Corte di Cassazione, sez. III Penale, Ordinanza n.7633 del 29/11/2022 (dep. 22/02/2023)

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Cassazione penale sez. III, Sentenza 29/11/2022 (dep. 22/02/2023) n.7633

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza pronunziata in data 21 luglio 2022 - i cui motivi sono stati pubblicati previo deposito in Cancelleria in pari data - il Tribunale di Pescara - giudicando a seguito dell'appello cautelare proposto dalla Curatela del Fallimento (Omissis) Snc avverso il provvedimento con ll quale II Tribunale di Pescara aveva rigettato la istanza di dissequestro delle quote del capitale sociale della (Omissis) SrI e della porzione di un immobile sito in Comune di (Omissis) intestato a D.S.G., oggetto di in precedente provvedimento di sequestro emesso in data 22 gennaio 2020 dal Gip del medesimo Tribunale - ha rigettato la impugnazione proposta dalla indicata Curatela fallimentare.

1.1. Nel formulare il giudizio di cui sopra il Tribunale pescarese ha osservato che l'impugnazione del provvedimento con il quale è stata rigettata la istanza di dissequestro è stata argomentata da parte della ricorrente Curatela in funzione della sua ritenuta erroneità per non essere state considerate le vicende connesse all'avvenuta dichiarazione del fallimento della (Omissis) Snc, intervenuta già con sentenza del 10 gennaio 2019, per effetto del quale il D.S. sarebbe stato privato della amministrazione e della disponibilità dei beni sociali.

1.2. Ciononostante, il Tribunale, quale giudice dell'appello cautelare ha ritenuto di dovere rigettare l'impugnazione proposta.

Infatti, dato atto che la questione involge la tematica dei rapporti fra il sequestro preventivo in materia di reati tributari ed il fallimento della impresa da essi convolta, Il detto Tribunale ha rilevato - richiamando e condividendo il contenuto della ordinanza con la quale era stata rigettata la istanza di dissequestro - che, in una fattispecie quale è quella ora in esame, "il sequestro preventivo (...) prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale (...) attesa l'obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro, per cui il rapporto fra il vincolo imposto dall'apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro deve essere risolto a favore della seconda misura".

Proseguendo nella esposizione delle ragioni che lo hanno condotto al rigetto dell'appello cautelare, il Tribunale di Pescara, che pure dà atto della esistenza sul punto di diversi indirizzi interpretativi, ha ricordato come l'orientamento da esso fatto proprio è stato di recente confermato anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha affermato la prevalenza del sequestro preventivo sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale anche qualora la dichiarazione di fallimento sia intervenuta prima del sequestro (la sentenza espressamente richiamata dal Tribunale e': Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 febbraio 2022, n. 3575).

Precisa ancora il Tribunale che l'orientamento sopraindicato trova conforto anche nella disciplina fissata dagli artt. 317 e seg del D.Lgs. n. 14 del 2014, nei quali è sancita la prevalenza delle misure cautelari reali rispetto alle procedure concorsuali, essendo, tuttavia, questa limitata alle sole ipotesi di sequestro preventivo strumentale alla confisca ai sensi dell'art. 321, comma 2, c.p.p., essendo, invece, la stessa esclusa quanto al sequestro conservativo e ridotta solo a talune ipotesi nel caso di sequestro preventivo con finalità impeditive.

Conclude il Tribunale osservando che, pertanto, non ha alcuna rilevanza, ai fini della prevalenza del sequestro sulla procedura concorsuale, il dato relativo alla disponibilità dei beni presso il fallito, posto che la natura e la funzione del sequestro a fine di confisca prescindono da tale dato, né in tale modo si determina alcuna violazione del principio della par condicio creditorum.

