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Dimissioni premature e responsabilità del medico del pronto soccorso

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.41173 del 23/10/2024 (dep. 08/11/2024)

In quali casi il medico del pronto soccorso è responsabile per le dimissioni premature di un paziente?

La Corte di Cassazione Penale, con la sentenza n. 41173 depositata l'8 novembre 2024, ha affrontato questo tema in un caso riguardante un paziente deceduto dopo essere stato dimesso prematuramente dal pronto soccorso.

Il caso di specie: un paziente si presenta al pronto soccorso con dolore toracico irradiato, nausea e vomito. Vengono effettuati un elettrocardiogramma (ECG) e analisi del sangue che mostrano un lieve aumento della troponina, un marker indicativo di possibili problemi cardiaci. Nonostante questi sintomi e la presenza di ipertensione arteriosa, il medico decide di dimetterlo senza ulteriori accertamenti o monitoraggio.

Le norme applicabili: le linee guida della Società Europea di Cardiologia del 2011 stabiliscono che un paziente con aumento della troponina deve essere mantenuto in osservazione e ripetere gli esami a distanza di tre ore. In caso di ulteriore aumento, è necessario il ricovero. Inoltre, in presenza di sintomi come dolore toracico e fattori di rischio quali l'ipertensione, è richiesto un monitoraggio più approfondito, includendo consulenza cardiologica, esame ecocardiografico, test da sforzo, controlli seriali dell'ECG e ripetizione degli esami sugli enzimi miocardici ogni quattro ore.

L'applicazione al caso: la Corte d'Appello di Catania aveva già ritenuto il medico responsabile per negligenza, imprudenza e imperizia, ai sensi dell'art. 589 del Codice Penale (omicidio colposo). Il medico aveva violato le linee guida omettendo di mantenere il paziente sotto osservazione e di ripetere gli esami necessari. La Cassazione ha confermato questa valutazione, evidenziando che tale omissione diagnostica ha avuto un ruolo causale diretto nel decesso del paziente.

Il giudizio controfattuale: la Cassazione ha applicato il principio del giudizio controfattuale, valutando se l'evento si sarebbe potuto evitare se il medico avesse adottato la condotta corretta. La Corte ha concluso che, se il paziente fosse stato mantenuto in ospedale e fossero stati ripetuti gli esami come previsto dalle linee guida, l'esito fatale avrebbe potuto essere evitato con una probabilità prossima alla certezza.

Conclusione: il ricorso del medico è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha stabilito che la dimissione prematura e la mancata ripetizione degli esami diagnostici costituiscono una condotta colposa con nesso causale diretto nella morte del paziente. La responsabilità penale per omissione è stata confermata, basata su un giudizio di alta probabilità logica e sulle evidenze scientifiche disponibili.

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Cassazione penale, sez. IV, sentenza 23/10/2024 (dep. 08/11/2024) n. 41173

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'Appello di Catania, in riforma della sentenza emessa il 07/05/2019 dal GUP presso il Tribunale di Catania, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Li.Ac., imputato dal reato previsto dall'art. 589 cod. pen., in quanto estinto per intervenuta prescrizione e con conferma delle statuizioni emesse dal giudice di primo grado in favore delle costituite parti civili.

1.1 Nell'atto di esercizio dell'azione penale era stato ascritto all'imputato di avere cagionato il decesso di Me.Fi. per negligenza, imprudenza e imperizia nonché per violazione delle linee guida vigenti sull'argomento e inerenti alle terapie da adottare in caso di sospetto infarto; in particolare, era stato contestato al sanitario, nella propria veste di medico di primo soccorso, di avere omesso di valutare adeguatamente il dato emergente dagli esami dì laboratorio effettuati nei confronti del paziente e denotanti un lieve aumento della troponina in soggetto iperteso con dolore toracico irradiato, disponendone le dimissioni anziché procedere a una ripetizione degli esami stessi nelle 6/24 ore successive e provvedere al successivo ricovero.

1.2 Il giudice d'appello ha esposto che la sentenza di primo grado si era fondata sulle risultanze degli accertamenti specialistici disposti dal consulente del p.m. e, successivamente, dai periti nominati dal GUP in sede di giudizio abbreviato, i quali avevano concluso in termini pressoché sovrapponibili in ordine ai profili di colpa ascrivibili all'imputato nonché al nesso causale tra condotta omissiva e decesso del paziente.

Ha quindi rilevato che il reato ascritto doveva ritenersi estinto per effetto di sopravvenuta prescrizione e che, in ordine alla richiesta di assoluzione dell'imputato nel merito e alla conseguente valutazione dei profili di responsabilità civile, la responsabilità dell'imputato medesimo dovesse ritenersi accertata al di là di ogni ragionevole dubbio.

