In caso di condanna per omicidio stradale, la revoca della patente scatta sempre in automatico?
Del tema è tornata ad occuparsi la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18164 depositata il 14 maggio 2025.
Il caso riguarda un autotrasportatore condannato per aver investito una ragazza di diciannove anni, deceduta sul colpo, e che ha visto applicarsi la revoca della patente, pur in assenza delle aggravanti previste dal secondo e terzo comma dell'art. 589-bis c.p.
L'art. 589-bis c.p., introdotto dalla legge n. 41/2016, disciplina il reato di omicidio stradale.
La revoca della patente è obbligatoria solo nei casi aggravati (commi 2 e 3), ad esempio in presenza di guida in stato di ebbrezza o a velocità eccessiva.
Per gli altri casi, la norma di riferimento è l'art. 222 del Codice della strada, che prevede la revoca su valutazione discrezionale del giudice, basata sulla gravità della condotta, il grado di colpa e le circostanze specifiche.
Nel caso in esame, la Suprema Corte ha confermato la responsabilità penale dell’imputato, rigettando il ricorso presentato dalla difesa contro la sentenza di condanna emessa in appello.
I giudici di merito hanno ritenuto che la ragazza investita fosse ancora in vita al momento del sopraggiungere del camion, smentendo la ricostruzione secondo cui la morte fosse dovuta a un precedente investimento da parte di un veicolo non identificato.
La Cassazione ha confermato la valutazione della Corte di Appello di Firenze, secondo cui l'imputato ha tenuto una condotta gravemente imprudente: viaggiava su una strada poco illuminata, alla guida di un mezzo pesante e non moderno, senza attivare i fari abbaglianti. Pur non obbligatorio, l'uso dei fari avrebbe potuto evitare l'investimento.
L'imputato era anche consapevole della possibilità di incontrare pedoni lungo quel tratto, eppure non ha adeguato la velocità. Secondo la Corte, l’evento era prevedibile e evitabile.
Quanto alla revoca della patente, la Corte ha ribadito che nei casi non aggravati la misura accessoria deve essere motivata in base alla colpa e alle specifiche circostanze del fatto. In questo caso, la Corte ha valorizzato:
il marcato grado di colpa;
le violazioni delle regole cautelari;
la consapevolezza del rischio;
la fuga del conducente dopo l’incidente;
il fatto che si trattasse di un professionista (autotrasportatore) in attività lavorativa.
Con riguardo all’aggravante dell’art. 589-ter c.p., la Corte ha ritenuto che l’imputato avesse percepito che si trattava di una persona e non di un oggetto, come dimostrato dalle intercettazioni. Inoltre, ha giustificato il diniego delle attenuanti generiche alla luce della gravità del fatto e dei precedenti penali.
La revoca della patente in caso di omicidio stradale non è automatica fuori dai casi aggravati, ma va sempre motivata in modo approfondito. Se il giudice accerta un elevato grado di colpa, può disporla anche in assenza di alcol, droga o velocità eccessiva.
Cassazione penale, sez. IV, sentenza 21/01/2025 (dep. 14/05/2025) n. 18164
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Firenze, in riforma della pronuncia resa il 20 ottobre 2020 dal locale Tribunale, appellata dal Pubblico ministero, ha dichiarato Mo.Mi. responsabile del reato di cui agli artt. 589-bis e 589-ter cod. pen. - così riqualificato il fatto e, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 589-bis, comma 7, cod. pen. - per avere investito, intorno alle ore 3:24 della notte del 9 settembre 2017, la diciannovenne Sc.Sa. che, ubriaca, dopo aver partecipato ad una festa in una discoteca nei pressi e aver percorso, da sola, a piedi una banchina erbosa in direzione di casa, giaceva sull'asfalto della (Omissis), tra E e P.
