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Detenzione di materiale pedopornografico, reato configurabile anche se archivio è online

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.4212 del 19/01/2023 (dep. 01/02/2023)

La disponibilità di file di immagini e video di contenuto pornografico ritraenti minori, accessibili in un archivio virtuale consultabile online, configura il reato di detenzione di materiale pedopornografico di cui all'art. 600 quater Cod.pen.

Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 4212 depositata il 1° febbraio 2023.

La Suprema Corte ha precisato che rientra nel concetto di detenzione non solo la disponibilità di file pedopornografici archiviati permanentemente in un dispositivo informatico nel possesso materiale del detentore, ma anche la disponibilità di tali file mediante l'accesso al proprio account di cloud storage.

Nel caso di specie, un uomo era stato condannato dal Tribunale di Napoli alla pena di un anno di reclusione e 800 euro di multa in relazione al delitto di cui all'art. 600 quater, comma 1, c.p. per essersi consapevolmente procurato e per aver detenuto materiale pedopornografico realizzato utilizzando minori di 18 anni, consistente in 4082 file, dei quali 1285 video ritraenti bambine di età compresa tra i 3 e i 14 anni intente in attività sessuali con adulti o di autoerotismo.

Reato di detenzione o accesso a materiale pornografico, concetto di detenzione, archivio virtuale consultabile, configurabilità

Ai fini della configurabilità del reato di detenzione o accesso a materiale pornografico di cui all'art. 600-quater cod.pen. è compresa nel concetto di detenzione non solo la disponibilità di file pedopornografici archiviati permanentemente in un dispositivo informatico nel possesso materiale del detentore, ma anche la disponibilità di file accessibili senza limiti di tempo e di luogo in un archivio virtuale consultabile, senza restrizioni, mediante credenziali di autenticazione in uso esclusivo o condiviso tra il titolare e altri utilizzatori, in modo da poterne ampiamente disporre e da compiere una vasta gamma di operazioni (visualizzazione, consultazione, aggiornamento, trasferimento o archiviazione).

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Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n. 4212 del 19/01/2023 (dep. 01/02/2023)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 maggio 2022 la Corte d'appello di Napoli ha respinto l'impugnazione proposta da A.P. nei confronti della sentenza del 24 marzo 2021 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, lo stesso A. era stato condannato alla pena di un anno di reclusione e 800,00 Euro di multa in relazione al delitto di cui all'art. 600 quater, comma 1, c.p. (ascrittogli per essersi consapevolmente procurato e per aver detenuto materiale pedopornografico realizzato utilizzando minori di 18 anni, consistente in 4082 file di natura pedopornografica, dei quali 1285 video ritraenti bambine di età compresa tra i 3 e i 14 anni intente in attività sessuali con adulti o di autoerotismo).

2. Avverso tale sentenza l'imputato, per il tramite dei propri difensori, Avvocato Domenico Ciruzzi e Avvocato Gerardo Mariano Rocco di Torrepadula, ha proposto ricorso per cassazione, che è stato affidato a cinque motivi.

2.1. In primo luogo, ha denunciato l'errata applicazione dell'art. 600 quater c.p., per essere stato ritenuto sussistente il reato di detenzione di materiale pedopornografico giudicando sufficiente il rinvenimento in uno dei dispositivi elettronici sequestrati al ricorrente di 18 tracce di navigazione verso il sito internet (Omissis).

Ha esposto che il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero aveva accertato che nei supporti informatici sequestrati all'imputato non era stato rinvenuto alcun file di natura pedopornografica, tanto che gli stessi erano stati tutti restituiti all'imputato, mentre gli stessi avrebbero dovuto essere confiscati se in essi fossero stati presenti file di contenuto pedopornografico, ai sensi dell'art. 600 septies c.p., cosicché risultava errato il riferimento compiuto dalla Corte d'appello alla presenza di file temporanei, che non erano stati rinvenuti, essendo state riscontrate solamente tracce di navigazione, ossia frammenti di notizia di una o più connessioni a un sito internet, non implicanti alcun download, unica operazione penalmente rilevante, tanto che per estendere la rilevanza penale alla sola visualizzazione del materiale pedopornografico è stato introdotto, dalla L. 23 dicembre 2021 n. 238, il comma 3 dell'art. 600 quater c.p., che, appunto, sanziona penalmente la condotta di chi accede intenzionalmente e senza giustificato motivo a materiale pornografico realizzato utilizzando minori di diciotto anni.

