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Estradizione in Turchia: i paletti della Cassazione

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.15109 del 12/03/2025 (dep. 16/04/2025)

Quali sono i problemi legati all’estradizione in Turchia?

La Cassazione penale, con la sentenza 16 aprile 2025 n. 15109, ha affrontato il caso di un cittadino curdo richiesto dalla Turchia per gravi reati comuni.

La questione principale è se si possa concedere l’estradizione senza una rigorosa verifica del rispetto dei diritti fondamentali dell’estradando.

Le regole e i principi in materia

Secondo la normativa applicabile (Convenzione Europea di Estradizione del 1957, ratificata con legge n. 300/1963) e l’art. 705 c.p.p., l’autorità giudiziaria italiana deve accertare:

  • la gravità indiziaria dei reati contestati;

  • la determinazione delle fonti di prova;

  • l’assenza di rischi di trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 3 CEDU.

La giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di Giustizia UE impone un controllo concreto e non meramente formale, basato su elementi oggettivi e aggiornati.

La decisione della Corte

Nel caso di specie, i giudici hanno rilevato diversi profili critici:

  • Le accuse contro il cittadino curdo erano poco determinate e fondate su prove incerte.

  • La Corte di appello di Roma aveva basato la decisione su procedimenti penali italiani non sovrapponibili ai reati contestati in Turchia.

  • Non era stata effettuata una valutazione adeguata della condizione personale dello straniero come appartenente all’etnia curda e alla religione alevita, con possibili rischi di persecuzione politica.

  • Le condizioni delle carceri turche presentano un rischio sistemico di trattamenti disumani o degradanti, confermato da numerosi rapporti internazionali (Parlamento europeo, Commissione europea, Amnesty International, CPT).

La Corte ha sottolineato che non si può accettare passivamente le rassicurazioni formali dello Stato richiedente, ma occorre una verifica fondata su decisioni giudiziarie, rapporti internazionali e fonti indipendenti.

La Cassazione ha quindi annullato la decisione favorevole all’estradizione e rinviato per un nuovo giudizio.

Conclusione

Con la pronuncia in esame, la Cassazione ha evidenziato che prima di concedere l’estradizione occorre:

  • Verificare la solidità delle prove e la determinazione delle imputazioni.

  • Accertare concretamente i rischi di violazione dei diritti fondamentali, considerando la situazione personale e politica dell’estradando.

  • Valutare le condizioni carcerarie con elementi oggettivi e aggiornati.

Il rispetto dei diritti fondamentali non può mai essere una formalità.

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Cassazione penale, sez. VI, sentenza 12/03/2025 (dep. 16/04/2025) n. 15109

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Roma ha dichiarato sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione presentata dall'autorità turca per dare esecuzione a quattro mandati di arresto, emessi dal Tribunale Penale di Istanbul, nei confronti di Bo.Bo., indagato nell'ambito di diversi procedimenti penali nello Stato richiedente per delitti di criminalità comune (associazione per delinquere, omicidio volontario, rapina con armi da fuoco) accertati in T negli anni 2022 e 2023.

La sentenza impugnata ha richiamato, innanzitutto, il precedente rifiuto all'estradizione nei confronti di Bo.Bo., disposto con sentenza del 21 marzo 2023 della Corte di appello di Bologna e confermato dalla sentenza della Sesta sezione penale numero 31588 del 2023, fondato su tre diversi profili: l'insufficienza della descrizione dei delitti ascritti al ricorrente; la condizione personale di Bo.Bo., appartenente all'etnia curda ed affiliato ad un partito filocurdo così da non potersi escludere che i delitti di criminalità comune nascondessero in realtà intenti di persecuzione politica; la situazione delle carceri turche, tali da profilare il grave rischio di trattamenti inumani e degradanti.