2. Il Tribunale aveva assolto l'imputato ritenendo non dissipato il dubbio sul reale responsabile della morte della ragazza: vagliate le prove sulla condotta di guida dell'imputato, sulla ricostruzione cinematica offerta dal Pubblico ministero e scandagliata la parentesi temporale immediatamente precedente, il Giudice di primo grado ha ritenuto che la ragazza fosse stata attinta e scaraventata sull'asfalto da altro veicolo prima che l'imputato la travolgesse con il suo autoarticolato; che fosse quindi già morta pochi istanti prima, perché colpita da altro veicolo rimasto non identificato. In sostanza, secondo il Tribunale, era mancata la prova che Sc.Sa. fosse viva quando era distesa sull'asfalto. Sulla base delle considerazioni del medico legale, dott. Pa.Ma., quasi tutte le lesioni riportate dalla persona offesa erano con certezza attribuibili all'investimento della stessa da parte del camion dell'imputato, mentre una lesione al ginocchio destro, in quanto compatibile con un urto diretto dall'avanti all'indietro, era stata dal primo Giudice ritenuta dovuta ad un precedente investimento da parte di un diverso veicolo, con energia cinetica sicuramente inferiore rispetto a quanto rilevato a livello cranico e dell'arto superiore sinistro. La presenza di minimo infiltrato ematico nei tessuti del ginocchio destro, diversamente dalle altre, più estese, lesioni tissutali, dimostrava, secondo il Tribunale, che per un breve lasso temporale il cuore aveva continuato a funzionare, mentre le gravissime lesioni alla testa e al braccio sinistro, provocate dall'investimento dell'autoarticolato dell'imputato, non contornate da infiltrazione ematica, attestavano che il cuore si era già fermato antecedentemente. Sulla base di tali elementi, il Tribunale era pervenuto alla conclusione che Sara Scimmi, viva e in piedi nella carreggiata, fu urtata al ginocchio destro da un'auto di media cilindrata, immortalata dalla telecamera alle 03:23, rimasta non identificata; che, per effetto, dell'urto cadde pesantemente all'indietro, battendo la nuca sull'asfalto, dove rimase immobile fino al sopraggiungere dell'autoarticolato dell'imputato, una decina di secondi dopo.
3. A fronte deii'appello proposto dal Pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria, la Corte di appello disponeva la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale delle prove dichiarative all'esito della quale affermava che la ricostruzione individuata dal Tribunale a sostegno dell'assoluzione non solo non appariva ragionevole ma neppure risultava fondata su alcun elemento acquisito agli atti, essendo al contrario radicalmente sconfessata da quanto pacificamente accertato.
4. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore dell'imputato che ha articolato sei motivi con i quali deduce:
4.1. Violazione di legge, con riferimento alle risultanze della consulenza medico legale del dott. Palandri. Questi ha escluso che le lesioni riportate dalla giovane (in specie, quelle del cranio encefalica e dell'arto superiore sinistro rispetto alla frattura al ginocchio destro) fossero state cagionate simultaneamente, atteso che la presenza di un minimo infiltrato ematico a livello del ginocchio indicava che la lesione era stata prodotta quando la ragazza era in vita. La ricostruzione operata dal Tribunale sarebbe pertanto conforme a questo dato di fatto che induce ad affermare che la giovane sia stata precedentemente urtata da altro veicolo (con energia cinetica minore), cioè un'autovettura che, facendola cadere, ne provocava la morte immediata. Il reato ascritto all'imputato sarebbe quindi impossibile, poiché inesistente è l'oggetto tutelato dalla norma incriminatrice;
