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Strage di Erba: no alla revisione del processo per Rosa e Olindo

Corte di Cassazione, sez. V Penale, Sentenza n.18064 del 25/03/2025 (dep. 13/05/2025)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18064 depositata il 13 maggio 2025, ha rigettato la richiesta di revisione del processo per la strage di Erba, confermando la condanna all’ergastolo per Olindo Romano e Rosa Bazzi.

I giudici della Quinta sezione penale, presieduta da Rosa Pezzullo, hanno sottolineato la solidità dell’impianto probatorio e l’insussistenza di elementi nuovi idonei a scardinare il giudicato.

I fatti e le condanne

L’11 dicembre 2006, nella corte residenziale di via Diaz a Erba, furono uccisi Raffaella Castagna, Paola Galli, il piccolo Youssef Marzouk e la vicina di casa Valeria Cherubini.

L’unico sopravvissuto, Mario Frigerio, fornì una testimonianza determinante. Nel gennaio 2007, i coniugi Romano furono arrestati e confessarono il delitto, salvo poi ritrattare.

Il processo di primo grado si concluse con la condanna all’ergastolo per entrambi, confermata in appello e resa definitiva dalla Cassazione nel 2011.

Le ragioni del rigetto

La Corte ha ribadito che la revisione del processo è ammissibile solo in presenza di elementi nuovi che abbiano una concreta incidenza sulla decisione definitiva. Nel caso di specie, i giudici hanno evidenziato la notevole solidità del compendio probatorio, caratterizzato da:

  • confessioni dettagliate dei due imputati, poi ritrattate;

  • ammissioni scritte in lettere e appunti manoscritti;

  • la testimonianza oculare di Frigerio, che riconobbe Olindo Romano;

  • la traccia ematica di Valeria Cherubini sull’auto di Romano;

  • riscontri oggettivi molteplici e convergenti.

La Cassazione ha inoltre escluso che le nuove prove offerte dalla difesa – tra cui dichiarazioni televisive e ricostruzioni alternative – avessero i requisiti di concretezza, novità e decisività richiesti per la revisione.

Gli argomenti della difesa e la risposta della Corte

La difesa ha sostenuto che Frigerio non riconobbe subito Olindo Romano e che fu indotto successivamente a identificarlo. La Corte ha respinto tale ipotesi, richiamando il fatto che la prima mancata indicazione fu dovuta a difficoltà fisiche e psicologiche, e che la successiva individuazione fu chiara, coerente e attendibile.

Inoltre, la Corte ha considerato infondate e generiche le teorie alternative proposte, in particolare quelle fondate su ipotetici nuovi responsabili e presunti vizi nelle indagini. La sentenza osserva che le nuove dichiarazioni raccolte dalla difesa provengono da soggetti già noti e sentiti durante le indagini, i cui contributi non apportano elementi in grado di incidere sul giudizio di condanna.

Il valore del giudicato e la coerenza delle sentenze

La Cassazione richiama il principio di certezza del giudicato, evidenziando che l’interesse della collettività alla stabilità delle decisioni non può essere superato se non da elementi nuovi effettivamente dirompenti. La motivazione della Corte d’Appello di Brescia è definita esaustiva e immune da vizi logici, per aver svolto una valutazione complessiva e comparativa dell’intero compendio probatorio, vecchio e nuovo.

Conclusione: nessun presupposto per la revisione

La pronuncia  chiude, almeno sul piano interno, ogni possibilità di riapertura del processo per Olindo Romano e Rosa Bazzi.

Le condanne all’ergastolo restano confermate alla luce di un impianto probatorio definito granitico, mentre i legali della coppia hanno annunciato l’intenzione di ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

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Cassazione penale, sez. V, sentenza 25/03/2025 (dep. 13/05/2025) n. 18064

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile l'istanza di revisione proposta, ai sensi dell'art. 630, lett. c) e d) cod. proc. pen., da Ro.Ol. e Ba.Ro.

La revisione riguarda la pronuncia di condanna alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno deliberata, nei confronti degli istanti, dalla Corte di Assise di Como - confermata dalla Corte di Assise di appello di Milano e divenuta irrevocabile il 3 maggio 2011 (a seguito del rigetto dei ricorsi per cassazione) - in ordine al concorso nei reati: di omicidio premeditato ai danni di Ca.Ra., del figlio di questa, Ma.Yo., della madre della donna Ga.Pa.: di omicidio ai danni di Ch.Va.: di tentato omicidio ai danni del marito di quest'ultima Fr.Ma. (unico sopravvissuto); di incendio; di tentata distruzione dei cadaveri di Ca.Ra. e Ga.Pa.; di violazione di domicilio e di porto abusivo di strumenti atti ad offendere (due coltelli e una spranga di ferro).

Con la medesima sentenza la Corte distrettuale dichiarava inammissibili, per difetto di legittimazione, le istanze di revisione presentate dal Sostituto procuratore generale presso la Corte di appello di Milano e dal tutore dei condannati, colpiti dalla pena accessoria della interdizione legale.

2. La vicenda, oggetto della condanna definitiva di cui si chiede la revisione, concerne quanto accaduto l'il dicembre 2006 all'interno della palazzina denominata "del ghiaccio", facente parte di un complesso abitativo dotato di corte comune, sito in E, via [Omissis]

Alle 20.20 circa di quel giorno Ba.Vi., residente in un'altra palazzina che affaccia sulla medesima corte, notando del fumo uscire dall'appartamento di Ca.Ro., allerta il vicino Ba.Gl., vigile del fuoco volontario, raggiunge con lui l'interno C. I due entrano nello stabile e trovano: sul pianerottolo del primo piano, Fr.Ma., gravemente ferito ma cosciente; sempre al primo piano, nel corridoio all'interno dell'appartamento del coniugi Ma. - Ca.Ra., il corpo senza vita di Ca.Ra., attinto in più punti dal fuoco, che trascinano sul pianerottolo. Fr.Ma. indica il piano superiore, da dove provengono flebili invocazioni d'aiuto della moglie Ch.Va. A causa del fumo, i due soccorritori non riescono a raggiungere la mansarda ove abitano i coniugi Fr.Ma., né ad addentrarsi nell'appartamento della Ca.Ra. e così escono ad attendere i vigili del fuoco, sopraggiunti alle 20.47, che domano l'incendio.

Pochi minuti più tardi i carabinieri della Stazione di E e il personale del 118 scoprono anche il cadavere di Ch.Va., genuflessa davanti alla tenda della finestra del proprio appartamento, e, all'interno dell'abitazione di Ca.Ra., i cadaveri della madre di quest'ultima Ga.Pa. e del figlio di due anni Ma.Yo.

L'immediata audizione di tutti gli abitanti della corte di via [Omissis]non fornisce spunti investigativi, con l'unica eccezione dei coniugi Ro.Ol. e Ba.Ro., che destano l'attenzione degli inquirenti perché: gli atti della Stazione dei Carabinieri di E recano traccia di continui e aspri litigi con la famiglia Ca.: quella notte, alle ore 2.30, i coniugi hanno impiegato molto tempo per aprire la porta di casa propria ai carabinieri; hanno sostenuto di essersi addormentati e di non aver percepito nulla dell'enorme trambusto della serata; non hanno mostrato alcun interesse per l'accaduto, né hanno chiesto informazioni; hanno la lavatrice in funzione; alla richiesta di riferire i loro movimenti della serata, con sospetta sollecitudine, hanno esibito uno scontrino di McDonald's, dove, a loro dire, avevano consumato la cena, dopo essere usciti intorno alle 20:00 per poi far ritorno a casa tra le 22.30 e le 23.00; Ba.Ro. presenta una ferita fresca a un dito e Ro.Ol. un'ecchimosi sul dorso della mano sinistra e una sull'avambraccio.

Il 26 dicembre 2006 il brig. Fa. esegue un'ispezione sulla Seat Arosa di Ro.Ol. L'utilizzo del luminol fa risaltare delle luminescenze anche sul battitacco lato conducente. Gli esami genetici, condotti dal dottor Pr., consentono di ricondurre la traccia di sangue prelevata dal battitacco al profilo genetico di Ch.Va.

L'unico sopravvissuto, Fr.Ma., dopo iniziali dichiarazioni in cui sostiene di non conoscere l'aggressore, afferma di aver riconosciuto il proprio vicino di casa Ro.Ol.

Sottoposti a fermo l'8 gennaio 2007 e immediatamente interrogati, Ro.Ol. e Ba.Ro. si proclamano innocenti. Tuttavia, a distanza di due giorni, confessano ai pubblici ministeri di essere gli autori della strage e il 12 gennaio 2007 lo ribadiscono al giudice per le indagini preliminari.

Inizialmente ciascuno dei due indagati si assume l'esclusiva responsabilità dell'accaduto, nel tentativo di scagionare l'altro; poi, invece, entrambi rivelano di aver agito insieme, portando a termine un piano di vendetta da tempo meditato nei confronti di Ca.Ra. e della sua famiglia, mentre l'aggressione ai danni dei coniugi Ch.Va. - Fr.Ma. risulta frutto di una decisione istantanea indotta dalla necessità di eliminare possibili testimoni.

Giunti a processo, però, gli imputati si dichiarano estranei ai fatti. La ritrattazione viene ritenuta inattendibile dai giudici della cognizione, non solo per le modalità e i contenuti (brevi e generiche dichiarazioni, non accompagnate da spiegazioni) ma anche e soprattutto perché le dichiarazioni confessore sono analitiche, contengono particolari conoscibili solo dagli autori della strage, risultano in piena sintonia con l'intero quadro probatorio raccolto (cfr. amplius infra, paragrafo 4.3. del "considerato in diritto").

3. Le richieste di revisione dei condannati, su cui verte l'odierno giudizio di legittimità, si fondano su una cospicua serie di dichiarazioni e accertamenti scientifici tesi a ribaltare l'affermazione di responsabilità.

Si tratta di quelle prove illustrate con i ricorsi e che verranno di seguito ripercorse (cfr. infra, paragrafo 4).

La Corte di appello - con la sentenza impugnata, pronunciata nel contraddittorio delle parti, a seguito della loro citazione a giudizio, ma prima della apertura del dibattimento - ha dichiarato inammissibili le istanze di revisione dei condannati ritenendole: proposte al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 630, lett. c) e d) cod. proc. pen. (per mancanza di novità di alcune delle prove indicate e per insussistenza di elementi di prova da cui risulti che la condanna fu pronunciata in conseguenza di prove false); inosservanti della disposizione prevista dall'art. 631 cod. proc. pen. (per incapacità degli elementi addotti di dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631); manifestamente infondate.

Nella parte conclusiva del provvedimento impugnato, la Corte di appello così sintetizza le ragioni della decisione illustrate nelle oltre ottanta pagine precedenti: "Ai frammentari dati su cui si concentra l'istanza di revisione - che in alcun modo possono essere ricondotti a unità, se non nell'ottica, non a caso ripetutamente evocata, della falsificazione delle prove, cui avrebbero, peraltro, contribuito gli odierni ricorrenti, confessando un crimine non commesso - si contrappone, d'altro canto, un quadro probatorio solido e univoco, in cui convergono, accanto alle tre prove su cui s'incentra l'istanza di revisione (traccia ematica di Ch.Va. sul battitacco della Seat Arosa, riconoscimento da parte di Fr.Ma. e confessioni), le annotazioni sulla Bibbia (costituite, oltre che da ammissioni di colpevolezza, inspiegabili da parte di un soggetto innocente in quel momento solo nella propria cella, da manifestazioni di rancore nei confronti delle vittime), la lettera a padre Ba. le dichiarazioni ammissive di responsabilità al vicino di cella Ta. (secondo i ricorrenti, colluso con i Pubblici Ministeri, giacché coinvolto nell'affaire Waylog, ma che lo stesso Ro.Ol. nelle annotazioni sulla Bibbia definisce l'unica persona con cui può parlare, annotando anche che la sua scarcerazione ha lasciato "un vuoto incolmabile"), gli ulteriori elementi di valenza indiziaria già valorizzati in sede di cognizione: il movente (svariati testimoni hanno riferito in primo grado che Ca.Ra. era terrorizzata dalla coppia e di aver assistito a minacce di morte da parte dei due, sorpresi dai carabinieri, in un'occasione, a pedinare la vicina mentre andava ai lavoro), la circostanza che Ro.Ol. e la Ba.Ro. la sera del fatto avessero delle piccole ferite, non abbiano aperto subito ai carabinieri, sostenendo di essersi addormentati, nonostante il trambusto dei vigili dei fuoco in azione per spegnere un incendio accanto al loro appartamento e si siano precipitati a tirar fuori lo scontrino di McDonald's, le caratteristiche delle ferite delle vittime, che hanno consentito al dott. Sc. di ipotizzare che gli aggressori fossero due, uno più alto e uno più basso, uno destro e uno mancino, uno più forte dell'altro; il fatto che il contatore fosse chiuso e che solo i condomini potessero aprirlo per staccare la corrente; il fatto che solo i coniugi Ro.Ol. sarebbero potuti uscire, rifugiandosi nella lavanderia, senza essere visti; l'assenza di tracce all'esterno della corte" (pagg. 83 e 84).

Circa la dedotta falsità delle prove, la medesima Corte rileva che l'istanza si esaurisce "nella ripetizione, alla luce delle nuove acquisizioni (che, come si è visto, tali non sono) e nella prospettiva della falsità della prova, di doglianze già sviluppate nei precedenti gradi di giudizio e in sede d'incidente di esecuzione. I ricorrenti, invero, neppure indicano le prove tacciate di falsità ma chiedono alla Corte di rivalutare "l'iter di formazione delle tre prove che sorreggono la sentenza di condanna"" (pag. 84).

4. Avverso l'indicato provvedimento ricorrono gli imputati, con il medesimo atto a firma dei rispettivi difensori, svolgendo quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

4.1. Il primo denuncia l'illegittimità di una pronuncia di inammissibilità a conclusione di un giudizio instaurato mediante citazione a giudizio delle parti, ma arrestatosi alla fase preliminare senza assunzione delle prove, con conseguente violazione dell'art. 111 Cost.

La Corte di appello si sarebbe assestata sul principio stabilito dalle Sezioni Unite Pisco (sentenza n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998) - secondo cui l'inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con l'ordinanza prevista dall'art. 634 cod. proc. pen., anche con sentenza, successivamente all'instaurazione del giudizio di revisione ai sensi dell'art. 636 cod. proc. pen. - senza considerare che quella decisione, peraltro relativa a un procedimento in materia di misure di prevenzione, era stata adottata prima della nuova formulazione dell'art. 111 Cost.; mentre la successiva giurisprudenza si sarebbe sviluppata in senso opposto.

I ricorsi invocano l'insegnamento delle Sezioni Unite Pisano (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002), seguito dalla maggioritaria giurisprudenza (ampiamente citata e ripercorsa nell'atto di impugnazione), a mente del quale il procedimento di revisione si sviluppa in due fasi: la prima si esaurisce in una valutazione de plano, limitata a una delibazione sommaria circa la "astratta idoneità" dei nuovi elementi di prova a ribaltare il giudicato; la successiva fase è "destinata giocoforza a svolgersi come un normale giudizio di primo grado con la ammissione e acquisizione delle prove".

Né la Costituzione, né il codice di rito consentono di pervenire a una declaratoria di inammissibilità che si traduca in una indebita anticipazione di giudizio circa la consistenza e valenza probatoria degli elementi offerti.

I ricorrenti sottolineano che l'alterazione del rapporto tra le due fasi del giudizio ha comportato la regressione del procedimento alla fase della ammissibilità, ma senza le garanzie del contraddittorio, sì da impedire al materiale probatorio di guadagnare l'area di massima espansione, raggiungibile soltanto nel dibattimento.

Pertanto la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretato il senso della pronuncia delle Sezioni Unite Pisano, destinata a dilatare le garanzie e non a ridurle, contraendo, così, l'intero giudizio alla sola fase preliminare di ammissibilità e finendo per sovrapporre le diverse regole di giudizio che sovraintendono alle due distinte fasi del procedimento di revisione.

In tale ottica i ricorrenti contestano l'affermazione contenuta a pagina 20 della sentenza impugnata, secondo cui sarebbero state le difese a sollecitare la fissazione di una apposita udienza per discutere della ammissibilità della revisione; al riguardo precisano: che "l'integrazione dei contraddittorio" è stata chiesta dal tutore degli imputati; che l'istanza era dipesa dall'inoltro di un parere (irritualmente acquisito) con cui la Procura generale di Milano tratteggiava le ragioni di inammissibilità della istanza di revisione in origine avanzata dal Sostituto Procuratore generale in servizio presso quel medesimo ufficio; che successivamente la richiesta era stata presentata anche dai difensori dei ricorrenti; che tale circostanza era comunque irrilevante perché "chiedere il contraddittorio significa evitare che la procedura sia svolta con le forme segrete e occulte di una camera di consiglio non partecipata"; che la richiesta di contraddittorio in punto di inammissibilità "non può poi essere interpretata come rinuncia al contraddittorio nella fase successiva, né tantomeno come abbreviazione del giudizio".

4.2. Il secondo, articolato motivo deduce violazione di legge e vizio argomentativo in punto di ritenuta mancanza di novità delle prove richieste e di idoneità a ribaltare la condanna.

Sul piano generale si evidenzia come l'intero apparato motivazionale soffra del vizio denunciato con il primo motivo circa la scelta della Corte di appello di procedere non già ad una valutazione sommaria, ma a una approfondita disamina nel merito.

Si sviluppano poi le singole censure riferite a specifici paragrafi della sentenza impugnata e accomunate da denunciati errori su: il concetto di novità della prova come elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, anche in relazione alla prova scientifica offerta dalle consulenze tecniche; la confusione tra elemento di prova, tema di prova e risultato di prova; la valutazione atomizzata e non globale delle nuove prove offerte, da leggere in reciproca relazione tra loro e con quelle già acquisite.

