24540 del 20/03/2013, Rv. 256424 - 01), mentre con riguardo all'imposta sui redditi, l'utilizzo della fattura che dissimula una diversa prestazione apre la strada alla detrazione di costi anch'essi fittizi perché non correlati alla prestazione reale essendo funzionale ad abbattere indebitamente il reddito di esercizio mediante imputazione del costo dei servizi, rappresentato dal costo del lavoro che altrimenti le società non avrebbero potuto detrarre. In tema di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione (Sez. 3, n. 29977 del 12/02/2019, Romano, Rv. 276289 01).

In conclusione, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l'art. 2 non distingue tra inesistenza oggettiva o soggettiva: oggetto della sanzione di cui all'art. 2 è ogni divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, integrando il delitto di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2 l'utilizzazione, nella dichiarazione ai fini delle imposte dirette, di fatture formalmente riferite a un contratto di appalto di servizi, che costituisca di fatto lo schermo per occultare una somministrazione irregolare di manodopera, realizzata in violazione dei divieti di cui al previgente D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, sostituito dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, trattandosi di fatture relative a un negozio giuridico apparente, diverso da quello realmente intercorso tra le parti, attinente ad un'operazione implicante significative conseguenze di rilievo fiscale (Sez. 3, n. 45114 del 28/10/2022, Rv. 283771 - 01), con riguardo ad entrambe le imposte per le ragioni sopra evidenziate in quanto l'esposizione nella dichiarazione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto qui richiamati ed è giuridicamente corretta.

3. Dalla manifesta infondatezza del primo profilo di censura discende la manifesta infondatezza delle ulteriori censure in punto trattamento sanzionatorio e di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

4. Anche il terzo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.

Risulta manifestamente infondata la prospettazione difensiva tenuto conto che l'orientamento consolidato di Questa Corte di legittimità secondo cui in materia di reati tributari, sussiste continuità normativa - e non si pone pertanto alcuna questione di diritto intertemporale - tra il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 12-bis, comma 2, (introdotto dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158), che prevede la confisca per equivalente dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato e la fattispecie prevista dall'art. 322 ter c.p., richiamato dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, abrogata dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 14 (Sez. 3, n. 35226 del 16/06/2016, D'Agapito, Rv. 267764 - 01; Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, Pg/Lombardo, Rv. 268386 01), sicché risulta corretta la disposta confisca del profitto del reato con riguardo all'anno di imposta 2014 nell'ammontare indicato essendo stata disposta con riguardo alla sommatoria del profitto - risparmio di spese sia con riguardo alle imposte dirette che all'iva.

5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2023.

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