2. L'ordinanza della quale sono stati ora esposti i principali contenuti è stata oggetto di ricorso per cassazione da parte della Curatela del Fallimento (Omissis) Snc, rappresentata da difensore munito di procura speciale, la quale - dopo avere fornito una serie di elementi ricostruttivi della fattispecie, fra i quali è il caso di ricordare:

che, con sentenza resa in data 10 gennaio 2019 il Tribunale di Pescara, revocato il precedente decreto di ammissione al concordato ex art. 173 della legge fallimentare, ha dichiarato il fallimento della (Omissis) Snc e dei suol soci illimitatamente responsabili;

che con atto di citazione del 19 aprile 2019 la Curatela del Fallimento (Omissis) Snc ha chiesto, per quanto ora interessa, la revocatoria degli atti con i quali è stato costituito e dotato il (Omissis), onde fare dichiarare la inefficacia rispetto alla massa fallimentare della attribuzione ad esso della partecipazione societaria nella (Omissis) Srl dei soci della (Omissis) Snc (dichiarati falliti unitamente alla società) nonché di una unità abitativa ubicata in Comune di (Omissis), appartenente a D.S.G. (socio illimitatamente responsabile della società fallita);

che, con sentenza 543 del 7 marzo 2021 il Tribunale di Pescara in accoglimento della azione revocatoria intentata dalla Curatela fallimentare dichiarava l'inefficacia rispetto alla massa fallimentare dell'atto pubblico del 18 settembre 2015 con il quale era stato costituito il (Omissis) e ne era stata disposta, nei termini dianzi indicati, la dotazione patrimoniale;

che, medio tempore, con provvedimento del 22 gennaio 2020 il Gip del Tribunale di Pescara aveva disposto il sequestro di tutti i beni conferiti dai soci illimitatamente responsabili della (Omissis) Snc nel (Omissis), avendo costoro "privato il loro patrimonio personale di risorse utili a garantire gli ingenti debiti tributari già accumulati dalla società (Omissis) Snc, di poi fallita, sottraendoli alla garanzia patrimoniale si di essi ricadente in quanto soci solidamente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni di quest'ultima" -

ha articolato un unico motivo di impugnazione, con il quale, in sintesi, lamenta il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 321 c.p.p., 42 legge fallimentare e 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000.

2.1. In particolare, osserva la difesa della Curatela fallimentare che il Tribunale di Pescara avrebbe errato nell'interpretare, con riferimento al tenore testuale dell'art. 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000, l'espressione in esso contenuta - limitativa del potere di confisca, In relazione al quale la facoltà di sequestro deve intendersi servente - "salvo che appartengano a persona estranea al reato"; aggiunge la parte ricorrente che essa è consapevole della esistenza di un contrasto giurisprudenziale al riguardo, il quale dovrebbe, a suo avviso, essere risolto proprio in base al concetto di "appartenenza del bene da confiscare a soggetto estraneo"; rileva, infatti, la ricorrente difesa che una volta dichiarato il fallimento il soggetto attinto dalla procedura è spossessato dei propri beni, con perdita della disponibilità degli stessi, tanto che la sentenza dichiarativa del fallimento è soggetta a trascrizione e la vendita dei beni fallimentari è realizzata attraverso un atto sottoscritto dal Curatore, cui passa anche il possesso materiale e giuridico dei beni attratti alla massa fallimentare; aggiunge ancora il ricorrente che tanto più sarebbe dimostrata, quanto al caso in esame, la erroneità della legittima apprensione dei beni già nella disponibilità dei soggetti falliti a seguito dell'avvenuto sequestro preventivo di essi, laddove si rifletta sul fatto che il fallimento, cui aveva fatto seguito l'avvenuto spossessamento dei soggetti sottoposti alla procedura rispetto ai loro beni, era stato dichiarato anteriormente alla adozione della misura cautelare penale.

2.2. D'altra parte, nello stesso ordine di idee si è mossa anche la recente giurisprudenza di questa Corte (viene ricordata fra le altre la sentenza Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 luglio 2022, n. 26275, a sua volta evocatrice di altri precedenti conformi), la quale, rammenta il ricorrente, si sarebbe sviluppata prendendo le mosse dalla sentenza della Sezioni unite penali con la quale è stata riconosciuta la legittimazione della Curatela fallimentare ad impugnare i provvedimenti cautelari reali incidenti sulla dotazione della massa (cfr.: Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 13 novembre 2019, n. 45936).

