Sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato, ricorso per cassazione prima della scadenza del termine

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Ordinanza n.23056 del 02/04/2024 (dep. 10/06/2024)

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La terza Sezione Penale della Cassazione, con l'ordinanza n. 23056 depositata il 10 giugno 2024, ha rimesso alle Sezioni unite la seguente questione di diritto:

"se la sentenza di non luogo a procedere pronunciata ai sensi dell'art. 420 quater cod. proc. pen. possa essere impugnata con ricorso per cassazione anche prima della scadenza del termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen."

>> Qui la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione

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Cassazione penale, sez. III, ordinanza 02/04/2024 (dep. 10/06/2024) n. 23056

RITENUTO IN FATTO

1.11 Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova ricorre per l'annullamento della sentenza del 26 settembre 2023 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di An.Ov., imputato dei reati di cui 609-bis e 81, secondo comma, 495 cod. pen., per mancata conoscenza della pendenza del processo.

Articolando un unico motivo, deduce l'inosservanza degli artt. 420 bis e 420 quater cod. proc. pen., osservando che nel caso di specie sussistono le condizioni per la dichiarazione di assenza dell'imputato che, nel corso delle indagini preliminari, aveva nominato il difensore di fiducia ed eletto domicilio presso lo studio di questi, salvo poi nominargli un difensore d'ufficio a causa della rinuncia al mandato del primo.

2.Il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato osservando che nella specie vi erano le condizioni per la dichiarazione di assenza dell'imputato.

3.Il difensore d'ufficio, Avv. Silvia Picconi, ha chiesto il rigetto del ricorso ritenendo corretta la decisione del giudice sul rilievo che il difensore di fiducia a suo tempo nominato, Avv. Pierluigi Chino, aveva rinunciato al mandato attesa la mancanza di contatti con la persona patrocinata, extracomunitario, senza fissa dimora.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.II ricorso deve essere rimesso alle Sezioni Unite.

2.Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che il Pubblico ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio dell'imputato con richiesta depositata presso la cancelleria del giudice per le indagini preliminari in data 5 aprile 2022. All'udienza preliminare del 5 luglio 2022 l'imputato non era comparso senza addurre alcun legittimo impedimento e poiché non sussistevano le condizioni per procedere in sua assenza ai sensi dell'art. 420 bis, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen., il Giudice aveva disposto la notifica a mani rinviando il processo all'udienza del 14 ottobre 2022. Poiché nemmeno all'udienza del 14 ottobre l'imputato si era presentato e la polizia giudiziaria ne aveva certificato l'irreperibilità, il giudice aveva sospeso il processo e rinviato all'udienza del 19 settembre 2023

disponendo nuove ricerche. All'udienza del 19 settembre 2023, perdurando l'irreperibilità dell'imputato, il Giudice ha pronunciato sentenza di non doversi procedere nei suoi confronti per mancata conoscenza delia pendenza del processo.

2.1. Il Pubblico ministero se ne duole osservando che l'imputato che elegge domicilio prima dell'esercizio dell'azione penale acquisisce la (e dà prova della) conoscenza della pendenza del procedimento e che, di conseguenza, a seguito della notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare presso detto domicilio, doveva essere dichiarato assente ai sensi dell'art. 420 bis, commi 2 e 3, cod. proc. pen., tanto più quando, come nel caso in esame, si è reso irreperibile sottraendosi alla conoscenza del processo.

2.2. Altrimenti ragionando, afferma, "la celebrazione del processo diventa una "opzione" dell'imputato. Solo se lui lo desidera (o meglio: lo consente) il processo si celebra: l'indagato nomina un difensore, elegge un domicilio (presso il difensore o altrove), sparisce o revoca il mandato o dà indicazioni al difensore affinché il mandato sia dismesso, non elegge nuovo domicilio, sparisce dalla circolazione e quindi - non facendosi rintracciare - impedisce la celebrazione del processo quando ha assunto la qualità di imputato per effetto dell'esercizio dell'azione penale".

3.Il ricorso non può essere esaminato nel merito se non si risolve preliminarmente la questione relativa alla immediata ricorribilità per cassazione della sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 420 quater cod. proc. pen. che il primo comma qualifica come "inappellabile".

3.1.E' stato al riguardo affermato che la sentenza di non doversi procedere ex art. 420-quater cod. proc. pen. per mancata conoscenza, da parte dell'imputato, della pendenza del processo, per il principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione, non è ricorribile per cassazione, fintantoché non sia spirato il termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen., trattandosi di pronunzia revocabile, di natura sostanzialmente interlocutoria, per la quale non opera la garanzia sancita dall'art. Ili, comma 7, Cost., riguardante i soli provvedimenti giurisdizionali aventi natura decisoria e capacità di incidere, in via definitiva, su situazioni giuridiche di diritto soggettivo (Sez. 2, n. 50426 del 26/10/2023, P., Rv. 285686 - 01, che ha precisato che all'erronea dichiarazione di assenza potrà porsi rimedio chiedendo, dinanzi al giudice che l'ha pronunciata, la revoca della sentenza emessa ex art. 420-quater cod. proc. pen.; nello stesso senso, Sez. 2, n. 11757 del 09/02/2024, Levi, non mass.).