2.2. Con un secondo motivo ha lamentato una ulteriore erronea applicazione dell'art. 600 quater c.p. e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione della configurabilità del reato di detenzione di materiale pedopornografico, in quanto le immagini riferibili al ricorrente e riportate nell'informativa di reato nell'unico dvd agli atti non costituivano materiale pedopornografico, trattandosi di poche fotografie di nudo, per lo più parziale.

Ha esposto che anche per la configurabilità del reato di detenzione di materiale pedopornografico occorrerebbe fare riferimento alla nozione di pornografia minorile di cui all'art. 600 ter, comma 7, c.p., nella quale non potevano certamente rientrare le poche immagini di nudo nella disponibilità del ricorrente.

2.3. Con il terzo motivo ha lamentato la violazione dell'art. 521 c.p.p., per la mancanza di correlazione tra la contestazione e la sentenza, in quanto la detenzione di altri file di contenuto pedopornografico in un account riferibile al ricorrente non era stata oggetto di contestazione.

Ha esposto che nella imputazione era stata contestata la detenzione nel proprio account di cloud storage (Omissis), associato all'indirizzo mail (Omissis)((Omissis), di materiale pedopornografico realizzato utilizzando minori di 18 anni (4.082 file di natura pedopornografica tra cui 1285 video ritraenti bambine in età compresa tra i 3 e i 14 anni circa nel compimento di attività sessuali con adulti o in attività di autoerotismo con utilizzo di sextoys e altri oggetti), ma tale condotta non era mai stata accertata, mentre la responsabilità era stata affermata in relazione alla detenzione di altro materiale, diverso da quello descritto nell'imputazione e conservato in luogo diverso da quello ivi indicato, e cioè sul sito (Omissis), con la conseguente violazione del diritto di difesa dell'imputato.

2.4. Con il quarto motivo ha lamentato l'errata applicazione dell'art. 131 bis c.p. e un ulteriore vizio della motivazione, sotto forma di travisamento della prova, a causa della esclusione della applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in considerazione di pretese condivisioni di materiale pedopornografico non contestate e non suffragate da alcun elemento di prova, oltre che di non sussistenti reiterazioni della condotta di detenzione, non essendo, tra l'altro, mai stato contestato l'utilizzo di programmi di file sharing.

Il rigetto della richiesta di applicazione di detta causa di esclusione della punibilità si era, in verità, fondato sulla considerazione della gravità del reato in astratto e non anche delle caratteristiche della condotta concreta.

2.5. Infine, con un quinto motivo, ha denunciato l'errata applicazione degli artt. 133 e 175 c.p. e un ulteriore vizio della motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, al diniego del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e alla mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria.

Ha evidenziato, in particolare, la contraddittorietà tra quanto esposto, in entrambe le sentenze di merito, a proposito della occasionalità della condotta (posta in essere dall'imputato in un periodo di particolare stress lavorativo), considerata ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, e la misura della pena, prossima al massimo edittale, e la illogicità della esclusione del beneficio della non menzione della condanna e della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria.

3. Con memoria del 30 dicembre 2022 il ricorrente, tramite i propri difensori, ha replicato alle richieste formulate dal Procuratore Generale prima che fosse disposta la trattazione orale del procedimento, evidenziandone l'infondatezza e ribadendo l'ammissibilità e la fondatezza di tutti i propri motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e', complessivamente, infondato.

2. Il primo motivo, mediante il quale il ricorrente ha denunciato la violazione e l'erronea applicazione dell'art. 600 quater c.p., per avere la Corte di appello di Napoli ritenuto sussistente la fattispecie di reato di detenzione di materiale pornografico in assenza degli elementi essenziali della condotta punibile e, in particolare, per avere ritenuto sufficiente, ai fini della sua configurabilità, il rinvenimento in uno dei dispositivi sequestrati di diciotto tracce di navigazione verso il sito internet (Omissis), non è fondato.

