Con l'ordinanza n. 23105 depositata il 20 giugno 2025, la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione ha sollevato due questioni pregiudiziali dinanzi alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) in merito alla compatibilità tra il Protocollo Italia-Albania sul trattenimento dei migranti e le direttive europee in materia di rimpatrio e asilo.
I quesiti posti alla Corte di Giustizia
La Cassazione ha chiesto alla CGUE di chiarire:
se l'art. 6, par. 1 della Direttiva 2008/115/CE osti a una norma nazionale (art. 3, comma 2, legge n. 14/2024) che consente il trattenimento del cittadino straniero in Albania anche in assenza di una concreta prospettiva di rimpatrio;
se l'art. 9 della Direttiva 2013/32/UE sia compatibile con una normativa che prevede il trattenimento all'estero di richiedenti asilo la cui domanda sia stata qualificata come "strumentale", ossia diretta a ostacolare l'esecuzione del provvedimento di allontanamento.
Il Protocollo Italia-Albania
Il Protocollo, firmato a Roma il 6 novembre 2023 e ratificato con legge n. 14/2024, prevede:
l'istituzione di due centri in Albania (Shëngjin per l'ingresso e Gjader per il trattenimento);
il limite massimo di 3.000 persone trattenute contemporaneamente;
la giurisdizione italiana su tali strutture;
il rispetto dei tempi massimi di trattenimento previsti dalla legge italiana.
Le criticità evidenziate dalla Cassazione
Secondo i giudici della Suprema Corte, l'attuazione del Protocollo presenta due rilevanti criticità:
Mancanza di prospettiva di rimpatrio: il trattenimento sarebbe attuato anche quando manca una concreta possibilità di allontanamento, in contrasto con il principio di effettività del rimpatrio stabilito dalla Direttiva 2008/115/CE.
Assimilazione impropria delle strutture albanesi ai CPR italiani: la normativa nazionale assimila le strutture situate in Albania agli hotspot e ai centri per il rimpatrio presenti in Italia, ma la Cassazione dubita che tale equiparazione sia giustificata, tenuto conto delle differenze strutturali, logistiche e operative.
Le conseguenze del rinvio alla CGUE
Il rinvio pregiudiziale determina, di fatto, una sospensione della seconda fase operativa del Protocollo, ossia quella destinata al trattenimento e rimpatrio dei migranti irregolari. Al momento, risultano trattenute 28 persone nel centro di Gjader, mentre la struttura di Shëngjin è ancora inutilizzata.
La decisione della Corte di Giustizia avrà un impatto rilevante non solo sul futuro del Protocollo tra Italia e Albania, ma anche sui modelli di esternalizzazione delle procedure migratorie che alcuni Stati membri dell'Unione stanno valutando.
Cassazione penale, sez. I, ordinanza 29/05/2025, (dep. 20/06/2025), n. 23105
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Oggetto dei procedimenti e fatti rilevanti.
Il presente procedimento nasce dalla riunione di due distinti procedimenti (i n. 14054 e 14055 del 2025 di R.G.) che presentano profili comuni. 1.1. Il primo procedimento (n. R.G. 14054 del 2025).
Il 16 settembre 2024 il Prefetto di Ancona ha disposto l'espulsione del cittadino tunisino Sf.Ho. dal territorio nazionale mediante accompagnamento alla frontiera;
nel decreto del Prefetto si legge: che il cittadino tunisino era entrato in Italia presentandosi alla frontiera aerea di R (Omissis) il 2 settembre 2021; che nel corso della sua permanenza ha commesso alcuni reati; che il 10 settembre 2024 il Prefetto di Ancona ha respinto la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno.
Il 22 marzo 2025, non essendo stato ancora possibile procedere all'espulsione perché non vi era un aereo disponibile e perché la persona non aveva fornito un documento necessario a rimpatriarla, il Questore di Ancona ha disposto il trattenimento presso il Centro per i rimpatri di Bari.
Il 24 marzo 2025 il Giudice di pace di Bari ha convalidato il provvedimento di trattenimento.
In data 11 aprile 2025 il Ministero dell'Interno ha trasferito il cittadino tunisino dal Centro per i rimpatri di Bari al Centro per i rimpatri di Gjader, situato nel territorio della Repubblica di Albania e istituito in esecuzione del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, recepito in Italia con la l. 21 febbraio 2024, n. 14 (d'ora innanzi, anche il Protocollo).
Il 22 aprile 2025, mentre si trovava nel Centro per i rimpatri di Gjader, il cittadino tunisino ha formulato richiesta di protezione internazionale.
Lo stesso 22 aprile 2025 il Questore di Roma ha disposto il trattenimento del cittadino tunisino presso il Centro di Gjader, ai sensi dell'articolo 6, comma 3, D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142.
Il 23 aprile 2025, dopo aver ascoltato l'interessato, la Commissione territoriale ha respinto la domanda di protezione internazionale, ritenendo che il rientro nel territorio dello Stato di origine non lo avrebbe esposto al rischio di persecuzione.
Il 24 aprile 2025 la Corte di appello di Roma non ha convalidato il trattenimento disposto dal Questore di Roma il 22 aprile 2025.
Nella motivazione della decisione la Corte di appello ha ritenuto che la disciplina dettata dalla l. 21 febbraio 2024, n. 14, interpretata alla luce dell'articolo 9 della direttiva 2013/32/UE, del Parlamento europeo e del consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, che prevede il diritto della persona che presenta una domanda dì protezione internazionale a rimanere nel territorio dello Stato durante il tempo necessario ad esaminare la domanda, comportasse l'obbligo di ricondurre il cittadino tunisino nel territorio italiano. La Corte d'Appello ha aggiunto che, in attuazione dell'articolo 9 della direttiva 2013/32/UE, l'articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 dispone che il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione territoriale.
Tale principio vale anche per l'ipotesi del trattenimento ed. "secondario" di cui all'articolo 6, comma 3, D.Lgs. 142/15, in virtù del disposto di cui al comma 7 del medesimo articolo 6, secondo il quale il richiedente trattenuto ai sensi dei commi 2, 3 e 3-bis, secondo periodo che presenta ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della Commissione territoriale ai sensi dell'articolo 35-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni, rimane nel centro fino all'adozione del provvedimento di cui al comma 4 del medesimo articolo 35-bis, nonché per tutto il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale in conseguenza del ricorso giurisdizionale proposto.
Da tali dati normativi, la Corte d'Appello ha tratto la conseguenza che, pur a seguito del diniego della Commissione Territoriale e in pendenza dei termini ad impugnare il diniego o del relativo procedimento giurisdizionale concernente tale pronuncia di diniego, lo status di richiedente asilo è compatibile con quello di trattenuto, alle condizioni di legge, ma non con l'allontanamento dal territorio dello Stato, presso il quale egli ha il diritto di attendere la definizione del procedimento; dunque, lo straniero, pur trattenuto, ha diritto a restare sul territorio dello Stato, se richiedente asilo, sino alla decisione sulla sospensiva del diniego e, comunque, per il tempo in cui è autorizzato a farlo in virtù della pendenza del ricorso giurisdizionale, non essendo nel frattempo espellibile o rimpatriabile.
