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Consulenza legale e assistenza stragiudiziale sono riservate agli avvocati?

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.18734 del 26/02/2025 (dep. 19/05/2025)

Quando la consulenza legale e l'assistenza stragiudiziale costituiscono esercizio abusivo della professione di avvocato?

La risposta arriva dalla Cassazione penale, sezione VI, con la sentenza n. 18734 depositata il 19 maggio 2025, che conferma la condanna di un soggetto non abilitato, colpevole di aver svolto attività legale in modo continuativo, sistematico e professionale.

La vicenda

Il caso riguarda un uomo che, senza essere avvocato, ha fornito consulenza e assistenza stragiudiziale a una società tra il febbraio e l'ottobre 2017, percependo 7.600 euro per incarichi che comprendevano anche l'opposizione a un decreto ingiuntivo (poi mai depositata).

I principi in materia

Secondo l'art. 348 c.p., è reato esercitare una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, senza averne titolo.

L'art. 2, comma 2, della legge n. 247/2012 stabilisce che sono riservate agli avvocati le attività di consulenza legale e assistenza stragiudiziale connesse all'attività giurisdizionale, se svolte in modo continuativo, sistematico e organizzato.

La giurisprudenza ha ribadito che la natura professionale dell'attività, la connessione (anche potenziale) con il contenzioso giudiziario e l'idoneità a incidere su una lite presente o futura, sono elementi che configurano la riserva della professione.

La decisione della Corte

Nel caso concreto, la Corte ha accertato che l'imputato:

  • offriva e svolgeva consulenza legale per una società;

  • assisteva nella scelta delle strategie difensive, tra cui l'opposizione a precetti e decreti ingiuntivi;

  • operava senza alcun mandato formale, ma in modo organizzato e remunerato;

  • svolgeva tali attività con finalità difensive, quindi connesse a un possibile contenzioso.

Le eccezioni difensive, secondo cui mancando una procura non vi sarebbe esercizio abusivo, sono state respinte: ciò che conta è l'effettiva attività svolta e non la forma dell'incarico.

Rientrano nella riserva forense anche le attività preparatorie o finalizzate a una transazione, in quanto strumentali alla definizione della lite, anche se al di fuori del giudizio.

Conclusione

L'attività di consulenza legale e assistenza stragiudiziale è riservata agli avvocati se è svolta con continuità, sistematicità e collegamento (anche potenziale) con la giurisdizione.

Non è necessario un mandato formale o che lo stesso soggetto si costituisca in giudizio: basta l'idoneità dell'attività a incidere sul contenzioso.

Attenti quindi a chi promette assistenza legale a basso costo: anche la consulenza prima del giudizio è materia da professionisti veri, non da improvvisati.

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Cassazione penale, sez. VI, sentenza 26/02/2025, (dep. 19/05/2025) n. 18734

RITENUTO IN FATTO


1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Varese del 22 settembre 2023, che aveva condannato l'imputato Lo.Gi., all'esito di giudizio abbreviato, per i reati allo stesso ascritti.

Tra questi, quello di cui al capo a) di abusivo esercizio della professione di avvocato (art. 348 cod. pen.), consistito nell'aver accettato tra febbraio e ottobre 2017, benché privo di titolo abilitativo, incarichi professionali dalla società "Biemme Group" - tra i quali quello di proporre opposizione a decreto ingiuntivo, in realtà mai presentato - remunerati per complessivi 7.600 Euro circa.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge in relazione all'art. 348 cod. pen.

La Corte di appello ha respinto erroneamente la censura difensiva volta a sostenere l'insussistenza del delitto contestato, posto che vi è stata soltanto l'offerta di una prestazione di difesa giurisdizionale rimasta di fatto ineseguita, non ricevendo il ricorrente alcuna procura ad litem da parte del soggetto patrocinato.