2.3. Ha, ancora, aggiunto la ricorrente difesa che sarebbe viziata l'ordinanza impugnata nella parte di essa in cui si afferma che "non può costituire dato significativo il fatto che i beni del fallimento per soccombere rispetto alle esigenze della cautela debbano essere nella disponibilità del fallito" (volendosi con ciò intendere che il sequestro sarebbe applicabile anche su beni non più nella disponibilità del fallito), atteso che una tale affermazione si porrebbe in aperto contrasto con la stessa lettera dell'art. 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000; parimenti viziata sarebbe la ritenuta assenza di violazione della par condicio creditorum; sostiene, infatti, la ricorrente Curatela che la posizione del Fisco - insinuatosi al Fallimento per un importo di poco inferiore a 600.000,00 Euro - sarebbe comparabile con quella degli altri creditori, anzi essa sarebbe recessiva rispetto a quella di molte categorie di creditori privilegiati, con la conseguenza che il mantenimento del sequestro farebbe sì che l'Erario troverebbe un soddisfacimento preferenziale anche a discapito di quei creditori che, nell'ambito di un ordinario piano di riparto dell'attivo fallimentare, sarebbero stati ad esso certamente preferiti.

Ne' l'argomento evocato potrebbe essere superato attraverso la valorizzazione della natura sanzionatoria della confisca, posto che l'ordinamento sanzionerebbe il reo, con il sacrificio dei creditori fallimentari, soggetti del tutto estranei al reato.

3. Con atto datato 10 ottobre 2022 ha rassegnato le proprie conclusioni scritte l'Ufficio della Procura generale presso questa Corte di cassazione, sostenendo la fondatezza del ricorso sulla base del rilievo, confortato dalla riportata giurisprudenza di legittimità, che il vincolo patrimoniale apposto a seguito della apertura della procedura concorsuale importa lo spossessamento del fallito ed il potere in capo a questo di disporre dei beni attratti alla massa, il tutto funzionalizzato alla necessità che il tracollo della impresa non si estenda a macchia di leopardo ai soggetti che con questa abbiano avuto rapporti onde salvaguardare le esigenze economiche della collettività, le quali non consentirebbero l'assoggettabilità dei beni destinati al soddisfacimento dei creditori dell'impresa decotta per effetto del sequestro penale finalizzato alla confisca.

Conclude la Procura generale rilevando che la stringente canalizzazione, a fihi di sua compósizione, dellà crisi economica della impresa nella procedura fallimentare rende evidente come l'interesse originario dei singoli creditori resti, in ultima analisi, relegato in posizione di subalternità rispetto a quello pubblicistico che interviene, proprio al fine di tutelare il regolare svolgimento del mercato, con il carattere della generalità dei destinatari della procedura concorsuale.

4. Alla udienza del 29 novembre 2022 la questione è stata trattata nei termini che seguono.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il Collegio di dovere rimettere la decisione sulla questione oggetto del presente giudizio, data la esistenza di distinti ad opposti orientamenti giurisprudenziali che ne rendono opportuno l'intervento chiarificatore, al regolamento nomofilattico della Sezioni unite penali della Corte.

2. Il rapporto fra misure ablatorie penali e sottoposizione a procedura fallimentare del soggetto destinatario della misura è stato oggetto di un articolato dibattito giurisprudenziale, tuttora non sopito.

2.1. Senza doverne ripercorrere ai limitati fini che ora interessano l'intero Itinerario del dibattito svolto, si rileva che, in passato questa Corte, disattendendo un precedente, non isolato, orientamento invece favorevole (in relazione al quale si rimanda, per brevità, solamente a Corte di cassazione, Sezione II penale, 3 giugno 2003, n. 24160), ebbe a rilevare - argomentando sulla base di quanto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte con la nota sentenza Uniland, secondo la quale, in caso di fallimento di società a carico della quale era stata rilevata una ipotesi di responsabilità da reato ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, "i diritti acquisiti dai terzi in buona fede che, ai sensi dell'art. 19 del citato decreto legislativo, sono fatti salvi rispetto alla confisca, si identificano nel diritto di proprietà e negli altri diritti reali che gravano sui beni oggetto dell'apprensione da parte dello Stato e non anche nei diritti di credito, con la derivante puntualizzazione che i creditori, prima della conclusione della procedura concorsuale e della assegnazione dei beni, non sono titolari di alcun diritto su questi ultimi e, quindi, sono privi di un titolo restitutorio (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 17 marzo 2015, n. 11170) - che II Curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo, anche per equivalente, dei beni della società fallita (Corte di cassazione, Sezione III penale, 7 giugno 2016, n. 23388, cui adde Corte di cassazione, Sezione III penale, 7 ottobre 2016, n. 42469, sebbene pronunziata in fattispecie in cui la dichiarazione di fallimento era stata adottata successivamente alla esecuzione del provvedimento cautelare reale), posto che non essendo questi titolare di alcun diritto sui beni del fallito, né in proprio, né quale rappresentante dei creditori del fallito i quali, prima della conclusione della procedura concorsuale, non hanno alcun diritto restitutorio sui beni, lo stesso non è portatore di alcuna posizione soggettiva tutelabile né in relazione al sequestro preventivo né, a maggior ragione, in ordine alla successiva confisca, sia essa diretta od anche per equivalente (Corte di cassazione, Sezione II penale, 19 giugno 2019, n. 27262).