La pronuncia censurata ha ritenuto superate tutte le questioni poste dalla menzionata sentenza della Corte di cassazione in quanto nei confronti di Bo.Bo., ed altri, il 12 luglio 2024 il Tribunale di Milano aveva emesso un'ordinanza cautelare in carcere (acquisita dal Collegio) che contestava al ricorrente di essere il capo di un'associazione a delinquere armata, con ramificazioni organizzate in altri Paesi europei - dedita al traffico internazionale di armi e stupefacenti, di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, di omicidi e stragi, di riciclaggio, di falsificazione di documenti, di ricettazione ed autoriciclaggio, ecc.-, imputazione provvisoria ritenuta analoga a quella formulata dall'Autorità giudiziaria turca.

Inoltre, la Corte di appello di Roma ha valorizzato il decreto del 25 ottobre 2022 di rigetto della domanda di protezione internazionale (impugnato e non definito) emesso dalla Commissione territoriale di Bologna per assenza di prova dell'appartenenza all'etnia curda di Bo.Bo., alla religione islamica alevita, al partito curdo HDP, tanto da non esservi motivi di persecuzione.

Con riferimento, infine, al trattamento penitenziario, la sentenza impugnata ha dato atto che il 2 maggio 2024 si è tenuto un incontro in Italia, con i rappresentanti turchi, per la consegna del ricorrente in cui il Ministero della giustizia italiano ha chiesto informazioni più dettagliate sulla futura condizione detentiva di Bo.Bo. Dalla risposta pervenuta risulta che questi verrebbe destinato, in regime di massima sicurezza, al carcere di D nel quale sono rispettati gli standard internazionali disposti dalla Corte EDU e, comunque, la legislazione turca non consente discriminazioni in ragione dell'appartenenza etnica.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma Bo.Bo. ha presentato due ricorsi, sottoscritti dai difensori, con i motivi di seguito esposti nei limiti strettamente necessari ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

I ricorsi denunciano erronea applicazione dell'art. 705, comma 1, cod. proc. pen. in quanto il provvedimento impugnato, senza tenere in alcun conto degli argomenti difensivi, ha fondato la sussistenza dei presupposti per la consegna non sugli elementi indiziari del procedimento penale turco, in cui le dichiarazioni testimoniali sono state tutte ritrattate o smentite rispetto alla responsabilità del ricorrente, ma sulla base dei delitti contestati, commessi anche in Italia, e dell'attività investigativa posta a fondamento dell'ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Milano. Questa, peraltro, si è basata su sole intercettazioni, cui è estraneo il ricorrente, e indagini alle quali ha collaborato la polizia turca con condizionamenti dei testimoni per rendere dichiarazioni contro Bo.Bo., che confermano come la richiesta estradizione della T per reati comuni nasconda un chiaro intento persecutorio per l'attivismo politico del ricorrente in quanto indipendentista curdo.

Inoltre, l'appartenenza di Bo.Bo. all'etnia curda e ai suoi partiti di riferimento, che si oppongono all'attuale regime turco, risulta documentalmente: dal luogo di nascita, come confermato a pag. 5 della sentenza della Corte di cassazione numero 31588 del 2023; dall'iscrizione al partito curdo HDP a causa della quale ha subito minacce e dal finanziamento del PKK (partito dei lavoratori curdi); dai giornali in cui viene citato come appartenente a detta etnia; dalla conoscenza della lingua curda e della lingua degli Zaza, gruppo etnico che si considera curdo; dall'attentato subito il 18 marzo 2024 mentre si trovava agli arresti domiciliari a C, in cui l'articolo di un giornale italiano (allegato) adombra il coinvolgimento dei servizi segreti turchi.

Anche l'appartenenza di Bo.Bo. alla religione alevita risulta dal tatuaggio dei suoi simboli sul braccio sinistro.

In ordine, infine, al trattamento penitenziario presso il carcere di D la sentenza impugnata si è limitata ad un controllo meramente formale del rispetto dei parametri dovuti per evitare la violazione dell'art. 3 della CEDU, senza tenere conto delle note condizioni delle carceri turche.

Né può ritenersi che basti ad accertare il ripristino della tutela dei diritti fondamentali la notifica del ritiro della sospensione dell'applicazione della Convenzione europea dei diritti umani, avvenuta con lettera del Segretario generale del Consiglio d'Europa dell'8 agosto 2018, proprio alla luce dei rapporti di Amnesty International e Human Right Watch.