4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione per mancata rinnovazione della perizia; violazione del principio della motivazione rafforzata e dell'art. 6 CEDU. Le numerose contraddizioni emerse nel dibattimento avrebbero dovuto condurre ad una pronuncia assolutoria, quantomeno ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. I consulenti non sarebbero riusciti a fornire una ricostruzione certa del sinistro; non è stato possibile accertare la condizione (in vita) in cui la giovane ragazza versava al momento dell'investimento, non potendosi escludere che sia stata vittima di una precedente aggressione. La difesa lamenta che le dichiarazioni rese dal medico legale in sede di rinnovazione istruttoria, in quanto totalmente diverse da quelle rese nel giudizio di primo grado - poiché riferivano di una simultaneità delle lesioni che erano state invece documentalmente negate nella consulenza -avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a disporre una perizia. La motivazione inoltre si appalesa non rafforzata. Né la Corte di appello ha svolto qualsiasi valutazione in relazione al ruolo avuto dall'auto pirata di media cilindrata che precedeva l'autoarticolato dell'imputato;
4.3. Violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla mancata applicazione della disciplina della cosiddetta tolleranza, nonché in ordine alla inevitabilità dell'evento; assenza di concausalità colposa. La difesa riporta le osservazioni del
proprio consulente di parte, dott. Ce.Fr. e richiama le dichiarazioni dei testimoni Ma., Ga., Ma., per avvalorare la tesi della non riconoscibilità dell'ostacolo. La Corte territoriale non ha tenuto conto di tutti gli elementi emersi nel corso dell'istruttoria, con particolare riguardo all'uso degli abbaglianti (ricordando le ragioni per le quali l'imputato non li aveva azionati), alla velocità del mezzo, conforme al limite insistente sul tratto stradale, alla circostanza che l'imputato, avvistando "qualcosa" e non certo una persona, aveva azionato il freno a motore. Il sinistro non era evitabile e il corpo della ragazza rappresentava un ostacolo imprevedibile, diversamente da quanto assume la Corte di appello;
4.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all'applicazione della revoca della patente di guida in assenza delle aggravanti di cui all'art. 589-bis, comma 2, cod. pen. Proprio per tale ragione, incombeva alla Corte di appello un obbligo di motivazione molto più stringente, risultando quindi insufficiente il riferimento alla gravità del fatto;
4.5. Violazione di legge e vizio di motivazione (per essere questa apparente e illogica), in relazione all'aggravante di cui all'art. 589-ter cod. pen., rispetto alla quale la difesa assume l'assenza di dolo. Pur definendo la sentenza impugnata pienamente genuine le intercettazioni a carico del prevenuto, allo stesso tempo in modo contraddittorio esclude che il Morelli non si fosse accorto di aver investito una persona;
4.6. Violazione di legge in relazione al diniego delle attenuanti generiche, a favore del cui riconoscimento militerebbe il prevalente apporto causale della vittima nella causazione dell'evento, la particolarità del sinistro, connotato da molteplici incertezze, le trascrizioni delle diverse intercettazioni, nei giorni successivi all'evento - da cui si ricava che l'imputato non si era minimamente reso conto di aver investito una persona, avendo ritenuto di aver attinto un manichino o comunque una cosa -, il suo comportamento collaborativo sin dalla fase delle primissime indagini preliminari.
5. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
2. Con i primi due motivi, il ricorrente contesta la ricostruzione del fatto operata dalla Corte di appello, svolgendo considerazioni esplicitamente volte ad investire profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in Cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Giova invero ricordare che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi - dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti - e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428).
