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Triage in pronto soccorso: l'infermiere deve monitorare il paziente anche in codice verde

Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.15076 del 12/02/2025 (dep. 16/04/2025)

Il triagista può limitarsi alla sola rilevazione dei parametri vitali per pazienti classificati in codice verde?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15076 del 16 aprile 2025, ha risposto di no, chiarendo che anche in caso di codice verde, l'infermiere ha il dovere di effettuare un monitoraggio clinico continuo.

Il caso riguarda una paziente affetta da asma che si era presentata in pronto soccorso con crisi respiratoria. Nonostante la saturazione di ossigeno inizialmente normale, l'infermiera attribuiva il codice verde senza approfondire ulteriormente le condizioni cliniche. La mancata sorveglianza e il ritardo nell'intervento portarono al decesso per arresto cardio-respiratorio.

Secondo le linee guida sul triage adottate dalla Conferenza Stato-Regioni il 25 ottobre 2001, l'infermiere deve:

  • Raccogliere dati clinici e informazioni anche da familiari e soccorritori.

  • Rilevare parametri vitali, ma anche osservare sintomi manifesti.

  • Valutare complessivamente l'urgenza clinica, anche dopo l'assegnazione del codice.

Inoltre, la Cassazione ribadisce che l'infermiere, pur non formulando diagnosi, ha una posizione di garanzia ex artt. 2 e 32 Cost. e deve garantire la protezione della salute del paziente, monitorandolo costantemente durante l'attesa.

Nel caso concreto, l'infermiera aveva assegnato il codice verde basandosi solo sulla saturazione, omettendo di descrivere lo stato fisico della paziente (difficoltà respiratorie, trasporto in carrozzina, disfonia) e senza indagare su eventuali allergie che, come poi accertato, erano la causa scatenante della crisi.

La Corte ha ritenuto che, rispettando correttamente le linee guida (descrizione completa delle condizioni cliniche, continua sorveglianza dei parametri vitali, prontezza nell'allertare il medico), il peggioramento sarebbe stato rilevato tempestivamente, consentendo un intervento salvifico.

La Corte ha inoltre confermato la corretta ricostruzione del giudizio di alta probabilità logica tra la condotta omissiva e l'evento morte, secondo i principi giurisprudenziali elaborati a partire dalla sentenza Franzese.

La pronuncia in esame chiarisce che anche un paziente in codice verde richiede un'attività di osservazione clinica continua da parte dell'infermiere di triage.

Cosa ci portiamo a casa? Non basta rilevare i parametri vitali: è necessario monitorare attivamente i sintomi e ascoltare il paziente e i familiari. Perché, come ci ricorda l'esperienza, "verde" non è sinonimo di "sicuro". Meglio sempre controllare... prima che il semaforo cambi troppo tardi!

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Cassazione penale, sez. IV, sentenza 12/02/2025 (dep. 16/04/2025) n. 15076

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa in data 10 aprile 2019 dal Tribunale di Livorno, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Va.Al. per intervenuta prescrizione del reato, confermando la condanna al risarcimento del danno subito dalle parti civili costituite, in solido con il responsabile civile ASL-Toscana Nord Ovest, per il reato di cui all'art. 589 cod. pen. Alla predetta, in qualità di infermiera professionale in servizio presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di Cecina, in turno nella notte tra il 16 e il 17 marzo 2012, era stato contestato di aver omesso di valutare correttamente la gravità del quadro clinico di An.Ir., soggetto asmatico, nel momento di ingresso al P.S., attribuendole così un codice di accesso di colore verde, circostanza che determinò un ritardo nell'intervento medico, causa della morte della paziente per arresto cardio-respiratorio dovuto ad "insufficienza respiratoria acuta da attacco asmatico di tipo 2".