Dalla sentenza di primo grado, alla quale quella impugnata ha rinviato quanto alla ricostruzione della condotta, in guisa tale da costituire, stante la concordanza nella valutazione degli elementi di prova disponibili, un unico corpo argomentativo (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595, e Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), risulta che a seguito delle perquisizioni disposte dal pubblico ministero ed eseguite dalla polizia postale era stato accertato, utilizzando le credenziali di accesso spontaneamente fornite dal ricorrente, che nell'account di cloud storage (Omissis) associato all'indirizzo mail (Omissis), intestato al ricorrente e da lui utilizzato, erano archiviati circa 4082 file di natura pedopornografica, tra cui 1285 video ritraenti bambine di età tra i 3 e 14 anni nel compimento di attività sessuali con maschi adulti o di atti di autoerotismo con utilizzo di sextoys e altri oggetti; i restanti file rappresentavano ragazze in età preadolescenziale svestite e in pose ammiccanti; dalla visione del profilo denominato (Omissis) presente nel sito (Omissis), associato anch'esso al suddetto indirizzo mail, utilizzando le credenziali di accesso spontaneamente fornite dall'imputato era stata riscontrata la presenza di 33 file immagine ritraenti minori, alcuni nudi e altri in abiti succinti. La consulenza tecnica poi disposta dal pubblico ministero, allo scopo di accertare la presenza di ulteriore materiale pedopornografico nei dispositivi elettronici (telefono cellulare e personal computer) sequestrati all'imputato, aveva escluso la presenza in tali dispositivi di file di natura pedopornografica, accertando solamente la presenza di 18 tracce di navigazione verso il sito (Omissis) e di 70 tracce di navigazione verso il sito (Omissis), nei quali erano stati rinvenuti i suddetti account personali in uso all'indagato sui quali risultavano archiviati foto e video di natura pedopornografica. Nella sentenza di primo grado si dà poi anche atto delle sostanziali ammissioni dell'imputato, che aveva riconosciuto di aver fatto accesso al sito (Omissis) laddove aveva reperito le immagini poi rinvenute dalla polizia giudiziaria, spiegando che la visione di tali immagini aveva attirato la sua curiosità fino a degenerare in un interesse che lo aveva coinvolto nelle attività contestategli, sia pure per un breve periodo di tempo, caratterizzato da una propria particolare fragilità psicologica, precisando di aver provato repulsione per i predetti contenuti pedopornografici, discostandosene e rimuovendoli (pagg. 3 e 4 della sentenza del 24 marzo 2021 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli).

Alla luce di queste, del tutto univoche, risultanze, le doglianze formulate dal ricorrente con il primo motivo di ricorso risultano infondate, in quanto la sua responsabilità non è stata affatto affermata a causa e in conseguenza del rinvenimento delle tracce di navigazione verso i suddetti siti internet di cloud storage, di per sé sole inidonee a configurare la contestata detenzione di materiale pedopornografico, bensì a causa della disponibilità, dunque della detenzione, nel suddetto sito di cloud storage (Omissis), nell'account nella disponibilità del ricorrente, in quanto associato al suo indirizzo mail e al quale la polizia giudiziaria ebbe accesso utilizzando le credenziali fornite dallo stesso ricorrente, di 4082 file di natura pedopornografica, tra cui 1285 video ritraenti bambine di età tra i 3 e i 14 anni intente in attività sessuali.

Le tracce di navigazione, 18 verso il sito di cloud storage (Omissis) e 70 verso il sito (Omissis), sono state considerate come elementi di conferma della disponibilità e della utilizzazione dei suddetti account riferibili all'imputato presenti in tali siti di cloud storage, dunque della disponibilità da parte sua delle immagini e dei video di contenuto pedopornografico ivi archiviati.

L'esclusione della circostanza aggravante della ingente quantità del materiale pedopornografico, fondata sull'accertamento di sole 18 tracce di navigazione verso il suddetto sito di cloud storage, non si pone in contrasto con l'affermazione di responsabilità per la detenzione di tutte le immagini presenti nell'account riferibile all'imputato esistente in tale sito, risultando chiaro e univoco l'accertamento della disponibilità di tutte tale immagini da parte dell'imputato ed essendo irrilevante rispetto a tale accertamento il numero degli accessi verso detto sito.