4.2.1. Paragrafi 2 e, in parte, 9 della sentenza (p. 54 - 61 e 73 - 74).

La consulenza collegiale sull'idoneità di Fr.Ma. a rendere testimonianza a causa della lesione in sede corticale frontale destra e degli effetti tardivi dell'intossicazione da monossido di carbonio e le correlate captazioni ambientali all'interno della camera di degenza del testimone, l'intervista al dott. Ce.Cl., l'audizione, in merito a tale intervista, del giornalista Bo.Ri.; le captazioni ambientali all'interno della camera di degenza di Fr.Ma., le nuove trascrizioni delle audizioni di questi del 20 e 26 dicembre 2006, del 2 gennaio 2007.

Secondo i ricorrenti la lettura sinergica dei nuovi elementi fattuali e scientifici condurrebbe a travolgere il primo dei tre pilastri su cui è fondata la pronuncia di condanna: il riconoscimento di Ro.Ol. da parte di Fr.Ma.

La doglianza si appunta su due profili, tra loro intersecantisi, astrattamente suscettibili di capovolgere il giudicato: l'impossibilità di un tardivo riconoscimento; la progressiva degradazione della capacità mnemonica del testimone prodotta dalla intossicazione da monossido di carbonio.

La consulenza collegiale ha illustrato gli approdi delle neuroscienze cognitive nello studio del riconoscimento dei volti familiari e non familiari vuoi in soggetti neurotipici vuoi in soggetti con patologie, rappresentando che dal 2013 possono dirsi scientificamente dimostrati due dati.

Il primo è che i volti familiari sono riconosciuti più velocemente di quelli non familiari e che i volti familiari sono riconosciuti in maniera automatica, senza un controllo volitivo e decisionale. Secondo la unanime letteratura scientifica è impossibile che Fr.Ma. sia passato da un iniziale mancato riconoscimento dell'autore dell'aggressione, indicato in un uomo sconosciuto, a un successivo riconoscimento in Ro.Ol., volto a lui noto.

Il secondo dato consiste nel fatto che il volto familiare viene riconosciuto anche quando l'autore del riconoscimento versi in condizioni psichiche molto degradate.

Questa acquisizione scientifica va posta in correlazione con il fatto che Fr.Ma., esposto ai fumi dell'incendio, aveva sviluppato, secondo l'opinione dei consulenti, una intossicazione da monossido di carbonio (rilevata dalla consulenza autoptica del dottor Sc.) da cui era derivata una "amnesia anterograda", patologia, mai prospettata nel processo di cognizione, che si caratterizza per l'insorgere tardivo di un peggioramento del ricordo. Anche in una simile condizione, però, il volto noto viene riconosciuto immediatamente e non potrà formare oggetto di un riconoscimento tardivo.

A tale risultato deve raccordarsi poi l'ulteriore elemento, ricavato dal riascolto con nuove e innovative tecniche, delle conversazioni intercettate, da cui emerge la forte carica di suggestività delle domande rivolte a Fr.Ma., cosicché l'individuazione di Ro.Ol. doveva ritenersi frutto di un ricordo indotto (inesistente in origine e infatti non riferito), percepito dal teste come reale; con l'ulteriore conseguenza di rendere insignificante il dato, valorizzato dalla Corte di appello, per cui in dibattimento il testimone non ha mostrato alcuna titubanza nell'indicare l'imputato come l'autore dell'aggressione ai propri danni.

A fronte di tanto la Corte di appello ha omesso di prendere in considerazione le nuove prove offerte, senza neppure occuparsi della consulenza collegiale e incorrendo in gravi errori di interpretazione e impostazione.

Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, che cade in un travisamento della prova per omissione, l'intossicazione da monossido di carbonio non è stata desunta dallo stato confusionale del testimone, ma risulta documentata nella relazione medico-legale del dottor Sc. che ne dà testuale conto a pagina 4 (allegato 61 alla richiesta di revisione, allegato 6 al ricorso).

Su questa evidenza documentale si innestano le conseguenti valutazioni espresse dai consulenti tecnici che, sulla base di ampia letteratura scientifica, ravvisano nell'intossicazione da monossido di carbonio la causa della amnesia anterograda mostrata da Fr.Ma.

L'intero ragionamento non è stato adeguatamente esaminato dalla Corte distrettuale che si è trincerata dietro l'assenza di novità della prova perché attinente al tema, già ampiamente sviscerato nel processo di cognizione e quindi non rivisitabile in sede di revisione, della attendibilità di Fr.Ma. Così incorrendo anche nella violazione di legge, determinata vuoi dalla confusione tra il (necessario) carattere di novità dell'elemento di prova e la novità (non necessaria) del tema probatorio, vuoi dalla erronea interpretazione e applicazione dei principi coniati dalla giurisprudenza di legittimità circa i presupposti di ammissibilità di una consulenza tecnica nel giudizio di revisione.

La sentenza impugnata non si è posta correttamente nell'apprezzamento delle nuove trascrizioni delle conversazioni del testimone, effettuate secondo metodi innovativi che hanno consentito la decodifica di parole prima ritenute incomprensibili e, inoltre, ha erroneamente negato legittimità a trascrizioni di conversazioni inedite (in cui Fr.Ma. si mostra particolarmente confuso e risulta peggiorare con il passare dei giorni) sol perché non richieste nella sede deputata dell'udienza preliminare, così assegnando valore a un dato processuale irrilevante, piuttosto che al carattere di novità dell'elemento di prova, che prescinde dalla imputabilità a un comportamento negligente o doloso del condannato (circostanza, quest'ultima, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario).

4.2.2. Paragrafi 3 e 4 della sentenza (pagg. 60 - 64).

La consulenza medico-legale della dott.ssa Va.Va. in ordine alla impossibilità per Ch.Va. di gridare "aiuto, aiuto" a causa della lesione alla lingua. La consulenza tecnica neurologica in merito alla dinamica della morte della sig.ra Ch.Va. redatta dal Prof. Pr.Al.

Si pone in evidenza che la consulenza del prof. Pr.Al. ha posto in risalto un elemento, già risultante dal processo, ma in precedenza mai valutato, quale l'ematoma nello spessore del muscolo psoas riscontrato sul cadavere di Ch.Va., cui si aggancia, in modo inedito, la conclusione che a causa di quella lesione (incidente sulla capacità di flessione della coscia sul bacino e sulle strutture nervose che innervano la muscolatura) la vittima non sarebbe riuscita a salire le scale fino a raggiungere il suo appartamento all'interno del quale è stato trovato il cadavere; con l'ulteriore conseguenza di confutare, dimostrandone la falsità, la confessione dei condannati, i quali hanno riferito di aver concluso l'aggressione sulle scale.

Il dato offerto non perde il carattere di novità sol perché muove da un elemento già presente in atti, considerato che esso non è stato apprezzato neppure implicitamente nel processo di cognizione e pertanto, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, rientra nel concetto di "nuovo elemento di prova", secondo i dettami della Corte di cassazione e, in particolare, delle Sezioni Unite Pisano.

Peraltro questa lesione va correlata alla "concussione cerebrale", evidenziata dall'autopsia (ma mai considerata), incidente anch'essa sulla capacità di produrre quei movimenti necessari a salire le scale.

Infine si mette in luce il carattere di novità della consulenza della dottoressa Va.Va. sulla lesione alla lingua di Ch.Va. con conseguente impossibilità per la vittima di invocare aiuto.

4.2.3, Il paragrafo 5 della sentenza, l'affermazione conclusiva del paragrafo 4 (pagg. 64 -67).

Bloodstain Pattern Analysis (BPA) e ricostruzione della dinamica dell'aggressione tramite l'analisi delle macchie di sangue redatta dalla dott.ssa Br.Ro.

La consulenza in rassegna fornisce nuovi elementi, fondati su tecniche e conoscenze scientifiche non esistenti all'epoca delle indagini, in punto di analisi della morfologia delle tracce di sangue.

La Corte di appello, nel reputare il tema già ampiamente scrutinato nel processo di cognizione, ignora i nuovi elementi introdotti dalla BPA: l'analisi morfologica delle macchie di sangue, tutte macchie da spruzzo e da proiezione, rilevate in prossimità del corpo della Ch.Va.: l'analisi morfologica delle tracce di sangue, da proiezione, sulla tenda; la rilevazione di tracce non note prima, presenti sul pavimento del terrazzino di casa Ca.Ra.: l'analisi delle tracce, solo oggi dichiaratamente ematiche, presenti sul muro del corridoio di casa Ca.Ra., sul corridoio in direzione della porta d'ingresso, sulla faccia interna della porta d'ingresso; l'analisi delle macchie di sangue del bambino.

Tutto ciò invaliderebbe la confessione degli imputati in punto di ricostruzione dei fatti poiché dimostrerebbe: che l'aggressione alla Ch.Va. si è conclusa nel suo appartamento; che gli autori della strage sono fuggiti dal terrazzino di casa Ca.Ra.: che l'aggressione a Ca.Ra. e ai suoi familiari è stata opera di persone in attesa all'interno dell'appartamento; che, a differenza di quanto riferito da Ba.Ro., il bambino non è stato aggredito nella stessa posizione in cui è stato trovato, poiché altrimenti il sangue sarebbe stato proiettato a sinistra, a distanza di oltre mezzo metro, lì dove invece non è presente alcuna traccia di sangue.

La Corte di appello, oltre che nel vizio di omessa motivazione, sarebbe incappata anche in un travisamento della prova quando, contrariamente al vero, afferma che, sentito in dibattimento, il colonnello Ga. ha definito "poco scientifica" una BPA eseguita su immagini fotografiche.

Ulteriori contraddizioni vengono ravvisate sul tema della via di fuga alternativa: la erronea valorizzazione della assenza di tracce, che però nessuno cercò, sull'abbaino, sul muro esterno e sulla grondaia di casa Ca.Ra.: il risalto assegnato alla presenza di sangue della Ch.Va. sulla maniglia interna del portoncino di ingresso alla palazzina, senza tenere conto che la traccia deve essere stata lasciata da un soggetto privo di guanti (gli imputati invece li indossavano) individuabile anche in uno dei soccorritori.

4.2.4. Paragrafi 7, 13, 14, 15 della sentenza (pagg. 71 - 72 e 75 - 77).

Consulenza tecnica sui consumi di energia elettrica all'interno dell'abitazione di Ca.Ra. Sommarie informazioni rese al difensore in data 12 febbraio 2023 da Ab.Ka. Interviste integrali a una trasmissione televisiva di Ab.Ka. e di Ch.Ib.

A sostegno della istanza di revisione, i condannati hanno offerto la relazione tecnica dell'ing. Ra. incentrata sul rilievo che, nella fascia oraria compresa tra le 14:15 e le 17:45 del giorno dell'eccidio, nell'appartamento di Ca.Ra. intervenne un consumo di energia elettrica tale da dimostrare "che qualcuno in quel tragico pomeriggio era in casa ad attendere le vittime".

L'elemento, incontrovertibilmente nuovo, si salda con le dichiarazioni di Ab.Ka..ù secondo cui "soggetti extracomunitari di provenienza nordafricana - come tale @29.Fa.@, fratello di Ma." possedevano le chiavi dell'abitazione di Ca.Ra. e ne utilizzavano i locali per nascondere lo stupefacente e i relativi proventi. Gli stessi soggetti si erano già resi responsabili di aggressioni con coltelli.

La ricostruzione così prospettata avvalora la tesi difensiva della pista alternativa, dimostrando al contempo l'inattendibilità della confessione dei condannati, i quali, giunti dall'esterno, non disponevano delle chiavi.

Pur riconoscendo la novità degli elementi offerti dalla consulenza dell'ing. Ra., la Corte di appello ne esclude la rilevanza per l'assenza di "oggettivi e affidabili elementi di riscontro" in tal modo svolgendo un penetrante scrutinio sul contenuto della relazione tecnica, che travalica i confini della valutazione di astratta idoneità.

Il vizio motivazionale si acuisce allorché la Corte distrettuale passa al vaglio le dichiarazioni di Ab.Ka. che bolla come apodittiche e prive di conforto, quando invece proprio l'ordinanza cautelare che ha colpito il dichiarante offrirebbe precisi elementi di conforto sul fatto che: all'epoca @29.Fa.@ (fratello di Ma.) guidava un gruppo dedito al traffico di stupefacenti nel quale era inserito anche Ab.Ka.: diversi soggetti attinti dall'ordinanza cautelare, tra cui Ab.Ka. e Ab.Ha., risultavano residenti in via [Omissis]; l'attività di spaccio si svolgeva anche ad E, nei pressi di via [Omissis]; che proprio a ridosso della strage si verificarono forti attriti tra "Ma. e un altro componente del gruppo residente proprio a casa sua: il già citato Ab.Ha." - tanto da giurarsi reciproca vendetta; le indagini svolte in quell'ambito inducevano gli inquirenti a ritenere un possibile collegamento tra quelle vicende e lo sterminio della famiglia di Ma.

Nel medesimo senso si pongono le dichiarazioni rese da Ch.Ib. (alias L nel corso dell'intervista rilasciata a una trasmissione televisiva, esclusa dal materiale di rilievo perché erroneamente considerata inutilizzabile e, comunque, già valutata; e in tale ottica assumono rilievo anche elementi già acquisiti dai quali emerge lo scontro in atto tra opposte fazioni impegnate nello spaccio di sostanze stupefacenti e i timori esternati da Ca.Ra. per minacce e intimidazioni ricevute da ignoti.

I nuovi elementi, coniugati a quelli già presenti agli atti del processo, sono in grado di aprire uno scenario inedito, incompatibile con la pronuncia di colpevolezza dei ricorrenti:

- il giorno della strage, qualcuno si trovava in casa ad attendere il rientro di Ca.Ra. (consulenza Ra., dichiarazioni di Ab.Ka., testimonianza dei coinquilini di origine siriana che udirono dei passi nell'appartamento);

- l'avvistamento sul luogo del delitto di una persona straniera, non conosciuta (testimonianze dell'avv. Ca. e di Ba.Gl.:

- l'individuazione di tre persone, di cui due straniere (testimonianze di Ma. e Ch.Ib.):

- all'epoca della strage, l'abitazione Ca.Ra. - Ma. era utilizzata, anche in assenza dei proprietari, dall'organizzazione criminale capeggiata da Fa., fratello di Ma., il quale aveva le chiavi; era in corso una faida tra il gruppo guidato da Fa. e un clan rivale, tanto che sia Fa. sia Ab.Ka. subirono un accoltellamento (dichiarazioni di Ab.Ka., nuove dichiarazioni di Ch.Ib./L. ordinanza cautelare);

- sul terrazzino di casa Ca.Ra. vi erano tracce di sangue da calpestio; inoltre una pianta, posta sulla ringhiera del terrazzo prospiciente via (omissis), appare danneggiata (nuovo video Telelombardia, richiesta escussione del giornalista Ra., nuove tracce di sangue indicate nella BPA);

- Fr.Ma., fin quando le sue condizioni non peggiorarono, indicò come suo aggressore un soggetto sconosciuto dì etnia araba, esortando il Pubblico Ministero a mettere a verbale che la casa di Ca.Ra. era frequentata da extracomunitari.

La valutazione espressa dal giudice di merito a tale riguardo risulta in parte omessa, in parte generica, in parte condotta attraverso un non consentito apprezzamento di merito, peraltro inficiato da travisamenti probatori.

4.2.5. Paragrafi 6, 8, parte del 9, 11, 12 della sentenza (pagg. 67 - 71; 72 - 75).

La consulenza collegiale in ordine al quadro psicopatologico rilevato in Ro.Ol. e Ba.Ro. e al ritardo mentale in Ba.Ro. in rapporto di causalità con le false confessioni. Le captazioni ambientali all'interno dell'autovettura e dell'appartamento degli imputati; le video interviste agli imputati registrate in fase di indagini dall'allora consulente della difesa dott. Pi. Perizia psichiatrica eseguita su Ro.Ol. nell'ambito di altro procedimento. Le video interviste a Ro.Ol. e Ba.Ro. da parte del dottor Pi.. L'intervista integrale a una trasmissione televisiva di Ta.Gi. Sommarie informazioni rese al difensore da Ta.Gi. in data 29 gennaio 2000 (rectius 2020) e 27.1.2023.

Le prove offerte mirano a travolgere la capacità dimostrativa delle confessioni, che costituiscono il secondo dei pilastri su cui si fonda la condanna.

I ricorrenti criticano, anche sotto il profilo della interpretazione giuridica, la conclusione cui perviene la Corte di appello nel ritenere che gli elementi addotti dai consulenti a sostegno della falsità delle confessioni coincidano, in massima parte, con quelli già spesi dalle difese e non presentino carattere di novità.

Sostengono che la consulenza collegiale si fonda su ampia e accreditata letteratura scientifica nonché sull'esame diretto dei condannati, mai effettuato prima, da cui è risultato che entrambi i ricorrenti presentano un quadro psicopatologico tale da renderli vulnerabili e circonvenibili (la disabilità intellettiva coinvolgente tutte le capacità cognitive, comprese quelle di produrre valide dichiarazioni e il disturbo dipendente di personalità di Ba.Ro.; la personalità acquiescente con abnorme tendenza alla credulità, con scarso senso di autoefficacia e con una forte tendenza ad adeguarsi alle richieste e a quanto gli viene prospettato, anche se irrealistico, di Ro.Ol.).

Condizioni personali che, come aveva richiesto la difesa nella memoria depositata alla Corte di appello, dovevano essere coniugate al "dato costituito dalle pressioni esercitate dagli inquirenti - già riconosciuto anche dalle sentenze di condanna, e dunque già noto": gli interrogatori sono stati condotti con tecniche (in particolare la "Reid") che, alla luce delle nuove conoscenze, sono suscettibili di alterare il ricordo e di incidere sulla libertà di autodeterminazione.

