Il cane scappa di casa e provoca una caduta: se era stato affidato ai genitori, il padrone può comunque essere condannato?
Secondo la Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 20949/2025, la risposta è sì: il proprietario dell'animale resta responsabile per le lesioni provocate dal cane, anche se in quel momento era sotto la custodia di altri.
Un ciclista viene travolto da un cane fuggito da una casa privata. L'animale non è tenuto al guinzaglio, attraversa la strada e finisce addosso alla bici, causando la caduta dell'uomo.
Il cane era momentaneamente presso l'abitazione dei genitori del padrone, ma ciò non basta per escludere la responsabilità del proprietario.
Infatti, sia il Tribunale che la Corte d'appello di Palermo condannano l'imputato per lesioni personali colpose.
Il padrone tenta allora di difendersi in Cassazione, sostenendo che non aveva la custodia del cane al momento del fatto. Ma la Suprema Corte respinge il ricorso.
Secondo la Cassazione, l'obbligo di custodia dell'animale nasce ogni volta che esiste una relazione anche solo materiale e di fatto tra una persona e l'animale, a prescindere dalla proprietà civilistica.
Chi è proprietario del cane ha una posizione di garanzia che impone di adottare tutte le cautele necessarie per prevenire le azioni prevedibili dell'animale. Questo vale anche se la custodia è affidata ad altri e questi si rivelano incapaci di controllarlo.
Nel caso deciso, la Corte rileva che:
è accertato il rapporto di fatto e di diritto tra l'imputato e l'animale;
il cane era presso i genitori solo temporaneamente;
le dichiarazioni rese in ospedale e confermate dalla madre dell'imputato confermano il legame diretto con il padrone.
Pertanto, non conta il luogo da cui l'animale è fuggito, ma il fatto che il proprietario ne fosse il referente principale, anche in assenza di una custodia diretta nel momento dell'incidente.
Chi possiede un cane deve garantire che sia sempre sotto controllo, anche quando lo affida ad altri. La responsabilità penale non si trasferisce con la custodia temporanea.
Il consiglio? Se lasciate il vostro cane ai genitori, assicuratevi che non sia Houdini. Anche se evade dal loro giardino, la condanna potrebbe comunque arrivare a voi.
Cassazione penale, sez. IV, sentenza 13/05/2025 (dep. 05/06/2025) n. 20949
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di Palermo, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la condanna di Mo.Pa. per le lesioni personali colpose cagionate a un ciclista, costituitosi parte civile, a causa dell'urto con il cane ritenuto di proprietà dell'imputato circolante liberamente e senza guinzaglio in zona pubblica. Ne è conseguita la conferma delle statuizioni civili.
2. È stato proposto ricorso nell'interesse dell'imputato fondato su due motivi (di seguito enunciati ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Si deduce, con il primo motivo, la violazione di legge (art. 40 cod. pen.) per aver la Corte territoriale ritenuto responsabile l'imputato riconoscendogli una posizione di garanzia, in forza della sola ritenuta sua titolarità del diritto di proprietà sul cane, nonostante il possesso dello stesso animale da parte dei suoi genitori, dalla cui abitazione l'animale si sarebbe allontanato, e la rilevanza, a fini penalistici, dell'esistenza di un mero rapporto di fatto con l'animale.
Con il secondo motivo ci si duole del travisamento della prova, in particolare delle deposizioni rese da quatto testimoni indicati nella lista depositata dalla difesa dell'imputato (specificatamente individuati nel ricorso cui, per ragioni di autosufficienza, sono allegate le relative dichiarazioni dibattimentali). Si tratterebbe di dichiarazioni dalle quali, a dire del ricorrente, emergerebbe, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, il possesso effettivo ed esclusivo del cane da parte dei genitori dell'imputato e non in capo a quest'ultimo, con conseguente decisività ai fini dell'esclusione della posizione di garanzia in capo a Mo.Pa.
3. Le parti hanno discusso, concludendo nei termini di cui in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso, i cui motivi sono suscettibili di trattazione congiunta, è inammissibile.
2. In primo luogo, deve ribadirsi che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione nel caso, come quello di specie, di c.d. "doppia conforme", sia nell'ipotesi in cui il giudice d'appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite, in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (ex plurimis, limitando i riferimenti solo a talune delle più recenti decisioni: Sez. 4, n. 13531 del 04/02/2025, Bartolo, in motivazione; Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 - 01; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155 - 01).
