Guida in stato di ebbrezza, assunzione di farmaci contro il diabete, interazione con l'assunzione di sostanze alcoliche, irrilevanza al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.73 del 14/09/2022 (dep. 05/01/2023)

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Guida in stato di ebbrezza, assunzione di farmaci contro il diabete, interazione con l'assunzione di sostanze alcoliche, irrilevanza al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato

In tema di guida in stato di ebbrezza, in caso di esito positivo dell'alcotest non rileva, al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato, la circostanza che gli effetti dell'ingestione dell'alcool siano risultati prolungati nel tempo in ragione dell'assunzione di farmaci contro il diabete, in quanto l'obbligo del conducente di mettersi alla guida in stato di efficienza psico fisica include quello di tener conto degli effetti dei farmaci assunti e della loro interazione con l'assunzione di sostanze alcoliche.

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Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.73 del 14/09/2022 (dep. 05/01/2023)

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Campobasso ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Campobasso nei confronti di E.H.K., giudicato responsabile di essersi posto alla guida di un autoveicolo in stato di ebbrezza alcolica e in tale stato causato un incidente stradale (art. 186 C.d.S., comma 2 lett. c) e comma 2-bis) e pertanto condannato alla pena ritenuta equa.

2. Ricorre per cassazione l'imputato a mezzo del difensore, avv. Antonino D'Ascenzo.

2.1. Con un primo motivo deduce il vizio motivazionale perché la Corte di appello non ha valutato coerentemente gli elementi disponibili e segnatamente la testimonianza di M.M., della quale riporta alcuni stralci. Tenuto conto della ricostruzione del sinistro operata dal teste emerge che la Corte di appello ha in modo manifestamente illogico ritenuto c::he l'impatto tra i veicoli fosse da attribuire all'imputato e non all'altro conducente D.B.A., avendo l'imputato tenuto una condotta di guida lucida e corretta e non si era accorto del sopraggiungere del veicolo perché questo probabilmente aveva l'impianto di illuminazione non funzionante e in ragione dell'ora e delle condizioni di visibilità.

2.2. Con un secondo motivo deduce erronea applicazione dell'art. 533 c.p.p., comma 1 in quanto persistono dubbi sullo stato di intossicazione alcolemica dell'imputato, in considerazione del fatto che non venne eseguito test di conferma, della circostanza che l' E.H. è affetto da diabete mellito che è patologia in grado di alterare il risultato dei test alcolemici e del fatto che l'imputato tenne una condotta di guida incompatibile con lo stato di alterazione prodotto da un tasso alcolemico quale avrebbe dovuto avere secondo l'accertamento. Alla luce della deposizione del M. persiste anche il dubbio che l'incidente venne causato dalla persona offesa.

2.3. Con un terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all'art. 192 c.p.p., per non essere stata rispettata la prescrizione a svolgere un esame non parcellizzato dei singoli elementi di prova. Il riferimento è ancora alle condizioni di salute dell'imputato e ai mezzi adottati per l'accertamento del tasso alcolemico.

2.4. Infine, deduce l'omessa motivazione in merito alla richiesta applicazione dell'art. 131-bis c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nel quarto motivo, inammissibile nei restanti motivi.

2. Il secondo ed il terzo motivo - il cui esame ha priorità logico-giuridica possono essere trattati unitariamente perché investono la sussistenza di uno stato di ebbrezza alcolica del ricorrente al momento della guida.

Orbene, si tratta di motivi non consentiti perché si sostanziano nella prospettazione di una alternativa valutazione del materiale probatorio, senza individuazione di un effettivo vizio della motivazione.

Giova rammentare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata,, oppure dall'aver assunto dati inconciliabili con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).

Pertanto, il ricorso per cassazione è ammesso per vizi della motivazione riconducibili solo, e tassativamente, alla motivazione totalmente mancante o apparente, manifestamente illogica o contraddittoria intrinsecamente o rispetto ad atti processuali specificamente indicati, nei casi in cui il giudice abbia affermato esistente una prova in realtà mancante o, specularmente, ignorato una prova esistente, nell'uno e nell'altro caso quando tali prove siano in sé determinanti per condurre a decisione diversa da quella adottata. Il giudice di legittimità non può conoscere del contenuto degli atti processuali per verificarne l'adeguatezza dell'apprezzamento probatorio, perché ciò è estraneo alla sua cognizione: sono pertanto irrilevanti, perché non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso parti di contenuto probatorio, tanto più se articolate, in concreto ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenerne un apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente (in tal senso anche Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Micciché, Rv. 262948).