2. I fatti sono stati così ricostruiti dai giudici di merito. Il 16 marzo 2012, poco prima di mezzanotte, An.Ir. si faceva accompagnare dai familiari al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Cecina a causa di un forte attacco di asma, patologia di cui soffriva da tempo. Accompagnata all'interno mediante sedia a rotelle, rispondeva quindi alle domande dell'imputata Va.Al., infermiera addetta al triage, la quale, ritenendo di assegnare alla paziente un codice di accesso di colore verde (indice di differibilità), la conduceva in un'altra stanza in attesa dell'intervento del medico di turno in quel momento impegnato con un altro paziente. La sorella della An.Ir., rimasta ad assistere, riferiva che per circa tre quarti d'ora nessun sanitario si era recato a controllare le condizioni della donna nonostante manifestasse ancora difficoltà respiratorie. Al termine della visita del precedente paziente, interveniva il dr. Gi. che, compresa la gravità del quadro clinico, decideva di trasferire la An.Ir. in un'altra stanza e poi nella shock-room. L'intervento medico non riuscì comunque a impedire il decesso della donna per arresto cardio-respiratorio alle ore 1.33.

3. Secondo i giudici del merito, l'imputata aveva omesso di attenersi alle linee-guida nella valutazione di triage effettuata su An.Ir., avendo indicato nella relativa scheda soltanto alcuni dei parametri previsti, sottovalutando il grave stato di insufficienza respiratoria in cui versava la paziente e basandosi unicamente sulla rilevazione di un positivo valore di ossigenazione del sangue (dato scarsamente rilevante nel caso di specie). In particolare, aveva omesso di includere una descrizione delle condizioni fisiche della donna (rese note dai suoi familiari nonché confermate da una teste casualmente presente sul posto): ciò sarebbe stato fondamentale per consentire al medico di intervenire anticipatamente ed evitare il decorso della crisi respiratoria in atto. Inoltre, la Corte d'Appello riteneva che se l'imputata avesse monitorato le condizioni della paziente, avrebbe sicuramente rilevato il peggioramento delle stesse e allertato di conseguenza il personale medico. In conclusione, il Collegio riteneva responsabile l'imputata per aver agito con negligenza e imperizia, consistenti nell'aver compilato la scheda di triage in modo scorretto e incompleto, circostanza che impediva un intervento medico tempestivo e un anticipo nella somministrazione della terapia, che avrebbero evitato il decesso della paziente.

4. Con due distinti ricorsi, la sentenza della Corte d'Appello di Firenze è stata impugnata da Va.Al. e il responsabile civile ASL-Toscana Nord Ovest a mezzo di comune difensore, che ha articolato i medesimi motivi per ambedue le parti ricorrenti.

5. Con il primo motivo, si denuncia violazione dell'art. 43, primo comma, cod. pen., dell'art. 590 sexies cod. pen e delle Linee Guida pubblicate nella Conferenza Stato - - Regioni del 25 ottobre 2001, quale precetto integrativo della norma penale. La Corte di appello aveva affermato la responsabilità dell'imputata sulla base di un'erronea applicazione della disciplina in materia di triage. L'esame della scheda compilata dall'infermiera dimostrava invece che la stessa, nell'attribuzione del codice, aveva seguito le linee guida previste in presenza di paziente con difficoltà respiratoria. La sentenza impugnata aveva quindi errato nell'individuare la regola o il criterio di diligenza professionale violati dalla Va.Al. o le norme che aveva omesso di osservare. I dati anamnestici omessi (quali difficoltà di movimento e tempo trascorso dall'inizio dell'attacco asmatico), che secondo i giudici di merito renderebbero tale scheda incompleta, non sono inclusi tra quelli rilevanti in base alla disciplina applicabile. Trattandosi di valutazione infermieristica, la Va.Al. si era correttamente limitata a descrivere il quadro dei sintomi da essa rilevati e riferiti dall'An.Ir., nonché previamente selezionati secondo il format della scheda (paziente cosciente, disfonia, sibili, segni di ipossia, frequenza cardiaca, debitamente rilevati) risultando fuori dalle sue competenze la possibilità di formulare una diagnosi circa la patologia della paziente. Né rientrava nelle competenze infiermieristiche stabilire se si trattasse di asma allergica, come erroneamente ritenuto dai giudici di merito. Nemmeno i CT del Pm avevano mosso critiche alla descrizione dei sintomi obiettivati dalla An.Ir. La Corte territoriale aveva altresì omesso di valutare quanto sostenuto dal CTP prof. Pa., il quale, sulla base di opportuna documentazione, aveva dimostrato l'assenza di una regola che prescriva al triagista di attribuire un codice rosso o giallo ad ogni paziente che presenti difficoltà respiratoria in assenza di ulteriori elementi oggettivi idonei a sostenere una prognosi di gravità (come nel caso di specie), ed aveva altresì evidenziato che, sempre secondo le Linee guida regionali, non deve farsi luogo ad un codice giallo in caso di difficoltà respiratoria in assenza di elementi quali dispnea preceduta da sincope, rumori respiratori udibili, dolore toracico. Inoltre la Corte aveva confuso la difficoltà di alzare la voce con il sintomo, ben diverso, di disfonia che indica la difficoltà di controllare l'intonazione e il timbro di voce. I giudici di merito avevano ipotizzato una diversa condotta esigibile dall'imputata in contrasto sia con la normativa di settore che con le argomentazioni dei CT. del P.M., i quali ritenevano corretta la compilazione della scheda di cui trattasi.

