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Furto in auto: quando scatta l'aggravante della pubblica fede?

Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.22569 del 24/04/2025 (dep. 16/06/2025)

Una borsa lasciata su un sedile, un’auto non chiusa a chiave, un furto in un parcheggio: è configurabile l’aggravante per esposizione alla pubblica fede in un caso del genere?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22569 del 16 giugno 2025, ha risposto negativamente, annullando senza rinvio l’aggravante prevista dall’art. 625, n. 7 c.p. nel caso di furto di una borsa lasciata momentaneamente in auto.

La vicenda

Nel caso di specie, l’imputato era stato condannato per una serie di reati, tra cui furti commessi in parcheggi pubblici, identificato anche grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza e alla targa della vettura utilizzata.

Uno di questi furti riguardava una borsa sottratta da un’auto lasciata aperta nei pressi di un supermercato.

I principi in materia

Secondo l’art. 625, comma 1, n. 7 c.p., l’aggravante per esposizione alla pubblica fede si applica quando la cosa sottratta si trova in un luogo accessibile al pubblico e affidata alla fiducia collettiva, cioè non protetta da misure di custodia, ma “normalmente” lasciata in quel luogo per consuetudine o necessità.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che non si considerano esposti alla pubblica fede gli oggetti solo occasionalmente lasciati in auto per comodità personale, dimenticanza o fretta, e che non costituiscono parte integrante del veicolo, né sono destinati in modo durevole al suo uso o ornamento.

La decisione della Corte

Nel caso esaminato, la Corte d’appello aveva ritenuto sussistente l’aggravante basandosi sull’idea che lasciare oggetti in auto per pochi minuti, senza chiudere le portiere, fosse un comportamento “diffuso”, quindi sufficiente a fondare l’esposizione alla pubblica fede.

La Cassazione ha smentito questa interpretazione, definendola una congettura e non una vera massima di esperienza. Secondo la Corte, l’abitudine di lasciare oggetti in auto incustoditi per brevi periodi non è così generalizzata da fondare un criterio oggettivo per ritenere applicabile l’aggravante.

Inoltre, ha ribadito che spetta al giudice motivare concretamente l’esistenza di situazioni impellenti o necessità oggettive, che giustifichino il lasciare il bene incustodito. In mancanza di tali condizioni, come nel caso in esame, la borsa è considerata un oggetto lasciato per scelta personale, quindi non esposto alla pubblica fede.

Conclusioni

Il furto di una borsa dimenticata su un sedile dell’auto aperta non configura automaticamente l’aggravante per esposizione alla pubblica fede.

Perché questa si applichi, è necessario dimostrare che il bene era lasciato in quel luogo per consuetudine o necessità concreta, e non per comodità individuale.

Furto, oggetto lasciato in auto per comodità, dimenticanza o ragioni contingenti, aggravante della pubblica fede, esclusione

In tema di furto, non sono esposti alla pubblica fede gli oggetti che solo occasionalmente si trovano all'interno dell'autovettura, che non costituiscono il normale corredo dell'auto, ovvero che sono lasciati al suo interno dal proprietario per ragioni contingenti o per dimenticanza.

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Cassazione penale sez. II, sentenza 24/04/2025 (dep. 16/06/2025) n. 22569

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza del 04/06/2024, ha parzialmente riformato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Padova del 07/03/2023, resa ad esito di rito abbreviato, riconoscendo a Ro.Da. l'ipotesi della lieve entità ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023 in relazione al capo 3) ed escludendo l'aggravante di cui all'art. 61 n. 7 in relazione al capo 2), rideterminando di conseguenza la pena in anni 2, mesi 6 ed Euro 1067 di multa per i delitti ascritti allo stesso (capo 1) 2) e 3) della rubrica, ovvero furto aggravato, in parcheggio di supermercato e di ospedale, ed estorsione).

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, Ro.Da. articolando motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 530 cod. proc. pen., con vizio risultante dal testo del provvedimento per non aver accolto il motivo di appello relativo alla necessaria assoluzione del ricorrente dal furto aggravato di cui al capo 1); gli elementi richiamati dalla Corte di appello per affermare la responsabilità del ricorrente non sono condivisibili (targa della vettura di proprietà del ricorrente, riconoscimento dello stesso a seguito della visione fotogrammi delle telecamere di sorveglianza da parte del personale operante); è stato realizzato un riconoscimento sui generis e tali elementi pur rilevanti quali indizi non rivestono carattere di gravità precisione e concordanza richiesti.