1.3 Il Collegio ha ritenuto infondato il motivo attinente alla richiesta di assoluzione per insussistenza della condotta colposa da parte dell'imputato e fondata sul rilievo che l'esame eseguito sul paziente al momento dell'ingresso presso il pronto soccorso (pari a 17, 42) fosse solo leggermente superiore al valore di riferimento di 14 e che non avrebbe potuto essere ritenuto come indice di problemi cardiaci, anche in considerazione del miglioramento del sintomo relativo al dolore toracico sopravvenuto durante il ricovero presso il Pronto Soccorso; motivo fondato, altresì, sulla circostanza in base alla quale, essendo sopravvenuto il decesso dopo alcune ore (circa sei e mezza) dalle dimissioni, il relativo processo causale poteva ritenersi maturato in forma autonoma e per fattori sopravvenuti.

La Corte ha ritenuto invece non contestabili le conclusioni peritali; in base alle quali - attesa la presenza dei sintomi costituiti da dolore toracico, nausea e vomito - doveva considerarsi determinante la corretta interpretazione dell'eziologia del dolore e, considerando l'esito negativo dell'elettrocardiogramma e l'aumento della troponina, doveva ritenersi necessaria la ripetizione degli esami; specificamente rilevando che, in presenza di un aumento della troponina rispetto al valore massimo di riferimento, le linee guida della società Europea di cardiologia del 2011 imponevano che il paziente fosse mantenuto in osservazione con ripetizione degli esami di laboratorio a distanza di tre ore e, in caso di aumento del valore di troponina, il ricovero del paziente; deducendosi quindi il profilo di colpa derivante dalla relativa omissione diagnostica, caratterizzata da negligenza e imperizia.

Il Collegio ha altresì osservato che la presenza della pregressa patologia del paziente (ipertensione arteriosa) era tale da aggravare i profili di responsabilità del sanitario, che avrebbe dovuto essere maggiormente allertato in ordine alla necessità di un monitoraggio diretto del medesimo secondo quanto suggerito dalla linee guida (con consulenza cardiologica, esame ecocardiografico, test da sforzo, controlli seriali da ECG e ripetizione ogni quattro ore per almeno tre volte degli esami sugli enzimi miocardici); responsabilità, tra l'altro, ritenuta desumibile anche sulla base della prescrizione indicata in sede di dimissioni e con le quali era stato suggerito il mero monitoraggio dei soli valori pressori.

In ordine alle argomentazioni della difesa, ha rilevato che - al momento dell'arrivo in ospedale - il paziente presentava un profilo di rischio di mortalità basso e che rendeva elevata la probabilità di sopravvivenza in presenza di un corretto trattamento; ritenendo che fossero state proprio le avventate dimissioni a determinare un accrescimento esponenziale dei fattori di rischio al sopraggiungere di una crisi cardiaca che, se trattata in sede ospedaliera, avrebbe potuto essere adeguatamente fronteggiata; con la conseguenza che, operando un giudizio controfattuale sulla base delle regole di esperienza e della leggi scientifiche, una volta messa in atto la condotta doverosa omessa doveva ritenersi che - con elevata probabilità logica - il decesso non si sarebbe verificato.

La Corte ha quindi provveduto alla conferma delle statuizioni civili, ivi compresi il riconoscimento e la determinazione delle provvisionali in favore dei prossimi congiunti.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Li.Ac., tramite il proprio difensore, articolando un unitario di impugnazione, con il quale ha dedotto la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla denegata assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

Ha dedotto che la Corte territoriale aveva omesso - nel giungere al giudizio di responsabilità - di raffrontarsi con le argomentazione difensive, in base alle quali il lieve aumento di troponina poteva essere correlato allo screzio cardiaco derivante dalla precedente crisi ipertensiva, esponendo che i dati clinici rappresentati dall'assenza di alterazione ecocardiografica e dalla scomparsa del dolore toracico escludevano con elevata probabilità un infarto miocardico in corso, potendo l'aumento della troponina pacificamente essere collegato ad altre patologie; ritenendo che non vi fossero elementi per sostenere che un ulteriore dosaggio avrebbe dato valori in incremento, essendo verosimile che l'infarto si fosse manifestato e avvenuto quando il paziente si trovava nella propria abitazione, dovendosi quindi escludere la sussistenza del necessario nesso causale sulla base di un ragionamento controfattuale calato nel caso concreto; argomentando altresì che, in considerazione delle concrete condizioni del Pronto Soccorso dell'ospedale (omissis) di C e le difficoltà di concepire un effettiva assistenza in tempi rapidi, l'evento letale si sarebbe comunque verificato.

Ha altresì dedotto che, contraddittoriamente, la Corte avrebbe ritenuto - da un lato - significativo l'aumento del valore della troponina e - dall'altro -qualificato lo stesso come una sola lieve alterazione che rendeva il soggetto come avente elevate probabilità di sopravvivenza, con conseguente illogicità complessiva dell'apparato motivazionale; esponendo che la ripetizione degli esami non avrebbe comunque evitato la crisi cardiaca che aveva portato al decesso del paziente; non avendo quindi la Corte risposto al quesito se, nelle sei ore intercorse tra dimissioni e nuova crisi cardiaca, fosse stato possibile praticare un adeguato trattamento sanitario.

3. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Le parti civili hanno depositato memoria nella quale hanno concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con richiesta di condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Va premesso che non si applica al presente procedimento il disposto dell'art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. a), n. 2, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 e ai sensi del quale "Quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile"; in quanto la relativa disposizione si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della norma medesima (Sez. U., n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036).

3. Deve quindi osservarsi che - attesa la intervenuta declaratoria di prescrizione del reato ascritto - la cognizione del giudice di secondo grado si è limitata alle sole statuizioni civili pronunciate dal giudice di primo grado e con il quale l'imputato è stato condannato al risarcimento del danno nei confronti delle persone offese, vertendosi quindi nell'ambito regolato dall'art. 578, comma 1, cod. proc. pen.

Tanto implica il necessario riferimento al tema dei limiti del sindacato del giudice di appello e della regola di giudizio applicabile allorquando siano presenti le parti civili, a fronte - come nel caso di specie - di un gravame nel merito proposto da un imputato che non rinunci alla prescrizione e di un reato che, all'atto della decisione da assumere, si presenti ormai prescritto.

Sul punto la Corte territoriale, pur avendo dato atto della intervenuta prescrizione del reato (ampiamente maturata alla data di trattazione), ha affermato di dover procedere comunque alla valutazione del fatto nel merito sulla scorta della costituzione della parte civile nel processo.

La sentenza impugnata è stata, dunque, pronunciata nel solco dell'insegnamento di Sez. U., n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244273 e di tutta la giurisprudenza delle sezioni semplici degli anni successivi conforme a quella decisione.

Le Sezioni Unite Tettamanti hanno enunciato il seguente principio di diritto: "allorquando, ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., il giudice di appello -intervenuta una causa estintiva del reato - è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva, pur nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova".

La pronuncia accorda al giudice di appello, in casi come quelli in esame, il potere di addivenire ad una sentenza di assoluzione dell'imputato, all'esito di una valutazione del compendio probatorio secondo la regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, pur dovendo ormai accertare soltanto la fondatezza della domanda di risarcimento del danno.

La giurisprudenza delle sezioni semplici successiva alle Sezioni Unite del 2009 si è mossa nel solco del dictum di queste ultime, ribadendo in più occasioni che all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 6, n. 4855 del 7/1/2010, Damiani, Rv. 246138; Sez. 6, n. 16155 del 20/3/2013, Galati, Rv. 255666 che ha chiarito che i motivi di impugnazione dell'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.).

Ancora, più recentemente, è stato ribadito che all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo il caso in cui il giudice, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, sia chiamato ad apprezzare, ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen. il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, nel qual caso non può limitarsi a farlo secondo il criterio di economia processuale ex art. 129 cod. proc. pen. ma lo deve valutare secondo gli ordinari criteri di esaustività e completezza dello scrutinio giurisdizionale (così in motivazione, Sez. 4, n. 20568 del 11/4/2018, D.L., Rv. 273259; conf. Sez. 4 - n. 53354 del 21/11/2018, Zuccherelli, Rv. 274497).

Va rammentato che, nella ricordata sentenza n. 35490/2009, Tettamantì, dirimendo un precedente contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno tra l'altro affermato che la pronuncia assolutoria a norma dell'articolo 129, comma 2, cod. proc. pen., comma 2, è consentita al giudice solo quando emergano dagli atti, in modo assolutamente non contestabile, delle circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato o la sua rilevanza penale, in modo tale che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo sia incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento; si è precisato, in quella pronuncia, che il controllo demandato al giudice deve appartenere più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento"; rilevandosi che l'evidenza richiesta dal menzionato art. 129, comma 2, cod. proc. pen., presuppone la manifestazione di una verità processuale talmente chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi pertanto un quid pluris rispetto a quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia.

In assenza di parte civile, dunque, la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (così questa Sez. 4, n. 23680 del 7/5/2013, Rizzo ed altro, Rv. 256202; conf. Sez. 6, n. 10284 del 22/1/2014, Culicchia, Rv. 259445).

Diversamente, se l'imputato intende ottenere una valutazione più approfondita delle sue ragioni, che vada oltre l'evidenza della sua innocenza o della sua non colpevolezza, deve rinunciare alla prescrizione (per un'applicazione di tale principio, costante, vedasi, in ultimo Sez. 4. n. 22687 del 21/4/2023, Fratoni, n.m.).

Evidentemente, in un sistema così congegnato, le ragioni di economia processuale vengono meno in presenza della parte civile, in quanto, in tal caso, il giudice penale, pur in presenza di un reato prescritto, è comunque chiamato a valutare i motivi d'impugnazione proposti dall'imputato compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129, comma 2 cod. proc. pen.

Perciò, in tal caso, nel sistema delineato dalle Sezioni Unite, l'imputato, pur non rinunciando alla prescrizione, ha maggiori margini per vedersi assolto nel merito, qualora la prova a suo carico, in sede di scrutinio per la valutazione della conferma o meno delle statuizioni civili a suo carico, si sia rivelata contraddittoria o insufficiente al di là di ogni ragionevole dubbio.