Sempre secondo il provvedimento impugnato, la ricostruzione normativa riassunta è coerente anche con il disposto di cui all'articolo 32, comma 4, del D.Lgs. 25/2008, a norma del quale "la decisione di cui al comma 1, lettere b), b-bis) e b-ter), del presente articolo e /'/ verificarsi delle ipotesi previste dagli articoli 23, 29 e 29-bis comportano, alla scadenza del termine per l'impugnazione, l'obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale... la decisione reca anche l'attestazione dell'obbligo di rimpatrio... il questore procede ai sensi del medesimo articolo 13, commi 4 e 5, salvi gli effetti di cui all'articolo 35-bis, commi 3 e 4, del presente decreto...".
Ne discende che, anche a norma di tale disposizione di legge ed anche nell'ipotesi di rigetto per manifesta infondatezza della domanda in via amministrativa e/o nell'ipotesi di domanda reiterata, lo straniero richiedente asilo non è rimpatriabile se non alla scadenza del termine per l'impugnazione del diniego pronunciato in via amministrativa.
Lo straniero richiedente asilo ha, in conclusione, diritto di stare sul territorio italiano e, comunque, non è espellibile e rimpatriabile - con la conseguenza che non può essere destinatario di un trattenimento presso il Centro di Gjader, anche oltre il momento del diniego eventuale pronunciato dalla Commissione Territoriale, sino a che non decorrano i termini per impugnare o, essendo stato depositato il ricorso avverso il diniego, non sia stato pronunciato l'eventuale provvedimento sulla istanza di sospensiva.
Dalla inapplicabilità della disciplina del Protocollo e delle correlate disposizioni della legge di ratifica al trattenuto, in quanto richiedente asilo non espellibile né rimpatriabile,
si è fatta discendere la non convalida del suo trattenimento disposto presso il centro di Gjader.
Il 29 aprile 2025 il Ministero dell'Interno ha impugnato la decisione della Corte di appello di Roma con ricorso per cassazione
Nel ricorso il Ministero ha sostenuto, tra l'altro, che è errato il riferimento all'articolo 9 della direttiva 2013/32/UE, atteso che, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, I. 14 del 2024, le strutture indicate nell'allegato al protocollo, tra cui il Centro di Gjader, sono equiparate ai centri previsti dall'articolo 14 D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
1.2. Il secondo procedimento (n. R.G. 14055 del 2025).
Il 19 agosto 2020 il Prefetto di Firenze ha disposto l'espulsione del cittadino algerino Ab.Ha. dal territorio nazionale mediante accompagnamento alla frontiera; nel decreto del Prefetto si legge che il cittadino algerino era entrato in Italia presentandosi alla frontiera di Genova il 4 agosto 2008 e che il 4 agosto 2020 il Prefetto di Firenze lo aveva espulso invitandolo ad allontanarsi dal territorio dello Stato entro sette giorni, ma che l'ordine non era stato eseguito; dopo che era stato adottato questo provvedimento, il cittadino algerino non era stato espulso dal territorio dello Stato ed era rimasto libero.
Il 14 febbraio 2025 il cittadino algerino è stato rintracciato di nuovo nel territorio dello Stato nel corso di un controllo, è stato verificato che pendeva un ordine di espulsione rimasto non eseguito, e, non essendo stato ancora possibile procedere all'espulsione perché la persona non aveva fornito un documento necessario per procedere al rimpatrio, il Questore di Latina ha disposto il trattenimento presso il Centro per i rimpatri di Bari.
Il 17 febbraio 2025 il Giudice di pace di Bari ha convalidato il provvedimento di trattenimento.
Il 24 febbraio 2025 la Questura di Bari ha chiesto all'Ambasciata della Repubblica di Algeria il lasciapassare per rimpatriare il cittadino algerino.
In data 11 aprile 2025 il Ministero dell'Interno ha trasferito il cittadino tunisino dal Centro per i rimpatri di Bari al Centro per i rimpatri di Gjader.
Il 23 aprile 2025, mentre si trovava nel Centro per i rimpatri di Gjader, il cittadino tunisino ha proposto domanda di protezione internazionale.
Lo stesso 23 aprile 2025 il Questore di Roma ha disposto il trattenimento del cittadino tunisino presso il Centro di Gjader, ai sensi dell'articolo 6, comma 3, D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142.
Il 24 aprile 2025 la Corte di appello di Roma non ha convalidato il trattenimento disposto dal Questore di Roma il 22 aprile 2025.
La motivazione è corrispondente a quella che ha riguardato l'altro provvedimento impugnato.
Il 29 aprile 2025 il Ministero dell'Interno ha impugnato la decisione della Corte di appello di Roma con ricorso per cassazione.
Nel ricorso il Ministero ha sostenuto, tra l'altro, che è errato il riferimento all'articolo 9 della direttiva 2013/32/UE, atteso che, ai sensi dell'articolo 3, comma 4,1. 14 del 2024, le strutture indicate nell'allegato al Protocollo, tra cui il Centro di Gjader, sono equiparate ai centri previsti dall'articolo 14 D.Lgs. n. 286 del 1998.
1.3. Le vicende processuali.
Questa Corte, chiamata a decidere i due ricorsi del Ministero dell'Interno contro la non convalida dei trattenimenti presso il centro per i rimpatri di Gjader, all'udienza del 14 maggio 2025, ha disposto il rinvio della decisione, ai sensi dell'articolo 615, comma 1, cod. proc. pen., all'udienza del 29 maggio 2025.
Il 29 maggio 2025, i due procedimenti sono stati riuniti dal momento che prospettano questioni comuni.
Nella stessa data è stata data lettura del dispositivo riportato in calce alla presente ordinanza.
2. Disposizioni rilevanti del diritto nazionale e del diritto dell'Unione.
2.1. Le norme di diritto interno.
Ai fini della decisione, viene in rilievo essenzialmente la legge 21 febbraio 2024, n. 14, recante l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione del Protocollo sopra citato.
La legge n. 14 del 2024 è stata modificata, nei termini che verranno indicati infra in questo stesso paragrafo, dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 37, convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 2025, n. 75.
La legge di conversione n. 75 del 2025 è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 118 del 23 maggio 2025 ed è entrata in vigore il 24 maggio 2025, ai sensi dell'articolo 1, comma 2 della stessa legge n. 75 del 2025. Le norme ulteriormente integrative delle disposizioni del decreto - legge n. 37 del 2025, quali introdotte dalla legge di conversione e delle quali si dirà nel paragrafo 2.3 che segue, non appaiono direttamente applicabili ratione temporis per decidere in ordine ai due ricorsi. Ciononostante, non ritiene il Collegio, ai fini della proposizione delle questioni, che tale profilo sia rilevante per le ragioni che si indicheranno nel paragrafo 2.3. che segue.
La finalità dichiarata del Protocollo è quella di "rafforzare la cooperazione bilaterale tra le Parti in materia di gestione dei flussi migratori provenienti da Paesi terzi, in conformità al diritto internazionale e a quello europeo" (articolo 2).