Orbene, le sentenze di merito, facenti perno su medesimi elementi probatori, tra cui, peraltro, anche le deposizioni dei testi indicati dalla difesa dell'imputato (pag. 2, sentenza d'appello, e pag. 5 sentenza di primo grado), sono conformi quanto alle assunte decisioni e al comune sotteso iter logico-giuridico, comprese le relative premesse fattuali. Sicché, inammissibilmente il ricorrente deduce, in ipotesi di "doppia conforme", un travisamento dei mezzi di prova senza esplicitare e invero prospettare che entrambi i giudici siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite, ovvero che si sia trattato di mezzi di prova assunti solo in appello, essendo peraltro il ricorso silente in merito all'apparato motivazionale sotteso alla sentenza di primo grado e ai relativi elementi probatori.
3. Alle assorbenti considerazioni di cui innanzi deve aggiungersi, in termini altrettanto dirimenti e tali da manifestare anche l'infondatezza del primo motivo, la circostanza per cui il ricorrente, inammissibilmente, finisce nella sostanza con l'appuntare le censure sul significato dei mezzi di prova e non su un'errata o mancante percezione del relativo significante. Si deduce così non un travisamento della prova bensì un "travisamento del fatto": la sussistenza di una relazione di fatto e di diritto, presunta come esclusiva, tra i genitori dell'imputato e il cane, prospettata dalla tesi difensiva in luogo della ritenuta sussistenza, da parte dei giudici di merito, di una relazione di fatto e di diritto tra l'imputato e l'animale. Situazione, quest'ultima, in virtù della quale è stata accertata in capo a Mo.Pa. la posizione di garanzia, sostanzialmente argomentata anche da altri mezzi di prova, tra cui la deposizione della persona offesa circa quanto dichiaratole tanto dallo stesso prevenuto in ospedale quanto dalla di lui madre al momento dei fatti.
Trattasi di travisamento, quello del fatto e non della prova, a cui non può attribuirsi rilievo in sede di legittimità in ragione del consolidato principio per cui anche a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen. dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (ex plurimis, Sez. 4, n. 33896 del 20/06/2023, Latilla; Sez. 3, n. 18521 dell'11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 - 01).
Ciò, come detto, finisce, oltre che con l'integrare un inammissibile tentativo del ricorrente di sostituire proprie valutazioni, anche di natura probatoria, a quelle del giudicante, anche con il manifestare l'infondatezza del primo motivo avendo difatti i giudici di merito, sull'accertato rapporto di fatto e di diritto tra imputato e animale, ancorché fuoriuscito al momento dei fatti dall'abitazione dei genitori del prevenuto, sostanzialmente correttamente applicato i principi governanti la materia. L'obbligo di custodia dell'animale sorge ogni qualvolta sussista una relazione di semplice detenzione, anche solo materiale e di fatto tra l'animale e una data persona, non essendo necessario l'accertamento di un rapporto di proprietà in senso civilistico, nella specie, quest'ultimo, ritenuto sussistente in capo al prevenuto (ex plurimis, Sez. 4, n. 10192 del 02/03/2021, Fusetti; Sez. 4, n. 51448 del 17/10/2017, Polito, Rv. 271329 - 01). Posizione di garanzia, quella assunta dal proprietario di un cane, che, però, impone l'obbligo di adottare le cautele necessarie a prevenire le prevedibili azioni e reazioni dell'animale, con la conseguenza per cui il proprietario risponde a titolo di colpa delle lesioni cagionate a terzi dallo stesso animale anche qualora ne abbia affidato la custodia a persona inidonea a controllarlo (Sez. 4, n. 34765 del 03/04/2008, Morgione, Rv. 240774 - 01). Alla luce di tale ultima precisazione deve altresì leggersi il riferimento del giudice d'appello all'irrilevanza, nella specie, di un mero affidamento dell'animale ai genitori, peraltro tale da rilevare, in relazione all'apparato motivazionale della sentenza impugnata, alla stregua non di ragione fondante bensì di mera argomentazione a confutazione della tesi difensiva, ritenuta non provata, dell'assenza di potere di fatto da parte dell'imputato.
4. In conclusione, all'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. e valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186). Consegue altresì la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile, Ca.An. Antonino, che si liquidano in Euro tremila, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile Ca.An. che liquida in Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 13 maggio 2025.
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2025.