2.2. Evidentemente una tale impostazione giurisprudenziale, escludendo in Capo al soggetto titolare del diritto di agire in giudizio per conto delLa massa fallimentare la facoltà di impugnare i provvedimenti, sia cautelari che definitivi, che, nell'ambito della giurisdizione penale incidevano pregiudizievolmente sull'entità della massa fallimentare, sanciva la prevalenza sulla integrità di questa delle istanze ablatorie di carattere penale.

3. Un tale orientamento, già però messo in discussione da talune pronunzie di Sezioni semplici, le quali si dichiaravano tributarie delle più risalenti indicazioni rivenienti dalla ancora adesso ricordata giurisprudenza di questa Corte (si ricordano a tale proposito: Corte di cassazione, Sezione III penale, 27 luglio 2017, n. 37439, non massimata; Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 aprile 2019, n. 17749; Corte di cassazione, Sezione II penale, 18 settembre 2019, n. 38573 - sia pure questa in una fattispecie diversa da quelle ordinariamente esaminate, legate alla sussistenza di illeciti di carattere tributario), è stato, successivamente scardinato dalle Sezioni unite di questa Corte che, ebbero a chiarire che il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 13 novembre 2019, n. 45936).

3.1. Nell'affermare il principio dianzi declinato il massimo organo nomofilattico dell'ordinamento giudiziario nazionale, ricordato che "La giurisprudenza civilistica qualifica esplicitamente il curatore come detentore dei beni del fallimento. E si tratta senz'altro di una detenzione qualificata, anche per il carattere pubblicistico della funzione per la quale la stessa è attribuita", ha altresì rilevato anche che "la legittimazione all'impugnazione del curatore, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell'attivo fallimentare. Ciò corrisponde peraltro al dato normativo rinvenibile nel già rammentato contenuto dell'art. 42 legge fallimentare, per il quale la dichiarazione di fallimento, privandone il fallito, conferisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni di quest'ultimo esistenti alla data del fallimento; e quindi anche di quelli già sottoposti a sequestro".

Tali affermazioni - oltre a privare, evidentemente di significato un problema che, sul piano pratico, si poneva in relazione alla rilevanza della questione Ora in diScussione, atteso che, come detto, ove non fosse stata prevista la legittimazione del Curatore del fallimento ad impugnare i provvedimenti di carattere penale incidenti sulla consistenza della massa fallimentare, sarebbe stata, di fatto, sancita in termini definitivi la prevalenza di quelli sugli interessi del fallimento - introducono alla specifica questione ora in discussione.

Cioe' se, una volta dichiarato il fallimento e, pertanto, attratti alla massa fallimentare i beni dei soggetti attinti dal provvedimento in questione - siano essi persone giuridiche ovvero persone fisiche (come nella fattispecie sono i soci illimitatamente responsabili della Società in nome collettivo dichiarata fallita) l'eventuale sequestro penale (finalizzato alla confisca sia essa diretta ovvero per equivalente) disposto successivamente alla apertura della procedura concorsuale possa distogliere (prima della formale assegnazione dei beni ai creditori, fenomeno quest'ultimo che - attribuendo la titolarità dei beni assegnati personalmente ai singoli creditori assegnatari indubbiamente esclude, trattandosi di soggetti terzi rispetto alla commissione del reato in ordine al quale è stato disposto il sequestro o la confisca - rende certamente i beni in questione, una volta assegnati, immuni rispetto alla misura ablatoria, cautelare o definitiva che essa sia) dalla massa fallimentare dei beni già acquisiti ad essa.