La sentenza impugnata omette qualunque valutazione su tali aspetti, lasciando del tutto privo di analisi il punto, cruciale, della suggestionabilità dei condannati reso evidente dal nuovo dato, risultante dalle intercettazioni in carcere, per cui a Ba.Ro. furono lette integralmente prima le dichiarazioni del marito, vuoi nella versione "errata" vuoi nella versione "esatta", e la donna aderì acriticamente tanto alla prima quanto alla seconda.

I ricorrenti denunciano errori anche nelle considerazioni espresse dalla sentenza impugnata su: le video interviste realizzate dal dottor Pi.; la trascrizione e l'analisi delle intercettazioni ambientali all'interno dell'abitazione e della vettura degli imputati, nonché delle conversazioni intercettate in carcere, compreso il colloquio in cui Ba.Ro. professa la sua innocenza a un agente di polizia penitenziaria; le sommarie informazioni rese al difensore dall'ex carabiniere Ta.Gi., all'epoca in servizio presso il nucleo operativo di C, a dire del quale "era notorio all'interno della caserma - e a lui ciò fu direttamente riferito - che i Marescialli Ca. e Fi. esercitarono in carcere indebite pressioni sugli imputati affinché confessassero il delitto. Ta.Gi. ha anche affermato di avere ascoltato quelle intercettazioni dei due coniugi che risultano ad oggi ancora mancanti".

4.2.6. Paragrafi 1, 10, 18 della sentenza (pagg. 49 - 54, 74 e 79).

La consulenza genetica sulla traccia ematica rinvenuta sul battitacco dell'autovettura Fiat Arosa di proprietà di Ro.Ol. redatta dal dottor Ca.Ma.; intervista al brig. Fa.; il materiale fotografico relativo alle ispezioni delle autovetture di Ro.Ol. e Ca.Pi.: la nuova audizione del brig. Fa.; l'escussione del dott. Mo.An. e l'esame della dottoressa Bo.Sa.

Le nuove prove mirano a far cedere il terzo pilastro su cui si fonda l'affermazione di responsabilità: il rinvenimento sul battitacco della vettura dell'imputato di una traccia di sangue riconducibile al profilo genetico di Ch.Va.

Secondo i condannati la traccia ematica analizzata dal dott. Pr. non è stata prelevata dal battitacco della vettura di Ro.Ol., in quanto le prove offerte dimostrano che il brig. Fa. o non ha eseguito "l'accertamento fotografico" sulla traccia di sangue esaltata dal luminol, oppure "si è prestato a falsificarne gli esiti inserendo una traccia inesistente".

Nella prospettazione dei ricorrenti, in tal senso deporrebbero tutte le fonti di prova indicate che vengono illustrate e, soprattutto, la consulenza del dott. Ca.Ma., la quale fa ricorso alla metodologia del c.d. activity level, validata dalla più recente e avanzata letteratura scientifica.

Il consulente pone in evidenza elementi nuovi tratti dalla analisi e verifica delle fotografie: non vennero scattate delle foto al buio (e al riguardo si è chiesto di escutere una consulente per verificare le caratteristiche tecniche della macchina fotografica utilizzata dal brig. Fa. così da stabilirne la capacità di catturare le immagini "a luminescenza"); il luminol non fu cosparso sul punto contrassegnato con il numero 3 dove il brig. Fa. ha sostenuto di avere trovato la traccia invisibile; il crimescope, che avrebbe consentito di esaltare la tipologia di traccia descritta dal dott. Pr., ha dato esito negativo; non sono stati apposti numeri o lettere che invece vanno impiegati e fotografati quando si reperta una traccia così da consentire l'individuazione del reperto; le foto panoramiche della vettura - ossia quelle numerate da 1 a 8 - rispettano la progressione dell'orario in cui sono state scattate, mentre tale progressione numerica e temporale si interrompe con le quattro fotografie attinenti alla repertazione; la prima foto trattata è quella contenente la traccia che sarebbe stata rinvenuta sul battitacco, la quale, però, è indicata come reperto numero 3 anziché come reperto numero 1, con la conseguenza che il primo reperto fotografico risulta essere quello sul battitacco del lato guidatore e non, invece, quello sulla portiera sinistra; dal verbale redatto dal brig. Fa., proprio il primo reperto viene trattato - con esito negativo - con Vhexagon obit, ossia con mezzo rivolto a individuare il sangue; con il che va esclusa la presenza di sangue sul primo reperto effigiato nella prima fotografia.

Il consulente evidenzia che il dott. Pr. descrive la traccia di sangue da lui esaminata come "concentrata"; mentre la traccia prelevata dal brig. Fa. non avrebbe potuto avere tale caratteristica posto che il luminol diluisce le macchie soprattutto se cosparso su una superficie non porosa (ossia un longherone metallico verniciato a smalto) e considerate le modalità di repertazione (ossia l'assorbimento del liquido reagente su foglietti di "carta bibula").

La Corte di appello nega rilevanza agli elementi indicati osservando che il dott. Pr. ha escluso che l'impiego del luminol e della carta bibula possa aver compromesso la traccia; tuttavia, osservano i ricorrenti, il consulente del pubblico ministero non ha mai fatto una tale affermazione nel corso del suo esame dibattimentale.

4.2.7. Paragrafi 16 e 17 della sentenza (pagg. 77 - 79).

Relazione del R.I.S. di Parma. Video girato dal R.I.S. in sede di sopralluogo.

Le difese avevano richiesto di comparare, con nuove tecniche e con una banca dati aggiornata, l'impronta palmare ritrovata dal RIS su di una parete del vano scale al piano terreno (2D) di cui venne esclusa con certezza la riconducibilità ai condannati, alle vittime e ai soccorritori.

La Corte di appello, nel bollare la prova come inconferente, cade in contraddizione, poiché recepisce la valutazione espressa dal capitano Ma. che ovviamente si riferiva alla situazione disponibile all'epoca e non a quella attuale risultante dall'arricchimento e aggiornamento del materiale per la comparazione.

4.2.8. In ultimo i ricorrenti denunciano il vizio di travisamento della prova, dovuto a una errata lettura del dato storico ricavabile dalle intercettazioni contenute nell'ordinanza del Gip di Milano datata 21 maggio 2024, da cui risulta il possibile coinvolgimento di Co.Ed. anche nella strage di E.

4.3. Il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di esclusione della idoneità dimostrativa delle interviste.

L'approccio della Corte di appello si rivela erroneo in quanto le difese non si sono limitate a produrre le interviste come documenti - peraltro acquisibili ex art. 234 cod. proc. pen. - ma hanno chiesto l'assunzione nella veste di testimoni di coloro che avevano rilasciato quelle interviste.

4.4. Il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione circa la declaratoria di "manifesta inammissibilità" della richiesta di revisione formulata ai sensi della lettera d) dell'art. 630 cod. proc. pen.

Si sostiene, anzitutto, che le ragioni dell'istanza sono strettamente dipendenti da quelle che sorreggono la richiesta di revisione formulata in base alla lettera c), poiché molte di quelle pongono in luce la non corrispondenza al vero delle principali fonti di prova: la macchia ematica sul battitacco; la testimonianza di Fr.Ma., le confessioni dei condannati.

Si osserva poi che, in tale ottica, la difesa non è tenuta a dimostrare la falsità delle prove, essendo sufficiente che tratteggi le irregolarità dimostrate dalle nuove prove e le plurime anomalie riscontrate nella formazione delle prove poste a base della condanna.

Si rileva che, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite Pisano, la previsione di cui all'art. 630 comma 1 lettera d) cod. proc. pen., diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, "non preclude al giudice della revisione, con singolare ma inevitabile interferenza con la previsione di cui all'articolo 630 lettera c), di delibare incidentalmente in ordine alla mera ipotizzabilità della sussistenza di elementi per procedere nei confronti del terzo autore del falso giudiziale, o di altro reato".

Si denuncia l'errore valutativo nel non consentire di esplorare il tema delle intercettazioni mancanti, dovendosi ritenere, al riguardo, del tutto ininfluente il rigetto, in sede esecutiva, della richiesta di accesso al server della Procura.

Si evidenziano le anomalie che hanno contrassegnato il procedimento volto alla analisi dei reperti da svolgersi nelle forme dell'incidente probatorio. La originaria declaratoria di inammissibilità della richiesta di incidente probatorio era stata annullata con rinvio. La successiva dichiarazione di inammissibilità era stata impugnata anch'essa con ricorso per cassazione, ma la mattina della udienza fissata dinanzi alla Corte suprema, il cancelliere dell'ufficio corpi di reato di Co.Ed. si recava presso l'inceneritore e distruggeva i reperti della c.d. strage di E.

Si registra infine un difetto di motivazione sul profilo connesso alle video interviste effettuate dal dottor Pi.

5. Il Sostituto Procuratore generale ha trasmesso una articolata memoria, con la quale espone le ragioni della ritenuta infondatezza del ricorso.

Nella stessa linea si pongono le memorie delle parti civili.

Il difensore di Fr.El. e Fr.An. controbatte alle argomentazioni dei ricorrenti, ponendo in rilievo che la cartella clinica di Fr.Ma. è sempre stata agli atti (depositata dalla difesa di parte civile già all'udienza 29/01/2008, v. faldone d/4) e da essa risulta che:

"- è stata esclusa qualsiasi forma di intossicazione dal test specifico (emogasanalisi della carbossiemogiobina) effettuato ripetutamente al paziente fin dall'immediatezza del primo ingresso in pronto soccorso (ore 21.42 ingresso - 21.55 prima emogasanalisi - v. pag. 220 estratto cartella clinica qui allegato), poi nelle ore successive e infine quotidianamente fino al 17/12/2006;

- i suddetti test specifici sono evidenziati in ciascun referto (da pag. 208 a pag. 223 della cartella), nell'indicazione: valori ossimetrici: valore fcohb% - che sì attesta sempre inferiore all'1,5% (all'ingresso in P.5. 1,1%):

- ogni test, dal primo all'ultimo, ha dato esito negativo, ossia sempre inferiore al valore soglia (per soggetti non fumatori) di 1,5% di monossido nel sangue;

- le stesse consulenze difensive portatrici di elementi di novum, hanno (correttamente) segnalato che solo valori oltre il 25% potrebbero comportare conseguenze neurologiche degne di rilievo, tra cui quelle ipotizzate sulla memoria".

Pertanto, sostiene il difensore di parte civile, Fr.Ma. non aveva alcuna intossicazione da monossido e quindi non ha sofferto di deficit cognitivi tardivi secondo il decorso causale paventato dalle "prove nuove" offerte dalle difese.

Il difensore delle parti civili Ca.Pi. e Ca.Gi. ha trasmesso una memoria con la quale svolge una analitica critica sui singoli motivi di ricorso.

I difensori dei condannati hanno trasmesso una memoria di replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale, contenente anche una attenta disamina degli arresti giurisprudenziali più recenti in materia di giudizio di revisione.

6. Si è proceduto a discussione orale su richiesta dei difensori dei ricorrenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati.

2. Le questioni sollevate con i motivi di ricorso richiedono un inquadramento sistematico della revisione avendo riguardo ai valori che vi sono sottesi e alle regole procedimentali che mirano ad attuali.

2.1. Come ha stabilito la Corte costituzionale con una pronuncia risalente ma ancora attuale per i principi espressi: "l'istituto della revisione si pone nel sistema delle impugnazioni penali quale mezzo straordinario di difesa del condannato ed è preordinato alla riparazione degli errori giudiziari, mediante l'annullamento di sentenze di condanna che siano riconosciute ingiuste posteriormente alla formazione del giudicato. Esso risponde all'esigenza, di altissimo valore etico e sociale, di assicurare, senza limiti di tempo ed anche quando la pena sia stata espiata o sia estinta, la tutela dell'innocente, nell'ambito della più generale garanzia, di espresso rilievo costituzionale, accordata ai diritti inviolabili della personalità" (Corte cost. sent. n. 28 del 1969). La Consulta ha avuto, altresì, cura di precisare che: "La revisione è necessariamente subordinata a condizioni, limitazioni e cautele, nell'intento di contemperarne le finalità con l'interesse, fondamentale in ogni ordinamento, alla certezza e stabilità delle situazioni giuridiche ed alla intangibilità delle pronunzie giurisdizionali dì condanna, che siano passate in giudicato" (sent. n. 28 del 1969, cit.).

Nell'ambito del diritto convenzionale la Corte EDU afferma che il principio della certezza del diritto è implicito in tutti gli articoli della Convenzione (cfr. tra le altre Corte EDU, Grande Camera, 20 ottobre 2011, Nejdet Sahin e Perihan Sahin c. Turchia par. 56). Esso si manifesta in diverse forme e contesti, tra i quali si annovera l'esigenza di non mettere più in discussione una sentenza definitiva (Corte EDU, Grande Camera, 28/10/1999, Brumarescu c. Romania, par. 61).

Ciò presuppone, in generale, il rispetto del principio della res iudicata, che, salvaguardando il carattere definitivo delle sentenze e i diritti delle parti del procedimento interno - comprese le persone coinvolte in qualità di vittime -, serve a garantire la stabilità del sistema giudiziario e contribuisce alla fiducia dei cittadini nella giustizia (Corte EDU, Grande Camera, Guòmundur Andri Astràòsson, c. Islanda, 01/12/2020, par. 238; Corte Edu, 23/11/2023 Wahjsa c. Polonia, par. 222 e ss.).

La protezione contro la ripetizione del procedimento penale è una delle garanzie specifiche derivanti dal principio generale di equità del processo in materia penale di cui all'articolo 6 della CEDU (Corte Edu, 9 marzo 2006, Bratyakin c. Russia).

Una deroga a tale principio è giustificata solo dalla necessità di correggere difetti fondamentali della decisione o un errore giudiziario. Le autorità nazionali devono avviare e condurre una procedura di revisione assicurando, per quanto possibile, un giusto equilibrio tra gli interessi dell'individuo e la necessità di garantire l'efficacia della giustizia penale (Corte Edu, 20/07/2004, Nikitine c. Russia, par. 57).

Nel medesimo senso si colloca anche la giurisprudenza di legittimità quando evidenzia che la disciplina della revisione mira a comporre il conflitto tra esigenze di giustizia formale ed esigenze di giustizia sostanziale, che, nella tensione dialettica finalizzata alla ricerca della verità, accompagna l'intero corso del processo e ne segna i passaggi salienti.

Le prime si concretizzano nel giudicato e nella necessità, che ne è alla base, di fissare definitivamente l'accertamento giudiziale e di cristallizzare su determinati risultati la ricerca della verità compiuta nel processo, nella consapevolezza che la dinamica processuale deve trovare un punto di arresto di fronte all'esigenza di certezza e di stabilità delle decisioni giurisdizionali quali fonti regolatrici di relazioni giuridiche e sociali.

Sull'altro versante si pongono valori superiori rispetto ai quali l'ordinamento, con precise scelte di politica legislativa, prevede un sacrificio del giudicato. Tra questi vanno annoverati i rimedi all'errore giudiziario. Invero corrisponde alle più profonde radici etiche di qualsiasi società civile il principio del favor innocentiae che consente di riaprire il processo allorché ricorrono specifiche ipotesi, tassativamente indicate, considerate dal legislatore sintomatiche della probabilità di errore giudiziario e di ingiustizia della sentenza irrevocabile di condanna (cfr. per tutte Sez. 1, n. 4837 del 06/10/1998, Bompressi).

I casi di revisione, previsti dall'art. 630 cod. proc. pen., rappresentano, dunque, la tipizzazione legale di precise situazioni alle quali l'ordinamento riconnette la probabilità di una condanna ingiusta vietando, al contempo, di dissolvere ab intrinseco - in mancanza di nuovi elementi rimasti estranei ai precedenti giudizi- l'efficacia formale e sostanziale del giudicato sulla base di una diversa valutazione delle stesse prove esaminate nella sentenza divenuta irrevocabile.

2.2, Il codice di rito stabilisce la tipologia di condanne soggette a revisione (art. 629), i casi in cui il rimedio straordinario può essere attivato (art. 630), i limiti (art. 631), i soggetti legittimati alla richiesta (art. 632), la forma della richiesta e il giudice competente (art. 633), il modello procedimentale composto da una delibazione di ammissibilità (art. 634) e dall'eventuale successivo giudizio dibattimentale (art. 636) che si svolgono, entrambi, dinanzi allo stesso organo: la Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 cod. proc. pen.

2.2.1. Gli attuali caratteri del procedimento sono segnati dalla presa di distanza del legislatore del 1988, in funzione estensiva ed espansiva delle garanzie, rispetto a quello del 1930 e si trovano distintamente enucleati dalla Corte costituzionale.

"La "nuova" revisione presenta peculiarità che vanno ben oltre la semplice individuazione di un diverso giudice chiamato a pronunciarsi sulla istanza. Tra le non poche differenze, infatti, che connotano la disciplina della revisione dettata dagli artt. 629 e seguenti del nuovo codice rispetto a quanto prevedevano gli artt. 553 e seguenti del codice abrogato, la prima, e più appariscente, attiene alla mutata dinamica del procedimento ed alla soppressione della struttura bifasica che ne caratterizzava le cadenze sotto la vigenza del codice del 1930. In luogo, infatti, della precedente dicotomia tra la fase rescindente, devoluta alla cognizione della Corte di cassazione e la fase rescissoria attribuita al giudice di merito individuato in ragione delle varie ipotesi descritte dall'art. 561, secondo comma, del codice del 1930, il nuovo codice assegna il vaglio sulla ammissibilità della richiesta e la conseguente cognizione del merito alla corte di appello nel cui distretto si trova il giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna di primo grado. Muta, quindi, rispetto al passato sistema, non solo il criterio di determinazione della competenza, ma la stessa struttura del procedimento, ormai "unificato" nelle sue cadenze davanti ad un solo giudice (la corte di appello)" (Corte cost. sentenza n. 311 del 1991).

