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Sentenza sottoscritta solo dal Presidente del collegio non è nulla

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.947 del 15/12/2022 (dep. 13/01/2023)

Una sentenza sottoscritta esclusivamente da parte del Presidente del collegio giudicante è affetta da nullità?

È il quesito a cui risponde la Quarta Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 947 depositata il 13 gennaio 2023.

Nel caso di specie, il difensore aveva proposto ricorso per Cassazione, rilevando che la Corte di appello avesse erroneamente ritenuto adempiuto l'onere di sottoscrizione della sentenza di primo grado con la sottoscrizione del solo Presidente senza quella dell'estensore.

Nell'intestazione della sentenza di primo grado non era infatti indicato l'estensore e secondo il ricorrente, non è deducibile dall'intestazione, dal dispositivo o da alcun altro elemento che lo stesso sia il Presidente.

Ma per la Cassazione, ciò che importa ai fini della validità della sottoscrizione della sentenza da parte del solo presidente è il fatto che egli sia l'estensore della motivazione, non il fatto che tale sua qualità sia attestata di seguito alla sottoscrizione.

La Suprema Corte conclude che in presenza della firma del solo presidente, in difetto di diversa allegazione e di un obbligo normativamente previsto di indicare in sentenza il nominativo dell'estensore, non si ha motivo di ritenere che il presidente non sia stato anche l'estensore del provvedimento.

Sentenza, collegio giudicante, sottoscrizione da parte del solo Presidente, nullità, esclusione

La sottoscrizione di una sentenza esclusivamente da parte del Presidente del collegio giudicante, in assenza della specifica indicazione che lo stesso sia stato anche l'estensore della motivazione, in difetto di diversa evidenza o allegazione di parte, non comporta alcuna nullità della stessa dovendosi implicitamente ritenere che il Presidente sottoscrittore sia anche l'estensore della motivazione.

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Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.947 del 15/12/2022 (dep. 13/01/2023) 

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Reggio Calabria, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente F.C., con sentenza del 9/7/2021 confermava la sentenza emessa in data 26/11/2020 dal Tribunale di Reggio Calabria, appellata dall'imputato, che lo aveva condannato alla pena di anni 10 di reclusione ed Euro 50.000,00 di multa, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale per la durata della pena, con la libertà vigilata per la durata di anni 3 e con confisca e distruzione della sostanza stupefacente in sequestro.

Il Tribunale di Reggio Calabria, in composizione collegiale, aveva dichiarato l'odierno ricorrente colpevole del reato di cui agli artt. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73 comma 1, 80 comma 2, perché, in concorso con il coimputato C.S., deteneva e trasportava per fine cessione a terzi kg. 5,45 di sostanza stupefacente del tipo cocaina (di cui kg. 3,843 di principio attivo, equivalente a 25.620 dosi singole); con l'aggravante dell'ingente quantitativo. In (Omissis) il (Omissis). Con recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, F.C., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p..

Con un primo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 181 e 546 comma 3 c.p.p..

Ci si duole che la corte di appello abbia ritenuto adempiuto l'onere di sottoscrizione della sentenza di primo grado con la sottoscrizione del solo Presidente senza quella dell'estensore.

Nell'intestazione della stessa sentenza non è indicato l'estensore e il ricorrente non ritiene deducibile dall'intestazione, dal dispositivo o da alcun altro elemento che lo stesso sia il Presidente.

Si rileva che il precedente richiamato dalla Corte distrettuale non è applicabile al caso in questione riguardando l'ipotesi in cui la firma non sia leggibile o non sia attribuibile al giudice relatore-estensore.

Con un secondo motivo si deduce vizio di motivazione.

La motivazione viene ritenuta illogica in quanto incorrerebbe in contraddizione nella ricostruzione della vicenda.

La Corte territoriale -ci si duole- riproporrebbe sostanzialmente il ragionamento seguito dal primo giudice senza riuscire a giustificare la piena consapevolezza del F. alla compartecipazione agli addebiti contestati.

I giudici di appello pur ammettendo la mancanza, nell'immediatezza dei fatti, di una perquisizione domiciliare o un accertamento nei confronti dell'imputato, ritengono sufficiente la descrizione dell'accadimento per emettere un giudizio di responsabilità.