Peraltro, nel predetto quadro interpretativo, si è inserita la sentenza 07/07/2021, n.182 della Corte Costituzionale (in G.U., serie speciale, del 04/08/2021), nella quale la Consulta ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 578 cod. proc. pen., denunciato come in contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 6, paragrafo 2, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché in contrasto con lo stesso art. 117, comma 1, e con l'art. 11 Cost., in relazione agli artt. 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, e all'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

In tale sede, la Corte Costituzionale - sulla base del tenore testuale dell'art.578 cod. proc. pen. - ha ritenuto che punto nodale ai fini dell'affermazione di compatibilità dell'articolo con i principi costituzionali stia nel fatto che "Il giudice dell'impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.). Con riguardo al 'fatto' - come storicamente considerato nell'imputazione penale - il giudice dell'impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un 'danno ingiusto' secondo l'art. 2043 cod. civ., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno. Nel contesto di questa cognizione rilevano sia l'evento lesivo della situazione soggettiva di cui è titolare la persona danneggiata, sia le conseguenze risarcibili della lesione, che possono essere di natura sia patrimoniale che non patrimoniale".

Emergendo, quindi, che la natura civilistica dell'accertamento richiesto dall'art. 578 cod. proc. pen. al giudice penale implica l'adozione - non del criterio della causalità penalistica fondata sulla regola di giudizio dell'alta probabilità logica (enunciata da Sez. U., n.30328 del 20/07/2002, Franzese, RV. 222138 - 01) - bensì del criterio civilistico del "più probabile che non" o della "probabilità prevalente", in base al quale il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l'impredicabilità di un'aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente (tema su cui, Cass. Civ., Sez. U., Sentenza n. 576 del 11/01/2008 e poi, da ultime, Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 21530 del 27/07/2021; Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 34027 del 18/11/2022).

Tanto quindi implica la regola di giudizio in base alla quale il giudice penale che si trovi a decidere sulla responsabilità civile, ai sensi dell'art. 578, comma 1, cod. proc. pen. - unico profilo oggetto del presente giudizio - e quindi a verificare la sussistenza dell'illecito civile, dovrà pertanto seguire il predetto criterio del "più probabile che non", sulla scorta di un principio recepito nella successiva giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, Rv. 283377; Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739; Sez. 2, Ordinanza n. 6690 del 02/02/2023, Fox Weber, Rv. 284216).

Sul tema si sono quindi pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte - investite dalla questione se "nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, possa pronunciare l'assoluzione nel merito, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processualpenalistica dell' "oltre ogni ragionevole dubbio", ovvero debba far prevalere la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pronunciandosi sulle statuizioni civili secondo la regola processualcivilistica del "più probabile che non".

In tale sede, il Collegio ha quindi ravvisato non esservi incompatibilità tra le due pronunce, affermando la persistente applicabilità dei principi dettati dalla sentenza Tettamanti in tutti i casi in cui il giudice dell'impugnazione sia comunque investito del profilo riguardante la penale responsabilità dell'imputato e - invece -di quelli dettati dalla sentenza della Consulta nel caso in cui il giudice debba conoscere dell'impugnazione ai soli effetti civili (Sez. U., n. 36208 del 28/03/2024, ric. Calpitano).

Dovendosi quindi ritenere essere stata affermata la persistente applicabilità - in caso, come quello di specie, di giudizio di appello incardinato dall'imputato e finalizzato espressamente all'esclusione della propria responsabilità penale - la regola di giudizio della necessità di accertamento della responsabilità medesima, anche ai fini civili, sulla base del canone dell'oltre ragionevole dubbio; criterio da ritenersi correttamente applicato dalla Corte distrettuale, come esplicitato nel secondo punto della parte motiva.

4. Ciò premesso, con l'unitario motivo di impugnazione il ricorrente ha censurato la valutazione della Corte territoriale nella parte in cui ha affermato la responsabilità dell'imputato in punto di giudizio controfattuale e ove ha ritenuto che la condotta alternativa ivi ipotizzata avrebbe, con elevato grado di probabilità, evitato l'evento letale.

Il motivo è infondato, in quanto propositivo di censure già formulate in sede di atto di appello e smentite dalla Corte territoriale con motivazione intrinsecamente coerente e logica.

4.1 A tale proposito va fatto richiamo alle considerazioni espresse nella parte motiva di Sez. 5, n. 15816 del 20/01/2020, Mascolo, Rv. 279417 - a propria volta fondate sull'esame della consolidata giurisprudenza di questa Corte - che si ritiene di dover integralmente condividere e nella quale si è rilevato come il relativo accertamento di responsabilità, in punto di rapporto di causalità, debba avvenire sulla base della legge statistica di riferimento, al fine di stabilire se nel caso concreto sussistano o meno altri fattori di tipo alternativo in nesso causale con l'evento.