Nell'articolo 1, comma 1, lett. d), del Protocollo è previsto che si intendono per "migranti" i "cittadini di Paesi terzi e apolidi per i quali deve essere accertata la sussistenza o è stata accertata l'insussistenza dei requisiti per l'ingresso, il soggiorno o la residenza nel territorio della Repubblica italiana".
L'articolo 4 contiene gli aspetti essenziali della disciplina di riferimento, prevedendo il diritto della Repubblica italiana ad utilizzare alcune aree del territorio albanese per realizzare delle strutture per il trattenimento amministrativo e la detenzione dei migranti. In particolare, è previsto che le strutture siano gestite dall'Italia secondo le normative nazionali ed europee e possano ospitare, contemporaneamente, un massimo di 3.000 migranti (comma 1) e che l'ingresso e la permanenza nel territorio albanese dei migranti accolti nelle strutture di cui al paragrafo 1 sia consentito "al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea e per il tempo strettamente necessario alle stesse" (comma 3). Ancora il comma 3 prevede, poi, che "nel caso in cui venga meno, per qualsiasi causa, il titolo della permanenza nelle strutture, la Parte italiana trasferisce immediatamente i migranti fuori dal territorio albanese".
È poi precisato che l'ingresso dei migranti in acque territoriali e sul territorio albanese avviene esclusivamente con i mezzi delle autorità italiane ed è consentito dalle autorità albanesi al solo fine di effettuare le procedure di frontiera di rimpatrio e per il tempo strettamente necessario alle stesse. È escluso dunque che altre tipologie di navi, come ad esempio delle organizzazioni non governative attive nel Mediterraneo per il soccorso dei migranti, possano condurre le persone in Albania (comma 4).
È previsto, inoltre, che la Parte italiana ha il compito di adottare "le misure necessarie al fine di assicurare la permanenza dei migranti all'interno delle aree, impendendo la loro uscita non autorizzata nel territorio della Repubblica d'Albania". Peraltro, in caso di uscita non autorizzata, le autorità albanesi potranno ricondurre i migranti nei centri, a spese della Parte italiana (articolo 6, commi 5 e 6).
L'articolo 9, comma 1, dispone che il periodo di permanenza dei migranti nel territorio della Repubblica d'Albania in attuazione del presente Protocollo, non può essere superiore al periodo massimo di trattenimento consentito dalla vigente normativa italiana.
Il diritto di difesa è disciplinato dal comma 2 dell'articolo 9, il quale prevede che "le Parti consentono l'accesso alle strutture previste dal presente Protocollo agli avvocati, ai loro ausiliari, nonché alle organizzazioni internazionali e alle agenzie dell'Unione europea che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti protezione internazionale, nei limiti previsti dalla legislazione italiana, europea e albanese applicabile".
Specifiche disposizioni regolano poi l'accesso del personale italiano al territorio albanese, la responsabilità per eventuali danni e la durata del Protocollo, fissata in 5 anni, con rinnovo tacito (salva denuncia con un preavviso di almeno 6 mesi). Infine, il Protocollo è corredato di due allegati: uno dedicato all'individuazione delle aree concesse (area A, destinata alla realizzazione delle strutture per le procedure di ingresso ed area B, destinata alla realizzazione delle strutture per l'accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e per il rimpatrio dei migranti non aventi diritto all'ingresso e alla permanenza nel territorio italiano) e l'altro dedicato alle spese.
Con riferimento alla disciplina applicabile, ulteriori previsioni sono poi contenute nella citata legge 14 del 2024.
In particolare, nell'articolo 3, oltre ad una serie di disposizioni di coordinamento in relazione alle autorità competenti a decidere sulle procedure applicabili ai migranti condotti in Albania, ad integrazione rispetto a quanto indicato nel Protocollo, era originariamente previsto che "Nelle aree di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera c), del Protocollo possono essere condotte esclusivamente persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane all'esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell'Unione europea, anche a seguito di operazioni di soccorso".
L'articolo 1 del D.L. 37 del 2025, dopo avere soppresso l'avverbio "esclusivamente", ha previsto che nelle aree appena indicate possano essere condotte anche le persone destinatarie di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati ai sensi dell'articolo 14 D.Lgs. 286 del 1998 (d'ora innanzi anche t.u. imm.).
Per effetto della modifica in esame, si prevede che nelle menzionate strutture possano essere trasferite le persone destinatarie di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati ai sensi dell'articolo 14 del t.u. imm. Ai sensi del comma 1 del citato articolo 14, "Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino, tra quelli individuati con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze".
Tra le situazioni che possono ostacolare la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento rientrano, in base alla medesima disposizione: la necessità di prestare soccorso allo straniero; la necessità di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla identità o nazionalità dello straniero; l'esigenza di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo; il pericolo di fuga ex articolo 13, comma 4-bis, del t.u. imm.; l'assenza di accordi per il rimpatrio con il Paese dove il migrante dovrebbe essere espulso.
L'articolo 1 del D.L. 37/2025 è intervenuto anche sulla disciplina degli effetti del trasferimento dalle strutture di cui all'articolo 14 del t.u. imm., aggiungendo due ultimi periodi al comma 4, dell'articolo 3 della I. 14, che ha ora la seguente formulazione: "Le strutture indicate alle lettere A) e B) dell'allegato 1 al Protocollo sono equiparate a quelle previste dall'articolo 10-ter, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. La struttura per il rimpatrio indicata alla lettera B) dell'allegato 1 al Protocollo è equiparata ai centri previsti ai sensi dell'articolo 14, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998. Il trasferimento effettuato dalle strutture di cui all'articolo 14, comma 1, del citato testo unico di cui al
decreto legislativo n. 286 del 1998 alla struttura di cui alla lettera B) dell'allegato 1 al Protocollo non fa venire meno il titolo del trattenimento adottato ai sensi del medesimo articolo 14, né produce effetti sulla procedura amministrativa cui lo straniero è sottoposto. Lo straniero trasferito nella struttura di cui alla lettera B dell'allegato 1 al Protocollo vi permane, ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, quando vi sono fondati motivi per ritenere che la domanda di protezione internazionale sia stata ivi presentata al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione del respingimento o dell'espulsione".
Con la norma in esame, il legislatore ha, in primo luogo, inteso regolare i rapporti tra il "trasferimento" dalle strutture di cui all'articolo 14, comma 1, del t.u. imm. e il titolo del trattenimento, adottato in forza della medesima disposizione, prevedendo che detto trasferimento non fa venir meno il titolo, né produce effetti sulla procedura amministrativa cui la persona straniera è sottoposta.
È stato, poi, espressamente previsto che la persona straniera trattenuta in una struttura ex articolo 14, comma 1, del t.u. imm. e, dunque, uno straniero in attesa di espulsione (non richiedente asilo) viene trasferito nella struttura di cui alla lettera B dell'allegato 1 al Protocollo, e "vi permane" anche in seguito alla presentazione di una domanda di protezione internazionale, quando tale domanda può ritenersi meramente strumentale. In seguito al trasferimento, la presentazione della domanda di protezione internazionale, ove ritenuta strumentale, determina comunque la "permanenza" della persona straniera nel centro in Albania.