Va altresì ricordato che, in caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado è richiesta una motivazione rafforzata che consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056). Nel caso di specie, la Corte di appello ha richiamato le ragioni dell'assoluzione e le ha confutate, una per una, con motivazione puntuale e corretta in punto di diritto, fornendo una ricostruzione del fatto e una dinamica realizzativa dell'evento del tutto logica, congrua e convincente. Anche alla luce di quanto emerso in sede di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in grado di appello, la sentenza impugnata ha escluso incontrovertibilmente che la persona offesa sia stata attinta ed investita da altro veicolo transitato prima del camion dell'imputato e che la stessa sia morta prima dell'investimento da parte dell'imputato. La Corte territoriale ha al riguardo osservato come la ricostruzione alternativa proposta dal Tribunale a sostegno dell'assoluzione non solo non appaia ragionevole ma, soprattutto, non risulti fondata su alcun elemento acquisito agli atti, risultando al contrario radicalmente sconfessata da quanto pacificamente accertato nei giudizi di merito. A smentita della ricostruzione propugnata dal Tribunale, la Corte di appello ha formulato le seguenti considerazioni, sinteticamente qui evocate: l'assenza di qualsiasi traccia o segno, di parti di veicolo o di frammenti, sul luogo del fatto tale da fondare l'ipotesi di un sinistro stradale che avesse coinvolto un altro, precedente, veicolo che avesse causato la caduta mortale a terra della giovane, essendo l'unica traccia lasciata sul luogo quella dello pneumatico riferito ad un mezzo pesante, poi accertato corrispondere, senza dubbio, a quello condotto dall'imputato, né tale ipotetico veicolo ha lasciato tracce inequivoche sul corpo della persona offesa; l'estrema brevità temporale (circa sedici secondi) del passaggio sul luogo del fatto di tale ipotetico investitore prima del sopraggiungere del camion dell'imputato, tale da risultare totalmente incompatibile con la ricostruzione del fatto accolta dallo stesso Tribunale; le dichiarazioni del consulente medico legale autoptico, dottor Pa.Ma., sentito in sede di rinnovazione istruttoria in sede di appello, secondo cui la presenza di infiltrati ematici porta a ritenere che, quando vi è stato il sormontamento del cranio della persona offesa da parte di una delle ruote gommate del camion condotto dalla imputato, la giovane era ancora in vita, dovendo così escludersi l'ipotesi alternativa elaborata del Tribunale, secondo cui l'ipotetico precedente investimento della persona offesa da parte di altro veicolo ne avrebbe causato la morte e che quindi essa fosse già morta al momento dell'investimento da parte dell'imputato. In sostanza, continua la Corte di merito, non solo la lesione al ginocchio ma tutte e tre le lesioni di cui ha riferito il medico legale sono avvenute quando la persona offesa era viva, tra cui anche quella più grave determinata dallo schiacciamento della scatola cranica che ne ha determinato la morte immediata. Non trova corrispondenza, nella sentenza impugnata, la tesi riferita al dottor Palandri, secondo cui questi avrebbe escluso la simultaneità delle lesioni (arto superiore sinistro, ginocchio destro, schiacciamento del cranio): il medico legale, invero, ha evidenziato (p. 19 sent. app.) che le dette lesioni si sono realizzate in estrema vicinanza temporale, escludendo la possibilità di essere più precisi sul punto. Vero è che il medico legale Palandri ha affermato che l'urto con un mezzo pesante avrebbe provocato una lesività maggiore dell'arto inferiore destro, ma sul punto la Corte territoriale si affida alla ricostruzione operata dal consulente del Pubblico ministero, dottor Co.Ma., sentito in grado di appello, secondo cui la lesione di minore gravità è da attribuirsi ad un colpo di striscio sulla parte alta del ginocchio destro della persona offesa da parte della struttura finale del frontale del camion, contraddistinta da una struttura arrotondata, con una superficie non tagliente, così da imprimere una forza inferiore rispetto ad un impatto più consistente con altra parte del camion e causare una lesione di tale minore gravità. In sostanza, la ricostruzione fatta propria dalla Corte di appello è che la persona offesa sia stata attinta in più punti e parti del corpo durante il suo rotolare sotto il camion, venendo schiacciata in parte dalle ruote e sbattendo e strisciando contro la superficie della strada, così da procurarsi le ferite di cui si è detto e che la lunghezza totale dell'autoarticolato (motrice più semirimorchio pari a metri 16,60) rende piena prova della causazione delle lesioni durante l'investimento, al cui esito vi è stata la fuoriuscita della ragazza dalla parte finale del camion.