Ci si duole che l'impugnata sentenza abbia attribuito un ruolo predominante all'imputato nella fase preparatoria e ideativa del viaggio senza l'accertamento di alcun elemento in tal senso. Nessun accertamento sarebbe stato, infatti, compiuto sulle circostanze che potessero attribuire una compartecipazione fattuale e psicologica all'attività illecita. Tra l'altro, l'accertamento tecnico svolto sul contenuto dei cellulari non ha rilevato alcun contatto tra i soggetti nei giorni precedenti.

Nessuna tra le considerazioni contenute nel provvedimento impugnato sarebbe sufficiente a ritenere non casuale il viaggio intrapreso dal F. e dal coimputato, entrambi privi di mezzi di locomozione, tanto che l'auto veniva presa a prestito il giorno precedente dal cognato del ricorrente.

Quest'ultima circostanza smentirebbe del tutto l'assunto che il viaggio fosse stato meticolosamente preparato, dal momento che in tal caso l'autovettura non sarebbe stata recuperata in extremis, ma quanto meno noleggiata per tempo.

Si aggiunge, ancora, che l'importanza del viaggio, per quantità e qualità della sostanza, avrebbe richiesto frequenti incontri tra il F. e il coimputato, dei quali non vi è alcuna traccia nemmeno telefonica, nonché una relazione diretta tra uno di loro e il fornitore.

Anche la circostanza che il F. abbia fornito l'autovettura avuta in prestito dal cognato, non potrebbe considerarsi un apporto causale, in assenza di elementi controfattuali che non appaiono rinvenibili nella contraddittoria motivazione.

Si evidenzia che il rapporto tra il F. e il coimputato era unicamente di lavoro, pertanto, ciò avvalorerebbe la veridicità delle dichiarazioni del coimputato nell'assumersi la responsabilità del reato.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.

Si dirà sub. 2. dell'infondatezza del primo motivo di ricorso, di natura procedurale, mentre, quanto al secondo profilo di doglianza, in punto di responsabilità, le censure del ricorrente, invero, si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.

Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

2. Infondato è il primo motivo di ricorso.

Ed invero, costituisce ius receptum il principio che, in tema di requisiti della sentenza, qualora il presidente di un collegio giudicante rediga personalmente la motivazione della sentenza, è sufficiente la sua sola firma per ritenere rispettato il disposto dell'art. 546 c.p.p. (Sez. 4, n. 28167 del 16/6/2021, Careddu, Rv. 281736; Sez. 3, n. 12308 del 19/02/2001, Minieri, Rv. 218756; Sez. 5, n. 51252 del 11/11/2014, Rv. 262120; Sez. 5, n. 3552 del 09/02/1999, Andronico, Rv. 213365; Sez. 2, n. 2185 del 16/05/1996, De Gregorio, Rv. 205592).

Il ricorrente lamenta, tuttavia, che, nel caso che ci occupa, non vi sarebbe prove che il presidente del collegio giudicante del Tribunale di Reggio Calabria sia anche l'estensore della motivazione, oltre che il sottoscrittore, nella qualità, della sentenza. Ciò perché nella stessa non vi è alcuna indicazione in tal senso.

Ebbene, tale doglianza è stata già motivatamente confutata dalla Corte territoriale, che ha richiamato il dictum di Sez. 5, n. 36712 del 20/4/2012, Liuzzi, Rv. 253519 nella parte in cui afferma che non costituisce causa di nullità della sentenza la mancata o errata indicazione dell'estensore o del relatore.

Dunque, ciò che importa, invero, ai fini della validità della sottoscrizione della sentenza da parte del solo presidente è il fatto che egli sia l'estensore della motivazione, non il fatto che tale sua qualità sia attestata di seguito alla sottoscrizione.

Ebbene, ad avviso del Collegio, la sottoscrizione del solo Presidente, relativamente ad una sentenza di primo grado che, a differenza di quelle rese all'esito di impugnazioni non prevede la figura del relatore, in difetto di divers allegazione da parte del ricorrente (che avrebbe, ad esempio, potuto documentare che risultava dai registri di cancelleria il nominativo di un estensore diverso dal Presidente, rende evidente che quest'ultimo è stato anche l'estensore del provvedimento.