6. Con il secondo motivo deducono vizio di motivazione. La Corte territoriale aveva trascurato di piegare in base a quali dati scientifici, oPi.Ri.ioni dei consulenti o altre valutazioni avesse ritenuto che la difficoltà nell'alzare il tono della voce dovesse qualificarsi come "disfonia", termine medico che qualifica una specifica alterazione patologica della voce. La Corte aveva travisato la deposizione della infermiera Pi.Ri., che non aveva mai affermato, nel corso della deposizione resa in dibattimento, che l'infermiera aveva l'obbligo di diagnosticare la tipologia di asma, ossia se si trattasse di asma allergica. Inoltre, era del tutto congetturale l'affermazione per cui la Va.Al. avesse omesso di annotare allergie che le sarebbero state riferite, essendo stato accertato che la An.Ir. aveva semplicemente detto di essere asmatica. Pertanto, si ritengono del tutto illogiche le considerazioni dei giudici di merito secondo cui le informazioni non fornite avrebbero impedito di rilevare con prontezza una patologia più grave di quella descritta, trattandosi di ipotesi prive di riscontro obiettivo. Parimenti irragionevole appariva l'attribuzione all'imputata di una condotta di sottovalutazione del rischio e di attribuzione di una sintomatologia da attacco di panico, in realtà riferita dalla sorella della An.Ir. Da plurime dichiarazioni testimoniali emergeva che la Va.Al. aveva provveduto a monitorare le condizioni della paziente, diversamente da quanto sostenuto dalla sorella che, però, non era stata continuativamente presente all'interno della stanza.

7. Con il terzo motivo lamentano violazione di legge in relazione all'attribuzione di responsabilità sulla base di riferimenti temporali incerti. Infatti, non vi era omogeneità di vedute circa la collocazione temporale della visita medica e sull'effettiva incidenza determinata dall'attribuzione di codice verde. La Corte aveva osservato che non vi era motivo alcuno per dubitare che il dr. Gi. avesse terminato la visita in corso prima di procedere con la nuova paziente subito dopo le ore 00.25. I giudici del merito erano incorsi in un travisamento delle risultanze processuali rilevando che l'orario annotato sulla scheda del paziente precedente coincidesse con la chiusura della stessa; si trattava, invece, dell'orario di stampa, così come l'orario indicato nella scheda di An.Ir. (00.29) rappresentava l'orario in cui a posteriori il medico aveva annotato la terapia già somministrata.

La visita invece era iniziata alle ore 00.16, sicché l'attribuzione del codice verde non aveva avuto alcuna incidenza causale, poiché i tempi di intervento si erano in realtà risolti nei 15 minuti, coincidenti con l'attribuzione di un codice giallo. Nel ragionamento sopra descritto, i giudici di merito erano incorsi in un manifesto travisamento delle risultanze processuali, essendo illogico che l'annotazione dei farmaci somministrati fosse avvenuta in corso di somministrazione, essendo invece plausibile che fosse stata annotata subito dopo.