Quanto ai primi due motivi, dunque, dalle cadenze motivazionali della sentenza di appello è enucleabile, come si vede, una attenta analisi della regiudicanda, avendo la Corte territoriale preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuta alle sue conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in alcun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
Si appalesa versato in fatto anche il terzo motivo di ricorso. La Corte ha congruamente evidenziato come di notte, in quel tratto stradale, nell'ora notturna, la visibilità fosse alquanto ridotta, circostanza nota all'imputato per il fatto di percorrere di notte quella strada da diverso tempo e con assiduità. Egli era peraltro a conoscenza che il camion era carico, circostanza che accresce i tempi e gli spazi di arresto del mezzo, che si trattava di mezzo non nuovo, con ridotta capacità frenante rispetto ai modelli più recenti. Avrebbe dovuto pertanto moderare la propria velocità, tenuto conto che non utilizzava i fari abbaglianti che gli avrebbero consentito una velocità più spedita. La presenza di persone sulla strada, così come dello stesso imputato pacificamente ammesso di aver visto poco prima dell'incidente, avrebbe vieppiù dovuto indurlo a pensare che fosse in concreto prevedibile la possibilità di incontrare altri giovani appiedati lungo la strada. Ciò nonostante egli aveva preceduto proceduto come se nulla fosse, così accorgendosi per sua colpa solo all'ultimo della presenza della persona offesa in mezzo alla strada, a terra: presenza di cui, come emerso nelle captazioni disposte, si era in qualche modo accorto. In sostanza, la Corte territoriale afferma che, non avendo attivato i fari abbaglianti, pur non avendone l'obbligo, l'imputato aveva l'obbligo di ridurre la velocità rendendola congrua alla possibilità di arresto del proprio mezzo, pesante e non più moderno: in questo ha ritenuto sussistere la marcata colpa della condotta di guida causativa dell'evento. Se infatti egli avesse viaggiato a velocità più ridotta ed utilizzato i fanali abbaglianti sarebbe riuscito a distinguere per tempo la sagoma di una persona e avrebbe avuto il tempo di arrestare il proprio mezzo senza investirla. La sentenza impugnata richiama sul punto le dichiarazioni dei testimoni che quella notte avevano transitato per il luogo del fatto, riuscendo a tempestivamente avvistare la persona offesa. La Corte di merito ha pertanto offerto anche un'adeguata rappresentazione del giudizio controfattuale, pervenendo così alla conclusione secondo cui la presenza di una persona lungo la strada e la causazione dell'evento mortale era del tutto prevedibile, pienamente riconoscibile e certamente evitabile era l'evento lesivo mortale, illustrandone specificamente le ragioni.
Il quarto motivo dì ricorso è infondato. Diversamente da quanto assume il ricorrente, la Corte territoriale ha diffusamente motivato sulle ragioni della revoca della patente di guida (pp. 42-43). Dopo aver richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 88 del 17 aprile 2019, in ragione della quale la revoca automatica della patente di guida si giustifica solo per le più gravi violazioni sanzionate dai commi 2 e 3 dell'art. 589-bis cod. pen., ed avere correttamente ricordato che la valutazione delle circostanze del caso è rimessa alla discrezionalità del giudice, ha valorizzato, a sostegno della revoca della patente di guida, il marcato grado della colpa, la gravità delle violazioni cautelari e la mancata considerazione da parte dell'imputato di tutta una serie di dati fattuali di cui egli era pienamente a conoscenza, avuto anche riguardo alla sua posizione qualificata di autotrasportatore che ha commesso il fatto nell'esercizio della propria attività lavorativa, essendosi anche dato alla fuga.
Privo di pregio è anche il quinto motivo di ricorso. A riprova della sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589-ter cod. proc. pen., la sentenza impugnata richiama quanto osservato e ritenuto dal consulente Co.Ma., secondo il quale, quando il camion era giunto a circa dieci metri di distanza dalla persona offesa, i fari anabbaglianti e la vicinanza rendevano perfettamente percepibile che si trattava di una persona. Del resto, anche nelle conversazioni intercettate l'imputato aveva detto di essersi accorto di una forma umana (un "manichino"; in sede di esame, specificherà di essersi riferito ad uno "spaventapasseri") e, ciò nonostante, non si è fermato per sincerarsi di quanto commesso e delle condizioni della persona investita, né ha fornito le proprie generalità ed elementi per ricostruire la dinamica del fatto". La Corte territoriale ha quindi concluso, con valutazione in fatto non manifestamente illogica, e quindi incensurabile in questa sede, nel senso che non sussista alcun dubbio sul fatto che l'imputato non avesse percepito che si trattasse di una persona.
Parimenti si dica con riguardo alle circostanze attenuanti generiche, il cui riconoscimento è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito il quale, nell'esercizio del relativo potere, agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a condizione che il relativo giudizio sia sorretto da congrua motivazione. Nel caso di specie, il diniego è stato giustificato non solo dalla gravità del fatto, così come sopra richiamata, ma dalla presenza di plurime condanne a carico dell'imputato, di tal che la Corte di appello ha congruamente reputato che la violazione penale, oggetto del presente procedimento, pur colposa, non possa qualificarsi come episodica ed occasionale trasgressione di norme incriminatrici.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2025.