4. Al riguardo è tuttora vivace il dibattito giurisprudenziale in seno a questa Corte; ed invero, esaminando esclusivamente le pronunzie adottate nel torno degli anni incisi anche dal dibattito accesosi in merito alla legittimazione attiva del Curatore fallimentare ad Impugnare i provvedimenti del genere sopra descritto, si rileva che, a fronte di pronunzie secondo le quali il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, prevista dall'art. 322-ter c.p., prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto della dichiarazione di fallimento, attesa la obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro (Corte di cassazione, Sezione III penale, 23907) e nelle quali la ratio di tale prevalenza dell'interesse statale sull'interesse dei creditori è rinvenuta nell'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente "pericoloso", in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato (Corte di cassazione, Sezione III penale 7 giugno 2017, n. 28077), si rivengono ulteriori decisioni di segno radicalmente opposto, nelle quali si afferma che, invece, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 12-bis, del D.Lgs. n. 74 del 2000 non può essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento (Corte di cassazione, Sezione III penale, 10 ottobre 2018, n. 45574; sostanzialmente doppiata, più di recente da: Corte di cassazione, Sezione III penale, n. 20 dicembre 2021, n. 47299, cui ha ancora fatto seguito Corte di cassazione, Sezione II penale, 19 maggio 2022, n. 19682, nella quale, possibilità di eseguire il sequestro per equivalente in danno della persona fisica responsabile del reato è giustificata dalla impossibilità di apprendere i beni della persona giuridica che si è giovata del reato in quanto, essendone stato dichiarato il fallimento, e venuto meno in capo al fallito, il potere di disporre del proprio patrimonio con l'attribuzione al curatore, terzo estraneo al reato, del compito di gestire tale patrimonio onde evitarne il depauperamento; in tale senso anche: Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 maggio 2020, n. 14766).

4.1. Ancora, nel senso della prevalenza della attrazione alla massa fallimentare, si veda, più di recente Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 luglio 2022, n. 26275 (nella quale si legge che "ove di consideri che il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento sul patrimonio della persona fisica o giuridica(...) ne importa lo spossessamento ed il venir meno del potere di disporne (...), ne consegue che a partire da tale momento il Curatore subentra ope legis nell'amministrazione della massa attiva nella prospettiva della sua conservazione ai fini della tutela dell'interesse dei creditori"; né, è precisato, l'interesse ad una tale prevalenza va ricondotta solo agli interessi privatistici di carattere creditorio che concernono il fallimento, posto che i "riflessi pubblicistici cui lo stesso procedimento, attraverso l'indisponibilità dei beni del fallito, è sotteso - correlati alla necessità che il tracollo dell'impresa non si estenda a macchia di leopardo ai soggetti che con questa abbiano avuto rapporti e dunque posti a salvaguardia delle esigenze economiche della collettività (...) - non ne consentono l'assoggettabilità al vincolo penale per effetto del sequestro finalizzato alla confisca").

4.2. Una posizione eclettica parrebbe avere assunto questa Corte, in altra occasione, in cui, pur avendo ritenuta ammissibile la confisca dei beni anche in caso di avvenuto fallimento, ha, tuttavia, subordinato l'operatività di tale misura alla verifica: "della esistenza (...non è ben chiaro se ulteriore o meno rispetto all'attivo fallimentare...) di una somma oggetto della cautela reale"; della "coesistenza (...) di diritti di proprietà concernenti gli stessi beni sottoposti a sequestro", in modo di non "arrecare pregiudizio", onde "soddisfare le preminenti ragioni di tutela penale", "alle concorrenti pretese creditorie"; dell'"eventuale già avvenuto recupero da parte dell'Erario delle somme non versate dal contribuente". (così, testualmente, Corte di cassazione, Sezione VI penale, 5 ottobre 2022, n. 37716).