L'articolo 1, comma 2, del D.L. 37/2025 ha modificato i commi 1 e 5 dell'articolo 14 del t.u. imm., con riferimento ai casi di "trasferimento dello straniero in altro centro".
In particolare, 14, comma 1, prevede ora che: "Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. A tal fine effettua richiesta di assegnazione del posto alla Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, di cui all'articolo 35 della legge 30 luglio 2002, n. 189, che può disporre anche il trasferimento dello straniero in altro centro".
Al comma 5, dopo il primo periodo, è stata aggiunta l'espressa previsione relativa alla facoltà di disporre il trasferimento della persona straniera in altro centro, con la conseguente specificazione in ordine agli effetti di tale trasferimento sul titolo del trattenimento.
L'articolo 14, comma 5, in seguito alle modifiche introdotte dal D.L. 37 ha ora la seguente formulazione: "La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi tre mesi. È fatta salva la facoltà di disporre, in ogni momento, il trasferimento dello straniero in altro centro, ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il citato trasferimento non fa venire meno il titolo del trattenimento adottato e non è richiesta una nuova convalida".
L'articolo 3, comma 3, della I. 14 del 2024 equipara, poi, le aree di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera c), del Protocollo alle zone di frontiera o di transito individuate dal decreto del Ministro dell'interno adottato ai sensi dell'articolo 28-bis, comma 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.
Le strutture presenti in Albania sono equiparate ai punti di crisi di cui all'articolo 10-ter, comma 1, del D.Lgs. n. 286/1998 o, in caso di rimpatrio, ai centri di cui all'articolo
14, comma 1, dello stesso D.Lgs. n. 286/1998.
La giurisdizione e la legge applicabile sono disciplinate dall'articolo 4 che prevede che ai migranti si applichino, "in quanto compatibili", il t.u. imm., il D.Lgs. n. 251 del 2007, il D.Lgs. n. 25 del 2008, il D.Lgs. n. 142 del 2015 e "la disciplina italiana ed europea concernente i requisiti e le procedure relativi all'ammissione e alla permanenza degli stranieri nel territorio nazionale".
Per quanto riguarda le procedure applicabili, sussiste la giurisdizione italiana e sono territorialmente competenti, in via esclusiva, la Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea del Tribunale di Roma e l'ufficio del Giudice di pace di Roma.
2.2. La disciplina eurounitaria.
Per le ragioni che verranno indicate nel seguente paragrafo n. 3, l'applicazione delle disposizioni interne appena menzionate richiede l'esame di questioni interpretative che concernono, in particolare, la direttiva 2008/115/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (articoli 3, 6, 8, 15,16) e la direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (articolo 9).
2.3. La rilevanza delle questioni, alla luce della giurisprudenza nazionale in materia.
In linea generale, infatti, e sul piano dell'interpretazione del diritto interno, occorre rilevare che, nei due procedimenti sottoposti a questa Corte, la questione immediatamente posta dai ricorsi è rappresentata dalla possibilità che la persona destinataria di provvedimento di espulsione e di provvedimento di trattenimento, una volta condotta nelle aree messe a disposizione dalla Repubblica di Albania, possa rimanervi anche a seguito della presentazione della domanda di protezione internazionale.
Sul piano del diritto nazionale, siffatta permanenza è oggi esplicitamente prevista per effetto delle modifiche apportate in sede di conversione del D.L. n. 37 del 2025, da parte della I. n. 75 del 2025, che, ulteriormente innovando, con efficacia dal 24 maggio 2025, l'articolo 3, comma 4 della I. 14 del 2024, prevede che "Lo straniero trasferito nella struttura di cui alla lettera B) dell'allegato 1 al Protocollo vi permane, ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, quando vi sono fondati motivi per ritenere che la domanda di protezione internazionale sia stata ivi presentata al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione del respingimento o dell'espulsione".
Tuttavia, come ritenuto da questa Corte con la sentenza Sez. 1, n. 17510 del 08/05/2025, M., Rv. 287846 - 01, siffatto risultato poteva essere raggiunto in via interpretativa anche nel vigore delle iniziali previsioni della I. 14 del 2024, come modificate dal D.L. n. 37 del 2025.
Secondo quest'ultima pronuncia, infatti, in tema di trattenimento amministrativo delle persone straniere, l'articolo 3, comma 2, legge 21 febbraio 2024, n. 14, come modificato dall'articolo 1, comma 1, lett. b), D.L. 28 marzo 2025, n. 37, nel delineare le categorie di soggetti trasferibili presso il centro di permanenza per i rimpatri sito in Albania in esecuzione dell'apposito Protocollo Italia-Albania, non impedisce l'applicazione dell'articolo 6, comma 3, D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, nel caso in cui la persona straniera in attesa dell'esecuzione di un provvedimento di respingimento o di espulsione, ospitata presso la struttura albanese di Gjader in forza di decreto convalidato dal giudice di pace ai sensi dell'articolo 14 D.Lgs. 26 luglio 1998, n. 286, presenti domanda di protezione internazionale, con la conseguenza che è legittimo il trattenimento ed. "secondario" della stessa anche dopo la presentazione della domanda, poiché detta struttura va equiparata, a tutti gli effetti, ai centri di permanenza per i rimpatri esistenti nel territorio italiano di cui all'articolo 14, comma 1, del citato D.Lgs. n. 286 del 1998.
Ai fini della rilevanza delle questioni oggetto di rinvio pregiudiziale, può, pertanto, ragionevolmente ritenersi che le modifiche apportate dalla legge di conversione n. 75 del 2025 abbiano natura meramente esplicativa di quanto desumibile dal testo introdotto dal D.L. n. 37 del 2025 e perseguano l'obiettivo di evitare incertezze nell'applicazione delle indicate previsioni.
Ciò posto, questa Corte è consapevole che in ambito eurounitario la posizione del migrante irregolare e quella del richiedente protezione internazionale siano oggetto di distinta considerazione normativa. Tuttavia, si ritiene necessario rilevare che la peculiare posizione del migrante che si trovi a presentare la domanda di protezione internazionale in Albania richiede una verifica della compatibilità con il diritto unionale del previo trasferimento dello stesso nelle aree previste dal Protocollo. Infatti, si tratta di situazione che, frutto di intervento autoritativo dello Stato italiano, modifica il contesto giuridico nel quale, prima dell'esecuzione del legittimo provvedimento di espulsione, lo straniero viene a trovarsi nel momento in cui presenta la domanda di protezione internazionale.
3. Le questioni interpretative del diritto dell'Unione europea.
3.1. Premessa.
Secondo una consolidata puntualizzazione della giurisprudenza eurounitaria, occorre, preliminarmente, verificare la presenza di elementi fattuali di tipo materiale, personale, spaziale e temporale che abbiano un grado di intensità tale da creare un collegamento tra la fattispecie e l'ordinamento dell'Unione" (v., ad es., C.G.U.E., 15 novembre 2011, C-256/11).
