Peculato, avvenuto risarcimento del danno, riparazione pecuniaria di cui all’art. 322-quater Cp, obbligatorietà, esclusione

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.27422 del 21/05/2025 (dep. 25/07/2025)

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Peculato, avvenuto risarcimento del danno, riparazione pecuniaria di cui all’art. 322-quater Cp, obbligatorietà, esclusione

In tema di peculato, la riparazione pecuniaria prevista dall’art. 322-quater cod. pen. non è dovuta nel caso in cui, all’atto della pronunzia della sentenza di condanna, risulta che l’imputato abbia medio tempore risarcito il danno cagionato dalla condotta illecita.

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Cassazione penale sez. VI, sentenza 21/05/2025 (dep. 25/07/2025) n. 27422

RITENUTO IN FATTO

1. Il Pubblico Ministero del Tribunale di Vicenza ha chiesto il rinvio a giudizio di Mo.Fl. per il delitto di peculato, commesso in R il (Omissis).

Secondo l'ipotesi di accusa, l'imputata, in qualità di soggetto abilitato alla riscossione della tassa automobilistica per conto della Regione Veneto nella sua tabaccheria, ai sensi dell'art. 17, comma 11, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e, dunque, di incaricato di pubblico servizio, si sarebbe appropriata della somma di Euro 14.297, omettendo di "riversare" alla Regione gli incassi operati dal 24 al 30 maggio 2017 per conto della stessa.

2. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Vicenza, con sentenza emessa in data 26 maggio 2020 all'esito del giudizio abbreviato, ha ritenuto l'imputata responsabile del reato alla stessa ascritto e, applicate le attenuanti generiche e la diminuente per il rito, l'ha condannata alla pena sospesa di un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Il Giudice dell'udienza preliminare ha, inoltre, disposto la non menzione della condanna, ha applicato all'imputata le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione per cinque anni e, ai sensi dell'art. 322-quater cod. pen., ha condannato l'imputata al pagamento della somma di Euro 15.015 in favore della Regione Veneto, a titolo di riparazione pecuniaria.

3. La Corte di appello di Venezia, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado, condannando l'imputata appellante al pagamento delle spese del grado.

4. Gli avvocati Giuseppe Padovan e Dario Lunardon, difensori dell'imputata, hanno proposto ricorso avverso questa sentenza e ne hanno chiesto l'annullamento, deducendo cinque motivi e, segnatamente:

- 1) l'inosservanza dell'art. 441, comma 5, cod. proc. pen. e la violazione per il giudice del divieto di esplorare itinerari probatori alternativi a quelli prospettati dalle parti con riguardo alla ricostruzione storica del fatto.

I difensori premettono che il Giudice dell'udienza preliminare, nel giudizio abbreviato, ha disposto una duplice integrazione probatoria, in quanto nell'udienza del 14 maggio 2019 ha escusso il teste Zi.Gi., figlio dell'imputata e suo collaboratore nella gestione della tabaccheria, e nell'udienza del 17 dicembre 2019 ha assunto la testimonianza di Va.Ma., impiegata della Regione Veneto che si occupava della riscossione dei tributi da parte delle tabaccherie; da ultimo, il Giudice dell'udienza preliminare ha disposto alcuni accertamenti bancari.

Ricorrendo a queste integrazioni istruttorie, il giudice di primo grado avrebbe confutato la versione resa dall'imputata e confermata dal teste Zi.Gi., secondo la quale il mancato riversamento delle somme incassate per conto della Regione Veneto sarebbe stato dovuto ad un problema tecnico relativo alla domiciliazione bancaria del pagamento.

Il Giudice dell'udienza preliminare, tuttavia, disponendo queste integrazioni probatorie, avrebbe violato il divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (come affermato, ad esempio, da Sez. 3, n. 33939 del 16/06/2010, Anzaldo, Rv. 248229).

Il giudice avrebbe, infatti, ricercato un nuovo impianto accusatorio del tutto avulso dallo stato degli atti e avrebbe acquisto dati di fatto nuovi e ulteriori, indagando le ragioni del mancato versamento e la condotta successiva dell'imputata (o meglio, di suo figlio).

