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Detenuta in carcere può ottenere i domiciliari per accedere alla procreazione assistita?

Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.5182 del 13/10/2023 (dep. 06/02/2024)

Una detenuta può ottenere la sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari per accedere alla procreazione medicalmente assistita (PMA)?

Questa è la domanda al centro della sentenza n. 5182 depositata dalla Corte di Cassazione il 6 febbraio 2024.

Il caso di specie riguardava una donna accusata di partecipazione a un clan camorristico e sottoposta a custodia cautelare, la quale aveva chiesto di essere posta agli arresti domiciliari per poter effettuare una procedura di PMA, invocando una presunta violazione dell'art. 2 della Costituzione.

La detenuta sosteneva l'impossibilità di procreare naturalmente a causa di una patologia diagnosticata, affermando che la PMA, vista la sua complessità, richiedeva la sua presenza in un centro specializzato esterno all'amministrazione penitenziaria. Proponeva quindi la misura degli arresti domiciliari in un'abitazione non collegata al contesto criminale come unica soluzione idonea.

La Corte ha valutato il ricorso come infondato, evidenziando come il diritto alla procreazione e alla maternità, sebbene costituzionalmente garantiti, abbiano un'estensione diversa per i soggetti in detenzione rispetto a quelli in stato di libertà. Le leggi che regolamentano la custodia cautelare non offrono una tutela esplicita al diritto alla procreazione, e la volontà di accedere alla PMA non è considerata una condizione medica che giustifichi una modifica della misura detentiva. Occorre perciò procedere ad un bilanciamento tra interesse individuale e interesse collettivo.

Nella vicenda in esame, data la gravità delle accuse e i forti indizi di colpevolezza, prevale l'esigenza di tutela della collettività. Il "ruolo nevralgico" ricoperto dall'imputata all'interno dell'organizzazione camorristica enfatizza ulteriormente questa necessità, giustificando il mantenimento della custodia cautelare in carcere.

In conclusione, la decisione della Corte di Cassazione ribadisce che il desiderio di accedere alla procreazione assistita non può essere motivo valido per alterare la misura della custodia cautelare in contesti di grave criminalità, confermando così il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Cassazione penale sez. II, sentenza 13/10/2023 (dep. 06/02/2024) n. 5182

RITENUTO IN FATTO


1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli, in sede cautelare, ha rigettato l'appello proposto dalla ricorrente avverso il provvedimento con il quale, a sua volta, il GUP del medesimo Tribunale, con ordinanza del 20 febbraio 2023, aveva respinto l'istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, misura applicata nei confronti dell'imputata in relazione al reato di cui all'art. 416-ó/s cod.pen., essendo la Gi.Te. accusata di partecipazione all'omonimo clan camorristico.

2. Ricorre per cassazione Gi.Te., deducendo, con unico motivo, violazione dell'art. 2 Cost., per non avere il Tribunale riconosciuto come inviolabile il manifestato diritto della ricorrente di procedere alla fecondazione medicalmente assistita, effettuabile, vista la complessità della procedura e come da certificazione prodotta proveniente dal Centro Fertilità Assistita di Napoli, solo in regime di arresti domiciliari con autorizzazione a recarsi presso l'indicato centro e non in altro luogo di cura dell'Amministrazione Penitenziaria, circostanza che renderebbe incompatibile la massima misura cautelare.

La ricorrente avrebbe provato la sua impossibilità di procreare per le vie naturali, a causa di una patologia pregressa e diagnosticata, sottolineando che l'unica misura idonea degli arresti domiciliari verrebbe scontata presso un'abitazione di terzo soggetto, indicato dalla ricorrente, sganciato dal contesto criminale di riferimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

1.Nel caso specifico, la ricorrente, in stato di custodia cautelare in carcere, si duole della decisione del Tribunale di non averle consentito, attraverso la sostituzione della misura custodiale in carcere con quella degli arresti domiciliari, la possibilità di accedere alla procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa, mediante donazione di ovociti attraverso trasferimento di embrioni presenti e crioconservati presso il Centro Fecondazione Assistita di Napoli ove la paziente è in cura dall'aprile 2021.

2.E' vero che il diritto alla procreazione ed alla maternità rientrano tra quelli costituzionalmente garantiti, ai sensi degli artt. 2,31 e 32 Cost.

Basti richiamare, in proposito, alcuni passaggi della sentenza della Corte cost. n. 162 del 2014 che è intervenuta su questioni inerenti alla costituzionalità di alcuni articoli della legge n. 19 febbraio 2004 n, 40 recante norme in materia di procreazione assistita ("la scelta di una coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2. 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare".

In altro passaggio, a proposito della disciplina della fecondazione assistita: "la disciplina in esame incide, inoltre, sul diritto alla salute, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, va inteso "nel significato, proprio dell'art. 32 Cost., comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica" (sentenza n. 251 del 2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003) e "la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica" (sentenze n. 167 del 1999). Peraltro, questa nozione corrisponde a quella sancita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale "Il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano" (Atto di costituzione dell'OMS, firmato a New York il 22 luglio 1946).