Il giudice nazionale ritiene che le vicende portate alla sua attenzione abbiano un "collegamento sufficiente" con il diritto dell'Unione, nel significato che ad esso ha dato la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (tra le tante, C.G.U.E., 28 maggio 2020, C-17/20; C.G.U.E., 27 aprile 2017, C-595/16; C.G.U.E., 26 febbraio 2013, C-617/10; C.G.U.E., 15 novembre 2011, C-256/11).
Il fatto che i due cittadini extracomunitari trattenuti nei procedimenti che hanno dato origine a questa questione pregiudiziale abbiano presentato la domanda di protezione internazionale mentre si trovavano in territorio albanese non appare essere un ostacolo ad individuare un collegamento sufficiente con il diritto europeo alla luce del principio di territorialità del C.E.A.S. (Sistema europeo comune di asilo, sul quale v. articolo 3, paragrafo 1, direttiva 2013/32/UE; articolo 3, paragrafo 1, direttiva 2013/33/UE; articolo 3, paragrafo 1, regolamento 2013/604/UE).
Infatti, la Corte di giustizia ha riconosciuto la propria competenza ad esaminare se una misura nazionale sia compatibile con il diritto dell'Unione nelle situazioni in cui uno Stato membro decida di estendere un diritto garantito dal diritto unionale ad una situazione che non rientrerebbe nel suo diretto ambito di applicazione (C.G.U.E., 7 novembre 2018, C-257/17, paragrafo 31).
E, nel caso in esame, l'articolo 4, comma 1, della legge n. 14 del 2014 ha previsto espressamente l'estensione ai cittadini extracomunitari trattenuti nel centro di Gjader della "disciplina italiana ed europea concernente i requisiti e le procedure relativi all'ammissione e alla permanenza degli stranieri nel territorio nazionale", così creando quel collegamento sufficiente con il diritto dell'Unione che rende necessario proporre questa questione.
Sotto altro profilo, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea ha ritenuto anche che sussista il "collegamento sufficiente" con il diritto dell'Unione anche nel caso in cui uno Stato membro, esercitando un potere discrezionale previsto dalla legislazione dell'Unione, si sia autonomamente riconosciuto competente per l'esame di una domanda di asilo, in quanto tale "potere discrezionale, che fa parte integrante del sistema europeo comune d'asilo previsto dal Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea (TFUE) ed elaborato dal legislatore dell'Unione", finisce con "attuare il diritto dell'Unione ai sensi dell'articolo 51, n. 1, della Carta" (C.G.U.E., 21 dicembre 2011, C-411/10 e C-493/10).
E questo è proprio quanto ha fatto lo Stato italiano nei casi oggetto di questi due procedimenti giudiziari, perché, registrando le domande di protezione e decidendo su di esse, si è autonomamente ritenuto competente ad esaminare due domande di protezione internazionale che erano state presentate nel territorio della Repubblica di Albania, attuando in questo modo il diritto dell'Unione ai sensi dell'articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali.
Nei due procedimenti giudiziari su cui deve decidere questa Corte è in questione, pertanto, l'attuazione del diritto dell'Unione, e, in particolare, l'articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, che prevede che il diritto di asilo è garantito, oltre che nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, anche a norma del Trattato sull'Unione europea e del TFUE. L'articolo 67, paragrafo 2, del TFUE affida all'Unione il compito di definire una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controlli alle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri dell'Unione, che risulti giusta nei confronti di cittadini e cittadine di paesi terzi.
L'articolo 78, paragrafo 1, del TFUE richiede, poi, all'Unione di elaborare una politica comune in materia di asilo, protezione sussidiaria e protezione temporanea. Ed il paragrafo 2, lett. a), dello stesso articolo prevede che nell'ambito di questa politica debba essere assicurato "uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l'Unione".
L'articolo 79, paragrafo 1, del TFUE prevede, invece, che l'Unione sviluppa una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori e l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri, oltre che la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale. Ed il paragrafo 2, lett. c), dello stesso articolo prevede che l'Unione abbia il potere di disciplinare "l'allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare".
Il considerando (2) della direttiva 2013/32/UE ricorda che "una politica comune nel settore dell'asilo, che preveda un sistema europeo comune di asilo, costituisce uno degli elementi fondamentali dell'obiettivo dell'Unione europea relativo all'istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia aperto a quanti, spinti dalle circostanze, cercano legittimamente protezione nell'Unione". Ed anche il regolamento (UE) 2024/1348, destinato a sostituire la direttiva 2013/32UE a partire dal 12 giugno 2026, prevede al considerando (3) che "il sistema europeo comune di asilo (C.E.A.S.) è basato su norme comuni riguardanti le procedure di asilo, il riconoscimento e la protezione accordata a livello dell'Unione e le condizioni di accoglienza e istituisce un sistema di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale".
In definitiva, dalla lettura delle norme primarie e secondarie del diritto dell'Unione emerge che l'attuazione di un sistema europeo comune di asilo costituisce uno degli obiettivi fondamentali dell'Unione europea.
La decisione dello Stato italiano di trasportare in un territorio esterno a quello dell'Unione i cittadini extracomunitari il cui trattenimento è giustificato, prima, in vista della loro materiale espulsione e, poi, dopo la presentazione della domanda dì protezione internazionale, al fine di esaminare la stessa, può incidere sull'attuazione di un sistema comune di asilo. Quest'ultima considerazione appare correlare la presente vicenda giudiziaria al diritto dell'Unione, atteso che alla persona trattenuta non viene garantita la possibilità di attendere l'esito della domanda di asilo nel territorio dell'Unione.
È vero, infatti, che il diritto di attendere l'esito della domanda di asilo nel territorio dello Stato in cui è presentata è solo un "un'espressione particolare del principio di non respingimento, il quale vieta che un richiedente la protezione internazionale venga espulso verso uno Stato terzo fino a che non sia intervenuta una decisione sulla sua domanda" (C.G.U.E., 6 settembre 2017, C-643-15). Tale diritto, pertanto, non osta a che la persona possa essere spostata verso Stati diversi da quello in cui è stata presentata la domanda purché sia garantito il divieto di respingimento (sempre C.G.U.E., 6 settembre 2017, C-643-15). Quest'ultimo divieto nel caso in esame è garantito dalla circostanza che lo Stato italiano si è impegnato con la I. n. 14 del 2024 a non respingere la persona fino a quando non è esaminata la sua domanda.
E, tuttavia, in questo caso, a differenza di quello oggetto della sentenza del 6 settembre 2017 sopra citata, il trasferimento è avvenuto al di fuori di uno Stato membro, il che potrebbe costituire una forma di applicazione non conforme dell'articolo 3 direttiva 2008/115/Ce, che non consente di espellere il migrante se non verso il paese di origine o un paese di transito o un paese scelto dalla stessa persona interessata.