Non ignora il Collegio l'esistenza di un isolato precedente di questa Corte (Sez. 3, n. 3386 del 17/11/2016 dep. 2017, P., Rv. 268806) che opina nel senso propugnato dal ricorrente e che, in un caso in cui una sentenza di appello che recava la sola firma del Presidente ha ritenuto, in difetto di qualsiasi elemento che consentisse di ritenere che lo stesso ne fosse anche estensore o che, ai sensi dell'art. 546, comma 2, c.p.p., l'estensore fosse impedito alla sottoscrizione, che si fosse determinata determina una nullità relativa che, non incidendo né sul giudizio né sulla decisione consacrata nel dispositivo, comporta l'annullamento della sentenza-documento e ha disposto la restituzione degli atti al giudice collegiale affin-ché provvedesse, nella fase successiva alla deliberazione, ad una nuova redazione della sentenza e al relativo deposito, con nuova decorrenza dei termini per l'im-pug nazione.

Il Collegio, tuttavia, non condivide tale pronuncia, che peraltro si riferisce ad un grado di giudizio, qual è quello di appello, in cui esiste la figura del giudice relatore.

Ed invero, è fuori discussione la richiamata giurisprudenza secondo cui la mancata sottoscrizione della sentenza o dell'ordinanza da parte del presidente del collegio non giustificata espressamente da un suo impedimento legittimo e sottoscritta dal solo estensore configura una nullità relativa che non incide né sul giudizio né sulla decisione consacrata nel dispositivo, e che, ove dedotta dalla parte nel ricorso per cassazione, comporta l'annullamento della sentenza-documento e la restituzione degli atti al giudice di appello, nella fase successiva alla deliberazione, affinché si provveda ad una nuova redazione della sentenza-documento che, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, deve essere nuovamente depositata, con l'effetto che i termini di impugnazione decorreranno, ai sensi dell'art. 585 c.p.p., dalla notificazione e comunicazione dell'avviso di deposito della stessa sentenza (così Sez. Un., n. 14978 del 20/12/2012 dep.2013, R.D., Rv. 254671 che hanno ha escluso che la mancata sottoscrizione da parte del presidente del collegio comporti una mera irregolarità rimediabile con il procedimento di correzione dell'errore materiale oppure una nullità riguardante l'intero giudizio con conseguente necessità di rinnovazione dello stesso o, infine, l'inesistenza della sentenza; conf. Sez. 6, n. 46348 del 5/11/2015, Verteramo Rv. 266308; Sez. 1, n. 34367 del 14/02/2018, Rv. 273740).

Nel caso che ci occupa, tuttavia, non siamo di fronte alla firma del solo giudice estensore, ma a quella del solo Presidente che -va ribadito- in difetto di diversa allegazione e di un obbligo normativamente previsto di indicare in sentenza il nominativo dell'estensore non si ha motivo di ritenere che non sia stato anche l'estensore del provvedimento.

Va dunque affermato il principio di diritto secondo cui la sottoscrizione di una sentenza esclusivamente da parte del Presidente del collegio giudicante, in assenza della specifica indicazione che lo stesso sia stato anche l'estensore della motivazione, in difetto di diversa evidenza o allegazione di parte, non comporta alcuna nullità della stessa dovendosi implicitamente ritenere che il Presidente sottoscrittore sia anche l'estensore della motivazione.

3. I restanti motivi afferenti alla responsabilità, come si anticipava in premessa, tendono ad ottenere una rivalutazione del fatto, non consentita in questa sede, senza un reale confronto critico con la sentenza impugnata, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilità.

La Corte di appello fornisce una ricostruzione critica della vicenda evidenziando l'inverosimiglianza della tesi difensiva, smentita anche dai testi della difesa che, lungi dal confermare l'assunto difensivo, contraddicono le dichiarazioni dell'imputato ed evidenziano che l'autovettura era stata prestata per una meta diversa, con il patto che venisse utilizzata unicamente dal F..

La Corte distrettuale, con motivazione priva di aporie logiche, ritiene del tutto inverosimile che il F. abbia consegnato l'autovettura al C. rimanendo in un piazzale a parlare con uno sconosciuto senza alcun motivo plausibile.

Corretta è stata anche l'individuazione del ruolo di organizzatore del viaggio, dal momento che l'imputato provvedeva a procuratore l'autovettura per il trasporto dello stupefacente.

4. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2023.

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