Tale principio in generale discende dalle affermazioni delle Sezioni Unite che, con la sentenza Sez. U., n. 30328 del 10/7/2002, Franzese, Rv. 222138/222139 hanno fissato, specificamente in una fattispecie concreta di causalità omissiva impropria, alcuni snodi logico-giuridici fondamentali per la verifica del nesso di causalità nei reati colposi, confermati dalla giurisprudenza successiva (tra le tante, riferite a ipotesi di responsabilità del sanitario, Sez. 3, n. 5460 del 4/12/2013, dep. 2014, Grassini, Rv. 258847; Sez. 4, n. 9695 del 12/02/2014, S., Rv. 260159; Sez. 3, Sentenza n. 10209 del 07/10/2020, dep. 2021, Ceriani, Rv. 281710, nonché - in diverso ambito fattuale - Sez. U., Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261103).

Le Sezioni Unite hanno stabilito che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

Allo stesso modo, l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del nesso causale tra condotta ed evento - e cioè il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell'omissione dell'agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo - comportano l'esito assolutorio del giudizio.

4.2 Va quindi rilevato che causalità omissiva e causalità commissiva nei reati colposi rispondono a regole identiche ai fini della verifica della sussistenza del nesso di causalità, poiché i comportamenti che le realizzano sono strettamente connessi, dato che, nella condotta omissiva, nel violare le regole cautelari, il soggetto non sempre è assolutamente inerte, ma, frequentemente, pone in essere un comportamento diverso da quello dovuto, cioè da quello che sarebbe stato doveroso secondo le regole della comune prudenza, perizia, attenzione.

La distinzione attiene, quindi, soltanto alla necessità, in caso di comportamento omissivo, di fare ricorso, per verificare la sussistenza del nesso di causalità, ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico (dandosi per verificato il comportamento invece omesso), anziché fondato sui dati della realtà, come nella causalità commissiva; infatti, nel caso di comportamento omissivo, è solo con riferimento alle regole cautelari inosservate che può formularsi un concreto rimprovero nei confronti del soggetto e verificarsi, con giudizio controfattuale ipotetico, la sussistenza del nesso di causalità (Sez. 4, n. 3380 del 15/11/2005, dep. 2006, Fedele, Rv. 233237).

Ne consegue che, seguendo l'impostazione della citata sentenza delle Sezioni Unite, al fine di stabilire la sussistenza del nesso di causalità, occorre un duplice controllo, ovvero: la verifica sul nesso causale tra la condotta e l'evento sulla base di una legge statistica o universale di copertura sufficientemente valida e astrattamente applicabile al caso concreto; la successiva verifica, attraverso un giudizio di alta probabilità logica, dell'attendibilità, in concreto, della spiegazione causale così ipotizzata.

Occorre cioè verificare - sulla base delle evidenze processuali - che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione doverosa omessa (nel reato colposo omissivo improprio) o al contrario non compiuta la condotta commissiva assunta a causa dell'evento (nel reato commissivo colposo), ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non si sarebbe verificato (oppure sarebbe avvenuto molto dopo, o avrebbe comunque avuto minore intensità lesiva).

4.3 D'altra parte, l'interpretazione di tale criterio passa attraverso la delimitazione del concetto di 'probabilità logica', il quale - a propria volta - muove dalla divisione, nell'ambito delle leggi scientifiche, tra leggi di carattere universale e leggi di carattere statistico; intendendosi per le prime che asseriscono, nella successione di determinati eventi, invariabilità regolari mentre le seconde si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa (si vedano sul punto le considerazioni spiegate in parte motiva, pure qui integralmente condivise, da Sez. 4, n. 9705 del 15/12/2021, dep. 2022, Pazzoni, Rv. 282855).

A proposito di tale distinzione, questa Corte ha affermato che il ricorso alle leggi statistiche da parte del giudice è più che legittimo perché il modello della sussunzione sotto leggi sottende, il più delle volte, necessariamente il distacco da una spiegazione causale deduttiva che implicherebbe una impossibile conoscenza di tutti i fatti e di tutte le leggi pertinenti; affermando quindi le Sezioni unite che, ove si ripudiasse la natura eminentemente induttiva dell'accertamento giudiziale e si pretendesse comunque una spiegazione causale di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, secondo criteri di utopistica certezza assoluta, si finirebbe col frustrare gli scopi preventivo-repressivi del diritto e del processo penale in settori nevralgici per la tutela di beni primari, stabilendo conseguentemente che la spiegazione causale dell'evento può essere tratta da leggi scientifiche, universali o statistiche, enucleabili anche da rilevazioni epidemiologiche (Sez. U., 10 luglio 2002, Franzese, cit.).

Per colmare le carenze derivanti da parametri che, di per sé stessi, non assicurano la certezza del nesso causale, le Sezioni Unite hanno quindi elaborato il concetto di probabilità logica, a propria volta da distinguere da quello di probabilità statistica; difatti, mentre la prima attiene alla verifica empirica circa la misura della frequenza relativa nella successione degli eventi, la seconda contiene la verifica aggiuntiva, sulla base dell'intera evidenza disponibile, dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell'accertamento giudiziale; dunque, il concetto di probabilità logica impone di tener conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, integrando il criterio della frequenza statistica con tutti gli elementi astrattamente idonei a modificarla.