8. Con un ultimo motivo viene dedotta violazione di legge in relazione all'accertamento del nesso di causalità tra condotta omissiva ed evento. La complessa tematica della rilevanza causale del ritardo era stata superficialmente motivata. Innanzitutto, bisognava considerare che, anche se l'infermiera avesse deciso di discostarsi dalle linee guida, in ogni caso, in assenza di grave compromissione in atto dei parametri vitali, avrebbe al massimo attribuito un codice giallo, il quale non avrebbe presumibilmente condotto il medico a interrompere la visita in corso né, quindi, ad anticipare la diagnosi. Gli esiti dell'istruttoria dibattimentale, inoltre, non avevano comunque permesso di provare con elevata probabilità razionale che un'eventuale anticipazione di pochi minuti nella somministrazione della terapia avrebbe potuto evitare la morte della paziente. La valutazione di tali dati, corroborati da opportuna indicazione delle fonti da parte del CTP, è stata del tutto pretermessa dalla Corte territoriale, che aveva applicato in modo errato i principi della nota sentenza a SU Franzese.

9. Hanno presentato memoria le parti civili costituite Ca.Lo., An.Su., An.Ma., Me.Lu., insistendo per la inammissibilità del ricorso.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le doglianze formulate dai ricorrenti, perfettamente sovrapponibili, possono essere affrontate congiuntamente.

2. Lamentano i ricorrenti vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla esclusione del rispetto, da parte dell'imputata, delle linee guida in materia di Triage pubblicate nella Conferenza Stato, regioni del 25 ottobre 2001, in particolare rilevando la corretta compilazione della scheda triage e l'assenza di un obbligo, in capo al personale infiermieristico, di formulare una diagnosi.

3. La doglianza è infondata. Si rammenta, al riguardo, che l'art. 3, comma 1, del decreto legge n. 158/2012, limita la responsabilità degli esercenti la professione sanitaria ai soli casi di colpa grave laddove si attengano alle linee guida ed alle buone pratiche.

Nel caso di specie, i giudici di merito, in aderenza agli insegnamenti di questa Corte di legittimità (Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri, Rv. 266904), secondo cui la verifica del rispetto delle linee guida deve essere sempre compiuta per analizzare il grado della colpa, hanno compiuto detto accertamento, osservando che l'imputata aveva proceduto ad annotare i parametri vitali ma aveva omesso - così contravvenendo alle prescrizioni delle suddette linee guida - di annotare in modo completo la descrizione delle condizioni fisiche della An.Ir. e di valutare complessivamente l'urgenza del caso in base, tutta la sintomatologia riscontrata. Richiamando sul punto la requisitoria del Procuratore Generale, si osserva che le Linee guida invocate dai ricorrenti stabiliscono che" il triage deve essere svolto da un infermiere esperto e specificatamente formato, sempre presente nella zona di accoglimento del pronto soccorso ed in grado di considerare i segni e sintomi de! paziente per identificare condizioni potenzialmente pericolose per la vita e determinare un codice di gravità per ciascun paziente al fine di stabilire le priorità di accesso alla visita medica", nonché "l'attività del triage si articola in: accoglienza: raccolta di dati, di eventuale documentazione medica, di informazioni da parte di familiari e/o soccorritori, rilevamento parametri vitali e registrazione".