3. Con successiva memoria il difensore del ricorrente, Avvocato Fabrizio Cardinali, ha depositato ulteriori documenti dimostrativi dell'appartenenza di Bo.Bo. all'etnia curda e alle persecuzioni subite, alla sua qualità di mussulmano alevita, al suo attivismo politico; oltre che i report del 2024 dell'Associazione Avvocati per la libertà e della Commissione Europea sulle condizioni carcerarie in T e due sentenze, emesse rispettivamente dalla Corte di appello di Milano e dalla Corte di appello de L'Aquila, di rigetto della richiesta di estradizione per la T di due coindagati del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il ricorso è fondato.

2. Premesso che alla procedura in esame si applica la normativa prevista dalla Convenzione Europea di Estradizione del 1957, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 30 gennaio 1963, n. 300, in ordine al profilo posto dal ricorso, relativo alla gravità indiziaria dei delitti per i quali è stata richiesta l'estradizione, deve essere ribadito il consolidato indirizzo esegetico di questa Corte secondo il quale, nel procedimento estradizionale, l'autorità giudiziaria italiana pur dovendo operare una sommaria delibazione, ex art. 705 cod. proc. pen., delle ragioni per le quali è stato ritenuto probabile, sulla base degli atti prodotti e del contenuto stesso della domanda estradizionale, che vi siano elementi a carico dell'estradando in ordine ai reati contestati, deve comunque valutare la determinatezza delle contestazioni e delle fonti di prova (Sez. 6, n. 31588 del 14/06/2023, Bo.Bo., Rv. 285088; Sez. 6, n. 8636 del 30/01/2024, Aleyenik Danyl Sergeevich, Rv. 286074; Sez. 6, n. 18492 del 26/02/2020, Flosi, Rv. 279308; Sez. 6, n. 40552 del 25/09/2019, Trandate, Rv. 277560).

2.1. Nel caso di specie la domanda di estradizione presentata dalla T riguarda l'esecuzione di quattro mandati di arresto, di cui tre emessi il 25 gennaio 2024 dal Tribunale Penale di pace di Istanbul per i delitti di "costituzione di un'organizzazione finalizzata a commettere un reato", "omicidio intenzionale" e "saccheggio con armi da parte di più persone", fatti commessi il 31 agosto 2022; il quarto è un mandato di arresto emesso il 28 febbraio 2023 dal XVIII Tribunale Penale di Istanbul per "rapina in associazione con più persone, con armi e sfruttando il potere intimidatorio creato dall'organizzazione e con l'obiettivo di favorire l'organizzazione criminale" commesso a Istanbul nel 2022.

2.2. A prescindere dal dato, pur significativo, della non corrispondenza tra la data di commissione dei reati riportata nei mandati di arresto e quella contenuta nella richiesta di estradizione e nel rapporto di revisione del fascicolo del Pubblico ministero di Istanbul (si veda al riguardo la nota del Procuratore generale della Repubblica di Roma del 14 maggio 2024), l'autorità giudiziaria turca ha indicato una serie di condotte, soprattutto omicidiarie, materialmente consumate da soggetti diversi dal ricorrente, che sono state attribuite a questi sulla base delle dichiarazioni rese da altri coindagati che lo avevano indicato come capo dell'associazione mandante delle stesse.

Il provvedimento impugnato, alle pagine 11-14, ha testualmente riportato il contenuto delle indagini svolte dal Pubblico ministero turco a seguito dell'attentato del 15 novembre 2023 e dell'omicidio del 19 settembre 2023, prive di uno stringente collegamento con i delitti oggetto di estradizione attesa la valenza meramente assertiva delle conclusioni cui l'autorità richiedente è pervenuta.