In un precedente che pure si occupa di questione diversa ma in relazione alla quale le norme europee da applicare sono le medesime, la Corte di giustizia ha ritenuto la questione pregiudiziale ricevibile, evidenziando che la "questione presentata verte sull'interpretazione delle disposizioni della direttiva 2008/115 e della direttiva 2013/32 che sono rilevanti alla luce dei motivi di illegittimità di tale decisione, invocati, secondo la decisione di rinvio, dal ricorrente nel procedimento principale. Pertanto, dal fascicolo sottoposto alla Corte non emerge in modo manifesto che l'interpretazione richiesta del diritto dell'Unione non abbia alcun rapporto con la realtà effettiva o con l'oggetto del procedimento principale, o ancora che la questione sollevata dal giudice del rinvio sia di tipo ipotetico" (C.G.U.E., 9 novembre 2023, C-257/22)
Alla luce delle considerazioni svolte, si ritiene, agli effetti di cui all'articolo 53, paragrafo 2, e 94 del regolamento di procedura dei giudizi dinanzi alla Corte di giustizia,
che nei procedimenti giudiziari su cui deve decidere questa Corte Suprema esista il collegamento sostanziale che rende necessario interrogare la Corte di giustizia perché, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, fornisca al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi del diritto dell'Unione che possano risultare utili per definire la controversia sottoposta al suo esame.
3.2. La prima questione pregiudiziale.
Un primo interrogativo che il complesso normativo appena indicato pone, in relazione alle previsioni direttamente rilevanti ai fini della decisione del caso sottoposto all'attenzione di questa Corte, è se la direttiva 2008/115/Ce, e, in particolare, gli articoli 3, 6, 8, 15, 16 ostino all'applicazione di una disciplina interna (articolo 3, comma 2, della I. 21 febbraio 2024, n. 14) che consente di condurre nelle aree di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lett. c) del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023 (d'ora innanzi, il Protocollo), persone destinatarie di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati ai sensi dell'articolo 14 D.Lgs. 286 del 1998 (t.u. imm.), in assenza di qualunque predeterminata e individuabile prospettiva di rimpatrio.
Per le ragioni che si sono sopra indicate, la presente vicenda non riguarda persone "imbarcate su mezzi delle autorità italiane all'esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell'Unione europea, anche a seguito di operazioni di soccorso" (articolo 3, comma 2, prima parte, I. n. 14 del 2024), ma persone destinatarie di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati ai sensi dell'articolo 14 t.u. imm.).
Le due persone interessate, come detto, una volta giunte nel Centro di Gjader, hanno poi proposto domanda di protezione internazionale e sono state destinatarie di un provvedimento di trattenimento, ai sensi dell'articolo 6, comma 3, D.Lgs. n. 142 del 2015, in ragione della ritenuta strumentalità della domanda stessa.
Ma la valutazione della loro situazione come richiedenti nelle aree indicate dal Protocollo è suscettibile di essere condizionata dalla loro presenza su un territorio di Stato non membro Ue che tale rimane, nonostante i poteri di gestione delle aree riconosciute alle autorità italiane dall'articolo 4, paragrafo 2 del Protocollo e i poteri di godimento di cui all'articolo 3 del Protocollo.
Il sistema normativo opera l'equiparazione: 1) delle aree di cui all'articolo 1, par. 1, lett. c), del Protocollo alle zone di frontiera o di transito individuate dal decreto del Ministro dell'interno adottato ai sensi dell'articolo 28-bis, comma 4, D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 (articolo 3, comma 3, l. n. 14 del 2024); 2) delle strutture indicate alle lettere A) e B) dell'allegato 1 al Protocollo a quelle previste dall'articolo 10-ter, comma 1, D.Lgs. n. 286 del 1998; 3) della struttura per il rimpatrio indicata alla lettera B) dell'allegato 1
al Protocollo ai centri previsti ai sensi dell'articolo 14, comma 1, del citato D.Lgs. n. 286 del 1998.
Siffatta equiparazione costituisce lo strumento tecnico che consente di individuare, unitamente ai richiami normativi di cui all'articolo 4 I. n. 14 del 2024, la disciplina concretamente applicabile nelle aree sottoposte, in relazione alle controversie delle quali si tratta, alla giurisdizione italiana.
Tuttavia, le norme appena citate non trasformano le aree delle quali si tratta in una porzione di territorio italiano, per l'evidente ragione che il titolo dell'applicazione della normativa italiana non discende dall'esercizio diretto della sovranità dello Stato membro ma dall'esistenza di un accordo internazionale con uno Stato non membro.
Tutto ciò pone il problema del carattere vincolante, sul piano delle garanzie unionali, della disciplina applicata alla situazione dei migranti.
In ogni caso, alla legittimità del trattenimento disposto nei confronti di persone trasportate nel centro albanese - che costituisce l'oggetto del presente procedimento -si correla, come sopra detto, il tema del modo di intendere la portata delle garanzie apprestate, come meglio si dirà infra, dall'articolo 9, paragrafo 1 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.
L'articolo 9, paragrafo 1, primo periodo della direttiva 2013/32/UE dispone che "I richiedenti sono autorizzati a rimanere nello Stato membro, ai fini esclusivi della procedura, fintantoché l'autorità accertante non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado di cui al capo III".
Siffatta disciplina solleva l'interrogativo, nel contesto normativo sopra delineato, se il richiedente, ossia colui che abbia presentato domanda di protezione internazionale all'autorità dello Stato membro, abbia diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro, ancorché da tale territorio sia stato allontanato per effetto di una scelta dell'autorità nazionale che, tuttavia, non costituisca un rimpatrio nel senso precisato dall'articolo 3, n. 3 della direttiva 2008/115/Ce della quale si dirà subito infra.
Al riguardo, si rileva che, come puntualizzato dal considerando (16) della direttiva 2008/115/Ce, "il ricorso al trattenimento ai fini dell'allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti". In questa prospettiva, aggiunge il considerando (16), "il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l'allontanamento e se l'uso di misure meno coercitive è insufficiente".
In questa sede, diviene necessario soffermarsi proprio sul fine dell'allontanamento e, in conseguenza, sull'obiettivo perseguito da tutte le misure di trattenimento.
L'articolo 3 della direttiva 2008/115/Ce, al n. 3 chiarisce cosa s'intende per rimpatrio e lo identifica nel "processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente: - nel proprio paese di origine,
o - in un paese di transito in conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese,
o - in un altro paese terzo, in cui il cittadino del paese terzo in questione decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato.
Se, infatti, come ribadisce l'articolo 15, par. 5, della medesima direttiva, il trattenimento è mantenuto finché perdurano le condizioni di cui al paragrafo 1 "e per il periodo necessario ad assicurare che l'allontanamento sia eseguito", occorre verificare appunto che le misure adottate - con le conseguenti privazioni della libertà personale che ad esse si accompagnino - siano funzionali ad assicurare il rimpatrio come sopra individuato.
E, tuttavia, non è dato riscontrare indici normativi puntuali e specifici che documentino, nel Protocollo al quale la legge n. 14 del 2024 ha dato esecuzione né in quest'ultima disciplina, il perseguimento dell'obiettivo di assicurare il rimpatrio dei migranti in condizione di irregolarità. L'articolo 4, paragrafo 3 del Protocollo dispone che "Le competenti autorità albanesi consentono l'ingresso e la permanenza nel territorio albanese dei migranti accolti nelle strutture di cui al paragrafo 1, al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea e per il tempo strettamente necessario alle stesse".