4. Come chiaramente si evince dal tenore testuale delle regole sopra riportate, al personale infermieristico compete non solo una completa raccolta di dati, non limitata alla rilevazione dei parametri vitali, ma compete altresì un giudizio di carattere valutativo dei sintomi riscontrati e riferiti. E tanto considerano compiutamente i giudici di merito, rilevando non solo come non si possa sostenere che il compito dell'infermiere si limiti alla meccanica compilazione delle schede, ma che, appunto, lo stato della paziente An.Ir., obiettivamente rilevabile, avrebbe dovuto condurre ad una valutazione di gravità del caso. Emerge dalla sentenza di primo grado, interamente condivisa e richiamata dalla sentenza impugnata e in questa sede esaminabile sotto il profilo argomentativo secondo i noti principi della ed " doppia conforme", che anche il personale infermieristico, seppur non competente a formulare la diagnosi, doveva procedere all'auscultazione mediante stetoscopio, potendo rilevare i " sibili" certamente presenti in un attacco di asma grave quale quello in corso, compilando correttamente la scheda di triage. E si osserva, al riguardo, che detta scheda è stata debitamente allegata dagli stessi ricorrenti, e dispone chiaramente la annotazione della presenza o meno di sibili in paziente con difficoltà respiratorie (pag. 31 del ricorso Azienda ospedaliera). Ancora, i giudici di merito (pag. 13 della sentenza di primo grado) rilevano che i due consulenti, prof. Pa. e dott.ssa Be., avevano chiarito che l'infermiere avrebbe dovuto cogliere, in base alle condizioni della paziente all'entrata del pronto soccorso (disfonia e ingresso in sedia a rotelle), il grado allarmante della situazione, alla quale aveva invece attribuito una origine di tipo ansioso. Sottolinea quindi la Corte territoriale che la Va.Al. aveva del tutto trascurato di annotare, sulla scheda di triage, che la paziente non era in grado di camminare, era trasportata sulla sedia a rotelle e presentava gravi difficoltà nel parlare (disfonia), elementi, questi, di strategica rilevanza per la valutazione della estrema urgenza del caso. Orbene, in ordine alle condizioni della An.Ir. al momento dell'arrivo al Pronto soccorso, il ricorso contiene - sotto il profilo del vizio della motivazione (cfr. pagg. 36- 47)- plurime censure circa la ricostruzione del fatto, concorde nelle sentenze di primo e secondo grado. I giudici di merito, infatti, valorizzano le dichiarazioni dalle quali emergeva che An.Ir. era giunta in Pronto Soccorso manifestando difficoltà nella deambulazione e nel linguaggio, esaminando il compendio delle testimonianze del padre e della sorella della vittima nonché di un'altra teste, indifferente, casualmente presente sul posto, e considerandole, sulla base di logiche e incensurabili valutazioni, del tutto attendibili rispetto alle dichiarazioni in senso contrario delle colleghe della Va.Al. Sul punto, i ricorrenti mirano essenzialmente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio, sollevando censure incompatibili con il presente giudizio di legittimità, a fronte del percorso argomentativo della sentenza impugnata, che non può considerarsi affetto né da illogicità, né da incongruità, né da contraddittorietà. Va allora ribadito che è preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).

5. Va ancora precisato - quanto alle valutazioni dei giudici di merito in ordine all'adesione ad una determinata tesi ritenuta preferibile tra quelle prospettate dai diversi consulenti - che, atteso il principio della libertà di convincimento del giudice e della insussistenza di un regime di prova legale, il giudice può scegliere, tra le varie tesi prospettate dai periti e dai consulenti di parte, quella che maggiormente ritiene condivisibile, purché illustri le ragioni della scelta operata in modo accurato attraverso un percorso logico congruo che il giudice di legittimità non può sindacare nel merito (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 46359 del 24/10/2007, Antignani, Rv. 239021, Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008 , Ghisellini, Rv. 241907 - 01; Sez. 5 - n. 43845 del 14/10/2022, Figliano, Rv. 283807 - 01).

6. Ciò posto, il percorso motivazionale della sentenza impugnata, aderendo all'iter logico seguito dalla sentenza di primo grado, argomenta in modo congruo ed esaustivo in relazione alla necessità che la Va.Al. compilasse la scheda dì triage in maniera più accurata, dando conto delle effettive condizioni della An.Ir. all'arrivo e includendo ulteriori informazioni, quali epoca di insorgenza dell'attacco asmatico, eventuali allergie e patologie pregresse nonché dati relativi a cibi o farmaci assunti che avrebbero potuto rendere chiara l'eziologia del disturbo. La annotazione dello stato della paziente al momento dell'arrivo e l'acquisizione di informazioni più precise avrebbero infatti depotenziato la rilevanza del positivo parametro relativo all'ossigenazione del sangue, evidenziando invece la chiara gravità della situazione. È invero pacifico (cfr. pag. 3 della sentenza di primo grado) che la An.Ir. soffriva, fin da bambina, di un'asma bronchiale di tipo allergico. La Corte di merito ha quindi motivatamente accolto la tesi dei consulenti del PM, i quali hanno concluso per l'univoca riferibilità del decesso ad "arresto cardio-respiratorio causato da insufficienza respiratoria acuta conseguente ad un attacco asmatico di tipo 2"., causato con ogni probabilità dalla ingestione, durante la cena, di sughi pronti che contengono solfiti, sostanze fortemente allergizzanti. La Corte territoriale ha valorizzato, in proposito, anche le risultanze della testimonianza resa alla infermiera Pi.Ri., la quale aveva riferito che, in caso di asma, il triagista assume informazioni circa il fatto se si tratti o meno di paziente allergico : sul punto, non si coglie il lamentato travisamento, posto che la stessa parte ricorrente riporta il contenuto della deposizione, in cui la Pi.Ri. precisa che in caso di asma si acquisiscono informazioni circa la tipologia di asma, ribadendo che si tratta di una raccolta di informazioni senza alcuna finalità di diagnosi.