3.2.Le ragioni di tale conclusione sono così compendiate:

- la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen. è totalmente nuova, dai tratti peculiari (autorevole dottrina l'ha definita sentenza

"bifronte") la cui natura decisoria, in senso stretto, è da escludersi tenuto conto, innanzi tutto, del fatto che essa non contiene alcun accertamento di merito;

- contiene invece disposizioni circa la prosecuzione delle ricerche della persona nei cui confronti è pronunciata, ne fissa il termine e contiene anche la vocatio in iudicium, il che la rende assimilabile ad un atto di impulso processuale come tale insuscettibile di passare in giudicato;

- la sentenza non determina la perdita di efficacia delle misure cautelari degli arresti domiciliari e della custodia in carcere, del sequestro probatorio, del sequestro preventivo e del sequestro conservativo. Tale effetto consegue, infatti, solo alla sopravvenuta non revocabilità della medesima a seguito del decorso del tempo indicato nel comma 3 del medesimo articolo;

- fino a quando non è spirato il termine di cui al citato comma terzo, la sentenza è suscettibile di revoca con conseguente prosecuzione del procedimento davanti allo stesso giudice che l'ha emesso e non impedisce, in pendenza del termine, lo svolgimento di atti urgenti, né le misure cautelari (personali o reali) adottate, perdono efficacia.

Il provvedimento in questione, dunque, pur avendo formalmente il nome di sentenza, è destinato ad assumerne i caratteri allo spirare del termine di cui all'art. 420 quater, comma 3, cod. proc. pen., con la conseguenza che fino a quel momento, in applicazione del principio generale di tassatività dei mezzi di impugnazione di cui all'art. 568, comma 1, cod. proc. pen., essendo revocabile, non è suscettibile di ricorso per cassazione.

Tale conclusione, secondo Sez. 2, n. 50426 del 2023, non contrasta con la regola fissata dall'art. Ili, comma settimo, Cost., per la quale "contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge", rimarcandosi il fatto che la garanzia costituzionale riguarda i provvedimenti giurisdizionali che abbiano carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo producendo, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale sul piano contenzioso della composizione di interessi contrapposti (viene citata, al riguardo, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224610 - 01, secondo cui, in tema di patrocinio dei non abbienti a spese dello Stato, i provvedimenti emessi dal Tribunale o dalla Corte d'appello in sede di reclamo avverso il decreto di liquidazione del compenso al difensore sono ricorribili per cassazione per violazione di legge ai sensi dell'art.li della Costituzione, in quanto, pur non essendo formalmente qualificati come sentenze, hanno carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su diritti soggettivi). La sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo, si afferma, manca di tali requisiti e dunque, pur essendo formalmente una sentenza, esula dalla ricorribilità ai sensi dell'art. Ili Cost., settimo comma, Cost., sul rilievo che essa ha una natura sostanzialmente interlocutoria.

Di qui l'ulteriore conclusione che all'erronea dichiarazione di assenza può porsi rimedio chiedendo la revoca della sentenza emessa ex art. 420 quater cod. proc. pen., innanzi al giudice che l'ha pronunciata.

4.In consapevole contrasto con tale orientamento, Sez. 5, n. 20140 del 23/02/2024, Stojanovic, Rv. 286276 - 01, ha invece affermato che la sentenza inappellabile di non doversi procedere ex art. 420 quater, cod. proc. pen. per mancata conoscenza, da parte dell'imputato, della pendenza del processo, è immediatamente ricorribile per cassazione per violazione di legge, quantomeno in relazione alla determinazione della durata delle ricerche dell'imputato, operando, in ordine al predetto provvedimento, la garanzia sancita dall'art. Ili, comma 7, Cost., riguardante i provvedimenti giurisdizionali aventi natura decisoria e capacità di incidere, in via definitiva, su situazioni giuridiche di diritto soggettivo (Sez. 5, n. 20140 del 23/02/2024, Stojanovic, Rv. 286276 - 01).