Risultano, in definitiva, infondati i rilievi sollevati con il primo motivo di ricorso, essendo stata accertata la detenzione da parte del ricorrente (che la ha anche ammessa) di immagini e video di contenuto pedopornografico, in archivi di storage in cloud nella sua esclusiva disponibilità, da lui consultabili in via esclusiva e incondizionatamente, senza limitazioni, accedendovi con le proprie credenziali elettroniche.

Correttamente, dunque, è stata affermata la configurabilità del reato contestato, essendo compresa nel concetto di detenzione non solo la disponibilità di file pedopornografici archiviati permanentemente in un dispositivo informatico nel possesso materiale del detentore, ma anche la disponibilità di file accessibili senza limiti di tempo e di luogo in un archivio virtuale consultabile, senza restrizioni, mediante credenziali di autenticazione in uso esclusivo o condiviso tra il titolare e altri utilizzatori, in modo da poterne ampiamente disporre e da compiere una vasta gamma di operazioni (visualizzazione, consultazione, aggiornamento, trasferimento o archiviazione).

3. Il secondo motivo di ricorso, mediante il quale è stata prospettata l'errata applicazione dell'art. 600 quater c.p. e un vizio della motivazione, a causa della affermazione della configurabilità del reato di detenzione di materiale pedopornografico, non essendo le immagini riferibili al ricorrente e riportate nell'informativa di reato nell'unico dvd agli atti qualificabili come materiale pedopornografico, trattandosi di poche fotografie di nudo, per lo più parziale, è inammissibile, sia a causa della sua genericità, essendo privo di autentico confronto critico con la motivazione delle concordi sentenze di merito e con le risultanze processuali, dalle quali emerge l'accertamento della disponibilità da parte del ricorrente di 4.082 file ritenuti di chiaro contenuto pedopornografico; sia perché è volto a censurare un accertamento di fatto, in ordine al contenuto e alla natura di detti file, non sindacabile, sul piano delle valutazioni di merito, dunque del contenuto e della natura delle immagini e dei video, in sede di legittimità se, come nel caso in esame, adeguatamente e logicamente giustificate (posto che il carattere pornografico o meno e l'età dei soggetti raffigurati costituiscono apprezzamenti di fatto demandati al giudice di merito e, pertanto, sottratti al sindacato di legittimità, se sorretti da motivazione immune da vizi logici e giuridici, cfr. Sez. 3, n. 38651 del 09/06/2017, R., Rv. 270827, e Sez. 3, n. 36198 del 11/06/2021, C., Rv. 281972); sia perché è manifestamente infondato, in quanto in entrambe le sentenze di merito è stato dato atto sia dell'età dei soggetti raffigurati sia del chiaro contenuto sessuale delle immagini e dei video, essendovi ritratte bambine tra i 3 e 14 anni in attività sessuali con maschi adulti o in attività di autoerotismo.

4. Il terzo motivo, mediante il quale è stata denunciata, peraltro per la prima volta con il ricorso per cassazione, la mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, è manifestamente infondato, in quanto la responsabilità del ricorrente non è stata affatto affermato in relazione alle tracce di navigazione verso i suddetti siti di cloud storage accertate dal consulente tecnico del pubblico ministero sui supporti elettronici sequestrati al ricorrente, né per la detenzione nel sito (Omissis) dei 33 file immagine ritraenti minori nudi o in abiti succinti, come eccepito dal ricorrente, bensì, come già evidenziato a proposito del primo motivo e come emerge chiaramente dalla lettura di entrambe le sentenze di merito, a causa della disponibilità nell'account riferibile all'imputato nel sito di cloud storage (Omissis) di 4082 file di contenuto pedopornografico, in conformità alla contestazione.