7. Escluso l'avvenuto rispetto delle linee guida, va altresì rimarcata la gravità della condotta colposa della ricorrente, in quanto caratterizzata da sottovalutazione delle condizioni della paziente e dalla omissione del dovere di monitoraggio che, qualora osservato, avrebbe permesso di avvisare il personale medico dell'aggravarsi delle condizioni della paziente e della necessità di intervenire immediatamente. Va invero ribadito che, secondo principi costantemente affermati da questa Corte di legittimità, l'infermiere è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, gravando sullo stesso un obbligo di assistenza effettiva e continuativa del soggetto ricoverato, atta a fornire tempestivamente al medico di guardia un quadro preciso delle condizioni cliniche ed orientarlo verso le più adeguate scelte terapeutiche (Sez. 4, n. 21449 del 25/05/2022, dep. 2022, Rv. 283315). Il dovere di monitorare la stabilità delle condizioni dei pazienti presenti rientra, pertanto, tra gli obblighi specifici del personale infermieristico di pronto soccorso, il quale, nel caso in cui si verifichino particolari situazioni di emergenza, idonee a pregiudicare la salvaguardia del bene tutelato, ha l'obbligo di allertare i sanitari in servizio, anche in altri reparti dell'ospedale, al fine di consentirne l'intervento in supporto (Sez. 4, n. 11601 del 01/10/2014 - dep. 2015, Romero Fresneda e altro, Rv. 262702). I giudici di merito, facendo corretta applicazione del predetti principi, hanno sottolineato che la Va.Al., dopo aver attribuito il codice di colore verde (il quale fa riferimento ad una situazione poco critica, che consente la differibilità dell'intervento, non aveva continuato a monitorare la An.Ir., omettendo cosi di aggiornare i dati relativi a ossigenazione del sangue e frequenza cardiaca. Sul punto, i consulenti del P.M. avevano illustrato la necessità di un continuo monitoraggio nelle prime ore di insorgenza di un attacco asmatico al fine di effettuare prontamente un'emogasanalisi. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, i giudici del merito non attribuiscono autonomia valutativa e diagnostica all'infermiera, tenendo ben salda la distinzione tra le competenze del personale infermieristico e quelle del personale medico, ma ribadiscono l'obbligo di protezione ex lege per l'infermiere, espressione dell'obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex artt. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute deve tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l'integrità (Sez. 4, n. 39256 del 29/03/2019, Rv. 277192 - 01).

8. Residua da analizzare il profilo riguardante la sussistenza del nesso di causalità tra condotta omissiva ed evento. Come noto, nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (Sez. Un., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, Rv. 222138). Il giudizio di alta probabilità logica, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (ex multis, Sez. Un., n. 38343 del 24 aprile 2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261103; Sez. 4, n. 26491 del 11 maggio 2016, Ceglie, Rv. 267734).Tale ragionamento deve essere svolto in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (Sez. 4, n. 30469 del 13 giugno 2014, P.G., P.C., in proc. Jann e altri, Rv. 262239). Ai fini dell'imputazione causale dell'evento, pertanto, il giudice di merito deve tener conto delle peculiarità della fattispecie concreta, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento alternativo richiesto all'imputato.