4.3. Alle ultime pronunzie si erano, peraltro, ancora contrapposte altre decisioni della Corte secondo le quali i termini della questione non erano risolvibili sulla base della regola della priorità temporale, attribuendosi prevalenza al provvedimento intervenuto prima dell'altro, avendo, invece, la Corte osservato che, in caso di sovrapposizione fra i due fenomeni il criterio da adottare per risolvere il conflitto fra i medesimi non è quello di stabilire quale sia fra essi quello che si è manifestato per primo, dovendo, invece, valutarsi a quale delle diverse esigenze che i due fenomeni tendono a salvaguardare (cioè, nel caso della articolata procedura fallimentare, la soddisfazione concorsuale del ceto creditorio dell'impresa insolvente; mentre nel caso della confisca tale esigenza è ravvisabile nella sottrazione alla disponibilità del condannato dei proventi del reato da lui commesso) assicurare preminenza ed in che termini ciò debba avvenire (così Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 maggio 2020, n. 15779).

Un tale dilemma è stato allora risolto da questa Corte ribadendosi che la misura ablatoria reale, in virtù del suo carattere obbligatorio, è destinata a prevalere su eventuali diritti di credito gravanti sul medesimo bene non potendosi attribuire alla procedura concorsuale effetti preclusivi rispetto alla operatività della misura reale disposta nel rispetto dei requisiti di legge, e ciò a maggior ragione nell'ottica della finalità evidentemente sanzionatoria perseguita dalla confisca espressamente prevista in tema di reati tributari quale strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato (cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 maggio 2020, n. 15779; Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 maggio 2020, n. 15776).

4.4. Ma anche in questo caso gli argomenti allora spesi non sono stati ritenuti definitivi, avendo, successivamente, questa Corte nuovamente abbracciato la tesi della prevalenza del fenomeno concorsuale rispetto a quello strettamente penale.

La Corte, infatti, osservò, quanto alla obbligatorietà della confisca in materia tributaria, che tale caratteristica cede, per espresso dettato legislativo, laddove la misura dovesse cadere o su beni appartenenti ad un soggetto estraneo al reato, anche in caso di confisca per equivalente, su beni non nella disponibilità del reo (cfr., infatti, art. 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000); ora, non vi è dubbio che, una volta dichiarato il fallimento, interviene il fenomeno dello spossessamento dei beni del fallito, sicché può ben dirsi che questi non sia più nella disponibilità dei medesimi; considerato che, ai fini della confisca non è tanto rilevante la proprietà ovvero la formale titolarità del beni interessato dalla misura di prevenzione quanto il sostanziale dominio su di essa, potrebbe non essere, pertanto, fuor di luogo rilevare che, una volta dichiarato il fallimento, avendo i beni della massa cessato di appartenere in senso dinamico al soggetto fallito - che di essi non può più disporre né godere in termini giuridicamente rilevanti, essendo esso oramai funzionalizzati alla soddisfazione dei creditori del fallito e idonei ad rientrare nella sua disponibilità solo dopo che costoro fossero, in una eventualità invero piuttosto remota, stati tutti soddisfatti - detti beni, essendo oramai estranei alla disponibilità del soggetto nei cui confronti dovrebbe essere adottato il provvedimento ablatorio, non possano essere legittimamente attinti da esso.

Fu nell'occasione, altresì, rilevato che data la particolare natura del profitto conseguito a seguito della commissione di un reato tributario, consistente per lo più nel risparmio dl spesa derivante dal mancato adempimento della obbligazione tributaria, la posizione della persona offesa, cioè l'Erario, non è ontologicamente dissimile da quella dei soggetti che si siano insinuati nel fallimento, ovvero lo abbiano promosso, i quali vantano una posizione creditoria insoddisfatta nei confronti del fallito; il che determina la conseguenza, da un punto di vista strettamente sostanziale, di attribuire un evidente privilegio al creditore tributario (peraltro non a tutti i creditori tributari ma solamente a quelli per i quali l'adempimento della prestazione in favore è presidiata dalla sanzione penale) rispetto agli altri creditori, anche quelli per i quali il legislatore ha previsto il cosiddetto beneficio della prededuzione.