2.3. Ne può ritenersi che i reati contestati in questa sede possano essere comprovati dall'attività investigativa svolta dalla Procura della Repubblica di Milano che ha condotto all'applicazione, da parte del Tribunale, della misura cautelare della custodia in carcere il 12 luglio 2024 nei confronti di Bo.Bo. ed altri per il delitto di associazione a delinquere pluriaggravata, dedita anche al traffico internazionale di armi, stupefacenti, omicidi e stragi, ramificata in diversi Paesi europei, non solo perché, anche in fatto, l'imputazione provvisoria (riportata alle pagg. 3-6 per il capo A) non appare affatto sovrapponibile o analoga a quella formulata dall'Autorità giudiziaria turca, diversamente da quanto ritenuto dal provvedimento impugnato, ma soprattutto perché i gravi indizi di colpevolezza, per ovvie ragioni anche sistematiche, possono essere valutati esclusivamente in base all'attività svolta dallo Stato richiedente.

2.4. Ne consegue che la capacità criminale di Bo.Bo., valorizzata dalla Corte di appello di Roma sulla base dei provvedimenti emessi dall'Autorità giudiziaria italiana, in relazione a condotte accertate anche nel nostro Paese (pagg. 19-24 in cui Bo.Bo. è gravemente indiziato di essere il mandante di omicidi ed attentati commessi anche con armi da guerra avvenuti soprattutto all'estero), non assume alcun rilievo in questa sede in quanto estranea all'oggetto del presente giudizio che si fonda sulla sola disamina degli elementi trasmessi dal Paese richiedente a corredo della domanda estradizionale.

3. In ordine al profilo relativo all'appartenenza di Bo.Bo. ad ambiti etnici, religiosi e politici tali da rendere effettivo il rischio che l'estradizione in T possa determinare la lesione di diritti fondamentali della sua persona, il provvedimento impugnato profila una vera e propria strumentalizzazione da parte dell'estradando di dette condizioni, ritenute non provate alla luce del rigetto dell'istanza di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Bologna e del contenuto dell'attività investigativa svolta nel procedimento penale milanese citato (pagg. 18-21 e pagg. 24-25).

3.1. La Corte di merito ha escluso che il ricorrente sia curdo e mussulmano alevita in quanto nel colloquio tenuto dinanzi alla Commissione territoriale aveva utilizzato la lingua zaza senza fornire adeguate motivazioni circa l'impossibilità di comunicare nella lingua di appartenenza della sua etnia, non aveva saputo rispondere a domande puntuali sulla sua religione e aveva prodotto tweet del suo profilo social del 2022 verosimilmente gestiti da altri, vista la sua condizione detentiva all'epoca, con contenuti del partito PKK e non del partito HDP (pag. 20).

3.2. Si tratta di argomenti, principalmente il primo, che, limitandosi a fare propri quelli della Commissione territoriale bolognese e in assenza di autonomi e mirati accertamenti, non si sono misurati con la ricca produzione documentale fornita dalla difesa a dimostrazione del contrario, a partire dall'essere Bo.Bo. nato in una città curda, come i suoi genitori; dall'appartenere gli Zaza al medesimo gruppo etnico dei curdi; dalla lettura dei diversi articoli di giornale allegati sull'essere l'estradando indicato sempre come curdo; dall'iscrizione al partito filo curdo HDP e comunque dall'adesione al PKK (Partito dei lavoratori curdi) che, come è noto, sono partiti avversi a quello che attualmente governa la Turchia.

A ciò si aggiunge che il menzionato provvedimento di rigetto per il riconoscimento della protezione internazionale di Bo.Bo. è stato da questi impugnato, con i medesimi argomenti proposti anche in questa sede, dinanzi al Tribunale civile - ed è ancora pendente -, come indicato dallo stesso provvedimento impugnato (pag. 17), così da non potersi ritenere definitivamente deciso, anche rispetto ai suoi accertamenti, pur mancando qualsiasi pregiudizialità con il procedimento di estradizione.