Ulteriore innovazione è stata introdotta con l'art. 631 cod. proc. pen. in forza del quale: "gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono "essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531". Poiché l'art. 530, secondo comma, stabilisce a sua volta che "il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile", ne consegue che, in presenza di una prova insufficiente o contraddittoria, la revisione, esclusa dal vecchio codice, viene ad essere nel nuovo testualmente ammessa" (Corte cost. sentenza n. 311 del 1991, cit.).

2.2.2. Nonostante le nuove disposizioni e l'insegnamento del giudice costituzionale, la giurisprudenza di legittimità persevera, non di rado, nell'impiegare la "vecchia" terminologia per distinguere la delibazione preliminare di ammissibilità rispetto al giudizio dibattimentale, ma si tratta di mere scorciatoie linguistiche (definite dalla dottrina retaggio di ancien régime) che, è importante sottolinearlo, non sottendono alcun tentativo di recuperare le "antiche" e superate categorie.

Come si legge nella sentenza delle Sezioni Unite Pisano: "Nell'attuale sistema normativo, diversamente dal regime delineato nel sistema del codice di rito abrogato, non è ravvisabile nel procedimento di revisione una distinzione tra fase rescindente e fase rescissoria, non soltanto perché il giudizio positivo circa l'ammissibilità della richiesta non comporta intervento di alcun tipo sulla decisione denunciata, ma anche perché - un argomento davvero complementare - la seriazione procedimentale descritta dall'art. 629 e seguenti segnala l'esistenza di una progressione che - sia pure attestata ai "casi" tassativamente previsti dall'art. 630 - implica, ove il giudizio di ammissibilità abbia esito positivo, una continuità tra i due momenti, tale da incentrare nel giudizio di revisione stricto sensu inteso, il segmento cruciale della procedura" (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2022, in motivazione, paragrafo 9.1.; nel medesimo senso Sez. 1, n. 29660 del 17/06/2003, Asciutto, Rv. 226140 - 01).

2.2.3. Proprio la natura di impugnazione straordinaria giustifica l'adozione di un modello procedimentale che richiede un preventivo vaglio di ammissibilità finalizzato a scongiurare impugnazioni pretestuose o palesemente infondate o, comunque, a evitare la celebrazione di un nuovo processo, che appaia ex ante superfluo in base alle regole valutative dettate dal legislatore.

Quale necessario antecedente logico-giuridico dell'apertura del giudizio di revisione, l'indagine preliminare costituisce un momento interno al procedimento che, risultando finalizzato al vaglio di ammissibilità della richiesta, si sviluppa nei seguenti passaggi, enucleabili sulla scorta dell'art. 634 cod. proc. pen.: verifica dell'osservanza dell'oggetto dell'istanza, delle forme prescritte e della legittimazione del richiedente; riconducibilità delle ragioni per le quali è chiesta la revisione a una delle ipotesi tassativamente previste dall'art. 630 cod. proc. pen.; idoneità dei nuovi elementi a provare, se accertati, che il condannato deve esser prosciolto anche con formula dubitativa; non manifesta infondatezza della richiesta.

3. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Secondo i ricorrenti, una volta che il Presidente della Corte di appello abbia emesso il decreto di citazione a giudizio a norma dell'art. 636 cod. proc. pen., non sarebbe più consentito chiudere il processo di revisione con una declaratoria di inammissibilità, ma occorrerebbe dar corso all'istruttoria dibattimentale.

La tesi non ha pregio.

3.1. Come insegnano le Sezioni Unite Pisano, pronuncia eletta dagli stessi ricorrenti ad archetipo di riferimento, la norma di cui all'art. 634 cod. proc. pen., che individua le cause di inammissibilità della istanza di revisione, non preclude di assumere la decisione di inammissibilità con sentenza definitoria del giudizio, una volta che questo sia stato disposto (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220441).

La conclusione è sostenuta dall'analisi condotta ai paragrafi 9.2. e 9.3 della pronuncia delle Sezioni Unite Pisano, di seguito riassunta.

La delibazione sull'ammissibilità della richiesta di revisione non diverge dall'accertamento che il giudice dell'impugnazione è tenuto ad effettuare, e con valenza meramente incidentale, sull'ammissibilità dell'impugnazione stessa; tanto che solo se l'impugnazione risulti inammissibile, l'inammissibilità deve essere dichiarata, non essendo richiesta una esplicita dichiarazione di ammissibilità.

Torna applicabile la previsione dell'art. 591, comma 4, cod. proc. pen. ("l'inammissibilità può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento") da ritenere norma generale, riferibile ad ogni mezzo di impugnazione e, quindi, anche alla revisione.

Pertanto l'emissione del decreto di citazione a giudizio non osta alla declaratoria di inammissibilità della richiesta di revisione, posto che, per definizione, nessuna preclusione, né tantomeno alcun giudicato interno, potrebbe formarsi sul punto.

Le Sezioni Unite Pisano definiscono costante la linea interpretativa in base alla quale l'inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, anche con sentenza, successivamente all'instaurazione del giudizio ai sensi dell'art. 636. "E ciò perché il procedimento di revisione si sviluppa in due fasi: la prima è costituita dalla valutazione - che avviene de piano, senza avviso al difensore o all'imputato della data fissata per la camera di consiglio - dell'ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l'osservanza delle norme di legge, nonché che non sia manifestamente infondata; la seconda è, invece, costituita dal vero e proprio giudizio di revisione mirante all'accertamento e alla valutazione delle "nuove prove", al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all'affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto. In questa seconda fase - che si svolge nelle forme previste per il dibattimento - è consentito alla corte di appello rivalutare le condizioni di ammissibilità dell'istanza e di respingerla senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio di merito" (cfr. Sezioni Unite Pisano, cit.).

"Pertinente appare, dunque, il richiamo all'art. 636, comma 1, perché al procedimento di revisione si applicano, per la vocatio in ius, le norme generali previste per il giudizio di appello; con la conseguenza che l'emissione del decreto di citazione non è necessaria quando ricorra un'ipotesi di inammissibilità; il che, peraltro, non sta a significare che ogni qualvolta sia stato emesso il decreto di citazione l'inammissibilità non possa essere dichiarata. Infatti, ancorché siano tra loro diverse le cause di inammissibilità della revisione (art. 634) e le cause di inammissibilità dell'appello, si deve convenire che, essendo identico, nel suo insieme, il modello procedimentale prescelto per entrambi i mezzi di impugnazione, pure in tema di revisione si rende applicabile il disposto dell'art. 591, comma 4, in base al quale, quando non è stata rilevata di ufficio prima dell'emissione del decreto di citazione a giudizio, l'inammissibilità "può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento". Dunque, la possibilità di dichiarare l'inammissibilità della richiesta di revisione quando questa risulti o manifestamente infondata o proposta fuori delle ipotesi previste dagli artt. 629 e 630 ovvero senza l'osservanza delle disposizioni contenute negli artt. 631, 632, 633 e 641, non preclude l'adozione della stessa declaratoria, per i medesimi motivi, con la sentenza conclusiva del giudizio, una volta che questo sia stato disposto" (cfr. Sezioni Unite Pisano, cit.).

3.2. I rilievi appena svolti consentono di porre in risalto anche un ulteriore profilo.

L'art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., inserito dall'art. 1, comma 66, legge 23 giugno 2017, n. 103, stabilisce che le decisioni delle Sezioni Unite hanno valore vincolante per le sezioni semplici della Corte di cassazione le quali, se non ne condividono il principio di diritto, devono rimettere di nuovo la questione alle Sezioni Unite.

La norma ha introdotto una ipotesi di rimessione che, a differenza di quella, facoltativa, di cui al comma 1, si caratterizza per essere obbligatoria, nel segno della volontà di rafforzare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione attraverso il consolidamento del ruolo delle Sezioni Unite (così in motivazione Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli).

L'intento è quello di offrire uno strumento a garanzia della prevedibilità delle decisioni future, posto che, secondo i parametri della Corte EDU, la certezza del diritto rappresenta un corollario fondamentale dello Stato di diritto, nella misura in cui garantisce la stabilità delle decisioni giudiziarie, che a sua volta è condizione essenziale della fiducia dei consociati nel sistema giudiziario (cfr., tra le altre, Corte EDU, 22 dicembre 2015, Stankovic e Trajkovic c. Serbia).

L'art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen. "trova applicazione anche con riferimento alle decisioni intervenute, come nella specie, precedentemente all'entrata in vigore della nuova disposizione: il tenore generale della norma e la ratio ispiratrice appena ricordata consentono di ritenere, in mancanza tra l'altro di una apposita disciplina di carattere intertemporale, subito applicabile la nuova disposizione posto che il valore di "precedente vincolante", tale da imporre obbligatoriamente alla sezione semplice la rimessione del ricorso, è identificabile con la sola peculiare fonte di provenienza della decisione, indipendentemente dalla collocazione temporale di quest'ultima, se cioè ante o post riforma" (così Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273549 - 01).

Nella specie il "precedente vincolante", presidiato dall'art. 618 comma 1-bis cod. proc. pen., va individuato in quello espresso dalle Sezioni Unite Pisano, da cui questo collegio non intende discostarsi.

3.3. A tale riguardo va rimarcato che - a differenza delle Sezioni Unite Pisco (Sez. U, n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998, Rv. 210040 - 01) - la sentenza delle Sezioni Unite Pisano (che comunque recepisce espressamente il principio già statuito dalle prime) interviene nel vigore della nuova formulazione dell'art. 111 Cost. (a seguito della legge costituzionale n. 2 del 1999). Pertanto neppure si verte in un caso in cui al "precedente vincolante" abbia fatto seguito una modifica normativa o una sentenza della Corte costituzionale (anche interpretativa di rigetto), ipotesi che renderebbe inoperante la previsione dell'art. 618 comma 1-bis cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Moscuzza, in motivazione).

La soluzione cui pervengono le Sezioni Unite Pisano non si pone in contrasto con il principio del "contraddittorio nella formazione della prova", consegnato al quarto comma dell'art. 111 Cost., più volte invocato dai ricorrenti.

Basti osservare che l'inammissibilità dell'istanza di revisione soggiace a criteri valutativi operanti su altro e diverso piano rispetto a quello di formazione di una prova, criteri anch'essi fissati dal legislatore a presidio di valori a matrice costituzionale quali l'interesse, fondamentale in ogni ordinamento, alla certezza e stabilità delle situazioni giuridiche ed alla intangibilità delle pronunzie giurisdizionali di condanna passate in giudicato.

La prova richiesta sarà raccolta nel contraddittorio soltanto se non ricorreranno le condizioni di inammissibilità indicate dalla legge, le quali, peraltro, lungi dall'infrangere il principio del contraddittorio, devono essere apprezzate aderendo alla prospettazione difensiva e verificandone l'impatto sul giudicato (cfr. più estensivamente infra, paragrafo 4).

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il diritto alla prova deve essere interpretato nei limiti delle ragioni proprie del processo revisionale, per cui, ove le "nuove prove" risultino inidonee ad inficiare l'accertamento del fatto, il giudice della revisione è legittimato a non ammetterle e a dichiarare inammissibile o rigettare la richiesta (Sez. 3, n. 20467 del 04/04/2007, Cadotti, Rv. 236673 - 01).

È vero che alcune pronunce di legittimità fanno leva sulla distinzione, logica e funzionale, della duplice dimensione - rescindente e rescissoria - del giudizio di revisione "in quanto maggiormente compatibile con il quadro normativo richiamato, e, soprattutto, con un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme codicistiche che vengono in rilievo, alla luce della più spiccata sensibilità per i principi del "giusto processo" e del "contraddittorio tra le parti" indotta dalla riforma costituzionale dell'art. 111 Cost., successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite del 1998" (Sez. 3, n. 15402 del 20/01/2016, Di Pressa, paragrafo 2.2., pag. 7).

Tuttavia l'affermazione muove da premesse non convincenti che: divergono dai caratteri del "nuovo" procedimento di revisione; archiviano le Sezioni Unite Pisco del 1998, ritenendole superate dalle nuove istanze costituzionali del giusto processo, ma evitano di confrontarsi con la sentenza delle Sezioni Unite Pisano pronunciata nella piena vigenza dell'art. 111 Cost.; non spiegano le ragioni della ritenuta incompatibilità con i principi costituzionali.

In realtà, come già osservato al paragrafo 2, anche la citata sentenza Sez. 3 Di Pressa, al pari di altre (molte delle quali richiamate in ricorso), si radica, è vero, su categorie superate, ma poi, in definitiva, giunge ad affermare un principio (del tutto indipendente da quelle categorie) pienamente condivisibile: la necessaria e legittima delibazione prognostica (in qualunque forma e in qualunque momento adottata) non può mai travalicare, a pena di incorrere in vizio motivazionale, in una indebita anticipazione del giudizio di merito.

A ben vedere il reale fulcro della questione è imperniato non sul rispetto o meno di un modello procedimentale (che alcune pronunce, a dispetto delle nuove norme e degli insegnamenti delle Sezioni Unite, continuano a incasellare in rigide scansioni), né sulla tipologia di provvedimento adottato (ordinanza emessa de plano o sentenza pronunciata nel contraddittorio delle parti), quanto piuttosto sul corretto impiego dei criteri valutativi dettati dall'art. 634 cod. proc. pen. (oggetto di più ampia disamina infra al paragrafo 4).

Su quest'ultimo profilo finiscono per convergere tutte le decisioni della Corte di cassazione, indipendentemente dalle diverse (e non sempre persuasive) basi teoriche da cui prendono le mosse ed è grazie a questa confluenza che non si apprezza alcun effettivo contrasto esegetico.

3.3. In conclusione - chiarito che, con riguardo all'attuale disciplina della revisione, è improprio continuare a distinguere una fase rescindente e una fase rescissoria - va riaffermato il principio per cui la Corte di appello può rivalutare la richiesta di revisione e dichiararne con sentenza l'inammissibilità anche nella fase degli atti preliminari allorquando risulti, per qualsiasi ragione, che le prove richieste manchino del requisito della novità o della idoneità a provocare l'assoluzione del condannato, non residuando in tal caso alcun ulteriore accertamento che giustifichi il prosieguo del dibattimento e lo svolgimento di ulteriore attività difensiva (cfr. Sez. 3, n. 43573 del 30/09/2014, G., Rv. 260989 - 01; Sez. 2, n. 34773 del 17/05/2018, Turrà, Rv. 273452 - 01).

Discende che la declaratoria di inammissibilità pronunciata dalla Corte di appello di Brescia dopo la citazione a giudizio è rispondente al modello procedimentale disegnato dal legislatore, come enucleato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione.

Ed anzi la procedura seguita dalla Corte bresciana ha assicurato ai condannati più pregnanti garanzie, poiché il provvedimento di inammissibilità è stato assunto non de plano (come consentito) ma dopo l'instaurazione del contraddittorio, avvenuta a seguito della citazione delle parti, quindi con un maggior grado di tutela rispetto al "modello base minimo" disegnato dall'ordinamento.

Peraltro la pronuncia impugnata non potrà mai costituire una "decisione a sorpresa", dato che esprime la medesima linea interpretativa elaborata dalla Corte di cassazione, nel suo massimo consesso, e quindi la sentenza di inammissibilità rappresenta un esito prevedibile anche dopo la vocatio in ius.

4. Il secondo motivo di ricorso è, nel complesso, infondato, pur presentando profili di inammissibilità.

4.1. Le censure difensive si appuntano, in modo precipuo, su quello che, come già osservato, rappresenta il punto nevralgico del sistema: il rispetto dei criteri valutativi della inammissibilità a mente degli artt. 630 - 634 cod. proc. pen.

I ricorrenti contestano la declaratoria di inammissibilità della richiesta di revisione formulata ai sensi dell'art. 630, lett. c), cod. proc. pen. facendo leva su: il concetto di prova nuova (anche applicato alla prova scientifica); il mancato rispetto della regola "prognostica" di cui all'art. 631 cod. proc. pen.; l'insussistenza di una infondatezza "manifesta"; la mancata valutazione sinergica delle nuove prove.

Nel condurre la relativa analisi l'interprete deve essere guidato dalla necessità di trovare un equilibrato bilanciamento tra i contrapposti valori in rilievo: assicurare prioritaria tutela all'innocente ingiustamente condannato, senza sacrificare, oltre il necessario, la certezza e stabilità delle situazioni giuridiche.

Quindi, per un verso, occorre procedere a una seria delibazione preliminare "anche dettagliatamente e approfonditamente motivata" delle "nuove prove" offerte con l'istanza di revisione (Sez. 1, n. 4126 del 13/10/1993, Geri, Rv. 195611 - 01; tra le ultime Sez. 1, n. 5684 del 05/11/2024, dep. 2025, non massimata), sì da non riaprire, senza basi solide, un "secondo" processo.

Per altro verso, occorre evitare che quel vaglio preliminare sconfini in una "penetrante anticipazione del giudizio di merito" (Sez. 5, n. 15403 del 07/03/2014, Molinari, Rv. 260563 - 01), in modo da non frapporre un ostacolo insuperabile all'accesso alla revisione per la persona ingiustamente condannata.

L'assunzione dibattimentale delle prove richieste è consentita a condizione che i nuovi elementi, se dimostrati, siano in grado di ribaltare (anche solo attraverso una formula proscioglitiva di dubbio) il giudicato di condanna; in assenza di tale presupposto il dibattimento si rivela superfluo e pertanto sul procedimento di revisione cala lo sbarramento della inammissibilità.