Il tutto con possibile compromissione del principio della par condicio creditorum, reso ancora più sensibile dal fatto che dalla stessa, oltre alla violazione della regola della eguaglianza sostanziale deriverebbe anche una sorta di privilegium Fisci, indicativo della attribuzione di una posizione dominante all'Erario, rispetto a quella degli altri operatori economici.

Nella occasione illustrata la Corte rilevò anche che neppure la circostanza che la confisca abbia una finalità di contenuto evidentemente sanzionatorio (argomento, come segnalato, occasionalmente valorizzato onde giustificare la natura recessiva degli interessi della massa fallimentare; si veda, infatti, Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 maggio 2020, n. 15776) potrebbe giustificare la sua prevalenza sulla attrazione alla massa fallimentare, posto, in realtà, la sanzione andrebbe a ricadere su soggetti diversi, i creditori di costui, rispetto a colui il quale ha commesso l'illecito (questa, come le considerazioni che, da ultimo, precedono, sono tutte tratte da: Corte di cassazione, Sezione III penale, 18 marzo 2022, n. 11068).

4.5. Questa Corte - a comprova della elevata opportunità di una indicazione ermeneutica definitiva sull'argomento - è ancora una volta ritornata su di esso, questa volta utilizzando un diverso tipo di approccio, per altro adottato anche dal Tribunale di Pescara nella ordinanza ora in esame, per giungere alla affermazione della irrilevanza della avvenuta dichiarazione del fallimento ai fini della "inibitoria" della misura cautelare penale strumentale alla confisca.

Essa ha, infatti, argomentato sulla base della disciplina contenuta nel codice della crisi dell'impresa; è stato, infatti, in tale occasione ribadito che Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dall'art. 12-bis, comma 1, del D.Lgs. n.. n. 74 del 2000, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto del fallimento, attesa l'obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia il sequestro è finalizzato, con la precisazione che tale prevalenza, la quale incontra il solo limite dell'appartenenza dei beni a terzi estranei al reato, trova giustificazione anche nelle disposizioni degli agli artt. 317 e ss. del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al D.Lgs. n.. n. 14 del 2019, non escludendo la sua differita entrata in vigore la possibilità che le norme definitorie in esso contenute, venute ad esistenza e a conoscenza con la promulgazione e la pubblicazione, siano utilizzate nell'ambito di una interpretazione logico-sistematica delle norme vigenti, contenute in altre leggi (Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 febbraio 2022, n. 3575).

Soluzione questa che, pur nel rigore formale che la caratterizza, oltre alla l'obiezione che essa dà per risolto - in tal modo sminuendo la portata del fenomeno dello spossessamento - il tema della perdurante appartenenza, intesa questa come giuridica disponibilità, dei beni caduti nella massa fallimentare al soggetto insolvente interessato dalla procedura e non alla Curatela, incontrai incontra, il limite ermeneutico di fondare buona parte del suo ragionamento su di una disposizione legislativa che, al momento in cui la stessa era stata adottata, ancora non era entrata in vigore (sicché la stessa non aveva alcuna valenza normativa) per scelta dello stesso legislatore.

Ne' ha un qualche decisivo rilievo quanto alla fattispecie attuale, né con riferimento alle fattispecie perfezionatesi anteriormente al 15 luglio 2022, il fatto che alla data indicata le disposizioni del D.Lgs. n. 14 del 2022 dianzi richiamate siano entrate in vigore, posto che le citate disposizioni sono destinate a regolare i rapporti i cui termini (dichiarazione di fallimento o provvedimento cautelare reale) siano stati adottati anteriormente alla entrata in vigore delle disposizione richiamate con la ricordate sentenza di questa Corte n. 3575 del 2022; circostanza che non è ravvisabile nella presente occasione.

5. Tale essendo lo stato della giurisprudenza ritiene questo Collegio necessario rimettere alle Sezioni unite penali di questa Corte, unitamente al presente processo, la seguente questione, che ne costituisce il nucleo: se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l'avvenuto spossessamento del debitore erariale, indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare, per effetto della apertura della procedura concorsuale operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell'art. 12-bis, comma I, del D.Lgs. n. 74 del 2000, secondo il quale la confisca e, conseguentemente il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato.


PQM

Rimette il ricorso alle Sezioni unite.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2023.

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