Il giudice, dunque, si sarebbe sostituito al pubblico ministero nella ricerca di elementi di prova idonei a verificare (e non già a confermare) se l'imputata abbia commesso il reato contestato.

I difensori chiedono, pertanto, di dichiarare l'inutilizzabilità delle prove assunte nel corso dell'integrazione probatoria disposta dal giudice di primo grado e, in subordine, la rimessione della questione di diritto proposta alle Sezioni unite della Corte di cassazione, stante l'esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti sul punto.

- 2) l'erronea applicazione dell'art. 314 cod. pen., in quanto la Corte di appello avrebbe confermato la sentenza di condanna emessa dal giudice di primo grado per il delitto di peculato, a fronte di una condotta puramente omissiva e meramente colposa della ricorrente, senza aver verificato l'incapienza del conto corrente destinato al riversamento automatico delle tasse riscosse in favore della Regione.

Il giudice di primo grado, infatti, erroneamente avrebbe accertato l'incapienza di altro conto, quello successivamente utilizzato per sanare la posizione e intestato al figlio della ricorrente.

Il delitto di peculato, inoltre, per la sua consumazione, postula una condotta appropriativa e non già meramente omissiva, come quella sanzionata dalla Corte di appello di Venezia.

- 3) la violazione dell'art. 27, primo comma, Cost. e la mancanza e la contraddittorietà della motivazione relativa al coinvolgimento dell'imputata nella condotta delittuosa, in quanto il figlio della ricorrente sarebbe stato il solo soggetto nella tabaccheria a relazionarsi con la Regione Veneto per le questioni relative al riversamento dei pagamenti riscossi delle tasse automobilistiche.

- 4) l'errata applicazione dell'art. 322-quater cod. pen., in quanto la condanna della ricorrente alla riparazione pecuniaria, a fronte del risarcimento del danno, integrerebbe una indebita duplicazione sanzionatoria.

I difensori deducono che l'imputata ha versato il dovuto in favore del fideiussore, precedentemente escusso dall'ente pubblico.

Nel caso di specie il profitto del reato sarebbe stato integralmente eliso dal risarcimento del danno e, dunque, la riparazione pecuniaria non potrebbe trovare applicazione sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata.

I difensori, in subordine, chiedono che venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 322-quater cod. pen., per contrasto con l'art. 42 Cast.

L'applicazione della riparazione pecuniaria disposta dalla Corte di appello, pur a fronte dell'integrale risarcimento del danno, sarebbe, infatti, irragionevole e creerebbe disparità di trattamento con la situazione del condannato che, senza aver risarcito alcun danno, sarebbe attinto dalla sola confisca del profitto del reato, stante il divieto, di matrice giurisprudenziale, di cumulo tra riparazione pecuniaria e confisca.

Il condannato che abbia, invece, integralmente risarcito il danno all'esito del giudizio di merito, si vedrebbe gravato dall'obbligo di versare, a titolo di riparazione pecuniaria, la medesima somma già erogata a titolo di risarcimento del danno.

- 5) l'inosservanza dell'art. 62 n. 6 cod. pen. e la contraddittorietà della motivazione sul punto, in quanto la Corte di appello non avrebbe considerato che la riparazione del danno da parte del fideiussore, di seguito prontamente ristorato dall'imputata, è stato posta in essere prima del giudizio e, segnatamente, prima della ricezione dell'invito a comparire per rendere interrogatorio a Mo.Fl.

Il fideiussore ha provveduto integralmente al risarcimento del danno, in quanto la somma erogata comprendeva oltre alla somma indicata nel capo di imputazione (Euro 14.297), anche gli interessi di mora e la penale del 5% applicata dalla Regione. La ricorrente, inoltre, prima del giudizio di primo grado avrebbe restituito quanto dovuto al fideiussore.

Il riferimento della Corte di appello al carattere non integrale del risarcimento del danno, in ragione del "tempo impiegato dai funzionari" della Regione Veneto per accertare l'inadempimento ed escutere la fideiussione e di un non meglio precisato "pregiudizio non patrimoniale", sarebbe, peraltro, improprio e apodittico.

5. Con istanza depositata in data 9 aprile 2025 gli avvocati Dario Lunardon e Giuseppe Padovan hanno chiesto la trattazione orale del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.