3.3. Alla luce degli argomenti sopra esposti, la domanda di estradizione in esame impone che la Corte di appello di Roma svolga ulteriori approfondite verifiche per escludere che si tratti di un atto discriminatorio, dissimulato sotto la richiesta di consegna per raggiungere scopi persecutori per motivi di appartenenza etnica, religiosa o politica, rilevanti ai sensi della Convenzione europea di estradizione.

4. È fondato anche il motivo di ricorso che censura il rispetto dei diritti fondamentali dell'estradando in T e la piena rispondenza agli standard internazionali del trattamento carcerario a cui questi verrà in concreto sottoposto presso l'istituto penitenziario di D.

4.1. Sono numerose le Autorità, nazionali e sovranazionali, che sino ad oggi si sono occupate dell'applicazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani nelle strutture penitenziarie turche e delle condizioni detentive degli estradandi in quel Paese.

In particolare, la Corte di cassazione ha già esaminato la questione posta dal ricorrente (Sez. 6, n. 31588 del 14 06 2023, Bo.Bo., Rv. 285088) e altre analoghe (Sez. 6, n. 54467 del 15/11/2016, Resneli, Rv. 268931) chiarendo che, in tema di estradizione passiva verso la T, devono essere valutate, in concreto, ex art. 705, comma 2, cod. proc. pen. le condizioni detentive che saranno assicurate al soggetto richiesto.

Infatti, dal tentato colpo di stato del 15 luglio 2016, risulta formalmente sospesa in quello Stato l'applicazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani in quanto il Governo della Turchia, il 21 luglio 2016, con un comunicato ufficiale al Consiglio d'Europa, ha dichiarato di avvalersi della deroga prevista dall'art. 15 della citata Convenzione, cui aderisce come Parte contraente. Inoltre, successivamente, sono state riscontrate detenzioni arbitrarie e pratiche di tortura generalizzate all'interno delle strutture penitenziarie, che determinano un livello elevato di rischio di trattamenti inumani e degradanti, non per i soli detenuti politici, con limiti drastici ad una serie di diritti difensivi dell'imputato nel processo penale e con forte incremento dei poteri della polizia (così Sez. 6, n. 26742 del 20/04/2021, Akdag, Rv. 281820).

Questa situazione è stata confermata:

- dalla Risoluzione del Parlamento europeo dell'8 febbraio 2018 sulla situazione dei diritti umani in T il cui par. 6 esprime profonda preoccupazione "per le notizie di gravi maltrattamenti e torture ai danni dei detenuti e invita le autorità turche a svolgere un'indagine approfondita su tali accuse; ribadisce il suo appello alla pubblicazione della relazione del comitato del Consiglio d'Europa per la prevenzione della tortura (CPT)";

- dalla comunicazione della Commissione Europea sulla politica di allargamento dell'Unione Europea del 2020 in cui si evidenzia che la T si è ulteriormente allontanata dall'UE per il notevole arretramento in ordine alle regole democratiche, allo Stato di diritto, ai diritti fondamentali e all'indipendenza della magistratura e si esprime preoccupazione per il gran numero di leader dell'opposizione, attivisti per i diritti umani, giornalisti, esponenti della società civile e rappresentanti del mondo accademico arrestati e posti in custodia cautelare in virtù della legislazione antiterrorismo;

- dal rapporto della Commissione Europea sulla Turchia del 30 ottobre 2024 che al par. 2.2.1 (Capitolo 23: Magistratura e diritti fondamentali) ha dato atto come la Strategia di riforma giudiziaria 2019-2023 e il Piano d'azione per i diritti umani 2021 non affrontino appieno le gravi carenze del sistema giudiziario, l'assenza di indipendenza ed imparzialità della magistratura dal potere esecutivo, la mancanza del diritto ad un giusto processo, come evidenziato peraltro nei rapporti precedenti della medesima Commissione.