3. Tuttavia, l'estensione di un diritto costituzionalmente garantito non è identica per il soggetto in stato di libertà ed il soggetto in stato di detenzione.

Lo stato di detenzione e le norme che ne regolano in concreto le modalità, per loro natura, comprimono del tutto o determinano limitazioni di alcuni diritti costituzionalmente garantiti, primo fra tutti e ovviamente, il diritto alla libertà personale di cui all'art. 13 Cost., quello di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale (art. 16 Cost.) quello alla libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) o alla libertà e segretezza della corrispondenza (art. 15 Cost.).

4. Le norme processuali che regolano il regime della custodia cautelare in carcere, non apprestano diretta tutela al diritto alla procreazione, limitandosi a stabilire che non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere se la persona è affetta (in disparte il rilievo dell'AIDS o di altre malattie che provocano deficienza immunitaria) da malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere (art. 275, comma 4-bis cod. proc. pen.).

E' evidente che la volontà di accedere alla procreazione medicalmente assistita non rientra nel concetto di malattia (men che mai particolarmente grave), come non vi rientra il fatto, documentato nella specie, che la ricorrente non possa avere figli per le vie naturali.

Con la conseguenza che, nel caso in esame, essendo la ricorrente indagata in ordine al reato di cui all'art. 416-ò/s cod.pen., una volta accertata la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza - sulla quale non vi è questione in questa sede - l'unica misura adeguata per legge è quella della custodia cautelare in carcere, ai sensi dell'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.

5. E, però, la presenza di un diritto costituzionalmente garantito impone ugualmente una valutazione idonea a contemperare adeguatamente l'interesse del singolo con l'interesse della collettività.

A tale opera di mediazione si sono ispirate le decisioni di questa Corte che anche la ricorrente ha ricordato nel suo ricorso.

Nella sentenza Sez. 1, n. 7791, del 30/01/2.008, Madonia, Rv. 238721, è stato stabilito che, in relazione alla richiesta del condannato di ammissione al programma di procreazione medicalmente assistita, il magistrato di sorveglianza è tenuto a pronunciarsi, valutando la tutelabilità concreta della pretesa avanzata, secondo un criterio di proporzione tra esigenze di sicurezza sociale e penitenziaria e interesse della singola persona (Fattispecie nella quale il magistrato di sorveglianza aveva dichiarato non luogo a provvedere in ordine al reclamo proposto da un condannato in regime di 41 bis O.P. avverso il diniego del D.A.P. di consentirgli l'accesso al programma di procreazione assistita, ancorché risultasse medicalmente accertata una patologia giustificativa del trattamento invocato).

Tuttavia, in quella circostanza, non era in discussione, al contrario che nel caso in esame, se il detenuto dovesse o meno uscire dal carcere per sottoporsi al programma di fecondazione assistita, quanto, piuttosto, se potesse essere veicolato il suo liquido seminale fuori dalla struttura penitenziaria per poi essere sottoposto ai relativi trattamenti.

Lo stesso criterio di contemperamento aveva guidato la decisione contenuta nella successiva sentenza Sez. 1, n. 11259 del 21/01/2009, U. Rv. 243345.

6. Seguendo tale impostazione generale, che il Collegio ritiene del tutto ragionevole, deve rilevarsi ancora che l'ottenimento dell'equilibrio tra gli interessi in gioco non può che essere operazione rimessa alle valutazioni del caso concreto ed alla discrezionalità del giudice.

5. Nel caso in esame, il Tribunale (e, in modo ancora più approfondito il primo giudice, alla cui decisione l'ordinanza impugnata si richiama proprio in relazione al criterio di fondo da adottare), con motivazione tratta dai fatti del procedimento e, quindi, dal merito del giudizio non rivedibile in questa sede, ha sottolineato come le esigenze di tutela della collettività dovessero prevalere su ogni altro dato di segno contrario, posto che l'indagata era risultata ricoprire un "ruolo nevralgico" all'interno di un importante sodalizio criminale di tipo camorristico suo omonimo (in quanto figlia del capoclan oltre che moglie dell'attuale reggente), il cui inserimento pieno era stato conclamato già da due precedenti condanne per il reato di cui all'art. 416-b/s cod.pen. e da indici del fatto che ella avesse condiviso la reggenza del clan in periodo successivo, per di più dopo essere stata scarcerata nel dicembre del 2019, a dimostrazione di una pervicacia criminale resistente a qualunque coercizione.

Alla luce di questi elementi, che il ricorso neanche mette in discussione sotto il profilo indiziario e che superano ed assorbono ogni altra obiezione difensiva, il provvedimento impugnato risulta immune da violazioni di legge. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.

Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 13 ottobre 2023. 

Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2024.

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