Le sentenze di merito non hanno evidenziato altra attività che possa essere ricompresa nel fuoco dell'art. 348 cod. pen. (neppure di consulenza), come integrato dall'art. 2 della L. n. 247 del 2012, che qualifica le specifiche attività riservate agli avvocati.

La semplice ricezione dell'incarico difensivo o la spendita del titolo di avvocato non possono integrare il reato in esame (si allega la querela-denuncia), ma al più quello di truffa.

L'attività di consulenza stragiudiziale per essere ricompresa nell'attività riservata degli avvocati necessita in ogni caso di un incarico per l'attività giurisdizionale connessa (non rilevando lo svolgimento da parte di altri di tale attività).

2.2. Vizio di motivazione per travisamento della prova, con riferimento all'art. 348 cod. pen.

A pag. 11 della sentenza impugnata si afferma che il ricorrente avrebbe depositato presso il Tribunale di Monza un'istanza di ammissione al beneficio del pagamento dilazionato sulle somme, oggetto dell'atto di precetto.

Dalla mail che si allega emerge peraltro soltanto l'invio ad opera del ricorrente di un mandato da sottoscrivere e trasmettere con il nominativo del nome del lavoratore. Nulla si dice sull'effettivo conferimento dell'incarico e dello svolgimento dell'attività in sede giudiziale. Anzi è la stessa Corte di appello ad ammettere che non erano noti i dettagli dell'incarico ricevuto dal cliente.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua articolazione.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

La Corte di appello ha ritenuto che la fattispecie delittuosa in esame fosse stata integrata dalla attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale svolta dal ricorrente in favore della società Biemme Group in modo continuativo, sistematico e professionale e connessa ad attività giurisdizionale.

L'art. 2, comma 2, della L. n. 247 del 2012 stabilisce invero che "l'attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all'attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati".

Quindi nel caso in esame ha soltanto rilevanza l'effettivo svolgimento di una attività con siffatte caratteristiche ad opera dell'imputato, non essendo invece necessaria l'esistenza di un mandato formale per l'attività giudiziale.

Non ha infatti alcun giuridico fondamento la tesi difensiva che pretende che l'attività giurisdizionale connessa sia affidata al medesimo soggetto.

Quel che è rilevante è che l'attività di consulenza - svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato - sia destinata a incidere su un contenzioso giudiziale, presente o futuro.

La giurisprudenza di legittimità invero in sede civile, ai fini del pagamento degli onorari di cui al D.M. n. 55 del 2014, ha evidenziato che l'attività stragiudiziale in correlazione con quella giudiziale può essere anche solo quella preparatoria (Sez. 2, 12/12/2023, n. 34713) o quella volta alla conclusione di una transazione che ponga termine alla lite, ancorché la definizione della controversia abbia avuto luogo non sotto forma di conciliazione davanti al giudice, ma mediante un negozio extraprocessuale (Cass. Sez. 2, 07/10/2020, n. 21565, Rv. 659321).

Come correttamente ha rilevato dalla Corte di appello, la consulenza svolta dal ricorrente era volta a trovare la migliore linea difensiva (opposizione o transazione) per reagire agli atti giudiziali già notificati agli assistiti.

La difesa contesta inoltre che il ricorrente abbia svolto in concreto un'attività stragiudiziale, tesa a completare anche solo in via transattiva, quella di difesa giurisdizionale.

Il motivo è generico posto che già la sentenza di primo grado dava atto di tale attività svolta dal ricorrente per conto della Biemme Group (cfr. pagg. 3-4) e sulla base di questo accertamento la Corte di appello ha affermato che risultava provato che l'attività transattiva riguardasse decreti ingiuntivi notificati e quindi un'attività connessa a quella giudiziale (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).

3. Il secondo motivo è generico, in quanto il riferimento alla mail del 27 settembre 2017 è presentato dalla Corte di appello come elemento "ulteriore" d'y prova, quindi non decisivo.

4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2025.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2025.

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