4.1.1. La prova nuova.

A mente dell'art 630, lett. c), cod. proc. pen,, la revisione può essere richiesta "se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631".

La nozione di "prova" e quella di "novità" ricevono limpida definizione nella sentenza delle Sezioni Unite Pisano più volte citata.

L'espressione "prove", adottata dall'art. 630, lettera c), cod. proc. pen. corrisponde a "elementi di prova".

L'elemento di prova è quel dato che, introdotto nel procedimento, può essere utilizzato dal giudice come fondamento per la successiva attività inferenziale.

Esso si differenzia dalla "fonte di prova" rappresentata dal soggetto o dall'oggetto da cui può derivare almeno un elemento di prova.

L'attività attraverso la quale viene introdotto nel procedimento almeno un elemento di prova è il "mezzo di prova".

Sulla base dell'elemento di prova si svolgerà il procedimento intellettivo del giudice, il cui esito sarà rappresentato da una proposizione costituente il "risultato della prova" che, a sua volta, va concettualmente distinto dalla "conclusione probatoria", raggiunta solo al termine della valutazione della prova.

L'oggetto di prova potrà considerarsi dimostrato quando si sarà verificata la coincidenza tra l'affermazione probatoria (vale a dire, l'enunciato circa un fatto) e il risultato della prova, dovendo qui ripetere che in tal caso potrà concludersi che, in sé e per sé (salva la valutazione dei fatti secondari), la prova è "riuscita", nel senso che ha dato esito positivo, ovvero è "fallita", nel senso che ha dato esito negativo.

Il concetto di "prova nuova" va ricostruito avendo di mira l'oggetto che essa deve introdurre nel processo di revisione e che si sostanzia comunque nella rappresentazione di un fatto (fondato "eventualmente" sugli elementi potenzialmente idonei a dimostrarlo) in grado di vincere, nel contesto tipico della procedura di ammissibilità, la resistenza del giudicato.

Ergo per prove nuove -rilevanti a norma dell'art. 630 lett. c) cod. proc. pen. ai fini dell'ammissibilità della istanza di revisione - devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue nel processo di cognizione, e indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443 - 01).

L'approdo della giurisprudenza interna si trova in piena armonia con l'interpretazione che la Corte Edu offre in merito all'art. 4, comma 2, protocollo addizionale 7 CEDU, a mente del quale la regola del ne bis in idem (sancita dal comma 1) non impedisce la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se dei fatti nuovi o degli elementi nuovi o un vizio fondamentale nella procedura antecedente avrebbero potuto condizionare l'esito del caso. La Grande camera ha stabilito che detta previsione non distingue tra noviter reperta aut producta, sicché, nel processo di revisione, è consentito dare accesso anche a prove già presenti agli atti e mai valutate dal giudice della cognizione sebbene rilevanti ai fini del sindacato sulla colpevolezza (Corte Edu, Grande camera, 08/07/2019, Mihalache c. Romania).

4.1.2. La prova scientifica.

È utile ripercorrere, in sintesi, l'evoluzione della giurisprudenza di questa Corte circa l'attitudine degli accertamenti tecnico-scientifici ad assumere valenza di prova nuova ex art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.

Il più risalente indirizzo escludeva in radice l'idoneità di una diversa e nuova valutazione tecnico-scientifica dei dati già noti ad integrare la prova nuova ai fini della revisione, trattandosi di apprezzamenti critici relativi a elementi già conosciuti e valutati nel giudizio (Sez. 2, n. 5494 del 12/12/1994, dep. 1995, Muffari, Rv. 201111 - 01; Sez. 1, n. 1095 del 23/02/1998, Nappi, Rv. 210022 - 01).

Successivamente la Corte di cassazione ha avvertito la necessità di superare quel rigido orientamento esegetico che: trovava fondamento su una concezione positivistica della scienza intesa come insieme di conoscenze complete, certe, uniche; rifiutava l'idea che nella nozione di scienza fosse insito il concetto di fallibilità, di relatività, di evoluzione; rifuggiva il metodo della falsificabilità, nonché la ricerca e la valutazione di altre differenti ricostruzioni del fatto storico; non accettava la prospettiva che l'utilizzazione di un diverso criterio, pur se applicato agli stessi elementi, potesse produrre esiti affatto diversi; rifuggiva la dimostrazione dell'applicabilità di leggi scientifiche alternative che dessero al fatto provato una spiegazione differente. Ad esso si accompagnava la preoccupazione di una inconciliabilità logica tra le esigenze di certezza e di stabilità proprie dell'accertamento effettuato nel processo penale e assicurate dal giudicato e le finalità gnoseologiche della scienza, contraddistinta, per sua stessa natura, dalla incompletezza e provvisorietà delle acquisizioni conoscitive raggiunte (così in motivazione Sez. 1, n. 15139 del 08/03/2011, Ghiro).

Si è quindi sviluppato il più recente e ancora attuale orientamento - coerente con le indicazioni provenienti, da un lato, dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo e, dall'altro, dalle Sezioni Unite Pisano - secondo il quale la necessità di nuovi accertamenti peritali può rendere ammissibile la richiesta di revisione non solo quando riguardi nuove sopravvenienze fattuali, ma anche quando sia motivata dall'impiego di nuove tecniche e conoscenze scientifiche su dati già acquisiti.

"Alla stregua di questa diversa impostazione, quindi, la novità della prova scientifica può essere correlata all'oggetto stesso dell'accertamento oppure al metodo scoperto o sperimentato, successivamente a quello applicato nel processo ormai definito, di per sé idoneo a produrre nuovi elementi fattuali" (Sez. 1 Ghiro cit.) a condizione che si tratti di applicazioni tecniche accreditate e pienamente attendibili dal livello del sapere acquisito dalla comunità scientifica (Sez. 1, n. 4837 del 06/10/1998, Bompressi, Rv. 211457; conf. Sez. 1, n. 25810 del 07/05/2002, Gucci, Rv. 221589; Sez. 6, n. 26734 del 15/04/2003, Morabito Rv. 227422).

Se, dunque, costituisce "prova nuova" quella che mira ad introdurre elementi di fatto diversi da quelli già presi in considerazione nel precedente giudizio (Sez. 6, n. 53428 del 05/11/2014, Rubino, Rv. 261840), alla stessa conclusione deve giungersi con riferimento alla diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali, quando risulti fondata su nuove metodologie, più raffinate ed evolute, idonee a cogliere dati obiettivi nuovi, sulla cui base vengano svolte differenti valutazioni tecniche (così in motivazione Sez. 5, n. 10523 del 20/02/2018, Rossi, cit.).

Tutto ciò va inserito, ovviamente, nel perimetro degli artt. 631 e 634 cod. proc. pen., nel senso che anche la prova scientifica, per quanto innovativa e accreditata, deve prospettare al giudice un risultato probatorio capace, se verificato, di incidere (unitamente ad altri eventuali elementi) sul giudicato già formatosi.

4.1.3. Il giudizio prognostico e la manifesta infondatezza.

Diviene allora necessario approfondire la disamina vertente sull'indagine preliminare di ammissibilità, specificandone i contenuti e la portata in riferimento ai punti concernenti sia i "limiti" sanciti dall'art. 631 cod. proc. pen. sia la non manifesta infondatezza della richiesta di cui all'art. 634 cod. proc. pen.

Il contenuto e la funzione del controllo imposto dall'art. 631 possono essere ricavati, con sufficiente precisione, dal testo di tale disposizione, secondo cui "gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531".

Oltre ad esprimere in forma sintetica il risultato potenziale cui deve tendere l'istituto della revisione (Rei. prog. prel., p. 137), la norma chiarisce, in termini inequivoci, che l'indagine svolta nell'ottica del citato art. 631 corrisponde a un giudizio compiuto sulla base delle conoscenze fornite dalle nuove prove e della idoneità di esse a capovolgere l'esito del giudizio mediante la sostituzione della decisione irrevocabile di condanna con una di proscioglimento, nel senso che, assunti come veri i fatti prospettati dal richiedente, l'incidenza delle nuove prove, sole o unite a quelle già valutate, deve essere tale da giustificare (per quanto qui interessa) la pronuncia di una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto anche con formula dubitativa (così Sez. 1, n. 4837 del 06/10/1998, Bompressi, cit.).

Nella giurisprudenza di legittimità è ricorrente l'affermazione che tale delibazione debba compiersi "in astratto" mentre l'esame "in concreto" o "nel merito" è riservato alla fase successiva all'assunzione della prova stessa.

Il riferimento alla categoria dell'astrattezza va, però, correttamente interpretato.

Il requisito dell'astrattezza attiene non al concetto di generalità e indeterminatezza, come tale avulso dal "caso concreto" oggetto di scrutinio, bensì al carattere della idoneità probatoria, da vagliarsi in modo estrinseco, "dall'esterno", per saggiare, ex ante, la capacità della "affermazione probatoria" (cioè del risultato di prova come ipotizzato dalla parte) di incidere, in maniera decisiva, sull'esito del processo già definito. L'impiego del termine "in astratto" serve a tracciare una chiara linea di demarcazione che non lasci dubbi circa il divieto, nella fase preliminare, di penetrare all'interno della prova richiesta, anticipando un giudizio di conferma (prova riuscita) o di falsificazione (prova fallita) che può essere espresso solo ex post dopo l'assunzione della prova stessa.

In sostanza, nel vaglio di ammissibilità, il giudice è chiamato a stabilire se, dando per accertati i fatti che i nuovi elementi di prova intendono dimostrare, il giudicato di condanna verrebbe travolto. Quindi la deliberazione va condotta in via prognostica e dall'esterno, in tal senso viene definita come "astratta".

In questa prospettiva si coglie l'importanza e la necessità di un simile preliminare vaglio, poiché sarebbe inutile e dispendioso dare corso alla acquisizione di prove che, anche se riuscissero a raggiungere l'esito dimostrativo indicato dai richiedenti, non sarebbero comunque in grado di ribaltare l'affermazione di responsabilità dei condannati.

Alla valutazione imposta dall'art. 631 cod. proc. pen. deve seguire quella sulla manifesta infondatezza ex art. 634 cod. proc. pen., che, seppur distinta, risulta strettamente correlata alla prima. Essa si sostanzia in una indagine di merito (implicata dal concetto di "fondatezza") e, nell'ipotesi di prospettazione di prove nuove, si traduce nel riscontro della persuasività e della congruenza dei risultati probatori che l'impugnazione straordinaria si propone di raggiungere.

Il punto nodale della manifesta infondatezza è rappresentato dai limiti entro i quali contenere la relativa delibazione: da un lato la valutazione, pur diffusamente argomentata, non può consistere in una anticipazione del giudizio di merito, che finirebbe per risultare inevitabilmente superficiale e illogica, in quanto avulsa dal contraddittorio tra le parti e fondata su una prova non ancora compiutamente acquisita; dall'altro lato, la valutazione degli elementi addotti come prova, da effettuarsi nei termini in cui essi sono prospettati, può rilevarne eventuali segni di inconferenza, inaffidabilità o non persuasività ove siano "manifesti", cioè evidenti.

L'attributo di "manifesta" infondatezza riceve una definizione chiara e non opinabile, ispirata a parametri univoci, elaborati soprattutto nell'ambito della inammissibilità del ricorso per cassazione, ma esportabili anche in questa sede per i concetti generali che ne risultano distillati.

Esso evoca "la significazione di palese inconsistenza" di "pretestuosità oggettiva prescindente dalla deliberata volontà dell'interessato" (cfr. Corte Cost., sentenza n. 183 del 2000; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., in motivazione) e si sostanzia in prospettazioni ictu oculi prive di qualsiasi base giuridica o in critiche vuote di significato in quanto all'evidenza contrastate dagli atti processuali come accade, ad esempio, nel caso in cui si attribuisca alla motivazione della decisione impugnata un contenuto letterale, logico e critico radicalmente diverso da quello reale (cfr. in motivazione Sez. 2 n. 8327 del 24/11/2021, dep. 2022, Salvatore; Sez. 2, n. 17281 del 08/01/2019, Delle Cave, Rv. 276916 - 01).

La disamina dei caratteri strutturali e funzionali della delibazione preliminare relativa all'ammissibilità della richiesta di riesame richiede due ulteriori precisazioni.

La prima è che, come già anticipato, lo scrutinio non può arrestarsi alla sfera di pura genericità, ma deve porsi a raffronto con la realtà processuale. Una tale esigenza è ben spiegabile quando si considera che occorre comparare le nuove prove con quelle sulle quali si fonda la condanna divenuta irrevocabile; di talché è compito indeclinabile del giudice della revisione identificare, nel momento della sommaria delibazione, i fatti e le prove che rappresentano il tessuto logico-giuridico del giudicato, ricostruito sulla base delle vicende del processo, al fine di confrontarli con quelli addotti a giustificazione della revisione e di verificare la potenziale idoneità di questi ultimi a condurre a una pronuncia di proscioglimento, sia pure con la formula del dubbio (così Sez. 1, n. 4837 del 06/10/1998, Bompressi). Al riguardo la giurisprudenza di legittimità è consolidata nell'affermare che la valutazione preliminare circa l'ammissibilità della richiesta proposta sulla base dell'asserita esistenza di una prova nuova non può essere confinata nell'astrazione concettuale, ma deve ancorarsi alla fattispecie concreta e svilupparsi in termini realistici, così da non potere ignorare evidenti segni di inconferenza e/o inaffidabilità della prova nuova rilevabili ictu oculi (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 1969 del 20/11/2020 dep. 2021, L., Rv. 280405 - 01; Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, Buscaglia, Rv. 273029 - 01; Sez. 5, n. 36718 del 04/05/2017, Aurichella, Rv. 271306 - 01; Sez. 1, n. 34928 del 27/06/2012, Conti Mica, Rv. 253437; Sez. 1, n. 41804 del 04/10/2007, Francini).

La seconda precisazione riguarda il metodo di valutazione delle prove nuove e di raffronto delle stesse con quelle precedentemente esaminate. Le attività valutative e di comparazione del materiale probatorio passano necessariamente attraverso un apprezzamento unitario e globale, che implica l'accertamento dell'idoneità dimostrativa in relazione al complesso delle prove, nuove e vecchie, considerate nelle loro reciproche interrelazioni, raccordi o integrazioni (Sez. 1, n. 4837 del 06/10/1998, Bompressi). Si tratta di un profilo su cui insistono ripetutamente i ricorsi, ma sul quale occorre intendersi: il vaglio sinergico delle prove postula la capacità di ciascuno dei nuovi elementi di incidere in qualche modo, anche se in maniera non individualmente decisiva, sui fatti accertati con la condanna definitiva, sì che messi in correlazione con altri elementi possano raggiungere, in via prognostica, il risultato perseguito; se, invece, i singoli nuovi elementi di prova risultassero del tutto privi di idoneità dimostrativa secondo i criteri sopra enucleati, sì da rimanere confinati nell'alveo della totale irrilevanza, sarà superfluo procedere a una loro valutazione globale.

4.2. È compito di questo collegio verificare, rimanendo all'interno del giudizio di legittimità, il rispetto da parte del provvedimento impugnato delle regole valutative sopra delineate.

Lo scrutinio verrà condotto enucleando le precipue ragioni della decisione e verificandone la capacità di resistenza rispetto alle critiche formulate dai ricorrenti. Va ricordato che non è consentito devolvere al giudice di legittimità una rivalutazione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell'esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l'hanno determinata, dell'assenza di manifesta illogicità dell'esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l'utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame (cfr. Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen Wenjian, Rv. 284556 - 01).

4.3. Occorre muovere dalle fondamenta della pronuncia di condanna come fissate negli esiti (sempre conformi) delle successive fasi di giudizio sfociate nella decisione definitiva, le cui tappe vengono ripercorse nella parte introduttiva della sentenza impugnata (pagg. 23 - 48).

Gli autori del quadruplice omicidio, del tentato omicidio e degli altri connessi delitti sono stati individuati negli odierni ricorrenti sulla scorta degli elementi di seguito riassunti (senza pretesa di esaustività).

4.3.1. Nella imminenza del fatto (nella notte tra l'11 e il 12 dicembre 2006) la polizia giudiziaria procede alla audizione di tutti gli abitanti delle palazzine che insistono sulla corte comune di via [Omissis] del Comune di E. Non emergono spunti investigativi se non a carico dei coniugi Ro.Ol. e Ba.Ro., che suscitano l'attenzione degli inquirenti per il singolare comportamento tenuto e perché a loro carico vi sono denunce di Ca.Ra. (cfr. sopra al paragrafo 2.2. del "ritenuto in fatto"); inoltre Ba.Ro. presenta una ferita fresca a un dito e Ro.Ol. un'ecchimosi sul dorso della mano sinistra e una sull'avambraccio.

Il 26 dicembre 2006 il brig. Fa. esegue un'ispezione sulla Seat Arosa di Ro.Ol. L'utilizzo del luminol fa risaltare delle luminescenze sulla portiera e sul battitacco lato conducente, sulla maniglia per regolare il sedile e sulla parte destra del sedile passeggero; gli esiti della repertazione, effettuata con carta da filtro sterile, vengono consegnati in data 29 dicembre 2006 al consulente tecnico del Pubblico Ministero dott. Pr.

Gli esami genetici, effettuati dal dottor Pr. prima nelle forme dell'art. 359 cod. proc. pen. e poi in quelle garantite dell'art. 360 cod. proc. pen., consentono di ricondurre la traccia di sangue prelevata dal battitacco a un profilo genetico complesso "costituito da una componente chiaramente maggioritaria perfettamente sovrapponibile al profilo genetico della vittima Ch.Va.".

L'unico sopravvissuto, Fr.Ma., dopo iniziali dichiarazioni in cui sostiene di non conoscere l'aggressore, afferma di aver riconosciuto Ro.Ol.