Se la probabilità statistica viene invece integrata da tutti gli elementi forniti dall'evidenza disponibile, è possibile pervenire ad una valutazione, in un senso o nell'altro, connotata da un elevato grado di credibilità razionale, non più espresso in termini meramente percentualistici.

Le caratteristiche del caso concreto da prendere in considerazione potranno inerire all'età, al sesso del paziente, allo stadio cui era pervenuta la patologia, alla tempestività dell'accertamento della malattia, alle condizioni di salute generale del soggetto, alla presenza di altre patologie, alla necessaria assunzione, da parte del paziente, di altri farmaci che interferiscono con la terapia praticata e, in generale, a tutte le circostanze che possono aumentare o diminuire le speranze di sopravvivenza.

Sul punto le Sezioni unite, nella sentenza Franzese, hanno affermato che anche coefficienti medio-bassi di probabilità c.d. frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica o da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche, pur imponendo verifiche particolarmente attente sia in merito alla loro fondatezza che alla specifica applicabilità alla fattispecie concreta, possono essere utilizzati per l'accertamento del nesso di condizionamento, ove siano corroborati dal positivo riscontro probatorio circa la sicura non incidenza, nel caso di specie, di altri fattori interagenti in via alternativa.

Il procedimento logico, non dissimile, secondo le Sezioni unite, dalla sequenza del ragionamento inferenziale dettata, in tema di prova indiziaria, dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen., deve pertanto condurre alla conclusione, caratterizzata da "un alto grado di credibilità razionale", quindi alla "certezza processuale che, esclusa l'interferenza di decorsi alternativi, la condotta omissiva dell'imputato, alla luce della cornice nomologica e dei dati ontologici, sia stata condizione "necessaria" dell'evento, attribuibile perciò all'agente come fatto proprio.

4.4 L'ulteriore passo sarà costituito, nell'ottica del giudizio di probabilità logica, dalla ricerca ed eventualmente, dall'esclusione di decorsi causali alternativi.

Dunque, l'attività investigativa del pubblico ministero prima e quella istruttoria del giudice poi non devono essere dirette soltanto ad ottenere la conferma dell'ipotesi formulata ma devono riguardare anche l'esistenza di fattori causali alternativi, che possano costituire elementi di smentita dell'ipotesi prospettata.

L'impossibilità di escludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'esistenza di fattori causali alternativi non consente di ritenere processualmente certo il rapporto di causalità e dunque di attribuire, sotto il profilo oggettivo, l'evento all'imputato.

In giurisprudenza, si è, in proposito, precisato però che il giudice deve adeguatamente motivare la conclusione sulla possibile esistenza di fattori alternativi di spiegazione dell'evento e che lo stesso non può contrapporre ai dati di fatto accertati mere congetture per ipotizzare tali spiegazioni alternative (Sez. 4, Sentenza n. 20560 del 02/03/2005, Herreros, Rv. 231356); mentre le Sezioni Unite hanno ribadito che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sulla base dell'analisi delle connotazioni del fatto storico e delle peculiarità del caso concreto. (Sez. U., n. 38343 de/ 24/04/2014, Rv. 261103, sopra citata).

4.5 In tale contesto, il principio dell'oltre il ragionevole dubbio segna il limite del ragionamento probatorio, non il requisito di validità della legge scientifica di copertura; difatti il principio stesso rappresenta nient'altro che, a contrario, la verifica del grado di probabilità logica attribuibile al ragionamento sulla base delle prove raccolte, nonché del collegamento tra il fatto concreto e l'ipotizzata spiegazione causale.

Ed invero, intanto tale ragionamento può ritenersi dotato di elevato grado di probabilità logica e idoneo, pertanto, a supportare il convincimento della sussistenza del nesso causale con "elevato grado di credibilità razionale", in quanto non permanga un "dubbio ragionevole" (ossia, non meramente congetturale) che l'evento possa essere stato determinato da una causa diversa.

Non è possibile, dunque, invocare il principio dell'oltre il ragionevole dubbio per determinare la validità della legge di copertura, poiché in tal modo si confonde il piano processuale con quello sostanziale e si attribuisce valenza probatoria fattuale ad una regola di giudizio che rappresenta, appunto, un canone logico di ragionamento e non un'evidenza concreta (in tal senso si esprime la richiamata sentenza n. 9695 del 2014).

In altre parole, il giudice ha il dovere di verificare il nesso di causalità secondo le regole della sussunzione della causalità entro leggi scientifiche universali sufficientemente valide e in tale operazione deve lasciarsi guidare dal criterio di alta probabilità logica della spiegazione causale ipotizzata, ma non può usare, per validare la propria verifica, il canone logico del ragionevole dubbio, che, invece, si manifesta all'esito di tale verifica, come piano di sintesi logico-giuridica degli accertamenti di fatto già svolti, alla luce dell'art. 533 cod. proc. pen.