3. Nella specie, la Corte di appello ha tenuto conto della patologia diabetica rappresentata dall'imputato e della versione difensiva, per la quale sarebbe stata l'insulina assunta per contrastare la patologia ad alterare il risultato del test; per la Corte di appello l'imputato avrebbe dovuto tener conto che l'insulina prolunga nel tempo l'effetto delle sostanze alcoliche. Tale motivazione fa applicazione del principio espresso da questa Corte per cui "In tema di guida in stato di ebbrezza, in caso di esito positivo dell'alcotest non rileva, al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato, la circostanza che gli effetti dell'ingestione dell'alcool siano risultati prolungati nel tempo in ragione dell'assunzione di farmaci contro il diabete, in quanto l'obbligo del conducente di mettersi alla guida in stato di efficienza psico fisica include quello di tener conto degli effetti dei farmaci assunti e della loro interazione con l'assunzione di sostanze alcoliche" (Sez. 4, n. 2868 del 05/12/2019, dep. 2020, Rv. 278028).

Si tratta di un principio condivisibile, ove inteso nel senso che non incide sulla sussistenza del reato l'interazione tra l'alcol e altre sostanze (qualsiasi) che determini come effetto l'aggravamento o la protrazione dello stato di ebbrezza da alcol. Nel caso oggetto della sentenza esaminata da questa sezione nella pronuncia n. 2868/2020 si trattava appunto di una sicura ingestione di bevande alcoliche, il cui effetto era stato potenziato dall'ingestione di farmaci anticliabetici.

Va rammentato, infatti, che nella costante interpretazione di questa Corte il reato di guida in stato di ebbrezza determinata dall'uso di bevande alcoliche risulta integrato quando si verifichi uno stato di alterazione psico-fisica, effetto dell'assunzione di bevande alcoliche (avente incidenza anche solo concausale) e non in quanto si registrino i valori definiti dall'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b) e c). Siffatta puntualizzazione non è in contrasto con quelle pronunce per le quali l'esito positivo dell'alcoltest costituisce prova della sussistenza dello stato di ebbrezza, di talché è onere dell'imputato fornire eventualmente la prova contraria a tale accertamento dimostrando vizi od errori di strumentazione o di metodo nell'esecuzione dell'aspirazione, non essendo sufficiente la mera allegazione di difettosità o assenza di omologazione dell'apparecchio (ex multis, Sez. 4, n. 17463 del 24/03/2011, Neri, Rv. 250324; Sez. 4, n, 8591, 16/1/2008, Letteriello, non massimata). Il principio app:(ena ricordato rimarca l'esistenza di una presunzione normativa di sussistenza dello stato di alterazione psico- fisica derivante dall'uso di bevande alcoliche, la quale può essere superata dalla dimostrazione, incombente sull'imputato, della insussistenza di un effettivo stato di ebbrezza nonostante la misurazione strumentale. Ciò è tanto vero che in altre decisioni si è apertamente esclusa l'esistenza di una "prova legale", nel senso di unicità delle modalità dimostrative dello stato di ebbrezza.

Sicché - correlativamente - non viene escluso che anche sulla base della sola sintomatologia sia possibile affermare la sussistenza del reato, e quindi il superamento della soglia di accesso al penalmente rilevante (ipotesi sub b) dell'art. 186 C.d.S., comma 2) e sinanche di quella prevista dalla lett. c) del medesimo comma (Sez. 4, n. 28787 del 09/06/2011 - dep. 19/07/2011, P.G. in proc. Rata, Rv. 250714; Sez. 4, n. 27940 del 07/06/2012 - dep. 12/07/2012, Grandi, Rv. 253598)). Per il principio del libero convincimento, per l'assenza di prove legali e per la necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata, il giudice può desumere lo stato di alterazione psicofisica, derivante dall'influenza dell'alcool, da qualsiasi elemento sintomatico dell'ebbrezza o dell'ubriachezza (tra cui l'ammissione del conducente, l'alterazione della deambulazione, la difficoltà del movimento, l'eloquio sconnesso, l'alito vinoso, ecc); così come può anche disattendere l'esito fornito dall'"etilometro", sempreché del suo convincimento fornisca una motivazione logica ed esauriente. Di conseguenza, lo stato di ebbrezza può essere accertato anche sulla base di una sola prova valida, e persino in astratto senza alcuna prova valida, ma a condizione che il quadro sintomatologico sia adeguato e che il giudice sappia rendere corretta motivazione: "nel reato di guida in stato di ebbrezza, poiché l'esame strumentale non costituisce una prova legale, l'accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di reato previste dall'art. 186 C.d.S. e, qualora vengano oltrepassate le soglie superiori, la decisione deve essere sorretta da congrua motivazione (Sez. 4, n. 30231 del 04/06/2013, Rv. 255870).