2. I difensori, con il primo motivo, hanno dedotto l'inosservanza dell'art. 441, comma 5, cod. proc. pen e la violazione del divieto per il giudice di esplorare itinerari probatori alternativi a quelli prospettati dalle parti con riguardo alla ricostruzione storica del fatto.

3. Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che il ricorso del giudice dell'abbreviato ai poteri istruttori di cui all'art. 441, comma 5, cod. proc. pen., richiede non la totale assenza di informazione probatoria, al cui cospetto nessuna integrazione sarebbe ammissibile, ma esclusivamente l'incompletezza di essa e che le lacune debbano essere colmate per l'acquisizione non di un qualsiasi elemento, ma solo di quelli necessari per decidere (si vedano, tra molte: Sez. 3, n. 20237 del 7/2/2014, Casalati, Rv. 259644; Sez. 3, n. 12842 del 16/1/2013, Gambarini, Rv. 255109; Sez. 5, n. 36335 del 30/4/2012, R., Rv. 254027).

È, invece, escluso che il giudice possa seguire un autonomo percorso di indagine su elementi di fatto non esplorati dalle parti e risultanti già dagli atti (sul punto già Sez. 5, n. 15124 del 19/3/2002, Ranieri, Rv. 221322).

Secondo l'orientamento largamente prevalente della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, in tema di giudizio abbreviato, l'integrazione probatoria disposta dal giudice ai sensi dell'art. 441, comma quinto, cod. proc. pen., può riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilità all'imputato, atteso che gli unici limiti a cui è soggetto l'esercizio del relativo potere sono costituiti dalla necessità ai fini della decisione degli elementi di prova di cui viene ordinata l'assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (Sez. 6, n. 17360 del 13/04/2021, Prevete, Rv. 280968-01, in motivazione, la Corte ha precisato che la scelta unilaterale del rito alternativo da parte dell'imputato non può fondare alcuna aspettativa circa un preteso diritto ad essere giudicati sulla sola base degli atti disponibili al momento dell'ordinanza di ammissione del rito, essendo rimesso al giudice di valutare l'eventuale incompletezza delle indagini e la conseguente impossibilità di decidere allo stato degli atti, disponendo la necessaria integrazione istruttoria; conf. Sez. 4, n. 34702 del 20/05/2015, Giorgi, Rv. 264407).

La Corte di appello di Venezia ha fatto corretta applicazione di questi consolidati principi di diritto, rilevando che il potere di integrazione probatoria è stato esercitato dal giudice di primo grado in conformità all'art. 441, comma 5, cod. proc. pen.

L'integrazione probatoria disposta, infatti, si colloca legittimamente nel perimetro degli itinerari probatori formati dalle parti, in quanto si è resa necessaria, come indicato a pag. 6 della sentenza impugnata, "onde fare piena luce sulle ragioni del mancato riversamento del denaro riscosso".

Il Giudice per le indagini preliminari, dunque, non ha violato il divieto di esplorare itinerari probatori alternativi a quelli prospettati dalle parti, in quanto l'integrazione probatoria disposta non ha accertato un'ipotesi diversa e antagonista rispetto alle ricostruzioni alternative discusse nel giudizio, ma è stata volta a verificare la fondatezza della versione difensiva.

4. I difensori con il secondo motivo hanno eccepito l'erronea applicazione dell'art. 314 cod. pen., in quanto la Corte di appello avrebbe confermato la sentenza di condanna emessa dal giudice di primo grado per il delitto di peculato a fronte di una condotta solo colposa e puramente omissiva, senza aver verificato l'incapienza del conto corrente destinato al riversamento automatico delle tasse riscosse in favore della Regione.

I difensori, con il terzo motivo, hanno censurato la violazione dell'art. 27, primo comma, Cost. e la mancanza e la contraddittorietà della motivazione relativa al coinvolgimento dell'imputata nella condotta delittuosa, in quanto il figlio della ricorrente sarebbe stato l'unico soggetto nella gestione della tabaccheria ad entrate in contatto con la Regione Veneto per le questioni relative al riversamento dei pagamenti raccolti delle tasse automobilistiche.

5. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in ragione del loro comune fondamento concettuale, sono inammissibili quanto al vizio di motivazione dedotto, in quanto sono volti a pervenire ad una diversa lettura delle risultanze istruttorie, non consentita in sede di legittimità, e, comunque, sono meramente reiterativi di censure già disattese con motivazione congrua dai giudici di appello.

5.1. I motivi sono, invece, infondati, nella parte in cui censurano l'erronea applicazione dell'art. 314 cod. pen. e l'integrazione del delitto di peculato a mezzo di una condotta meramente omissiva e colposa, di mero ritardo nell'adempimento.

Secondo l'orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che ha ricevuto denaro per conto della pubblica amministrazione realizza l'appropriazione sanzionata dal delitto di peculato nel momento stesso in cui ne ometta o ritardi il versamento, cominciando in tal modo a comportarsi. uti dominus nei confronti del bene del quale ha il possesso per ragioni d'ufficio (ex plurimis: Sez. 6, n. 43279 del 15/10/2009, Rv. 244992, Pintimalli).

Tale comportamento costituisce, infatti, un inadempimento non ad un proprio debito pecuniario, ma all'obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, con la conseguenza che, sottraendo la res alla disponibilità dell'ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, egli realizza una inversione del titolo del possesso uti dominus (Sez. 6, n. 53125 del 25/11/2014, Rv. 261680, Renni).

La giurisprudenza di legittimità ha, tuttavia, recentemente mutato orientamento, rilevando che il reato non si perfeziona allo spirare del termine per adempiere del pubblico agente, ma allorquando emerga senza dubbio, dalle caratteristiche del fatto, che si è realizzata l'interversione del titolo del possesso, ovvero che il concessionario ha agito uti dominus.

Il mancato adempimento della somma dovuta nel termine fissato dalla legge dimostra, infatti, l'inadempimento dell'imputato, secondo la logica del dies interpellat pro homine sancita dall'art. 1219, secondo comma n. 3, cod. civ., ma non ancora la sua responsabilità penale.

La giurisprudenza di legittimità, ad esempio, ha statuito, in tema di peculato per ritardato versamento, da parte del concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell'Azienda Autonoma Monopoli di Stato, che il reato non si perfeziona allo spirare del termine indicato nell'intimazione che l'amministrazione è tenuta ad inviare all'agente, ma allorquando emerga senza dubbio, dalle caratteristiche del fatto, che si è realizzata l'interversione del titolo del possesso, ovvero che il concessionario ha agito uti dominus (ex plurimis: Sez. 6, n. 33468 del 14/06/2023, Viola, Rv. 285092-01; Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022, De Marco, Rv. 283940-01; Sez. 6, n. 31167 del 13/04/2023, Mancini, Rv. 285082-01; cfr. anche Sez. 6, n. 16981 del 19/02/2025, Redavid, Rv. 288080-01, con riferimento alle condotte appropriative del concessionario del servizio di riscossione dei tributi locali).

Il principio è stato ribadito anche con riferimento al caso analogo dell'appropriazione del denaro, riscosso dal notaio a titolo di imposte e non riversato all'erario; in tal caso il delitto di peculato si consuma non già per effetto del mero ritardo nell'adempimento, bensì allorquando si determina la certa interversione del titolo del possesso, che si realizza allorquando il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, condotta che non necessariamente può essere ritenuta insita nella mancata osservanza del termine di adempimento (Sez. 6, n. 33856 del 23/05/2024, Di Natale, Rv. 286960-01; Sez. 6 n. 16786 del 02/02/2021, Conte, Rv. 281335).

5.2. La Corte di appello di Venezia, richiamando puntualmente l'orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, ha non incongruamente ritenuto integrata l'interversio possessionis delle somme affidate all'imputata dai contribuenti non già per effetto della mera scadenza del termine di legge per riversare alla Regione Veneto le tasse automobilistiche riscosse, ma in ragione della deliberata appropriazione delle stesse.

La Corte di appello ha non illogicamente rilevato che la mancata esecuzione del bonifico diretto a eseguire il riversamento delle tasse incassate era dovuto alla radicale incapienza sia del conto corrente di addebito dedicato all'incasso e al riversamento, che di quello "di appoggio", ovvero il conto intestato al figlio della ricorrente utilizzato per sanare la posizione debitoria; l'imputata, inoltre, ha confezionato una distinta di bonifico falsa, per accreditare l'avvenuta esecuzione del pagamento, ancorché tardiva (pag. 7 della sentenza impugnata).