Il riferimento, contenuto in entrambe le sentenze di merito, alle tracce di navigazione, in particolare alle 18 tracce di navigazione sul sito (Omissis), oltre di quelle sul sito (Omissis), attiene, come già evidenziato a proposito del primo motivo, alla dimostrazione della disponibilità e della utilizzazione dell'account riferibile all'imputato (in quanto associato all'indirizzo mail di cui era titolare e di cui possedeva le chiavi di accesso), e quindi all'accertamento della effettiva e concreta disponibilità, tra l'altro per un periodo di tempo apprezzabile, delle immagini e dei video archiviati su detto sito nell'account riferibile all'imputato, dunque non per affermarne la responsabilità in relazione a condotte ulteriori (la sola navigazione o la disponibilità di immagini su un sito di cloud storage non contestato), ma solo per indicare gli elementi dimostrativi della responsabilità in ordine alle condotte effettivamente contestate, le uniche in relazione alle quali è intervenuta condanna, con la conseguente manifesta infondatezza delle doglianze sollevate sul punto con il terzo motivo di ricorso.

5. Il quarto motivo mediante il quale è stata denunciata l'assenza di adeguata motivazione sulla mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis c.p., pur in presenza di un fatto di contenuto allarme sociale, essendo stata accertata la sola presenza delle suddette tracce di navigazione, è manifestamente infondato.

La responsabilità dell'imputato è stata affermata, come già evidenziato a proposito del primo e del terzo motivo, a causa della detenzione, nell'account a lui riferibile nel suddetto sito di cloud storage (Omissis), di 4.082 immagini e video di contenuto pedopornografico, dunque per un fatto non certamente di modesta o ridotta offensività, e di ciò ha correttamente tenuto conto la Corte d'appello, anche a questo proposito in accordo con il primo giudice, nell'escludere la applicabilità di detta causa di esclusione della punibilità, sottolineando anche "la ricerca e la specializzazione informatica necessariamente acquisita attraverso una completa immersione nella materia" (pag. 7 della sentenza impugnata).

Si tratta di rilievi idonei a giustificare la conferma dell'esclusione della applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, tenendo conto del numero di immagini e video di contenuto pedopornografico detenuti dal ricorrente e anche del metodo di archiviazione dei relativi file dallo stesso impiegato, evidentemente proprio allo scopo di eludere eventuali controlli, indicativo di sistematicità e organizzazione della condotta, di cui quindi non può certamente affermarsi né la non abitualità né l'esiguità del pericolo, con la conseguente piena correttezza delle valutazioni compiute anche su tale punto dai giudici di merito, censurati anche a questo riguardo con argomenti manifestamente infondati (ossia nuovamente con il riferimento all'accertamento delle sole tracce di navigazione) e comunque attinenti a valutazioni di merito.

5. Il quinto motivo, mediante il quale il ricorrente ha lamentato l'errata applicazione degli artt. 133 e 175 c.p. e un ulteriore vizio della motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, al diniego del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e alla mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, è manifestamente infondato, essendo volto anch'esso a censurare valutazioni di merito, in ordine alla adeguatezza della pena e alla sussistenza dei presupposti per poter riconoscere il beneficio della non menzione della condanna, e a prospettare violazioni di legge e vizi di motivazione, in relazione alla sostituzione della pena, in precedenza non dedotte, non essendo state oggetto di motivo di appello, e di cui, dunque, è preclusa la deduzione con il ricorso per cassazione.

La Corte di appello ha concordato con il primo giudice nella valutazione di gravità della condotta, in considerazione della sua oggettività, anche alla luce delle modalità con le quali la stessa è stata realizzata, e della sua reiterazione, e anche nel giudizio negativo sulla personalità dell'imputato, escludendo la possibilità di riconoscere il beneficio della non menzione: si tratta di motivazione idonea a giustificare la determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale e l'opportunità di escludere il beneficio della non menzione, in funzione di prevenzione della ripetizione di condotte analoghe, che il ricorrente ha censurato sul piano delle valutazioni di merito, dunque in modo non consentito in questa sede di legittimità.

6. Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato, stante l'infondatezza del primo motivo e l'inammissibilità degli altri.

Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Visto l'art. 154 ter disp. att. c.p.p. dispone che copia del dispositivo sia trasmessa a cura della cancelleria al Ministero della Difesa, amministrazione di appartenenza del ricorrente.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2023.

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