2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 393 e 629 cod. pen., con vizio risultante dal testo del provvedimento per non aver accolto il motivo di appello relativo alla necessaria assoluzione del ricorrente dal furto aggravato di cui al capo 3); gli elementi richiamati dalla Corte di appello per affermare la responsabilità del ricorrente non sono condivisibili (avere il ricorrente provocato intenzionalmente il sinistro, attendibilità della persona offesa, mancanza di pretesa azionabile davanti al giudice civile, comportamento intimidatorio); è stata affermata la responsabilità del ricorrente sulla sola base delle dichiarazioni della persona offesa, mentre è emerso che il ricorrente abbia agito nella ragionevole opinione di difendere un proprio diritto, mentre nessuna violenza è stata effettivamente posta in essere dal ricorrente, che ha semplicemente utilizzato dei modi inurbani.

2.3. Violazione di legge in relazione all'art. 625 n. 7 cod. pen., con vizio risultante dal testo del provvedimento per non aver accolto il motivo di appello relativo alla esclusione della circostanza aggravante per il delitto ascritto al capo 1) della rubrica; gli elementi richiamati dalla Corte di appello per affermare la ricorrenza della circostanza aggravante non sono condivisibili; la Corte di appello ha ritenuto che la borsa oggetto di furto fosse esposta alla pubblica fede perché poggiata in auto nei pressi del supermercato, senza che la vettura venisse chiusa con sicura, richiamando una massima di esperienza assolutamente non condivisibile, né riscontrabile (abitudine diffusa quella di non proteggere particolarmente i propri beni quando ci si deve allontanare di poco e per pochissimo tempo); ricorre al contrario una libera scelta della persona offesa, sulla base delle sue personali esigenze.

2.4. Violazione di legge e vizio della motivazione in ogni sua forma, attesa la mancata riduzione della pena, nonostante la esclusione della circostanza aggravante quanto al reato di cui al capo 2) della rubrica, con conseguente violazione del principio del divieto di reformatio in peius; la Corte di appello ha difatti confermato la pena irrogata in continuazione per il capo 2) dal primo giudice senza giungere ad una riduzione della stessa per l'esclusione della aggravante;

3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che la sentenza venga annullata con rinvio in accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso (in realtà terzo e quarto motivo di ricorso sulla base delle argomentazioni introdotte).

4. Il difensore del ricorrente ha depositato conclusioni in data 07/04/2025, con le quali ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il terzo motivo di ricorso è fondato, mentre nel resto il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi generici e non consentiti, oltre che manifestamente infondati per le ragioni che seguono.

2. Il primo motivo di ricorso non è consentito. In via preliminare si deve sottolineare che il ricorrente ha sostenuto la ricorrenza del vizio di violazione di legge con riferimento all'art. 192 cod. proc. pen.

Sul punto si deve richiamare e ribadire l'orientamento di questa Corte secondo il quale le doglianze relative alla violazione del suddetto articolo, riguardanti la valutazione delle risultanze probatorie, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191-01; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli, Rv. 27129401; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567-01; Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta, Rv. 229159-01).

Di recente anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito detto principio, affermando che non è "consentito il motivo di ricorso con cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullità, inammissibilità, decadenza" (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04, in motivazione, nello stesso senso anche quanto alla lett. b) dell'art. 606 cod. proc. pen. Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, Romeo Gestioni Spa, Rv. 278196-02).

La deduzione, dunque, avrebbe potuto essere esaminata sotto il profilo del vizio motivazionale, che, sebbene non dedotto, è chiaramente insussistente, alla luce delle argomentazioni dei giudici di merito, in larga parte obliterate dalla difesa, che in sostanza ha reiterato una doglianza di puro merito, sollecitando un sindacato sulle valutazioni effettuate ed invocando di fatto una inammissibile rilettura delle prove poste a fondamento della decisione impugnata, quanto al capo 1) della rubrica (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Barraglia, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Ferri, Rv. 277758-01) in presenza, tra l'altro, di motivo del tutto reiterativo che non si confronta con la logica e persuasiva motivazione della Corte di appello che ha richiamato dati inequivoci in ordine alla responsabilità ascritta al ricorrente e che la difesa semplicemente non condivide (pag. 4 e seg. della motivazione che ha valorizzato il riconoscimento del ricorrente da parte della Polizia giudiziaria, l'utilizzo e identificazione di vettura riferibile allo stesso Ro.Da., le video riprese, con compiuta e logica ricostruzione degli elementi probatori acquisiti).

3. Il secondo motivo di ricorso non è consentito. La difesa si è, infatti, limitata a reiterare la medesima censura proposta con l'atto di appello, omettendo di confrontarsi con le argomentazioni, logiche e prive di aporie, della Corte di appello (in tal senso pag. 5 e 6 dove si è valorizzata la ricostruzione dei fatti resa dalla persona offesa e di fatto non contestata dal ricorrente, chiarendo la portata della minaccia a carattere estorsivo) al fine di introdurre una propria lettura alternativa del merito non consentita in questa sede. Deve essere in tal senso essere ribadito il principio secondo il quale è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova.