Sottoposti a fermo l'8 gennaio 2007 e immediatamente interrogati, Ro.Ol. e Ba.Ro. negano di essere i responsabili dell'accaduto. Tuttavia il 10 gennaio 2007 confessano ai pubblici ministeri di essere gli autori della strage e lo ribadiscono al giudice per le indagini preliminari il 12 gennaio 2007.

Sulla scorta delle dichiarazioni confessorie i fatti sono stati ricostruiti secondo le linee generali riepilogabili come segue: quella sera Ro.Ol. si trova all'interno della corte comune di Via (omissis). quando nota farvi ingresso Ca.Ra. che conduce l'auto del padre, con a bordo la madre e il figlio. Ro.Ol. e Ba.Ro., che nel frattempo lo ha raggiunto, indossano guanti di tela bianca, si muniscono di una spranga di ferro e di coltelli, quindi irrompono nell'abitazione dei coniugi Ca.Ra. - Ma. Ro.Ol., trovatosi al cospetto di Ca.Ra., la colpisce immediatamente con la spranga, poi si avventa contro Ga.Pa.: Ba.Ro. uccide il bambino, quindi insieme "finiscono" le due donne e appiccano il fuoco. Nell'uscire dall'appartamento, Ro.Ol. si imbatte nei coniugi Ch.Va. - Fr.Ma. che stanno scendendo le scale, provenendo dalla loro abitazione sita al piano superiore; cerca di evitarli, chiudendo la porta, ma è costretto a riaprirla a causa del fumo che si va diffondendo, così li affronta, impugna la spranga e la sferra contro Fr.Ma., poi lo ferisce alla gola con un coltellino che tiene in tasca; la Ba.Ro. colpisce ripetutamente Ch.Va. con il coltello, lo stesso fa Ro.Ol. dopo aver lasciato a terra Fr.Ma. Conclusa l'azione, i due si recano nel locale lavanderia (comune a tutti gli abitanti della corte di via (omissis)"), si lavano, si cambiano, ripongono strumenti, vestiario, scarpe e il tappeto su cui si sono cambiati in un sacco, si allontanano a bordo della Seat Arosa di Ro.Ol., si dirigono verso il cimitero di L, vicino al quale si trova un lavatoio; lì si puliscono delle residue tracce, quindi dividono la spazzatura in vari sacchetti che smaltiscono in diversi cassonetti, la cui ubicazione è nota a Ro.Ol. grazie all'attività di operatore ecologico da lui svolta.

Nel proprio interrogatorio Ba.Ro. specifica che: Ca.Ra. si era difesa morsicandole un dito e lottando con lei (aveva ancora la ferita fresca la notte tra l'11 e il 12 dicembre in cui viene svegliata dai carabinieri); era stata lei sola ad aggredire il bambino; lo aveva bloccato, comprimendogli la mano destra sul volto, in modo tale da spingere indietro la testa, così da scoprire il collo e lei (mancina) gli aveva infetto, con la mano sinistra, la coltellata mortale (mimava un gesto che andava da sinistra a destra); sulle scale Ro.Ol. si era subito avventato su Fr.Ma., mentre lei aveva colpito ripetutamente Ch.Va. sferrando, tra l'altro, una coltellata dietro la coscia della donna, facendola cadere a terra.

Giunti a processo, però, gli imputati si proclamano innocenti, sostenendo, con brevi dichiarazioni, che la mattina del 10 gennaio 2007 erano stati indotti a confessare crimini mai commessi dietro la falsa prospettazione di fortissimi sconti di pena, di incontri più frequenti durante il regime carcerario e dell'impunità di uno dei due.

La ritrattazione viene ritenuta inattendibile dai giudici della cognizione.

Come dà conto la sentenza della prima sezione della Corte di cassazione - che ha reso definitiva la condanna degli odierni ricorrenti (n. 33070 del 3 maggio 2011) - numerosi sono i dati intrinseci ed estrinseci a conferma della genuinità delle confessioni.

Si tratta di dichiarazioni spontanee, non indotte; gli imputati non si sono mai lamentati di aver subito pressioni nel corso delle indagini (anzi hanno riconosciuto la correttezza degli inquirenti), se non dopo il cambio di strategia difensiva.

I racconti confessori, oltre a riscontrarsi reciprocamente, sono arricchiti da una serie di particolari (non emergenti aliunde) molto significativi, soprattutto perché alcuni di essi possono essere noti soltanto agli autori delle condotte: il fatto che le vittime fossero arrivate a bordo dell'auto del padre di Ca.Ra., anziché della Panda che la donna era solita usare; la posizione finale del corpo delle vittime (in base ai primi rilievi, che avevano avuto eco nella stampa nazionale, Ca.Ra. sembrava essere deceduta sul pianerottolo dove era stato trovato il corpo, mentre soltanto in un secondo momento si appurerà che il cadavere della donna era stato trovato all'interno del suo appartamento da Ba.Gl. che lo aveva trascinato fuori nel tentativo di sottrarlo alle fiamme); l'utilizzo di due cuscini effettivamente rinvenuti dagli inquirenti accanto ai corpi di Ca.Ra. e Ga.Pa.; le modalità attraverso cui è stato appiccato il fuoco all'interno dell'appartamento della Ca.Ra. (l'incendio fu innescato nella camera da letto matrimoniale e nella cameretta del bambino, accumulando e dando fuoco ai libri e al contenuto dei cassetti); la dinamica e il luogo dell'aggressione contro i coniugi Fr.Ma. (sul pianerottolo del primo piano e lungo il vano scale).

L'ultima circostanza riceve ulteriore conforto non solo dal posto in cui i soccorritori hanno trovato Fr.Ma., gravemente ferito, ma anche dal rinvenimento di parte della protesi dentaria di Ch.Va. sul pianerottolo del primo piano e di tracce del sangue della Ch.Va. sul giubbotto di Ca.Ra. (sicuramente rimasto al primo piano), sul muro, attorno alla porta di ingresso dei Ca. e sui triciclo accanto a quell'ingresso; nonché dal colpo di coltello (riscontrato dalla ferita da taglio rilevata in sede di esame autoptico) che la Ba.Ro. racconta di aver sferrato alla coscia di Ch.Va. mentre quest'ultima tentava di sottrarsi all'aggressione risalendo le scale.

Dati oggettivi, pienamente consonanti con le dichiarazioni ammissive (poi ritrattate), provengono dalla consulenza medico legale, che acclara: che il bambino aveva riportato due ferite da punta e da taglio di cui una superficiale in zona sternoclaveare destra e un'altra mortale in sede sottomandibolare, con incisione della carotide, provocata da un colpo sferrato da sinistra verso destra proprio come mimato da Ba.Ro.; che sul volto del piccolo erano presenti escoriazioni compatibili - per tipologia, dimensioni e posizione - alla pressione esercitata con le cinque dita della mano destra dell'aggressore; che Ca.Ra. e la madre sono state colpite al capo da un corpo contundente, con una forza tale da frantumare il tavolato osseo; che entrambe presentavano una ferita da "scannamento" e molte altre ferite da punta e taglio - soprattutto al capo e al collo, oltre che tra il torace e l'addome - più superficiali, senza interessamento di organi profondi e che, considerato il tramite, potevano essere state sferrate da un aggressore mancino fronteggiante le vittime; che la Ch.Va. aveva subito lesioni traumatiche con lo stesso corpo contundente impiegato per colpire le altre due donne e presentava anche lei una ferita da scannamento, prodotta dalla stessa arma usata per le altre vittime.

Fonte autonoma, dotata di rilevante forza probatoria, è costituita dalla testimonianza di Fr.Ma., il quale - sentito in dibattimento, nel contraddittorio delle parti, sottoposto a serrato controesame - ha indicato senza titubanza in Ro.Ol., suo vicino di casa, l'autore dell'aggressione ai suoi danni. La dinamica del fatto narrata dal testimone coincide esattamente con quella riferita dagli imputati in sede di interrogatorio.

Nel medesimo senso depone la traccia ematica riferibile a Ch.Va. rinvenuta sul battitacco della autovettura di Ro.Ol.

I giudici della cognizione hanno evidenziato, inoltre, ulteriori elementi di conferma della riconducibilità del fatto agli imputati: Ro.Ol. era in possesso delle chiavi per aprire il portoncino di ingresso nella palazzina dei Ca. (portoncino che "a volte era aperto e a volte no")) nessuna delle possibili vie di fuga (quali ad es. il terrazzo di casa Ca.Ra.) è stata usata dagli autori del crimine, perché altrimenti si sarebbe evitato lo scontro con i coniugi Fr.Ma.; mancavano tracce di fuga degli autori del reato al di fuori della corte, mentre vi erano tracce del sangue della Ch.Va. sulla maniglia del portoncino e sull'ultima rampa di scale verso l'uscita dallo stabile; ciò significava che, al termine dell'aggressione, gli autori della strage erano sporchi del sangue delle vittime e avevano avuto la possibilità di lavarsi all'interno dei locali della corte medesima; persone estranee, ignote ai coniugi Fr.Ma., non avrebbero avuto motivo per scagliarsi contro la coppia, mentre l'aggressione si spiegava con la necessità per gli imputati, noti ai due testimoni involontari, di impedirne il riconoscimento, come, del resto, rivela Ro.Ol., quando accusava i Fr.Ma. di non essersi "fatti i fatti loro"; diversamente dal solito, quella sera Ro.Ol. aveva lasciato la vettura all'esterno del cortile; quella sera, fin dalle ore 17,45, si era verificata una interruzione di energia elettrica in casa Ca.Ra. dovuta al distacco manuale del contatore (operazione questa di cui Ro.Ol. si assunse la paternità e che doveva servire per costringere la Ca.Ra., una volta rientrata in casa, a riaprire la porta per recarsi a riattivare il contatore sito al piano terreno).

Si è assegnato, inoltre, significativa valenza al movente, rivelato dagli stessi imputati, rappresentato dalla insofferenza verso le pretese angherie patite ad opera della famiglia Ma.@ - Ca.Ra. e consegnato alle parole vergate da Ro.Ol. nella lettera inviata nell'aprile 2007 al sacerdote padre Ba.: "Non ci siamo ancora resi conto di ciò che abbiamo fatto. Il perdono, il pentimento, si contrappongono all'odio e alla rabbia, alle umiliazioni subite in questi anni, la nostra colpa, la responsabilità di chi poteva evitare tutto questo e non lo ha fatto"; movente che trovava effettiva corrispondenza nella conflittualità tra i due nuclei familiari, anche considerato che, di lì a pochi giorni, i coniugi Ro.Ol. - Ba.Ro. avrebbero dovuto presentarsi avanti al giudice di pace, a seguito di querela sporta a loro carico da Ca.Ra. per lesioni ed ingiurie.

Sono state escluse piste alternative, in particolare la possibilità che si sia trattato di una vendetta maturata nel mondo del narcotraffico, attorno al quale gravitava Ma.@ marito di Ca.Ra. e papà del bambino.

4.3.2. La base di raffronto dalle prove nuove è costituita, quindi, da un tessuto logico-giuridico di notevole solidità non solo per la forza espressa da ognuna delle principali prove acquisite in ragione della loro autonoma consistenza ("confessione dei due imputati, ancorché ritrattata, ammissione di colpa riportata in appunti manoscritti e in scritti diretti a terzi, deposizione dibattimentale dell'unico testimone oculare - Fr.Ma. -, presenza di traccia ematica riconducibile a Ch.Va. sull'auto di Ro.Ol.", così pag. 40 sentenza della Corte di cassazione Sez. 1 n. 33070 del 03/05/2011), ma anche per la presenza di innumerevoli e minuziosissimi elementi di riscontro.

4.4. Il secondo motivo di ricorso esordisce occupandosi delle nuove prove inerenti alla testimonianza di Fr.Ma. (consulenze tecniche, captazioni ambientali, nuove trascrizioni, audizioni e interviste).

4.4,1. La richiesta di revisione propone una lettura sinergica di nuovi elementi fattuali e scientifici che, nella prospettiva degli istanti, dovrebbe condurrebbe a invalidare il riconoscimento di Ro.Ol. da parte di Fr.Ma.

Secondo i ricorrenti la motivazione offerta dalla Corte di appello di Brescia sarebbe viziata e, su alcuni punti, addirittura omessa; inoltre confonderebbe il concetto di "elemento di prova" con quello, diverso, di "tema di prova".

La censura è infondata se si ha riguardo al nucleo essenziale che guida la decisione impugnata.

4.4.2. La consulenza collegiale sullo studio del riconoscimento dei volti familiari e non familiari è del tutto priva di incidenza sulle ragioni poste a fondamento della condanna, in quanto costruisce la valutazione scientifica dando per acclarato un presupposto fattuale difforme da quello accertato all'esito del giudizio di cognizione.

I consulenti dei condannati muovono dal dato che Fr.Ma. non abbia riconosciuto, all'inizio, Ro.Ol. e sostengono che, in base alle più recenti conquiste delle neuroscienze, non sia possibile passare da un volto ignoto al successivo riconoscimento di un volto noto.

In realtà la sentenza definitiva di condanna ha appurato che Fr.Ma. aveva riconosciuto immediatamente e senza ombra di dubbio Ro.Ol. mentre usciva da casa Ca.Ra. e proprio per questo gli si era avvicinato con fiducia.

Come Fr.Ma. stesso ebbe modo di spiegare in dibattimento, non intese dirlo subito agli inquirenti, ai figli e agli altri che lo sollecitavano, perché voleva capire: non si capacitava dell'accaduto e la sua mente rifiutava che un vicino di casa potesse aver aggredito con una simile brutalità lui e la moglie (cfr. pagg. 188 e seguenti sentenze della Corte di Assise di Como, pagg. 32 e 33 della sentenza della Corte di appello Brescia, qui impugnata).

Su tale elemento è sceso il suggello della Corte di cassazione che, nel rigettare i ricorsi degli imputati avverso la c.d. "doppia conforme di condanna", ha così stabilito: "[…] la spiegazione fornita dal testimone (Fr.Ma.) sulla sua difficoltà a credere che potesse esser stato Ro.Ol. ad averlo aggredito, nonché la dolorosa fermezza con cui questi ebbe a ribadire le sue affermazioni, hanno offerto un solidissimo ancoraggio, che non poteva ammettere letture alternative al fatto che Fr.Ma. ebbe a riconoscere subito il Ro.Ol., ma che non riuscì sulle prime a darsi spiegazione della sua presenza in quel luogo. Nessun vizio di illogicità è dato riscontrare come vorrebbe la difesa, posto che il giudizio di affidabilità sulla testimonianza non è necessariamente legato al momento in cui la testimonianza sia resa, ma va espresso alla luce di una complessiva ponderazione che tenga conto anche delle ragioni per le quali il ricordo sia stato esternato con difficoltà: sul punto il Fr.Ma. è stato ritenuto credibile, perché ha plausibilmente spiegato la temporanea rimozione del ricordo del Ro.Ol. sul luogo del massacro, senza accreditare neanche lontanamente la tesi difensiva dell'esser stato lo stesso pesantemente condizionato dagli investigatori. Nessuna sfasatura in termini di logicità e congruenza del ragionamento è dato cogliere in questo passaggio della decisione, tanto più che la corte territoriale ha anche sottolineato come sia stata proprio la circostanza di essersi trovato di fronte a soggetti conosciuti che sollecitò il Ro.Ol. a colpire anche i due ignari spettatori che, per dirla con una sua espressione, "non si erano fatti i fatti loro"" (Sez. 1 n. 33070 del 03/05/2011, pagg. 44); e ancora: "Ciò che è stato sottolineato nelle sentenze di merito è che, anche ammesso il carattere suggestivo delle domande rivolte dai carabinieri, il teste sia avanti ai pubblici ministeri, che avanti ai giudici, ha sempre tenuto fermo di aver avuto distinti in mente i tratti del Ro.Ol. come suo aggressore, ma di aver esitato a menzionarlo ab initio, perché voleva capire come fosse stato possibile che un normale condomino, con cui non aveva mai avuto nessun contrasto, si fosse accanito così brutalmente su di lui e su sua moglie. La valorizzazione di questa versione non espone la motivazione della sentenza ad alcuna seria critica di illogicità o contraddittorietà. Non potevano portare la corte ad opinare diversamente le dissertazioni della difesa, accreditate da una consulenza di esperto in neurofisiologia che sono state correttamente ritenute a rilevanza del tutto soccombente, a fronte di un ricordo di realtà nitida (presenza del Ro.Ol. mentre esce da casa Ca.Ra.), ma semplicemente incomprensibile, come ha lucidamente rappresentato l'interessato Fr.Ma. ("perché come le ripeto io, sempre fin dal primo istante che mi sono svegliato la persona che mi ha colpito era lui, questo era fuori di dubbio, questa era la sicurezza che avevo assoluta però non capivo il perché […]"). Né ha pregio la censura sulla asserita nullità delle dichiarazioni del Fr.Ma. per il loro carattere indotto, atteso che come è stato annotato, fu lo stesso testimone ad avere smentito di aver subito un qualsivoglia condizionamento, ma di esser stato sollecitato ad esternare un ricordo vivo fin dal primo istante di una realtà che faceva fatica ad accettare perché non comprendeva, non solo perché a questa Corte non è consentita una rivalutazione dei singoli contributi, ma perché la censura è ancorata a dati di fatto divergenti dalle emergenze disponibili" (così testualmente pag. 45, Sez. 1 n. 33070 del 03/05/2011; l'argomento è richiamato a pag. 58 della sentenza della Corte di appello di Brescia).