In disparte il riferimento alle procedure di frontiera, si osserva che alla riportata indicazione finalistica (l'effettuazione delle procedure di rimpatrio) non segue alcuna previsione attuativa, nel senso che in nessun luogo dell'accordo è chiarito in qual modo l'obiettivo è destinato ad essere attuato e ancor meno in che modo l'obiettivo sarebbe realizzabile - in un territorio che resta, per quanto sopra detto, quello di uno Stato non membro, ancorché assoggettato alla giurisdizione italiana - in termini di maggiore efficienza che non nel territorio italiano con il necessario rispetto delle garanzie della disciplina eurounitaria vigente.
Il Protocollo disciplina, innanzi tutto, l'allontanamento dal territorio albanese (verosimilmente con il rientro in Italia) nel caso in cui "venga meno, per qualsiasi causa, il titolo della permanenza nelle strutture": articolo 4, paragrafo 3, secondo periodo del Protocollo.
Resta invece del tutto indeterminato - rispetto all'obiettivo del rimpatrio - il significato del previsto "allontanamento dei migranti dal territorio albanese" nel caso in cui abbiano termine le non definite "procedure eseguite in conformità alla normativa italiana" (articolo 9, paragrafo 1, secondo periodo del Protocollo).
Dall'esame della direttiva 2008/115/Ce pare emergere - e, in questi termini si formula il dubbio interpretativo sottoposto alla Corte di giustizia - che, in presenza di migranti irregolari, lo Stato membro non è titolare di un potere illimitato di trasferimento degli stessi, potendo solo disporre, in linea generale, un rimpatrio da intendersi nei termini di cui al citato articolo 3 della direttiva.
Ora, è certamente escluso che l'Albania rappresenti il Paese di origine dei migranti o il Paese nel quale questi hanno scelto di andare (e, tra l'altro, la condizione di trattenimento temporaneo è ontologicamente incompatibile con siffatta ricostruzione).
L'Albania, peraltro, neppure può essere individuata come uno Stato di transito rispetto all'ingresso irregolare, sia perché non emerge in alcun luogo che sia stata attraversata per giungere in Italia sia perché, in ogni caso, non risulta alcuna procedimentalizzazione di accordi di riammissione o di altre intese che perseguano l'obiettivo del rimpatrio dal territorio albanese.
Al riguardo, infatti, gli accordi di riammissione dell'Unione europea identificano gli strumenti di cooperazione tra gli Stati membri e i Paesi terzi e stabiliscono procedure rapide ed efficaci per l'identificazione, la dotazione di documenti e il rimpatrio di persone provenienti da una delle parti dell'accordo che risiedono senza autorizzazione nel territorio dell'altra parte.
Il carattere dichiaratamente transitorio della permanenza dei migranti irregolari in Albania solleva quindi il tema della compatibilità del loro trasferimento nel territorio di uno Stato terzo rispetto alla direttiva 2008/115/Ce - con i sopra ricordati problemi di individuazione di vincolatività delle garanzie apprestate rispetto ai parametri eurounitari - e, in particolare, rispetto alla necessaria finalizzazione del trattenimento in relazione all'obiettivo del rimpatrio.
A ciò deve aggiungersi che il trasferimento in uno Stato terzo, ancorché in aree assoggettate alla giurisdizione italiana, comporta inevitabilmente che la restrizione della libertà personale non possa essere circoscritta per il tempo strettamente necessario alla verifica giurisdizionale dei presupposti legittimanti il trattenimento, dal momento che, in caso di diniego della stessa da parte dell'autorità giudiziaria, non è possibile disporre -come se il migrante si trovasse in uno Stato membro - la liberazione immediata (sia pure tenendo conto dei tempi strettamente necessari alla comunicazione tra autorità giudiziaria e autorità che trattiene la persona), non essendo consentito, ai sensi dell'articolo 6, paragrafi 5 e 6 del Protocollo, ai migranti di abbandonare il centro e dovendo attendere di essere ritrasferiti in Italia.
Se dovesse ritenersi incompatibile con le sovraindicate norme eurounitarie la disciplina interna che consente il trasferimento nel territorio di uno Stato non membro di migranti irregolari, dovrebbe coerentemente ritenersi, per il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che la richiesta di protezione internazionale presentata nel centro di Gjader dovrebbe intendersi come presentata non solo ad autorità italiane, ma anche
nel territorio dello Stato dal quale illegittimamente il migrante irregolare sarebbe stato allontanato, con conseguente piana applicazione dell'articolo 9, paragrafo 1 della direttiva 2013/32/UE. E ciò con la conseguenza che il migrante avrebbe il diritto di tornare e permanere in Italia, posto che, come detto sopra, le aree indicate dal Protocollo non costituiscono territorio italiano.
3.3. La seconda questione pregiudiziale.
Qualora, invece, dovesse ritenersi legittimo il trasferimento nel centro sopra ricordato, si pone la seconda questione che si va ad illustrare.
Come si è già detto, l'articolo 9 della direttiva 2013/32/UE - il cui ambito di applicazione si estende, ai sensi dell'articolo 3 della stessa direttiva, "a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri" - prevede che i migranti che abbiano rivolto ad uno Stato membro dell'Unione europea domanda di protezione internazionale sono autorizzati a rimanervi "ai fini esclusivi della procedura, fintantoché l'autorità accertante non abbia preso una decisione".
Ne deriva il riconoscimento ai migranti del diritto - è specificato all'articolo 2, lett. p), della direttiva 2013/32/UE - di rimanere "nel territorio, compreso alla frontiera o in zone di transito, dello Stato membro in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata o è oggetto d'esame".
Sebbene con una formulazione in parte diversa, il medesimo diritto ha trovato conferma nel regolamento (UE) 2024/1348 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione. L'articolo 10, paragrafo 1, infatti, dispone che: "I richiedenti hanno il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro in cui sono tenuti a essere presenti in conformità dell'articolo 17, paragrafo 4, del regolamento (UE) 2024/1351 fintantoché l'autorità accertante non abbia preso una decisione sulla domanda nel corso della procedura amministrativa prevista al capo III".
La menzionata disposizione sancisce la strettissima ed ineludibile connessione tra richiesta di asilo e diritto di accedere al territorio dello Stato membro cui è stata indirizzata l'istanza di protezione e di restarvi sino alla definizione della relativa procedura.
Il carattere territoriale del diritto di asilo comporta, allora, che alla presentazione, prevista dal Protocollo Italia-Albania, della domanda di protezione al di fuori del territorio dello Stato non può corrispondere un minor livello di garanzie e diritti per l'istante, tanto più laddove, come nel caso di specie, siano le stesse autorità italiane ad aver condotto in un Paese terzo i soggetti che, ivi giunti, abbiano chiesto di essere ammessi alla protezione internazionale.
Sono queste, dunque, le condizioni da vagliare al fine di stabile se la proposizione di una domanda di protezione internazionale in Albania incida o non sul descritto ed inscindibile rapporto tra asilo e territorio.