Resta quindi confermato che l'accertamento giudiziario ha quale traguardo la verifica dell'imputazione, la quale, per corrispondere alla fattispecie tipica, ha al suo nucleo la condotta di guida in stato di alterazione psico-fisica derivata dall'assunzione di bevande alcoliche di grado corrispondente a quelli previsti all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b) e c). Siffatta puntualizzazione rende evidente che il giudice non può omettere di prendere in considerazione - ove non manifestamente infondata - l'ipotesi che alla registrazione strumentale di un tasso alcolemico di valore tale da ricondurre all'area del penalmente rilevante non corrisponda un reale stato di alterazione -psico-fisica oppure che il sussistente stato di alterazione non sia riconducibile (anche solo in via concorsuale) all'uso di bevande alcoliche. Sempre, però, a condizione che la difesa dell'imputato abbia introdotto nel processo prova delle circostanze atte a dimostrare la dissociazione nel caso concreto tra tasso indicato dal rilievo strumentale e condizioni psicofisiche del conducente. Va cioè ribadito che l'esito positivo dell'alcotest costituisce prova della sussistenza dello stato di ebbrezza ed è onere dell'imputato fornire eventualmente la prova contraria, che non può consistere nella mera allegazione di certificazione medica attestante l'assunzione di farmaci idonei ad influenzare l'esito del test, quando tale certificazione sia sfornita di riscontri probatori in ordine sia all'effettiva assunzione del farmaco sia alla concreta riconducibilità del rilevato tasso alcolemico a detta assunzione (Sez. 4, n. 15187 del 08/04/2015, Rv. 263154).

Nel caso di specie la Corte di appello ha sì fatto riferimento all'uso di insulina ma ha anche affermato essere avvenuta l'assunzione di sostanze alcoliche, tanto da rimarcare che quel farmaco "ha proprio l'effetto di prolungare nel tempo e di potenziare l'effetto delle sostanze alcoliche".

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono, pertanto, infondati.

2. Quanto al primo motivo, esso è manifestamente infondato perché, come già esposto dalla Corte di appello, in tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini della configurabilità dell'aggravante di aver provocato un incidente stradale, prevista dall'art. 186 C.d.S., comma 2-bis, non è richiesto l'accertamento del nesso eziologico tra l'incidente e la condotta dell'agente, ma il solo collegamento materiale tra il verificarsi del sinistro e lo stato di alterazione dell'agente, alla cui condizione di impoverita capacità di approntare manovre idonee a scongiurare l'incidente sia direttamente ricollegabile la situazione di pericolo (Sez. 4, n. 54991 del 24/10/2017, Rv. 271557). Nel caso di specie la Corte di appello ha rimarcato che nell'eseguire una manovra di svolta a sinistra, l'imputato non aveva arrestato la corsa del proprio autoveicolo per lasciar passare il veicolo che proveniva dalla parte opposta ma andava a collidere con questo. La valutazione di tale condotta di guida come frutto dello stato di ridotta lucidità derivante dallo stato di ebbrezza alcolica è dominio riservato al giudice di merbto.

3. E' invece fondato il quarto motivo perché a fronte del motivo di appello con il quale era stato richiesta l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., la Corte di appello ha del tutto omesso di motivare al riguardo.

Ne' può rinvenirsi motivazione implicita di rigetto atteso che all'imputato è stata inflitta una pena pari al minimo edittale e riconosciute le attenuanti generiche; né si fa menzione di una non bagatellarità dell'autore del fatto, mentre è stata concessa la sospensione condizionale della pena.

4. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla mancata statuizione in ordine al richiesto riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., cori rinvio alla Corte di appello di Salerno. Il ricorso va rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla mancata statuizione in ordine al richiesto riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Salerno. Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria, il 5 gennaio 2023.

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