Ebbene, applicando il paradigma valutativo di cui all'art. 631 cod. proc. pen., emerge che, dando per assodato quanto la consulenza mira a dimostrare (e cioè che non è possibile passare dalla conoscenza di un volto ignoto a quella di un volto noto), il risultato ottenuto è del tutto irrilevante rispetto al tessuto argomentativo della sentenza di condanna che ha accertato come nella specie il testimone abbia riconosciuto subito il suo aggressore, scegliendo, però, di non riferirlo immediatamente.

La modifica tra le primissime dichiarazioni del testimone e le successive non ha nulla a che vedere con il tema scientifico indagato dalla consulenza, le cui conclusioni, seppure dimostrate, non avrebbero alcuna capacità di incidere sul giudicato.

4.4.3. Analogo, radicale vizio presentano le valutazioni degli esperti sulla intossicazione da monossido di carbonio e sulla c.d. "amnesia anterograda" che avrebbe portato Fr.Ma. a una perdita progressiva del ricordo sui caratteri somatici dell'aggressore, sostituiti con quelli "indotti" dagli inquirenti e da lui percepiti come reali.

L'analisi dei consulenti tecnici si radica su un elemento di fatto che però risulta insussistente: l'intossicazione da monossido di carbonio.

La Corte di appello di Brescia ha escluso che dalle cartelle cliniche di Fr.Ma. emergesse una simile patologia (pag. 57 e nota 28 della sentenza impugnata). Sul punto il difensore della famiglia Fr.Ma. rimarca nella sua memoria che "è stata esclusa qualsiasi forma di intossicazione dai test specifico (emogasanalisi della carbossiemoglobina) effettuato ripetutamente al paziente fin dall'immediatezza del primo ingresso in pronto soccorso" (allega documentazione sanitaria a sostegno).

I ricorrenti denunciano un vizio di travisamento della prova, sostenendo che l'intossicazione trova conforto documentale nella consulenza "autoptica" del dr. Sc. che ne dà testuale conto a pagina 4 (allegato 61 alla richiesta di revisione, allegato 6 al ricorso).

La censura è manifestamente infondata.

La natura dell'ipotizzato vizio consente a questo collegio di esaminare l'atto il cui contenuto sarebbe stato infedelmente riprodotto.

L'allegato 61 alla richiesta di revisione, allegato n. 6 al ricorso è una relazione preliminare depositata nella fase delle indagini preliminari, con la quale il consulente del Pubblico ministero, dr. Sc., espone gli esiti dell'esame autoptico condotto sulle salme di Ma.Yo., Ch.Va., Ca.Ra. e Ga.Pa. La relazione "autoptica" non riguarda Fr.Ma., che era sopravvissuto.

Il brano riportato a pagina 4 della relazione, su cui fa leva il ricorso, riguarda non Fr.Ma., ma la moglie Ch.Va., le cui condizioni vengono trattate a partire dalla precedente pagina 3. Il consulente rileva la presenza di un tasso carbossiemoglobinemico del 37% circa, dato da cui, peraltro, trae la conclusione che "la donna" è sopravvissuta "parecchi minuti" dopo essere stata ferita con le armi improprie.

Pertanto, dalla regola valutativa di cui all'art. 631 cod. proc. pen., discende che, dando per dimostrata l'analisi degli esperti, (l'intossicazione da monossido di carbonio può produrre una amnesia anterograda), il risultato ottenuto non intacca la decisione definitiva, poiché quell'accertamento scientifico non è collegabile alla situazione fattuale attestata nella pronuncia irrevocabile di condanna.

Esclusa, già ex ante, la rilevanza della consulenza sul rapporto tra causa (intossicazione da monossido di carbonio) ed effetto (amnesia anterograda) in ragione della inesistenza della "causa", cade anche la valenza di qualunque dissertazione sulla pretesa "amnesia anterograda" in Fr.Ma. e ciò per almeno due ordini di ragioni, congruamente illustrate nella sentenza impugnata.

Anzitutto, una volta esclusa la causa ipotizzata dagli esperti, la patologia, in assenza di qualunque dato obiettivo di riscontro, non è più che una mera ipotesi congetturale.

In secondo luogo, la pronuncia definitiva ha acclarato che il testimone non ha mai dimostrato sofferenze nella capacità di ricordare: "il testimone è lucido e precisissimo nel fornire dettagli sui vicini, sulle abitudini familiari, sugli avvenimenti di quella giornata e sull'aggressione, che descrive in modo coerente rispetto alle altre emergenze istruttorie e sovrapponibile al racconto dello stesso Ro.Ol." (pag. 58 sentenza impugnata); "Le condizioni di Fr.Ma. durante la degenza e l'attenzione riservata in sede di cognizione alla progressione della memoria del teste, d'altronde, sono la ragione di perché le audizioni siano state registrate e oggetto di accertamenti peritali, a fronte di una deposizione dibattimentale lucida, sicura e ricca di dettagli su ogni accadimento di quella sera e sulla dinamica dell'aggressione subita, che contraddice la tesi dell'amnesia anterograda - che avrebbe investito solo l'identità dell'aggressore, lasciando intatta la memoria di ogni altro particolare - e che trova riscontro negli accertamenti di carattere medico-legale sulle lesioni patite da Fr.Ma. e dalla moglie, nelle deposizioni dei primi soccorritori […]" (ibidem, pag. 60).

4.4.4. Non si rilevano vizi motivazionali nel vaglio di inammissibilità delle ulteriori prove attinenti al tema in rassegna (l'intervista al dott. Ce.Cl., l'audizione, in merito a tale intervista, del giornalista Bo.Ri., le captazioni ambientali all'interno della camera di degenza di Fr.Ma., le nuove trascrizioni delle audizioni di questi del 20 e 26 dicembre 2006, del 2 gennaio 2007), trattandosi di elementi ictu oculi inidonei (per caratteri e contenuti) a introdurre effettivi elementi di novità capaci di scalfire quanto accertato con la pronuncia coperta da giudicato.

È questa la ratio decidendi e non la circostanza, criticata dai ricorrenti, che la parte non aveva chiesto la trascrizione delle conversazioni nella originaria sede deputata (cfr. pag. 60 sentenza impugnata).

4.5. Il luogo e le modalità di aggressione ai danni di Ch.Va.

L'istanza di revisione introduce alcune consulenze volte, in tesi, a presentare una dinamica del fatto diversa da quella riferita dai condannati nei loro interrogatori sì da inficiare l'affidabilità delle dichiarazioni confessorie e rendere plausibile l'ipotesi di una pista alternativa. Si tratta di: consulenza medico-legale della dott.ssa Va.Va. in ordine alla impossibilità per Ch.Va. di invocare aiuto, dopo l'aggressione, a causa di una lesione alla lingua; consulenza tecnica neurologica in merito alla dinamica della morte della donna redatta dal prof. Pr.Al.

4.5.1. La Corte di appello di Brescia esclude, in modo argomentato (pag. 61 sentenza impugnata), il carattere di novità della consulenza della dottoressa Va.Va., che rappresenta una "riedizione ampliata" della relazione già svolta dalla medesima consulente (unitamente ad altro esperto) nel processo di cognizione.

Il motivo di ricorso è generico e indeterminato, poiché, senza misurarsi con le ragioni della decisione, si limita ad asserire, in modo apodittico, che la consulenza presenterebbe carattere di novità.

4.5.2. La Corte di appello di Brescia ritiene che neppure la consulenza del prof. Pr.Al. superi il vaglio di ammissibilità.

Anche questa consulenza fissa come base di partenza un elemento inesistente, indimostrato, meramente congetturale - quale la lacerazione del muscolo psoas ("che lo stesso prof. Pr.Al. ammette non essere stata refertata", pag. 63 sentenza impugnata) - che viene però assunto a basilare dato di fatto sul quale si sviluppa la valutazione tecnica.

Sulla scorta di un attento esame di merito, non sindacabile in sede di legittimità, la Corte di appello di Brescia evidenzia come la consulenza del prof. Pr.Al. risulti, già ex ante, confinata nell'alveo delle mere ipotesi, priva di reale sostegno in dati di fatto, e quindi del tutto recessiva rispetto all'ampio quadro probatorio che ha consentito ai giudici della cognizione di ricostruire la dinamica dell'aggressione ai danni di Ch.Va. (pagg. 63 - 64 sentenza impugnata).

4.6. La c.d. Bloodstain Pattern Analysis (BPA) eseguita dalla dottoressa Br.Ro.

La consulenza tende a riprodurre la dinamica del fatto attraverso l'analisi delle macchie di sangue rilevate dalle fotografie.

La Corte bresciana nega il carattere della novità della prova; osserva che la ricostruzione delle diverse scene del crimine (anche se non effettuata con il metodo c.d. BPA) e, soprattutto, i dati segnalati dalla dottoressa Br.Ro. hanno formato oggetto di approfondimento e valutazione sia nella relazione degli allora consulenti To. e Va.Va., sia nelle sentenze di merito. Premette che già nell'appello di cognizione le difese avevano chiesto, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., un confronto tra il prof. To. e il dott. Sc. sulle cause di morte e sulla dinamica degli omicidi nonché una perizia sulla lacerazione della tenda, ma la Corte di Assise di appello respinse entrambe le richieste, con decisione ritenuta immune da censure dalla Suprema Corte (pagg. 64 e 65). Quindi ripercorre analiticamente ciascuno dei singoli fatti interessati dalla consulenza.

Il ragionamento si pone nel solco nei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui è immune da vizi il provvedimento di inammissibilità di una richiesta di revisione fondata su una diversa metodica BPA o Blood Pattern Analysis per l'analisi degli stessi elementi documentali - fotografie e tracce ematiche rilevate sulla scena di un omicidio - già esaminati nel giudizio di cognizione e dagli esiti non decisivi (Sez. 5, n. 34515 del 18/06/2021, Fadda, Rv. 281772 - 01).

Il provvedimento impugnato non si espone a critica neppure quando pone in evidenza la circostanza che l'elaborato della dottoressa Br.Ro. è basato unicamente sulle fotografie scattate a suo tempo dagli operanti o dai RIS - e non già su un nuovo sopralluogo, su nuove acquisizioni o su tecniche scientifiche all'epoca inedite - e rappresenta una mera rielaborazione di dati già noti e acquisiti nei precedenti processi, offrendone una lettura alternativa (nel caso delle fotografie scattate nell'appartamento Fr.Ma. - Ch.Va. ovvero concentrandosi su alcune tracce piuttosto che su altre (nel caso delle fotografie scattate all'interno dell'appartamento di Ca.Ra.).

La Corte di appello di Brescia osserva che la scarsa attitudine scientifica di una analisi BPA condotta non sulla "scena del crimine" ma su mere fotografie era già emersa nel processo di cognizione quando il col. Ga., sentito all'udienza del 27 marzo 2008, "alla richiesta dal Presidente della Corte di Assise di Como di pronunciarsi sulla morfologia delle tracce ematiche raffigurate nelle fotografie, ha risposto di non potersi esprimere, ritenendo "poco scientifica" una BPA eseguita su mere immagini fotografiche" (cfr. nota 43 a pag. 65).

Secondo i ricorrenti tale affermazione sarebbe "completamente sconfessata" dalla lettura della deposizione resa dal colonnello Ga., le cui trascrizioni vengono prodotte per rilevare il "travisamento probatorio" (all. n. 63 alla richiesta di revisione, all. 6 al ricorso).

La doglianza è manifestamente infondata.

Come si ricava dalle trascrizioni della testimonianza, sottoposte all'esame di questa Corte, il col. Ga., sentito all'udienza del 27 marzo 2008 dinanzi alla Corte di Assise di Como, così testualmente si espresse: "[…]certamente un esame solo di una fotografia mi sembra un po' riduttivo perché le variabili nel sangue sono talmente tante che si rischia con esami così superficiali di dire cose che scientificamente non sono completamente accettabili […]fare un esame dalle fotografie è davvero poco scientifico" (aff. 16 delle trascrizioni).

4.7. La presenza di persone all'interno dell'abitazione di Ca.Ra., prima dell'arrivo della donna.

La richiesta di revisione adduce una serie di elementi dai quali inferire che in realtà l'11 dicembre 2006 vi erano altre persone ad attendere le vittime all'interno dell'appartamento e ciò nell'intento di dimostrare la falsità delle confessioni e di rendere plausibile una ipotesi alternativa.

Si tratta de: la consulenza tecnica sui consumi di energia elettrica all'interno dell'abitazione di Ca.Ra.: le sommarie informazioni rese al difensore in data 12 febbraio 2023 da Ab.Ka.: le interviste a una trasmissione televisiva di Ab.Ka. e di Ch.Ib.

Non si ravvisa alcun vizio argomentativo nella valutazione della Corte di appello di Brescia che ha ritenuto questi elementi del tutto irrilevanti: le dichiarazioni e le interviste provengono da soggetti già sentiti e presentano indicazioni generiche e inconcludenti, quando non anche frutto di mere illazioni o convinzioni soggettive, peraltro smentite da dati di fatto di segno contrario (cfr. pagg. 75 - 77); la relazione tecnica sui consumi di energia non offre elementi significativi (pagg. 71 e 72).

Sulla relazione tecnica, torna in rilievo, nello scrutinio della Corte distrettuale, un profilo di inammissibilità già constatato per altre consulenze: le considerazioni dell'esperto sui consumi di energia (ritenuti compatibili con la presenza di terze persone fino alle 17,45 quando il contatore si azzera a causa del distacco) muovono da un presupposto indimostrato, in quanto escludono l'operatività di apparecchiature diverse da quelle prese in esame dal consulente sulla scorta delle fotografie eseguite in sede di rilievi (come ad esempio uno scaldabagno o una caldaia dotata di termostato) e ciò nonostante che i tabulati mostrino analoghi consumi nei medesimi orari anche nei giorni feriali precedenti a quello della strage (il quale, dunque, non si differenzia dagli altri).

I ricorrenti lamentano una indebita incursione nel merito, allorché la sentenza fa riferimento alla assenza di "oggettivi e affidabili elementi di riscontro". Si sostiene che la ricerca di elementi di riscontro è tipica della fase del giudizio successiva alla acquisizione dibattimentale della prova.

L'assunto non merita adesione.

Anzitutto la principale ragione di inammissibilità riposa sulla assenza di base fattuale della consulenza, di talché l'espressione censurata non rivestirebbe valenza decisiva.

In secondo luogo, come ricordato nella parte generale, la valutazione degli elementi addotti come prova può rilevarne eventuali segni di inconferenza, inaffidabilità o non persuasività ove siano "manifesti" cioè evidenti, palesi.

Infine va chiarito che richiedere la presenza di "riscontri" non significa, perciò solo, sconfinare dai limiti della delibazione preliminare. Invero, secondo l'indirizzo costante della Corte di cassazione, il provvedimento di inammissibilità può essere adottato in presenza di dichiarazioni liberatorie del coimputato quando le stesse non siano confortate da riscontri esterni ai sensi dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 36804 del 20/09/2021, Ornato, Rv. 281992 - 01; Sez. 2, n. 4150 del 20/01/2015, Moccia, Rv. 263417; Sez. 4, n. 6829 del 15/01/2009, Tripodo, Rv. 243197 - 01; Sez. 1, n. 24743 del 04/04/2007, Procida, Rv. 237337). Difatti sarebbe superfluo aprire la fase dibattimentale per raccogliere le dichiarazioni liberatorie del correo, se poi, data l'assenza di riscontri, il risultato ottenuto, anche se pienamente aderente a quello prospettato, non sarebbe mai in grado di travolgere il giudicato.

In conclusione l'apprezzamento della Corte di appello non travalica i confini del giudizio di inammissibilità, poiché mette in luce come i nuovi elementi rimangano inconducenti, pur messi in correlazione tra loro.

4.8. La falsità delle confessioni dei condannati.

La richiesta di revisione deduce che le ammissioni degli imputati (poi ritrattate) costituirebbero frutto di indebite pressioni compiute dagli inquirenti su soggetti psichicamente labili e facilmente suggestionabili.

A supporto di tali affermazioni, volte a incidere sul giudicato aggredendo la valenza probatoria delle confessioni, gli istanti hanno fornito elementi tratti da: la consulenza collegiale in ordine al quadro psicopatologico rilevato nei condannati; la perizia psichiatrica eseguita su Ro.Ol. nell'ambito di altro procedimento; le captazioni ambientali all'interno dell'autovettura e dell'appartamento degli stessi; le video interviste dei condannati effettuate dal dott. Pi.; le dichiarazioni di Ta.Gi. rese nel corso di un'intervista a una trasmissione televisiva e al difensore in data 29 gennaio 2000 (rectius 2020) e 27 gennaio 2023.

4.8.1. La Corte distrettuale giudica inammissibili le richieste sia perché sfornite del carattere di novità sia perché i prospettati risultati, anche se dimostrati, non sarebbero idonei ad incidere sull'affermazione di responsabilità consacrata nella sentenza definitiva di condanna.

Le censure mosse dai ricorrenti sono infondate: la decisione impugnata non presenta vizi argomentativi e risponde ai criteri della deliberazione preliminare sopra tracciati nella parte introduttiva.

È corretto il rilievo della Corte di appello secondo cui: "elementi addotti dai consulenti a sostegno della falsità delle confessioni coincidono in massima parte con quelli spesi dai difensori nei precedenti gradi di giudizio per perorare la tesi del carattere indotto delle ammissioni di responsabilità degli imputati poi ritrattate e puntualmente confutati nelle sentenze di primo e secondo grado e oggetto di specifiche doglianze in Cassazione, che sostanzialmente sono oggi riproposti in forma di consulenza onde conferire loro un apparente carattere di novità" (cfr. pag. 69).