Nel caso di specie, si discute della richiesta presentata da soggetto che è stato trasferito nell'area di Gjader perché destinatario di trattenimento finalizzato all'esecuzione di provvedimento di espulsione, emesso in ragione dell'irregolare presenza sul territorio italiano, e che, giunto in Albania, ha presentato una domanda di protezione internazionale ed è stato, quindi, attinto da ulteriore decreto di trattenimento, motivato dalla ritenuta strumentalità della domanda, presentata al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione del respingimento o dell'espulsione
La presentazione della domanda di protezione internazionale ha determinato il mutamento dello status del soggetto che, da quel momento e sino alla definizione del procedimento da lui introdotto, non è più considerato come persona irregolare e, comunque, da espellere in forza dei principi e delle disposizioni della direttiva 2008/115/CE e della legislazione nazionale di recepimento.
Sul punto, è utile precisare, in linea con l'orientamento espresso dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza del 25 giugno 2020, Ministerio Fiscal, C-36/20 PPU (punto 92), che il cittadino di un paese terzo acquisisce la qualità di richiedente protezione internazionale, ai sensi dell'articolo 2, lett. c), della direttiva 2013/32/UE, a partire dal momento in cui "presenta" una siffatta domanda.
L'articolo 9 della direttiva 2013/32/UE, nel riconoscere in termini non equivoci, il diritto di rimanere nel territorio dello Stato in favore di chi ha presentato una domanda di protezione internazionale fino a quando l'autorità accertante non ha preso una decisione di primo grado, senza la necessità di ulteriori disposizioni da parte dello Stato membro e con la previsione delle specifiche e tassative ipotesi di deroga, direttamente da parte del legislatore dell'Unione, si presenta come norma ad effetto diretto.
Ciò posto, occorre verificare la conformità dell'interpretazione della normativa interna rispetto a quella dell'Unione europea, conseguente, come a più riprese ribadito dalla Corte di Giustizia, al proficuo esito dell'impegno doverosamente profuso dal giudice nazionale al fine di assicurare - nei limiti del possibile (v., ad es., C.G.U.E., 27 ottobre 2009, C-115/08, punto 138; 22 settembre 2022, C-335/21, punto 72) - l'uniforme applicazione in tutti gli Stati membri del diritto comunitario, obbligo che trova limite logico e giuridico nelle ipotesi in cui il diritto nazionale non può ricevere un'applicazione tale da sfociare in un risultato compatibile con quello perseguito, dalla norma dell'Unione (CGUE, 8 novembre 2016, C-554/14, punto 66).
L'indagine compiuta nel caso di specie solleva, come detto, il dubbio della compatibilità con l'articolo 9 della direttiva 2013/32/UE delle disposizioni del Protocollo Italia-Albania e della I. n. 14 del 2024, nella misura in cui conduce al trattenimento al di fuori del territorio di uno Stato Ue dello straniero che abbia indirizzato la richiesta di
protezione ad una autorità italiana, pur trovandosi, non per effetto di una libera scelta, all'esterno del territorio nazionale.
Infatti, il rilievo che le aree sopra ricordate e oggetto del Protocollo non possano essere considerate territorio italiano, da un lato, non esclude che la richiesta di protezione possa ritenersi presentata all'autorità nazionale e, dall'altro, solleva il dubbio interpretativo se, in questo caso, il richiedente debba ritornare nel territorio dello Stato membro dove è autorizzato a rimanere ai sensi del citato articolo 9, paragrafo 1.
4. Le questioni pregiudiziali.
Alla luce delle superiori considerazioni, ritiene questa Corte che debba farsi applicazione del principio ribadito anche di recente da C.G.U.E., 15 ottobre 2024, C-144/23, Kubera, par. 36, secondo la quale una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno può essere esonerata dall'obbligo previsto dall'articolo 267, par. 3, TFUE, solo quando abbia constatato che la questione sollevata non è rilevante, o che la disposizione del diritto dell'Unione di cui trattasi è già stata oggetto d'interpretazione da parte della Corte, oppure che la corretta interpretazione del diritto dell'Unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi: tutti presupposti non ricorrenti nel caso di specie.
Vengono, pertanto, formulate le seguenti questioni pregiudiziali:
1) se la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e, in particolare, gli articoli 3, 6, 8, 15, 16 ostino all'applicazione di una disciplina interna (articolo 3, comma 2, della I. 21 febbraio 2024, n. 14) che consente di condurre nelle aree di cui all'articolo 1, par. 1, lett. c) del protocollo tra il governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, persone destinatarie di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati ai sensi dell'articolo 14 D.Lgs. 286 del 1998, in assenza di qualunque predeterminata e individuabile prospettiva di rimpatrio;
2) in caso di risposta negativa a tale questione, se l'articolo 9, par. 1 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, osti ad un'applicazione della disciplina interna (I. 21 febbraio 2024, n. 14) che consente di disporre, in ragione del ritenuto carattere strumentale della domanda di protezione, il trattenimento, in una delle aree di cui all'articolo 1, par. 1, lett. c) del Protocollo tra il governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, del migrante destinatario di provvedimento di espulsione, che, condotto in queste ultime, abbia presentato tale domanda.
5. Le ragioni della richiesta di trattazione con procedura d'urgenza, ai sensi dell'articolo 107 del regolamento di procedura della Corte di giustizia.
Premesso che la procedura d'urgenza di cui all'articolo 107 del regolamento di procedura si applica ai settori di cui al titolo V della parte terza del TFUE, tra i quali rientrano (capo 2) le politiche relative ai controlli alle frontiere, all'asilo e all'immigrazione, si sottolinea, a sostegno della richiesta, che vengono in rilievo procedimenti che investono la libertà personale dei migranti e che presentano profili di estrema delicatezza e urgenza per la gestione delle procedure in ragione dei diritti fondamentali delle persone nel bilanciamento con le esigenze nazionali di gestione dei flussi migratori.
P.Q.M.
Preso atto del provvedimento di riunione al presente procedimento di quello recante il n. 14055 del 2025, sottopone alla Corte di giustizia dell'Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) le seguenti questioni: 1) se la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e, in particolare, gli articoli 3, 6, 8, 15, 16 ostino all'applicazione di una disciplina interna (articolo 3, comma 2, della I. 21 febbraio 2024, n. 14) che consente di condurre nelle aree di cui all'articolo 1, par. 1, lett. c) del protocollo tra il governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, persone destinatarie di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati ai sensi dell'articolo 14 D.Lgs. 286 del 1998, in assenza di qualunque predeterminata e individuabile prospettiva di rimpatrio; 2) in caso di risposta negativa a tale questione, se l'articolo 9, par. 1 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, osti ad un'applicazione della disciplina interna (I. 21 febbraio 2024, n. 14) che consente di disporre, in ragione del ritenuto carattere strumentale della domanda di protezione, il trattenimento, in una delle aree di cui all'articolo 1, par. 1, lett. c) del Protocollo tra il governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, del migrante destinatario di provvedimento di espulsione, che, condotto in queste ultime, abbia presentato tale domanda.
Chiede che la questione pregiudiziale sia decisa con procedimento d'urgenza e sospende il presente giudizio sino alla definizione della suddetta questione pregiudiziale.
Ordina la trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia dell'Unione europea.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma il 29 maggio 2025.
Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2025.