Parimenti la Corte di appello ha congruamente confutato la tesi della sostanziale estraneità della ricorrente a tali condotte, in ragione della gestione diretta della tabaccheria da parte della stessa, dello stretto rapporto con il figlio, che la coadiuvava nella gestione, dell'entità della somma oggetto di mancato riversamento e delle articolate operazioni poste in essere per occultare il mancato pagamento.

L'utilizzo da parte dell'imputata delle somme versate sul conto dedicato per finalità diverse da quelle per le quali erano state ricevute, nella legittima e non illogica valutazione della Corte di appello, dunque, integra il delitto di peculato.

6. I difensori, con il quinto motivo, che deve essere anteposto al quarto nella scansione logica delle censure proposte, hanno eccepito l'inosservanza dell'art. 62 n. 61 cod. pen. e la contraddittorietà della motivazione sul punto, in quanto la Corte di appello non avrebbe considerato che la riparazione del danno da parte del fideiussore, di seguito prontamene ristorato dall'imputata, è stata posta in essere prima del giudizio e, segnatamente, prima della ricezione dell'invito a comparire per rendere interrogatorio a Mo.Fl.

7. Il motivo è fondato.

La Corte di appello ha escluso l'applicazione dell'attenuante del risarcimento del danno, rilevando che non vi sarebbero elementi per ritenere che la somma percepita dalla Regione abbia integralmente ristorato il danno cagionato dall'imputata "anche solo sotto il profilo delle procedure attivate per la riscossione, del tempo impiegato dai funzionari addetti al recupero e al complessivo pregiudizio non patrimoniale prodotto".

Questa motivazione è, tuttavia, al contempo illegittima e carente.

La ricorrente ha, infatti, documentato che il fideiussore ha provveduto integralmente a versare l'importo dovuto dall'imputata alla Regione Veneto e che lo stesso è stato integralmente rimborsato dalla ricorrente al fideiussore nei mesi di settembre e ottobre 2017 e, dunque, "prima del giudizio".

La ricorrente ha, inoltre, comprovato che la somma erogata alla Regione Veneto comprendeva altre alla somma indicata nel capo di imputazione (Euro 14.297), anche gli interessi di mora e una penale del 5% applicata dalla Regione.

Questa penale è, peraltro, volta proprio a ristorare la Regione, in misura forfettizzata, dai costi di accertamento e di escussione delle somme non riversate dal concessionario per la riscossione della tassa automobilistica.

Meramente apodittico è, inoltre, il riferimento operato dalla Corte di appello ad un danno non patrimoniale non quantificato e non individuato nella propria valenza lesiva.

Il giudice di primo grado ha, peraltro, rilevato "l'assenza di un danno sostanziale per le casse regionali", stante il brevissimo lasso di tempo intercorso tra l'accertamento dell'inadempimento da parte della Regione Veneto, avvenuto in data 8 giugno 2017, l'escussione della fideiussione, in data 1 agosto 2017, e la ricezione del pagamento, in data 4 settembre 2017.

Il ristoro posto in essere dal fideiussore, pertanto, alla stregua delle risultanze dei giudizi di merito, deve essere ritenuto integralmente satisfattivo dei profili risarcitori conseguenti all'illecito accertato.

Non vi sono, dunque, ostacoli di natura oggettiva al riconoscimento dell'attenuante richiesta dalla difesa.

L'applicazione della stessa, tuttavia, postula un accertamento di tipo soggettivo, che non è stato svolto nel giudizio di merito.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, è, infatti, configurabile l'attenuante di cui all'art. 62, n. 6 1 cod. pen., qualora all'integrale risarcimento del danno provveda il fideiussore il quale, prima del giudizio, sia rimborsato dall'autore del reato (Sez. 6, n. 39433 del 23/06/2017, Casimo, Rv. 270942-01).

La mancanza di una necessaria correlazione tra debitore e creditore è confermata dalla costante giurisprudenza di legittimità, che riconosce l'applicazione della diminuente nei casi in cui al risarcimento provveda l'assicurazione (per tutte da ultimo Sez. 4, n. 23663 del 24/01/2013 Segatto, Rv. 256194; cfr. anche C. Cost., sent. n. 138 del 23 aprile 1998), richiedendosi solo la condivisione, a cura del debitore, di tale scelta.

Ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen., in caso di risarcimento effettuato da parte di un soggetto diverso dall'imputato, non è sufficiente che tale soggetto abbia con l'imputato, ovvero con i suoi coobbligati solidali, rapporti contrattuali o personali che ne giustifichino l'intervento, ma è necessario che l'imputato manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria, che abbia contribuito all'adempimento (Sez. 4, n. 6144 del 28/11/2017, dep. 2018, M., Rv. 271969-01, fattispecie di lesioni colpose da incidente stradale in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva escluso l'attenuante in questione, pur essendo intervenuto l'integrale risarcimento del danno ad opera della compagnia assicuratrice del veicolo alla cui guida si era posto l'imputato, ritenendo che le sollecitazioni operate dal suo difensore non fossero sufficienti a dimostrare che l'imputato avesse avuto conoscenza dell'intervento dell'assicuratore e manifestato la volontà di farlo proprio; cfr. anche Sez. 4, n. 12121 del 14/12/2022, dep. 2023, Gningue, Rv. 284327-01; Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018, Tupini, Rv. 273587-01).

La manifestazione di questa concreta e tempestiva volontà riparatoria da parte dell'imputato costituisce, tuttavia, oggetto di un accertamento di fatto che esula dai limiti delibatori propri del giudizio di legittimità e che deve essere rimesso alla Corte di appello.

Nel giudizio di rinvio, dunque, la Corte di appello dovrà verificare, al fine del riconoscimento o meno dell'attenuante di cui all'art. 621 n. 61 cod. pen., se il risarcimento del danno alla Regione Veneto, tramite l'intervento del fideiussore Zurich Insurance PLC, sia avvenuto senza il coinvolgimento dell'imputata o la stessa lo abbia condiviso e abbia manifestato la volontà di farlo proprio.

8. I difensori, con il quarto motivo, hanno dedotto l'errata applicazione dell'art. 322-quater cod. pen., in quanto l'applicazione dell'istituto della riparazione pecuniaria, pur a fronte dell'integrale risarcimento del danno, integrerebbe una indebita duplicazione sanzionatoria.

9. Il motivo è fondato.

L'art. 322-quater cod. pen. sancisce che "Con la sentenza di condanna per reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis, è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno".

Per espressa volontà del legislatore, dunque, l'obbligo della riparazione pecuniaria non esclude di per sé la condanna dell'imputato al risarcimento del danno nei confronti delle eventuali parti civili costituite, ma anzi si cumula allo stesso.

Questa previsione, tuttavia, necessita di essere interpretata in senso costituzionalmente orientato proprio per scongiurare il rischio di duplicazioni nel ristoro della persona offesa denunciato dai difensori della ricorrente e la violazione del divieto di ingiustificato arricchimento.

La giurisprudenza di legittimità qualifica la riparazione pecuniaria quale "sanzione civile accessoria avente connotazione punitiva" (Sez. 6, n. 8959 del 25/01/2023, La Face, Rv. 284271-01; Sez. 6, n. 18098 del 05/02/2020, Ciferri, Rv. 278960-01; Sez. 6, n. 16872 del 30/01/2019, Guerra, Rv. 275671-01).

L'art. 323-quater cod. pen. delinea, infatti, una forma di riparazione coattiva, di tipo non risarcitorio (restando impregiudicato il risarcimento dei danni), non affidata all'iniziativa volontaria del reo e neppure subordinata ad un'espressa richiesta della persona offesa (come, invece, accade, ad esempio, nella riparazione civilistica prevista dall'art. 12 della I. 18.2.1948, n. 47 per i casi di diffamazione commessi col mezzo della stampa); inoltre, la quantificazione dell'ammontare dovuto a titolo compensativo non è rimessa all'apprezzamento del giudice, né è commisurata ai pregiudizi complessivamente subiti dall'amministrazione di appartenenza, ma è forfettariamente calibrata sui proventi materiali indebitamente ricevuti (Sez. 6, n. 18098 del 05/02/2020, Ciferri, Rv. 278960-01).