4.1. La sentenza, le cui motivazioni sono state depositate nelle more della stesura della presente ordinanza, così spiega le ragioni di tale affermazione:

- la natura "bifronte" della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato non ne esclude la natura definitoria posto che, per l'appunto, essa definisce, e dunque conclude, il processo iniziato con l'esercizio dell'azione penale e la richiesta di fissazione dell'udienza preliminare, sul presupposto della mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato; tale funzione "definitoria" è riconosciuta anche dalla Relazione illustrativa al decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134, in cui si legge: "la pronuncia definisce il procedimento, sicché il destinatario della medesima non è più imputato e il fascicolo va specificamente archiviato per un più agevole recupero";

- è la funzione di definizione del processo, propria di un provvedimento potenzialmente in grado di acquisire il crisma della irrevocabilità ovvero di essere posto nel nulla attraverso il decreto di revoca previsto dall'art. 420 sexies, comma 4, cod. proc. pen., a seconda dell'esito delle disposte ricerche ad opera della polizia giudiziaria, che fa propendere per la tesi dell'impugnabilità, e, in particolare, della possibilità di impugnare la sentenza attraverso il rimedio del ricorso per cassazione, soluzione, peraltro, condivisa dalla prevalente dottrina;

- all'interno di questo ibrido provvedimento giurisdizionale convergono, in parallelo, due binari, che vanno, tuttavia, mantenuti distinti: la pronuncia di improcedibilità virtualmente conclusiva e la vocatio in iudicium della nuova ed eventuale fase processuale; allo stesso tempo, la natura definitoria della decisione va separata dalla sua eventuale irrevocabilità, in quanto è proprio tale natura che rende la sentenza impugnabile attraverso il ricorso per cassazione, una volta esclusa dal legislatore l'impugnabilità attraverso l'appello;

- la possibilità di impugnare la sentenza con ricorso per cassazione è ricavabile dal testo degli artt. 568, comma 2, cod. proc. pen., e 111, comma settimo, Cost., da cui si evince che le sentenze, salvo quelle sulla competenza che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell'art. 28 del codice di rito, sono sempre impugnabili per cassazione per violazione di legge, dovendosi intendere per sentenze quei provvedimenti che abbiano un contenuto decisorio e che incidano sui diritti di libertà, patrimoniali o sulla pretesa punitiva dello Stato;

- l'obiezione che la definizione della posizione delle parti, pubblica e privata, è solo rimandata alla scadenza del termine di cui al terzo comma dell'art. 420 quater cod. proc. pen., non regge all'osservazione che la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato contiene un segmento decisorio dotato di un'immediata e concreta ricaduta sui diritti delle parti, idoneo sin da subito a incidere in via definitiva sugli interessi in gioco, perché da esse non contestabile, se non si riconoscesse loro la possibilità di impugnare la decisione quanto meno rispetto a tale profilo; si tratta, in particolare, del segmento relativo alla determinazione del tempo di durata delle ricerche dell'imputato, perché su di esso si fonda l'intera sequenza procedimentale, che potrebbe condurre all'impossibilità di procedere alla revoca della sentenza di cui si discute;

- ammettere il ricorso per cassazione in questi casi è conforme ai principi costituzionali e convenzionali in materia di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione (cfr. artt. Ili Cost., 6Convenzione EDU), posto che consentirebbe di mettere un punto fermo sul tempo necessario allo svolgimento delle ricerche dell'imputato, evitandone la ripetizione nel caso di epilogo decisorio rappresentato dal possibile annullamento della sentenza per erronea determinazione della durata delle ricerche, non apparendo revocabile in dubbio che in tale ipotesi esse debbano riprendere;

- non appare convincente la tesi, secondo la quale a eventuali errori commessi nella sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato, che possono non riguardare la dichiarazione della mancata conoscenza del processo da parte del prevenuto, si possa rimediare chiedendone la revoca al giudice che l'ha pronunciata;

- si tratta di rimedio che risulta del tutto avulso dal sistema delineato dal legislatore, che ammette la revoca, con decreto, della sentenza solo nel caso, disciplinato dall'art. 420 sexies cod. proc. pen., in cui la polizia giudiziaria delegata abbia rintracciato la persona nei confronti della quale è stata emessa la sentenza di non doversi procedere e abbia provveduto agli adempimenti previsti dai primi tre commi dell'art. 420 sexies, cit.;

- la soluzione della revoca "atipica", prospettata in alternativa alla possibilità di ricorrere per cassazione, trova la sua giustificazione nell'erroneo convincimento che il provvedimento previsto dall'art. 420 quater cod. proc. pen., abbia solo gli aspetti formali della sentenza, ma non anche il contenuto decisorio.

5.Il Collegio ritiene possibile una ulteriore interpretazione della norma che consente l'immediata ricorribilità per cassazione della sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 420 quater cod. proc. pen. per tutti i casi previsti dall'art. 606, comma 1, cod. proc. pen., non solo per violazione di legge.

5.1. Assume rilevanza, in primo luogo, il dato testuale-sistematico: il legislatore ha qualificato il provvedimento decisorio del giudice come "sentenza" aggettivandola come "inappellabile". La scelta del termine è tutt'altro che casuale: il provvedimento definisce il processo avviato con l'esercizio dell'azione penale. Trattandosi di "sentenza inappellabile", la possibilità di essere impugnata con ricorso per cassazione è espressamente e testualmente prevista dall'art. 606, comma 2, cod. proc. pen. e per tutti i motivi previsti dal primo comma.