Deve essere, quindi, ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01).

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che il ricorso di cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'appello, e motivatamente respinti in secondo grado, non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limita, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (Sez.2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01).

Infine, occorre considerare che il ricorrente ha contestato la affermazione di responsabilità asserendo, piuttosto apoditticamente, che questa si sarebbe basata esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa. Tale censura omette del tutto il confronto con la articolata e logica motivazione della Corte di appello sul punto e tra l'altro non si confronta con il costante principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale la valutazione dell'attendibilità della parte offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni, circostanza assolutamente non ricorrente nel caso in esame (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, Terrusa, Rv. 257241-01; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342-01). La motivazione offerta dalla Corte territoriale è priva di vizi logici manifesti e decisivi e si presenta coerente sia con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di legittimità, che con le emergenze processuali, fornendo una logica e coerente valutazione degli elementi che compongono il quadro probatorio a carico del ricorrente.

4. Il terzo motivo di ricorso è fondato. In via preliminare, si deve rilevare come la difesa abbia proposto una censura in parte confusa e contraddittoria, avendo richiamato la violazione di legge in ordine al capo 2) anche se in concreto ha criticato la motivazione resa dalla Corte di appello in relazione al capo 1) (specificamente indicando pag. 8, par. 3.1. secondo capoverso).

La censura, per le argomentazioni poste, si deve dunque ritenere riferita al capo 1), in relazione al quale la Corte di appello ha ritenuto la ricorrenza della aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen. perché "la borsa è stata lasciata incustodita all'interno di vettura aperta. Si trattava dunque di cosa esposta alla pubblica fede: Co. non ha proceduto alla chiusura con la chiave della portiera, non tanto per comodità quanto proprio per consuetudine, essendo abitudine diffusa quella di non proteggere particolarmente i propri beni allorché ci si deve allontanare di poco e per un brevissimo lasso di tempo".

Si tratta di un ragionamento viziato. Innanzi tutto, la Corte di appello sembra riferirsi, nella definizione della esposizione alla pubblica fede, ad una massima di esperienza che non si può effettivamente ritenere tale.

In tal senso, è bene sottolineare che le massime di esperienza devono essere identificate in giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze e tuttavia autonomi da queste. Nel caso di specie la motivazione richiama una mera congettura, che non trova riscontro nell'id quod plerumque accidit, mentre il ragionamento, che appare in parte apodittico e in parte illogico, propone una pretesa regola generale (lasciare normalmente incustoditi i beni, anche di valore, mentre si esce da esercizi commerciali anche se per breve tempo) che risulta tuttavia priva di plausibilità (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, Romano, Rv. 281385-01; Sez.1, n. 18118 del 11/02/2014; Marturana, Rv. 261992-01; Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, Abbate, Rv. 228401-01).

L'approccio al tema devoluto in sede di appello sulla base della congettura sopra riportata ha dunque condotto ad una erronea considerazione in diritto del tema della esposizione alla pubblica fede.

Inoltre, si deve rilevare come la Corte di appello non abbia correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale il furto di oggetti che si trovano all'interno di un'autovettura, lasciata incustodita sulla pubblica via, risulta aggravato per la esposizione alla pubblica fede, solo quando si tratti di oggetti costituenti parte integrante del veicolo o destinati, in modo durevole, al servizio o all'ornamento dello stesso o che, per necessità o per consuetudine, non sono portati via al momento in cui l'autovettura viene lasciata incustodita.

In tal senso si è precisato che non sono esposti alla pubblica fede gli oggetti che solo occasionalmente si trovano all'interno dell'autovettura (come avvenuto in effetti nel caso in esame, attesa la descrizione della condotta nell'ambito del capo di imputazione che richiamava l'avere la persona offesa lasciato in auto la propria borsa, senza aver chiuso in sicurezza la vettura; borsa che conteneva al proprio interno una consistente somma di denaro, documenti e telefono cellulare) che non costituiscono il normale corredo dell'auto, ovvero che sono lasciati al suo interno dal proprietario per ragioni contingenti o per dimenticanza (Sez. 5, n. 30358 del 21/06/2016, Ahuman, Rv. 267466-01; Sez. 5, n. 44580 del 30/06/2015, Rv. 264744-01, nonché Sez. 5, n. 23068 del 18/05/2020, De Rosa, Rv. 279412-02, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 26475 del 23/06/2022, P., Rv. 283431-01).