La giurisprudenza di legittimità, muovendo dalla natura sanzionatoria di questa previsione, ha statuito che è illegittima l'applicazione cumulativa della confisca per equivalente del profitto del reato ex art. 322-ter cod. pen. e della riparazione pecuniaria prevista dall'art. 322-quater cod. pen., trattandosi di misure aventi medesimo - oggetto ed analoga finalità afflittiva, il cui cumulo determina violazione del principio del ne bis in idem sanzionatorio (Sez. 6, n. 23203 del 05/03/2024, Petrini, Rv. 286645-02; Sez. 6, n. 16872 del 30/01/2019, Guerra, Rv. 275671-01); la confisca del profitto del reato, del resto, non può esorbitare l'ammontare delle restituzioni o del risarcimento posto in essere dal condannato, in quanto, in seguito alle condotte riparatorie post delictum, quelle utilità non costituiscono più illecito accrescimento patrimoniale (ex plurimis: Sez. 2, n. 44189 del 18/10/2022, Hoxha, Rv. 284122-01; Sez. 6, n. 21353 del 24/06/2020, Magnani, Rv. 279286-01; Sez. 3, n. 44446 del 15/10/2013, Runco, Rv. 257628).

Muovendo da analoghi principi, ritiene il Collegio che la riparazione pecuniaria non sia dovuta quando l'imputato abbia medio tempore risarcito il danno cagionato dalla condotta illecita.

La determinazione del profitto lucrato dal condannato ai fini dell'applicazione dell'art. 322-quater cod. pen., deve, infatti, essere operata al momento della pronuncia della sentenza, con riferimento al profitto "attuale" al momento della sua applicazione e, dunque, al netto delle restituzioni medio tempore poste in essere dal reo in favore della vittima e da questa accettate, scorporando quella parte di utilità non più costituente illecito accrescimento patrimoniale (cfr. Sez. 6, n. 34290 del 17/05/2023, Calvaresi, Rv. 285175-01, per un'analoga soluzione in tema di confisca disposta ai sensi dell'art. 322-ter cod. pen.).

La riparazione pecuniaria, dunque, non sarà dovuta ove, come nel caso di specie, all'atto della pronuncia della sentenza di condanna il profitto del reato sia stato integralmente restituito o risarcito.

A questa interpretazione non osta la clausola finale della disposizione di cui all'art. 322-quater cod. pen. ("restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno").

Questo inciso, infatti, non impone, come ritenuto dalla Corte di appello, una generalizzata duplicazione della riparazione pecuniaria e del risarcimento del danno quando il dannò all'atto della pronuncia della sentenza di condanna sia stato già integralmente risarcito, in quanto questo esito si porrebbe in insanabile e irragionevole contrasto con il divieto di ingiustificato arricchimento.

Questa clausola, a rigore, riguarda i casi di restituzione (o risarcimento) solo parziale del profitto del reato, nei quali la riparazione pecuniaria può concorrere con il risarcimento del danno, sino alla realizzazione dell'una o dell'altra pretesa, nel limite massimo costituito dall'ammontare originario del prezzo o del profitto del reato.

La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio limitatamente alla riparazione pecuniaria di cui all'art. 322-quater cod. pen., che deve essere eliminata, in quanto dal giudizio di merito risulta che l'imputata ha integralmente ripianato il danno cagionato alla Regione Veneto.

10. Alla stregua di tali rilievi, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla riparazione pecuniaria di cui all'art. 322-quater cod. pen., che si elimina.

La sentenza impugnata deve, altresì, essere annullata limitatamente all'attenuante di cui all'art. 2, n. 6, cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che si uniformerà ai principi di diritto sopra enunciati. Il ricorso, nella parte restante, deve essere rigettato.

Visto l'art. 624, comma 2, cod. proc. pen., deve essere dichiarato irrevocabile l'accertamento della responsabilità dell'imputata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla riparazione pecuniaria di cui all'art. 322-quater cod. pen., che elimina. Annulla altresì la sentenza impugnata limitatamente all'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Rigetta nel resto il ricorso. Visto l'art. 624, comma 2, cod. proc. pen., dichiara irrevocabile l'accertamento della responsabilità.

Così deciso in Roma il 21 maggio 2025.

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2025.

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