5.2. In secondo luogo, poiché il provvedimento non solo definisce il processo sterilizzandone la prosecuzione per un periodo di tempo indefinito comunque non inferiore a dodici anni a partire dalla consumazione dell'ultimo reato (art. 420 quater, comma 3, cod. proc. pen.; nel caso di specie, trattandosi di violenza sessuale qualificata dalla rubrica come di minore gravità, la regiudicanda potrebbe rimanere sospesa per ventiquattro anni dal 2 febbraio 2022), ma comporta anche la perdita della qualifica di imputato della persona da rintracciare (arg. ex art. 420 quater, comma 4, cod. proc. pen.), non si vede la ragione per la quale il pubblico ministero non possa interloquire non solo sulla durata delle ricerche ma sulla sussistenza stessa dei presupposti che legittimano l'adozione della sentenza; non si comprende perché il titolare dell'azione penale non possa reagire alla adozione di una sentenza che ritenga erroneamente pronunciata in assenza dei relativi presupposti. Altrimenti ragionando si consentirebbe al giudice l'esercizio insindacabile di poteri che pure definiscono il processo con provvedimento che letteralmente lo chiude, ancorché non irrevocabilmente (emblematico, al riguardo, l'avvertimento, rivolto alla persona da rintracciare e contenuto nella sentenza ai sensi dell'art. 420 quater, comma 4, lett. a, cod. proc. pen., che il processo a suo carico "sarà riaperto").

Sarebbe singolare che avverso l'ordinanza che disponeva la sospensione del processo ai sensi del previgente art. 420 quater cod. proc. pen. fosse consentito il ricorso per cassazione per denunziare l'abnormità funzionale del provvedimento (Sez. 2, n. 2291 del 27/10/2015, Harca, Rv. 265775 - 01) e non altrettanto possa dirsi per la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi della medesima norma.

Del resto, in altri casi il legislatore attribuisce espressamente al pubblico ministero il diritto di interloquire con la Corte di cassazione sulla legittimità della sospensione del processo disposta dal giudice (artt. 71, comma 3, 464 quater, comma 7, 479, comma 2, cod. proc. pen.). Sicché la possibilità di impugnare con ricorso per cassazione la sentenza inappellabile pronunciata ai sensi dell'art. 420 quater cod. proc. pen. si inserisce nel solco di una tradizione ispirata non solo al principio di legalità e obbligatorietà dell'azione penale (che stride con l'adozione di provvedimenti che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico necessario per pervenire ad una giusta decisione; Corte cost., sent. n. 111/1993), ma anche con quello della ragionevole durata del processo che non tollera sospensioni ingiustificate e/o insindacabili del processo stesso.

La astratta futura possibilità che la sentenza sia successivamente revocata (per i soli motivi, però, indicati dall'art. 420 sexies cod. proc. pen.) non esclude che possa essere attualmente impugnata; la revocabilità non è predicato che per ciò solo esclude l'impugnabilità. Ne costituisce prova la possibilità di appellare le sentenze di non luogo a procedere pronunciate ai sensi degli artt. 428 e 554 quater cod. proc. pen. Ché, anzi, l'aggettivazione come "inappellabile" della sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell'art. 420 quater cod. proc. pen. qualifica il diverso regime impugnatorio rispetto agii altri due possibili esiti decisori dell'udienza preliminare (o di quella di comparizione predibattimentale di cui all'art. 554 bis cod. proc. pen.) ma non ne esclude affatto la natura di sentenza attualmente definitoria del processo.

5.3.Non vi sarebbe perciò bisogno di invocare l'art. 117, comma settimo, Cost., per giustificare la immediata ricorribilità per cassazione della sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 420 quater cod. proc. pen., venendo meno, di conseguenza, il limite che la norma costituzionale comunque pone alla deducibilità, per sola violazione di legge, dei motivi di ricorso per cassazione. Il sindacato sulle ragioni di fatto e di diritto della decisione assunta dal giudice (e, dunque, sulla motivazione della sentenza) sarebbe possibile in base, come detto, alla lettura del secondo comma dell'art. 606 cod. proc. pen.

5.4. In conclusione, poiché la questione preliminare della ammissibilità del ricorso per cassazione del pubblico ministero ha già dato luogo ad un contrasto giurisprudenziale, il Collegio ritiene necessario rimettere gli atti alle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione formulando il seguente quesito: "se la sentenza di non luogo a procedere pronunciata ai sensi dell'art. 420 quater cod. proc. pen. possa essere impugnata con ricorso per cassazione anche prima della scadenza del termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen.".

P.Q.M.

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 02 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2024.

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