Conseguendone quindi, dalle predette considerazioni, la conclusione in base alla quale in tema di responsabilità del sanitario per omissione, l'accertamento del nesso causale, ed in particolare il giudizio controfattuale necessario per stabilire l'effetto salvifico delle cure omesse, deve essere effettuato secondo un giudizio di alta probabilità logica, tenendo conto non solo di affidabili informazioni scientifiche ma anche delle contingenze significative del caso concreto, ed in particolare, della condizione specifica del paziente (Sez. 4, n. 10175 del 04/03/2020, Bracchitta, Rv. 278673; Sez. 4, n. 33230 del 18/11/2020, Campo, Rv. 280074; Sez. 4, n. 28182 del 06/07/2021, R., Rv. 281737), conseguendone che l'esistenza del nesso causale può essere ritenuta quando l'ipotesi circa il sicuro effetto salvifico dei trattamenti terapeutici non compiuti sia caratterizzata da elevata probabilità logica, ovvero sia fortemente corroborata alla luce delle informazioni scientifiche e fattuali disponibili (Sez. 4, n. 32121 del 16/06/2010, Chiodo, Rv. 248210).

5. In tale quadro concettuale, deve ritenersi che i giudici di merito si siano adeguatamente confrontati con i predetti principi; mentre, d'altro canto, le considerazioni poste alla base del motivo di ricorso appaiono frutto di un'impropria sovrapposizione tra la nozione di alta probabilità logica e quella di ragionevole dubbio, a propria volta fondata sulla configurazione meramente ipotetica e congetturale - e non sostenuta da adeguati elementi logici - in ordine alla presenza di un decorso causale alternativo rispetto a quello configurato nella pronuncia impugnata.

In particolare, deve ritenersi che, nel caso di specie, le sentenze di merito - con motivazione immune dal denunciato vizio di illogicità - abbiano dato compiutamente conto tanto della sussistenza della condotta colposa contestata al sanitario (perfezionatasi in senso omissivo) tanto del nesso di causalità sussistente tra la condotta omissiva medesima e l'evento letale con un complessivo percorso 1 argomentativo pienamente aderente ai suddetti postulati.

Tanto con specifico riferimento ai principi applicabili in caso di responsabilità derivante da un'omissione diagnostica, in relazione alla quale il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, ove eseguita, avrebbe potuto evitare l'evento, si richiede il preliminare accertamento di ciò che è naturalisticamente accaduto (c.d. giudizio esplicativo), mentre il giudizio controfattuale (c.d. giudizio implicativo) comporta la necessaria valutazione sul potenziale carattere salvifico della condotta doverosa omessa, sulla base di un giudizio ipotetico fondato alla luce del paradigma indiziario disponibile imperniato sulla verifica, anche empirica, ma scientificamente condotta, di tutti gli elementi di giudizio disponibili, criticamente esaminati (Sez. 4, n. 29889 del 05/04/2013, De Florentis, Rv. 257073; Sez. 4, Sentenza n. 16843 del 24/02/2021, Suarez Cardenas, Rv. 281074; Sez. 4, n. 416 del 12/11/2021, dep. 2022, Castriotta, Rv. 282559).

Nel caso di specie, deve quindi ritenersi che le sentenze di merito si caratterizzino per una motivazione immune dal denunciato vizio di illogicità; in particolare avendo compiutamente evidenziato i suddetti presupposti e con una valutazione pienamente calata nelle specifiche contingenze del caso concreto.

In via pregiudiziale, va rilevato come i giudici di merito abbiano univocamente ricondotto il decesso della paziente a un arresto cardiaco consecutivo a complicanza aritmetiche da infarto miocardico acuto in contesto di cardiopatica ischemica cronica in soggetto affetto da ipertensione arteriosa, tanto sulla scorta di quanto riferito dal consulente del p.m., le cui conclusioni sono state riportate nella sentenza di primo grado.

I giudici di merito hanno quindi provveduto, con valutazioni univoche e immuni da censure di carattere logico - e con le quali, di fatto, il motivo di ricorso ha omesso di confrontarsi adeguatamente - a esaminare i profili di colpa omissiva ravvisabili nei confronti dell'odierno ricorrente.

Specificamente, è stato rilevato che, a fronte dei sintomi manifestati dal paziente in sede di ingresso presso il Pronto Soccorso (dolore toracico irradiato con pregressi nausea e vomito) e dopo l'effettuazione di un elettrocardiogramma e del dosaggio della troponina sierica, l'imputato avesse disposto la dimissione del paziente nonostante le linee guida applicabili nel caso concreto - attesa anche la condizione di ipertensione riscontrata sul paziente stesso - imponessero di non limitarsi a tali accertamenti ma di procedere con una maggiore attenzione clinica; specificamente, attraverso il mantenimento del paziente sotto osservazione con ripetizione dell'esame ecocardiografico a del dosaggio della troponina dopo un intervallo di tre ore e - in caso di suo innalzamento oltre il 20% del valore medio di riferimento - con eventuale e successiva ospedalizzazione.

