In tema di confisca, il terzo interessato, che intenda dedurre l’errore di fatto in cui sia incorsa la Corte di cassazione, non è legittimato a presentare ricorso straordinario ex art 625-bis cod. proc. pen., in quanto mezzo di impugnazione esperibile solo dal soggetto condannato, né può chiedere la correzione dell’errore materiale, posto che l’emenda del vizio dedotto comporterebbe una modificazione essenziale dell’atto, ma può attivare l’incidente di esecuzione, ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen., trattandosi del rimedio operante, in generale, nelle ipotesi in cui la posizione del terzo sia stata di fatto pretermessa.
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 30/04/2025 (dep. 29/07/2025) n. 27807
RITENUTO IN FATTO
1. Gi.Sa., Pu.Ca., Ca.Er., Fo.Gi., La.Pa., Ca.Gi., Co.Fi., Si.Ro., Sa.Vi., Pa.Ba., Ro.Do., La.Ma., tramite i rispettivi difensori, hanno presentato ricorso ai sensi dell'art. 625-bis cod. proc. pen. avverso la sentenza n. 34126/24 del 5 giugno 2024, depositata il 10 settembre 2024, con cui la Corte di cassazione, Seconda Sezione, ha giudicato sui ricorsi presentati avverso la sentenza del 24 settembre 2021 della Corte di appello di Catanzaro, che a sua volta si era pronunciata sugli appelli presentati avverso la sentenza emessa in data 25 settembre 2019, all'esito di giudizio abbreviato, dal G.u.p. del Tribunale di Catanzaro.
2. Gi.Sa. denuncia errore di fatto di tipo percettivo con riguardo al tema della recidiva, essendo stato dichiarato inammissibile il relativo motivo nel presupposto che non fosse stato sul punto formulato motivo di appello, invece desumibile dall'originario appello e dai motivi aggiunti.
3. Pu.Ca. deduce errore di fatto riferito al motivo riguardante la violazione dell'art. 416-bis cod. pen. in relazione al ruolo apicale attribuito alla ricorrente.
La Corte aveva dato rilievo al ruolo della ricorrente, in quanto in grado di opporsi ai fratelli del marito nell'adottare una strategia aggressiva e autonoma, ma ben poteva trattarsi di un comportamento frutto della volontà di difendere l'autonomia o gli interessi propri, senza tradursi in un ruolo direttivo nell'organizzazione criminale.
Inoltre, la Corte non aveva valutato che l'autonomia potesse essere limitata a determinate situazioni piuttosto che esprimere un ruolo di comando.
Si trattava dunque di una lettura parziale inidonea a sorreggere la decisione.
4. Ca.Er., Fo.Gi., Ca.Gi., La.Pa. e Co.Fi., tutti terzi interessati rispetto ai quali è stata disposta la confisca, deducono errore di fatto, consistente nell'errore percettivo che ha condotto la Corte di cassazione ad affermare che i relativi ricorsi erano inammissibili per difetto di procura speciale.
La Corte di cassazione aveva ritenuto che l'atto allegato ai ricorsi non costituisse una procura speciale, necessaria in ragione della veste di terzi interessati, rivestita dai ricorrenti, ma semplice nomina di difensore e revoca di ogni precedente difensore, con conferimento di ogni più ampia facoltà e con mandato ad impugnare la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, in assenza degli elementi tipici della procura speciale, a fronte di nomina a difensore di fiducia dell'Avv. Russano, non munito di procura speciale ai sensi dell'art. 100 cod. proc. pen., e in assenza di qualsiasi specifico riferimento all'esercizio dei relativi diritti in sede di legittimità, quanto alla posizione dei terzi interessati.
Rilevano i ricorrenti che tale giudizio era frutto di errore percettivo, in quanto l'atto costituiva conferimento di procura speciale, facendosi riferimento agli artt. 100 e 122 cod. proc. pen. e al mandato ad impugnare dinanzi alla Corte di cassazione le statuizioni della Corte di appello in tema di confisca.