Inoltre, le istituzioni sovranazionali hanno segnalato l'assenza di progressi nella materia dei diritti umani e dell'applicazione della CEDU, ulteriormente confermata dalla pubblicazione il 20 marzo 2021 del decreto presidenziale n. 3781 con il quale è stato dichiarato il recesso della T dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), in assenza di passaggio parlamentare, che ha determinato forti prese di posizione delle Nazioni Unite e dell'Ufficio dell'Alto Commissario oltre che del Consiglio d'Europa. Di particolare rilevanza, ai fini delle valutazioni in oggetto, è stata ritenuta anche la mancata attuazione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani in cui si accertano la violazione del rispetto della vita privata e familiare e del diritto ad un giusto processo, l'uso eccessivo della forza, la detenzione ingiustificata, tanto che il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa a giugno 2024 ha ribadito gli appelli al governo turco affinché le rispetti, rilevando che sono 185 i casi contro la Turchia sottoposti ad una supervisione rafforzata da parte del medesimo Comitato.

Ad ulteriore conferma del grave e persistente decremento dei diritti fondamentali nel Paese richiedente si veda, da ultimo, la sentenza del 18 giugno 2024 della Grande Sezione, Generalstaatsanwaltschaft Hamm c. Turchia, C-352/22 - relativa ad una procedura di estradizione verso la Turchia di un cittadino di etnia curda aderente al PKK che aveva già ottenuto lo status di rifugiato in altro Stato membro - sentenza nella quale, per quanto rileva in questa sede, si menziona l'art. 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che "vieta in termini assoluti l'allontanamento di una persona verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti (v., in tal senso, sentenza del 6 luglio 2023, Bundesamt fur Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave), C-663/21, EU:C:2023:540, punto 36 e giurisprudenza ivi citata)", stabilendo che gli Stati membri, nell'esercizio delle proprie competenze, devono verificare, prima di procedere ad un'eventuale estradizione, che quest'ultima non pregiudicherà il rispetto del principio di non refoulement in base ad elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati.

4.2. A questi interventi di soggetti istituzionali sovranazionali, che dimostrano l'assenza di qualsiasi rilievo da attribuire alla notifica del ritiro della sospensione dell'applicazione della CEDU da parte della T, si aggiungono ulteriori elementi di valutazione circa il carattere sistemico di gravi violazioni dei diritti umani nel trattamento carcerario in quel Paese e della tenuta dei diritti fondamentali in ambito giudiziario, quali:

a) il rapporto di Amnesty International - organizzazione non governativa la cui affidabilità è generalmente riconosciuta sul piano internazionale - per l'anno 2022-2023 da cui sono emerse accuse attendibili di tortura e maltrattamenti nei confronti dei detenuti, preceduto da altro rapporto di identico tenore (2019-2020), che consentono di concludere che si tratti di una situazione diffusa e non episodica;

b) i rapporti del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) del Consiglio d'Europa che a seguito delle visite effettuate in Turchia nel 2017 (visita periodica) e nel 2019 (visita ad hoc), hanno confermato sia l'esistenza di forme di trattamenti disumani e degradanti nei confronti di un gran numero di detenuti, sia il gravissimo problema della sovrappopolazione carceraria tale da determinare un impatto negativo su molti aspetti della vita di coloro che sono ristretti (par. 84 sulla visita effettuata nel 2017);

c) il rapporto Arrested Lawers Initiative sulla repressione degli avvocati in T, a cura del Consiglio nazionale forense, del 2021; il documento Piattaforma per una magistratura indipendente in T del 29 dicembre 2022; la denunciata morte in carcere, dopo 238 giorni di sciopero della fame, dell'avvocata turca di origini curde, Ti.Eb., che chiedeva alle autorità un processo equo; i report del 2024 e del 2025 dell' Osservatorio internazionale degli avvocati (OIAD), tutti documenti che hanno accertato e richiamato l'attenzione della comunità internazionale sugli arresti di massa ed i processi sommari nei confronti degli avvocati turchi;

d) la delibera del 17 febbraio 2021 del Consiglio Superiore della Magistratura che ha dato atto del monitoraggio condotto dall'ENCJ (Rete europea dei consigli di giustizia) esprimendo preoccupazione per la compromissione dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura turca, con richiamo alla dichiarazione dell'8 dicembre 2020 del Comitato esecutivo dell'ENCJ in cui è stata rinnovata la solidarietà ai giudici e ai pubblici ministeri sottoposti a detenzione o condannati senza un giusto processo e senza una giusta causa;

e) la condanna del Presidente dell'ormai disciolta Associazione per l'unione dei giudici e dei pubblici ministeri turchi e la qualificazione dell'Associazione internazionale dei magistrati (EAJ) nei processi penali turchi come organizzazione terroristica.