9. Orbene, la Corte distrettuale ha adeguatamente effettuato il giudizio controfattuale in ordine alla portata salvifica del comportamento alternativo diligente, valorizzando i dati emersi dalle conclusioni di tutti i consulenti interpellati. In particolare, ha compiutamente argomentato che la condotta dell'imputata si poneva in diretto rapporto causale con il decesso di An.Ir.: nella specie, l'incompleta compilazione della scheda di triage e la mancanza di un successivo monitoraggio dei parametri vitali, utili a fornire al medico in tempi rapidi un quadro delle condizioni cliniche della paziente, hanno impedito una tempestiva somministrazione della terapia necessaria. A fronte di detta compiuta motivazione non è contestabile l'efficienza causale, rispetto all'evento morte, attribuibile alla condotta omissiva dell'imputata. La Corte territoriale ha invero osservato che l'assegnazione di un corretto codice di priorità, la segnalazione delle condizioni fisiche e della possibile natura allergica dell'attacco non avrebbe indotto il medico a visitare la paziente secondo il criterio di "differibilità" proprio del codice assegnato. In particolare, il Collegio ha considerato che i consulenti tecnici avevano chiarito che il dr. Gi. aveva intrapreso immediatamente il corretto percorso diagnostico e terapeutico senza, però, riuscire ad evitare l'evento, essendo gli arresti respiratorio e cardiaco sopravvenuti prima dei quindici minuti necessari a consentire che i farmaci iniziassero a produrre il loro effetto. In proposito, non incorre in alcun errore logico la ricostruzione della tempistica operata dalla Corte territoriale che, sul punto, ha compiutamente risposto alle doglianza dei ricorrenti, riproposte in questa sede. In proposito, le argomentazioni dei giudici di merito chiariscono come non poggi su alcuna plausibile evidenza probatoria la tesi secondo cui il dott. Gi. avesse iniziato a visitare la An.Ir. alle 00.16, anziché dopo le 00.25. La Corte spiega con dovizia di argomentazioni che l'orario delle 00.16 è quello in cui risultava terminata la visita del dott. Gi. al paziente Ma., mentre l'orario delle 00.25 è quello in cui risulta chiusa la scheda del paziente Ma., dimesso quella sera. I giudici di merito rilevano, con indiscutibile forza logica, che non sarebbe in alcun modo sostenibile che il medico, dopo aver preso in carico una paziente palesemente gravissima (alle 00.16) la avesse poi momentaneamente tralasciata per chiudere la scheda del paziente in dimissione (00.25). È invece del tutto plausibile ed aderente alla realtà che il medico, dopo aver chiuso la pratica del paziente Ma., si sia totalmente dedicato alla An.Ir. (quindi dopo le 00.25), osservando altresì che detta ricostruzione è pienamente compatibile non solo con le dichiarazioni dei familiari di An.Ir., ma anche con l'annotazione del referto da parte dell'anestesista, secondo cui egli sarebbe stato chiamato dal Pronto soccorso alle ore 00.45. Anche su tale punto, in definitiva, la parte ricorrente sollecita una inammissibile rilettura delle circostanze di fatto, già valutate in modo coerente e logico dalla Corte territoriale. Essendo dunque acclarata la tardività dell'intervento medico (avvenuto dopo circa 45 minuti dall'ingresso di An.Ir. al PS) risulta pienamente integrato il giudizio controfattuale: è invero evidente che, ove la Va.Al. avesse assegnato il codice corretto e segnalato fedelmente la situazione della An.Ir., anziché rilevare una mera " difficoltà respiratoria", la paziente avrebbe ricevuto in tempo utile la terapia, evitando l'ipossia fatale.

10. Si impone conclusivamente il rigetto di entrambi i ricorsi, cui segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili costituite.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione, in solido, delle spese di giudizio sostenute dalle parti civili che liquida come segue: complessivi Euro 4.800,00 in favore di Me.Lu., An.Ma. e An.Su.; Euro 3.000,00 in favore di Ca.Lo.; complessivi Euro 3.900,00 in favore di Ca.Ra. e Ca.Ca., per tutti oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma il 12 febbraio 2025.

Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2025.

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