Richiamano un consolidato orientamento giurisprudenziale alla cui stregua la procura speciale non richiede formule sacramentali, purché emerga la manifestazione della volontà di affidare ad un determinato professionista l'incarico di svolgere le difese necessarie alla tutela della proprie ragioni in una specifica procedura, senza la necessità dell'attribuzione al procuratore della capacità di essere soggetto del rapporto processuale, essendo sufficiente il conferimento di mandato defensionale della parte rappresentata.
Nel caso di specie emergeva la volontà di affidare l'incarico di ricorrere per cassazione avverso le statuizioni concernenti la confisca disposta nei confronti dei terzi interessati.
Una volta superata la fase rescindente, si prospetta la possibilità di procedere direttamente con unica decisione alla fase rescissoria, in quanto si tratta di considerare i motivi di ricorso, il cui esame era stato omesso a causa dell'errore percettivo.
5. Si.Ro. deduce errore di fatto in relazione alla mancata valutazione del primo motivo del secondo ricorso originariamente presentato, in relazione all'errata affermazione che il ricorrente non aveva sollevato la questione in sede
di appello, questione per contro affidata al secondo appello depositato il 18 maggio 2020, di cui la Corte di cassazione non si era avveduta.
5.1. Segnala che il citato motivo di ricorso riguardava la mancanza di motivazione della sentenza impugnata, che, a fronte del richiamo da parte del primo giudice di ampi stralci di ordinanze emesse in sede cautelare, aveva solo in apparenza affrontato il tema con una sintesi di singoli paragrafi, ma non considerando le doglianze difensive di merito, in punto di valutazione del contributo effettivo o di verifica dell'efficacia della chiamata dei collaboratori, di cessioni di immobili non direttamente riferibili al ricorrente, di rilievi circa l'attività politica dell'ex Sindaco Si.Ro. Si era dedotto dunque che la Corte si era sottratta alla verifica della sussistenza dei presupposti della decisione, privando il ricorrente di entrambi i gradi di merito.
La Corte di cassazione, dopo aver riassunto il motivo incentrato sulla tecnica redazionale della sentenza di merito, lo aveva dichiarato inammissibile, osservando che dalla lettura dei due atti di appello emergeva che tale motivo non era stato né proposto né articolato in sede di appello.
Ma in realtà il ricorrente aveva presentato tre atti di appello, da ciò discendendo che la Corte di cassazione non aveva valutato il secondo, in cui il tema era stato sollevato nei termini risultanti dal riprodotto motivo di appello.
Era dunque ravvisabile una svista nella lettura degli atti processuali che aveva influenzato il processo formativo della volontà in relazione all'erronea supposizione dell'inesistenza di una censura.
5.2. Il ricorrente deduce un secondo profilo in relazione all'omessa valutazione del quarto motivo del primo ricorso e del terzo motivo del secondo ricorso, in relazione all'errata constatazione per cui il ricorrente non avrebbe sollevato dinanzi alla Corte di appello doglianza, il cui presupposto era invece costituito dalla sentenza di secondo grado.
Il primo giudice aveva condannato il ricorrente in relazione al reato contestatogli ai sensi dell'art. 416-bis, comma primo e comma quarto, cod. pen., ma in sede di determinazione della pena non aveva fatto riferimento all'aggravante.
La Corte di appello aveva riqualificato il fatto ai sensi degli artt. 110, 416-bis cod. pen., comma primo e comma quarto, cod. pen., confermando la pena, ciò che aveva dato luogo ad una reformatio in peius, in ragione del riferimento all'aggravante.
Il motivo di ricorso faceva leva sulla mancanza di motivazione in ordine alla consapevolezza circa il possesso o la disponibilità di armi da parte del sodalizio, ma la Corte di cassazione lo aveva giudicato inammissibile in ragione della mancata proposizione di un motivo di appello sul punto, quando in realtà solo la
Corte di appello aveva applicato l'aggravante, ciò che aveva dato luogo ad un errore di fatto rilevante.