Il collegio è conscio della presenza di opzioni interpretative che possono apparire sostanzialmente difformi, sebbene siano conseguenza della valutazione del caso concreto di volta in volta affrontato, sicché si deve escludere la ricorrenza di un contrasto di giurisprudenza. Tali interpretazioni trovano la loro base ermeneutica nella notevole estensione del concetto di consuetudine, intesa quale prassi generale e costante, rientrante negli usi e nelle abitudini comuni di vita associata o di relazione, ancorché non imposta da un'esigenza dalla quale non si possa prescindere (Sez. 5, n. 33863 del 08/06/2018, Di Pietra, Rv. 273898-01; Sez. 5, n. 51255 del 30/10/2019, Liberali, Rv. 277524-01). E pur tuttavia, è bene sottolinearlo, nell'ambito di tale interpretazione, comunque non è stata ritenuta riconoscibile l'aggravante in relazione alla condotta di chi lasci la cosa incustodita per motivi personali, quali la comodità, la dimenticanza o la fretta, come chiaramente avvenuto nel caso in esame sulla base della descrizione della condotta nell'ambito del capo di imputazione (Sez. 5, n. 44035 del 01/10/2014, El Abid e altro, Rv. 26211701; Sez. 5, n. 11423 del 17/12/2014 - dep. 18/03/2015).

Ancora più esteso il campo di applicazione della aggravante descritto da Sez. 5, n. 38900 del 14/06/2019, Lucchiari, Rv. 277119-01, che ha ritenuto di allargare il concetto di cose esposte per necessità e consuetudine alla pubblica fede agli oggetti ingombranti o pesanti che la persona offesa abbia temporaneamente lasciato in un'autovettura parcheggiata sulla pubblica strada, per attendere ad altre incombenze, nonché gli oggetti e i documenti ivi custoditi per necessità oppure per semplice comodità. Appare tuttavia, nel complesso quadro interpretativo appena delineato, condivisibile l'orientamento ermeneutico che ha valorizzato la presenza di situazioni concrete impellenti e non diversamente risolvibili, che abbiano indotto la persona offesa a lasciare in auto i beni in seguito divenuti oggetto di furto, così dovendosi correlare la valutazione in ordine alla ricorrenza o meno della aggravante alla presenza di situazioni concrete oggettive ed in tal senso verificabili dall'interprete, al quale è imposto un onere di puntuale ricerca e motivazione, lasciando nel contempo la possibilità di considerare una consistente, ma non indefinita, serie di situazioni concrete, che pure possono verificarsi nella realtà di ogni giorno, nelle quali la volontà del possessore del bene è condizionata dalle suindicate circostanze a non portare il bene con sé ma a lasciarlo all'interno del veicolo.

In tal senso la più recente giurisprudenza ha inteso dare continuità al maggioritario orientamento, rimodulandolo in considerazione delle complessive valutazioni appena evidenziate, con argomentazioni pienamente condivisibili ed applicabili anche al caso in esame (nella specie si è osservato che il fatto che la vittima del tentativo di furto abbia lasciato il portafogli all'interno dell'abitacolo dell'auto in alcun modo è dipeso da concrete ed impellenti situazioni fattuali che a tanto lo abbiano indotto, essendo piuttosto riconducibile ad una libera scelta della parte lesa, che ha ritenuto semplicemente più comodo per le sue personali esigenze di quel momento custodire l'oggetto in tale modo, Sez. 5, n. 23068 del 18/05/2020, De Rosa, Rv. 279412-02; Sez. 5, n. 6212 del 14/12/2020, Hussein, Rv. 280492-01). L'insieme delle circostanze accertate in giudizio e riportate dalla sentenza impugnata, rendono conseguentemente necessario eliminare l'aggravante, non essendo emersa la presenza di situazioni concrete impellenti e non diversamente risolvibili quanto ai beni che venivano lasciati all'interno dell'abitacolo della vettura. Tuttavia, alla eliminazione predetta aggravante non consegue alcuna riduzione a livello sanzionatorio, attesa la contestazione al Ro.Da. della recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale, che è stata ritenuta sussistente e posta in regime di equivalenza con la attenuante della particolare tenuità del danno, alla quale si è aggiunta in sede di appello anche la attenuante, c.d. costituzionale, conseguente alla sentenza n. 120 del 2023 della Corte cost.;

5. Il quarto motivo di ricorso è totalmente generico.

La difesa si duole della asserita ricorrenza di una reformatio in peius senza alcun effettivo confronto con la motivazione della Corte di appello (specifica sul punto pag. 10 secondo capoverso), semplicemente evocando la esclusione della aggravante quanto al reato di cui al capo 2) della rubrica.

6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen. relativamente al reato di cui al capo 1), mentre nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen. relativamente al reato di cui al capo 1), che elimina.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2025.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2025.

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