Invero le prove asseritamente nuove si esauriscono in una rivalutazione della attendibilità delle dichiarazioni confessorie, già ampiamente scrutinata dai giudici della cognizione (e già devolute al giudice di legittimità con i motivi sub 17, 18, 19, 20, 21, 22 e 23 dei ricorsi proposti avverso la sentenza della Corte di Assise di appello di Milano), senza tuttavia rapportarsi con il complessivo quadro dimostrativo posto a suffragio della genuinità delle confessioni.

A tal fine può essere richiamata, anzitutto, l'indicazione, nei racconti confessori, di particolari minuziosi suscettibili di essere conosciuti soltanto dagli autori delle condotte, alcuni dei quali ignoti perfino agli inquirenti nella fase iniziale delle indagini (cfr. sopra paragrafo 4.3).

Soccorrono, inoltre, le dichiarazioni, perfettamente collimanti, di Fr.Ma., nonché: la spontanea consegna, ad opera di Ro.Ol., del proprio "sentire" ad appunti manoscritti sulla Bibbia e a una lettera al parroco; il singolare comportamento tenuto dai condannati la sera dell'11 dicembre 2006; l'esistenza del movente confermato da plurimi riscontri documentali; la serenità mostrata dai condannati che mai, nei loro colloqui, hanno lamentato una invadenza psicologica da parte degli investigatori.

La Corte di cassazione si è già ampiamente espressa al riguardo con la pronuncia di rigetto dei ricorsi che ha chiuso il giudizio di cognizione (Sez. 1, n. 33070 del 3 maggio 2011, cit.), i cui passaggi principali si trovano scanditi alle pagine 47 e 48 della decisione qui impugnata.

Nella citata sentenza del 2011 la Corte di cassazione così si esprime: "Attitudine dimostrativa della libertà di determinazione in cui si mossero gli imputati (seppure nella drammaticità della loro condizione) è stata riconosciuta ad alcuni passi di colloqui intercorsi tra i due, che spesero apprezzamento per l'opera di aiuto loro prestata dai militari intervenuti, nonché alle annotazioni di gratitudine verso il mar. Fi. che vennero vergate sulla Bibbia dalla mano del Ro.Ol., con corretta procedura valutativa, che impone l'ancoraggio ai dati più obiettivi, quali quelli documentali, a scapito di quelli meramente congetturali […] i contributi dichiarativi del Ro.Ol. sono stati accompagnati da annotazioni vergate di proprio pugno a pieno contenuto confessorio - quanto meno nel primo periodo di detenzione - che hanno portato i giudici di merito a ritenere sgombrato il campo dai sospetti avanzati dalla difesa sulla genuinità ed affidabilità delle dichiarazioni rese in sede di confessione […] Deve ancora essere rilevato che la regola-ponte utilizzata dai giudici di merito per ritenere molto poco plausibile che un soggetto si autoaccusi, ancorché innocente di delitti tanto efferati, è regola di giudizio efficace, correttamente utilizzata, peraltro non isolatamente nel quadro della complessiva valutazione, per addivenire ad escludere la strumentalità della confessione […] Detta regola è stata utilizzata unitamente ad altri canoni di giudizio, facenti leva prima di tutto sulla obiettività del dato documentale, rappresentato dalle annotazioni sulla Bibbia vergate dal Ro.Ol., in cui lo stesso manifestava l'acredine verso la famiglia Ma.@ - Ca.Ra., ma chiedeva perdono per quanto fatto e da una lettera scritta ai sacerdote don Ba. a chiara significazione confessoria (a tacere poi delle confessioni rese al compagno di cella Ta.), nonché sulla particolarità di taluni contributi informativi offerti dai due imputati, espressivi di un patrimonio conoscitivo in possesso solo di chi avesse attivamente partecipato al delitto" (pag. 48 e 49).

4.8.2. Manifestamente infondati sono le censure mosse sulla valutazione di inammissibilità degli elementi di prova offerti dalle dichiarazioni di Ta.Gi., ex maresciallo del NORM di C, che provengono da soggetto non direttamente coinvolto nelle indagini; costui riferisce di notizie e confidenze asseritamente ricevute da soggetti mai indicati, e che si sostanziano in illazioni, allusioni, sospetti finalizzati ad alimentare un alone di mistero, di matrice cospirativa, del tutto sganciato da dati reali assoggettabili a verifica.

4.9. La traccia di sangue.

I nuovi elementi forniti dai condannati mirano a invalidare la prova scientifica acquisita grazie ai rilievi del brig. ù Fa. e all'analisi genetica del dott. Pr.: il rinvenimento sul battitacco della vettura di Ro.Ol. di una traccia di sangue riconducibile al profilo genetico della vittima Ch.Va.

4.9.1. Va premesso che nel processo di cognizione l'analisi del campione di sangue era stata compiuta nelle forme "garantite" dell'art. 360 cod. proc. pen. e nessun dubbio era stato sollevato circa la provenienza della traccia dalla vettura Fiat Arosa.

Il contraddittorio e le contestazioni delle difese si erano appuntati sulla possibile contaminazione riconducibile o agli inquirenti oppure agli stessi imputati, i quali, calpestando inavvertitamente il sangue presente in loco, lo avrebbero trasportato con la suola delle scarpe fino a rilasciarlo sul battitacco del veicolo.

Una tale eventualità era stata definitivamente esclusa (cfr. pag. 49 sentenza impugnata).

Così come era già stato ampiamente vagliato il tema della catena di custodia (pagg. 50 - 52 e nota 17, sentenza impugnata).

Con l'istanza di revisione, i ricorrenti, oltre a riprendere precedenti argomenti, senza carattere di novità, attaccano le modalità di repertazione e, quindi, la genuinità del rilievo effettuato dal brig. Fa.; si sostiene che il militare non avrebbe eseguito "l'accertamento fotografico" sulla traccia di sangue esaltata dal luminol, oppure si sarebbe "prestato a falsificarne gli esiti inserendo una traccia inesistente".

A sostegno di tale assunto si introducono: la consulenza genetica sulla traccia ematica redatta dal dottor Ca.Ma.; l'intervista al brig. Fa.; il materiale fotografico relativo alle ispezioni sulle autovetture di Ro.Ol. e Ca.Pi.: la nuova audizione del brig. Fa.; l'escussione del dott. Mo.An. e l'esame della dottoressa Bo.Sa.

4.9.2. Anzitutto occorre evidenziare come la prova scientifica che si intende invalidare è una prova significativa, che, però, non ha rivestito valenza decisiva nell'ordito motivazionale della pronuncia irrevocabile di condanna, sicché qualunque nuovo elemento di prova che la riguardasse non avrebbe portata dirimente.

Invero, una volta acclarata la perfetta tenuta del compendio probatorio sinora esaminato - formato dalle dichiarazioni del testimone oculare, dalle confessioni degli imputati, dalle convergenze di tali principali fonti di prova tra loro e con innumerevoli altre circostanze (tratte, ad esempio, dallo stato dei luoghi, dalla consulenza autoptica, dal movente) -, il dato della presenza di sangue di una dette vittime sul battitacco della vettura del condannato non assume valenza decisiva, poiché anche se lo si eliminasse, la decisione di condanna non ne risulterebbe scalfita.

4.9.3. Fermo ciò, va osservato che tutte le valutazioni in fatto (concernenti i punti attinti dalle dichiarazioni del brig. Fa., dal materiale fotografico, dagli esami del dottor Mo.An. e della dottoressa Bo.Sa.) sono affrontate e confutate, con argomenti congrui, dalla Corte di appello alle pagine 50 - 54 della sentenza impugnata.

Circa la consulenza del dott. Ca.Ma. torna il vizio già riscontrato in altre consulenze: l'esperto muove da un'ipotesi che desume non dall'esame diretto del reperto, ma da descrizioni generiche dello stesso, sulla quale poi costruisce la propria analisi.

Peraltro non difetta di logicità la conclusione alla quale perviene la Corte di appello nell'escludere la novità della prova. Osserva la Corte distrettuale che: citando "invero assai genericamente" (così pag. 52 sentenza impugnata) una pubblicazione in tema di activity level del 2022 sulla rivista Forensic scientific International, il dottor Ca.Ma. formula valutazioni che potevano essere espresse (e in parte lo sono state, pagg. 79 e 80 della consulenza Va.Va. - To.) anche nel 2008 e non costituiscono frutto di nuove e più evolute acquisizioni scientifiche.

4.9.4. Va aggiunto che i ricorsi non rispondono ai requisiti necessari per dedurre il vizio c.d. di contraddittorietà processuale circa il contenuto delle dichiarazioni, in tesi travisate "per invenzione", rese dal dott. Pr. (pag. 89 dell'atto di ricorso), in quanto: non viene adeguatamente rispettato il principio di autosufficienza, dato che la sentenza impugnata cita i verbali del 26 febbraio 2008 e del 2 aprile 2008 (cfr. nota 13 a pag. 51 della sentenza impugnata), mentre vengono allegate al ricorso soltanto le trascrizioni del secondo verbale (quello in cui si è svolto il controesame della difesa), rimanendo ignoti i contenuti del primo verbale (quello in cui si è svolto l'esame diretto del consulente da parte del pubblico ministero); non si evidenzia la decisività del presunto travisamento.

4.10. La relazione e il video del R.I.S. di Parma.

La doglianza è generica, poiché isola, reinterpretandola, una delle plurime considerazioni per le quali la Corte di appello ha escluso ex ante la rilevanza della prova, senza misurarsi con il complesso delle ragioni esposte al riguardo nella sentenza impugnata (pagg. 77 - 79).

Inoltre, a differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte bresciana, a proposito dell'impronta sulla parete del vano scale al piano terreno (2D), recepisce la valutazione del capitano Ma. non per escludere l'utilità dì una ricerca aggiornata sulla banca dati, ma per dimostrarne l'irrilevanza, non potendosi stabilire "quando (l'impronta) sia stata deposta" (pag. 78 sentenza impugnata).

4.11. L'ipotetico coinvolgimento di Co.Ed.

Ad opinione dei ricorrenti, la Corte di appello di Brescia avrebbe errato nella lettura del dato storico fornito dalle intercettazioni contenute nell'ordinanza del Gip di Milano del 21 maggio 2024.

Da quelle conversazioni sarebbe possibile ricavare che: Co.Ed. sarebbe coinvolto non solo nell'omicidio di L ma anche nella strage di E: i due interlocutori discutono di alcune sim card da utilizzare soltanto in relazione a specifici fatti di sangue, menzionando la strage di E.

La censura è generica e manifestamente infondata.

Il vizio di "contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (cfr. tra le ultime Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370 - 01).

Dallo stralcio della conversazione intercettata (ambientale del 16 giugno 2020 tra Po.Le. e Mi.Vi., riportata a pag. 44 dell'ordinanza cautelare del 21 maggio 2024, prodotta solo per estratto) non si evincono affatto, in modo limpido e indiscutibile, gli elementi che i ricorrenti pretendono di ravvisarvi.

L'interpretazione offerta dalla Corte di appello non è suscettibile di rivalutazioni o censure in sede di legittimità: "nella parte estrapolata dalla difesa, gli indagati nulla dicono in merito alla strage o a un coinvolgimento di Co.Ed., giacché i soggetti intercettati si limitano a disquisire su come gestire le schede telefoniche a seconda dell'uso, per lavoro, per fare ricerche su internet, per telefonare", la strage di E è "citata solo quale esempio di una ricerca su internet" (pag. 81 sentenza impugnata).

4.12 È manifestamente infondata la doglianza, ripetutamente evocata dai ricorrenti, circa l'assenza di una valutazione sinergica dei nuovi elementi di prova, da leggersi non in modo atomistico ma nelle reciproche interessenze.

Tale vizio permea, semmai, il costrutto impugnatorio che, incentrato su isolate circostanze (spesso marginali), non sperimenta un effettivo raffronto con la reale struttura argomentativa e probatoria (complessa e articolata) posta a fondamento della pronuncia definitiva di condanna.

Va aggiunto che, come si è visto, molti dei nuovi elementi proposti sono del tutto sforniti di idoneità dimostrativa, sì da rendere superflua una comparazione.

Infine, la Corte di appello di Brescia non si è affatto sottratta al compito di effettuare una comparazione globale tra elementi "vecchi e nuovi"; compito che si trova ampiamente svolto alle pagine 81 e 83 della sentenza impugnata.

4.13. In definitiva, la Corte di appello ha applicato in modo corretto il criterio valutativo della delibazione preliminare ex art. 634 cod. proc. pen.

La motivazione sulla inammissibilità delle richieste è esaustiva, immune da cadute di logicità e dai denunciati travisamenti della prova.

5. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

La questione circa la idoneità di interviste televisive a integrare "nuovi elementi di prova" ex art. 630 cod. proc. pen. è priva di rilievo, tenuto conto che i ricorsi non specificano quali elementi - in tesi decisivi ai fini della revisione della condanna - si trarrebbero dalle interviste.

Senza dimenticare che molti di quelli stessi elementi sono stati comunque esaminati dalla Corte di appello.

Tanto basta a rendere inammissibile il motivo.

Può aggiungersi che, nella fase del giudizio sull'ammissibilità della richiesta di revisione, il giudice non può esimersi dall'obbligo di apprezzare la manifesta inidoneità e inefficacia dimostrativa, rispetto al prospettato risultato finale del proscioglimento, dei nuovi elementi di prova attinti da un radicale vizio di inutilizzabilità, rilevabile anche d'ufficio e conseguente a obiettive violazioni dei divieti stabiliti dalla legge processuale, anche ai fini di una valutazione prognostica sulla congruenza in astratto degli elementi su cui si basa la richiesta di revisione (Sez. 1, n. 45612 del 05/11/2003, Drozdzik, Rv. 227131 - 01, nella specie la Corte, dichiarando l'inammissibilità del ricorso, ha ritenuto che fossero inutilizzabili le nuove prove poste a base della domanda di revisione, in quanto fondate su "dichiarazioni raccolte nelle indagini difensive" senza il rispetto delle prescrizioni stabilite, a pena di inutilizzabilità, dall'art. 391-bis cod. proc. pen. in materia di documentazione delle investigazioni difensive).

Il principio appena citato richiama l'attenzione dell'interprete sulla necessità che il nuovo elemento di prova rivesta carattere di affidabilità anche nelle forme in cui viene presentato, sicché, ove si tratti di dichiarazioni, le stesse dovranno essere raccolte e presentate al giudice della revisione secondo le modalità fissate dal codice di rito, e, segnatamente, attraverso le prescrizioni fissate per le indagini difensive, che assicurano quantomeno l'assunzione, da parte del dichiarante, dell'obbligo di dire la verità, giuridicamente assistito da sanzione in caso di violazione.

I ricorrenti obiettano che le interviste costituiscono documenti suscettibili di acquisizione ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen.; in realtà, come "documenti", esse sono in grado soltanto di rappresentare il dato storico che una persona ha rilasciato quell'intervista, ma il contenuto delle dichiarazioni rimane privo di qualunque valenza, sicché, anche riguardate sotto questo diverso profilo, le interviste risultano ictu oculi irrilevanti ai fini della revisione.

6. Il quarto motivo è manifestamente infondato.

L'art. 630, lettera d), cod. proc. pen. annovera tra i casi di revisione quello in cui sia "dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato". "Un caso che, se legittima la richiesta di revisione solo nell'ipotesi di accertamento con efficacia di giudicato del fatto del terzo costituente reato, non preclude al giudice della revisione - con singolare ma inevitabile interferenza con la previsione di cui all'art. 630, lettera c) - di delibare incidentalmente, anche in sede di ammissibilità, in ordine alla mera ipotizzabilità della sussistenza di elementi per procedere nei confronti del terzo autore del falso giudiziale (o di altro reato), pur rimanendo un simile assetto accusatorio tutto intrinseco alla sentenza di revisione" (così in motivazione Sez. U, n. 624 del 26/09/2001).

Nella specie, a differenza di quanto sostenuto in ricorso, la Corte di appello non ha ignorato la richiesta, ma l'ha presa in esame, escludendo fermamente la sussistenza di elementi idonei a far dubitare della rispondenza al vero delle dichiarazioni di Fr.Ma. e delle confessioni (poi ritrattate) degli imputati o della affidabilità degli accertamenti svolti dagli inquirenti (pagg. 84 - 86 sentenza impugnata).

Sulle intercettazioni mancanti, la censura è generica, poiché non si misura con la ratio decidendi fondata sulla marginalità assunta dalle intercettazioni nella decisione di condanna, se si eccettuano le captazioni eseguite in carcere "in relazione alle quali la difesa non lamenta anomalie" (pag. 86 sentenza impugnata).

Circa le sospette irregolarità che avrebbero contrassegnato il procedimento volto alla analisi dei reperti da svolgersi nelle forme dell'incidente probatorio, il ricorso, nel ripercorrere le scansioni in cui si è sviluppato il relativo procedimento, evita non solo di specificare quali prove, in tesi rilevanti, sarebbero state distrutte, ma anche di misurarsi con l'esito finale del citato procedimento, che ha visto la Corte di cassazione respingere i ricorsi dei condannati (Sez. 5, n. 44181 del 12/07/2018).

Quanto, infine, al denunciato difetto di motivazione sulle video interviste effettuate dal dottor Pi., va osservato che la doglianza, generica e indeterminata, non illustra la decisività dell'elemento asseritamente trascurato; a ben vedere il tema della falsità delle confessioni (asseritamente ricavabile anche dalle video interviste in rassegna) si trova ampiamente scrutinato, e confutato alle pagine 68 - 71 della sentenza impugnata, sulla scorta di argomenti idonei a riverberarsi anche sul profilo in discorso.

7. In conclusione i ricorsi devono essere rigettati; segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Non si liquidano, invece, le spese in favore delle parti civili, i cui difensori, al termine della discussione, non le hanno richieste, dichiarando di non avervi interesse.

Il riferimento alle condizioni di salute di Fr.Ma. e dei ricorrenti impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2025.

Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2025.

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