In tale quadro, quindi, i giudici di merito hanno univocamente concluso - con considerazioni conseguenti al suddetto sapere scientifico e intrinsecamente logiche - che l'imputato, in presenza degli elementi a propria disposizione, aveva posto in atto un'omissione diagnostica, in particolare omettendo di procedere a una diagnosi differenziale tra le patologie in grado di determinare un esito letale; aggiungendo che tale condotta doverosa sarebbe stata comunque necessaria anche in presenza di un elettrocardiogramma negativo, atteso che lo stesso può presentarsi privo di alterazioni anche in pazienti con dolore toracico conseguente a sindrome coronarica acuta.; così come il giudice di appello - in adesione alle argomentazioni dei periti - ha sottolineato l'irrilevanza del fattore, sottolineato dalla difesa, rappresentato dalla scomparsa del dolore toracico durante la permanenza nel Pronto Soccorso, atteso che le suddette profilassi dovevano ritenersi imposte dalle linee guida anche in tale evenienza.

Ulteriormente, sempre sulla base di quanto esposto dai periti, il Tribunale e la Corte hanno argomentato che la permanenza in ospedale del paziente, con la susseguente ripetizione del dosaggio della troponina e dell'esame ecocardiografico alle scadenze dovute, avrebbero consentito con ragguardevole certezza di diagnosticare la cardiopatia ischemica e di fronteggiarla con una ragionevole probabilità di successo; esponendo che proprio la permanenza dell'ospedalizzazione avrebbe, con ragionevole probabilità logica, determinato elevate probabilità di sopravvivenza.

Con conseguente e logica valutazione, i giudici di merito hanno quindi evidenziato un'univoca violazione dei criteri imposti dalle linee guida, concretizzatasi per avere omesso di tenere sotto osservazione il paziente e di disporre i dovuti approfondimenti diagnostici, anziché dimetterlo con la sola diagnosi di "algia toracica atipica" e la prescrizione inerente al mero controllo della pressione arteriosa.

A fronte di tale accertato comportamento omissivo, i giudici di merito hanno operato valutazioni che sono del tutto immuni dal denunciato vizio di omessa motivazione in ordine alla complessiva eziologia che ha portato al decesso della paziente e alla sussistenza del nesso causale con la predetta omissione diagnostica.

In particolare, i giudici di merito hanno congruamente rigettato l'argomentazione difensiva - riproposta, peraltro, in questa sede - in base alla quale, essendo il decesso intervenuto dopo alcune ore dall'intervento dell'imputato, l'evento avrebbe dovuto essere attribuito a una, non meglio specificata, serie causale alternativa, proprio sulla base della considerazione che - visto il tempo relativamente ristretto intercorso tra primo accesso al Pronto Soccorso e crisi cardiaca fatale - la permanenza dell'ospedalizzazione avrebbe invece consentito di fronteggiarla adeguatamente.

La difesa ha altresì censurato di intrinseca illogicità le argomentazioni delle sentenze di merito nella parte in cui hanno valutato come il paziente, al momento dell'arrivo presso il Pronto Soccorso, presentasse un rischio di mortalità relativamente basso pur essendo il decesso intervenuto dopo poche ore dalle dimissioni.

Quello che, secondo l'assunzione difensiva, si presenterebbe come un'aporia logica della sentenza è stato invece adeguatamente e coerentemente esplicitato dalle pronunce di merito, anche attraverso la riproduzione di quanto dichiarato dai periti in sede di esame orale.

Specificamente, i giudici di merito - con argomentazioni reciprocamente coerenti sul piano intrinseco - hanno rilevato che il livello basso dell'iniziale profilo di rischio (con elevate probabilità di sopravvivenza in caso di eventuale crisi) era da ritenere strettamente collegato proprio al rigoroso rispetto delle linee guida e, quindi, alla permanenza dell'ospedalizzazione e alla ripetizione degli esami; divenendo il rischio elevato, come poi - di fatto - concretizzatosi,, proprio in presenza della condotta colposa costituita dalle intempestive dimissioni del paziente.

6. Conclusivamente, i giudici di merito hanno concluso, con valutazioni di fatto intangibili in questa sede e basate sul sapere scientifico esaminato, che la patologia che ha determinato l'esito letale fosse in corso di sviluppo al momento dell'intervento dell'imputato e che il rispetto del corretto percorso diagnostico avrebbe consentito in termini tempestivi - mediante l'effettuazione di un ecocardiogramma e la ripetizione del dosaggio della troponina, presupponenti l'osservazione successiva del paziente - di giungere a una corretta e precoce diagnosi, la quale avrebbe a propria volta consentito di evitare l'evento con un margine probabilistico che i periti (con valutazione fatta propria dai giudici di merito) hanno ritenuto prossimo a quello della certezza.

Deve quindi ritenersi che la valutazione compiuta dai giudici di merito sia pienamente aderente e rispettosa rispetto al corpus di principi sopra riassunti; avendo gli stessi operato un coerente giudizio in punto di sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva e l'evento, sulla base del citato criterio di alta probabilità logica calato nella circostanze del caso concreto, con conseguente formulazione di una coerente conclusione in punto della rilevanza della condotta doverosa omessa e - quindi - di giudizio controfattuale.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

L'imputato va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di legittimità e che vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Ma.Ag., Me.Ca. e Me.Se. in questo giudizio di legittimità e che liquida in Euro 4.800,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2024.

Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2024.

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