Con specifico riferimento alle condizioni carcerarie sono state segnalate, insieme alle violazioni dei diritti umani, alle torture e ai maltrattamenti, aggravate dalla diffusa impunità per i funzionari che ne sono responsabili, anche I' uso sproporzionato della forza da parte degli agenti deputati alla sicurezza, il diverso trattamento per i detenuti politici e il divieto di contatto con i loro avvocati ed i loro parenti per anni, l'arbitrario ritardo dell'Amministrazione penitenziaria e delle Commissioni di osservazione nel rilascio condizionato dei detenuti e l'applicazione della detenzione preventiva anche per reati legati alla libertà di espressione.

4.3. Il rapporto del 30 ottobre 2024 della Commissione Europea, con specifico riferimento alla questione curda, ha dato atto: delle segnalazioni di violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza nei confronti dei curdi; di una forte pressione giudiziaria su giornalisti, oppositori politici, associazioni forensi e difensori dei diritti umani che si occupano della loro difesa; della chiusura dal 2016 di media ed istituzioni che utilizzano la lingua curda; della condanna, nel processo di Kobane, nel maggio 2024 di 24 politici curdi dell'ex partito filo-curdo HDP; della mancata liberazione dell'ex co-presidente dell'HDP nonostante due sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo ne chiedessero l'immediato rilascio.

4.4. Nonostante questo quadro, acquisibile da fonti aperte e da siti istituzionali, la Corte d'Appello di Roma ha escluso che l'estradando corra il concreto rischio di subire un trattamento disumano presso l'istituto penitenziario di D valorizzando le indicazioni provenienti dal governo turco circa il regime cui sarà sottoposto Bo.Bo. in quella struttura, non superate da altrettanto dettagliate e mirate prove di segno contrario di organismi internazionali e associazioni relative a quel carcere (pag. 15 e 26).

Si tratta di conclusioni che non possono essere condivise alla luce dei principi declinati dalla Corte di giustizia e da ultimo dalla sentenza del 18 giugno 2024 della Grande Sezione, sopra citata, che al par. 63, proprio con riferimento alla T, precisa che lo Stato membro, a fronte del dichiarato rischio di trattamenti inumani o degradanti, "non può limitarsi a prendere in considerazione le sole dichiarazioni dello Stato terzo richiedente o l'accettazione, da parte di quest'ultimo, di trattati internazionali che garantiscono, in via di principio, il rispetto dei diritti fondamentali. L'autorità competente dello Stato membro richiesto deve fondarsi, ai fini di tale verifica, su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati, elementi che possono risultare, in particolare, da decisioni giudiziarie internazionali, quali sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, da decisioni giudiziarie dello Stato terzo richiedente nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d'Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite (sentenze del 6 settembre 2016, Petruhhin, C-182/15, EU:C:2016:630, punti da 55 a 59, e del 2 aprile 2020, Ruska Federacija, C-897/19 PPU, EU:C:2020:262, punto 65)".

Proprio alla luce dell'attuale sistematica violazione della T, da anni, dei diritti umani e delle libertà fondamentali, per come accertata da autorità indipendenti, istituzionali e non, nei termini sopra indicati, non solo per i detenuti, ma anche per coloro che appartengono all'etnia curda o a partiti di opposizione, è necessario che la Corte di appello di Roma acquisisca elementi univoci, rispetto ad entrambi i profili, con riferimento all'odierno ricorrente.

5. Ne consegue l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma affinchè, con riferimento a tutte le questioni poste dal ricorso, riempia le lacune probatorie indicate.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma, il 12 marzo 2025.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2025.

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