6. Sa.Vi. deduce errore di fatto in relazione al motivo di ricorso con cui era stata contestata la mancanza di motivazione in merito alla posizione apicale attribuita al ricorrente, a fronte di quanto emergente dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori (La.e Ga..) e da alcune conversazioni intercettate.
La Corte non aveva tenuto conto della doglianza incentrata sulla mancanza di motivazione, ma aveva ritenuto che potesse dirsi corroborata la partecipazione e l'assunzione di un ruolo apicale da parte del ricorrente, in quanto preposto a settori di rilevante interesse.
Alla resa dei conti la Corte di cassazione non aveva percepito l'assenza di elementi fattuali idonei a sorreggere l'attribuzione del ruolo apicale e si era genericamente basata su sentenze di legittimità senza confrontarsi con il motivo proposto, incentrato sulla mancanza di motivazione e su indicazioni fattuali di segno contrario.
7. Pa.Ba. deduce errore di fatto rispetto all'esame del quarto motivo di ricorso riguardante l'omessa motivazione delle consulenze di parte relative al reddito dei familiari del ricorrente, cui sono riconducibili i beni oggetto di confisca.
Era stato dedotto in sede di appello che non era stata valutata la ragionevolezza temporale tra l'acquisizione dell'immobile poi confiscato e l'epoca dei fatti e che non si era tenuto conto delle consulenze di parte in ordine alla capacità patrimoniale del nucleo familiare.
Relativamente alle vetture, dalle consulenze invocate risultava che le stesse erano state acquisite dai familiari con redditi di cui avevano disponibilità.
A fronte di ciò era stata contestata l'omessa valutazione delle consulenze, essendo stato il giudizio fondato sull'analisi condotta dalla Guardia di Finanza.
In tale prospettiva si rileva la sussistenza di un errore di fatto correlato alla percezione della censura formulata, circa la presenza delle consulenze di parte volte a ricostruire il reddito del nucleo familiare.
La Corte di cassazione non si era confrontata con le argomentazioni difensive, nulla avendo detto rispetto alla ricostruzione dei redditi familiari ed ai profili documentati nelle consulenze di parte, ma avendo evidenziato che la Corte territoriale si era basata sulla nota della Guardia di Finanza che aveva rilevato la sproporzione.
L'errore di fatto emergeva dalla circostanza che le vetture oggetto di confisca erano state acquistate nel periodo in cui la stessa nota della Guardia di Finanza aveva riconosciuto che il reddito complessivo del nucleo familiare non risultava
sproporzionato rispetto al valore di quei beni, tanto che la stessa sentenza di merito aveva rilevato che nel 2013 il reddito familiare era proporzionato rispetto al valore delle vetture e comunque superiore a 10.000,00 Euro l'anno.
8. Ro.Do. deduce errore di fatto in relazione all'apprezzamento da parte della Corte di cassazione dei motivi di ricorso.
8.1. L'originario ricorso si fondava su tre motivi, riguardanti il tema della valutazione della prova desumibile da intercettazioni e da dichiarazioni di collaboratori di giustizia, il tema della configurabilità del concorso esterno, correlato ad un rapporto di tipo collusivo con la cosca, il tema del riconoscimento delle attenuanti generiche.
Era stato segnalato che difettava una motivazione in ordine ai soggetti del patto, all'acquisizione di lavori tramite l'intervento del clan, all'utilizzo di imprese pulite per assicurare l'accesso del clan nel mercato dei lavori pubblici, all'incremento conseguito da Ro.Do. per effetto del patto. Tali rilievi erano stati sviluppati nel presupposto della mancata acquisizione di lavori nella gara di Cutro e in quella di Petronà, della mancata indicazione della consistenza della mediazione operata dal ricorrente, dell'insussistenza di un evento di rafforzamento dell'associazione quale conseguenza dei pretesi contributi del ricorrente. Era stato inoltre contestato il giudizio sull'attendibilità dei contributi dichiarativi e sulla configurabilità di riscontri e in merito alla rilevanza degli esiti di talune intercettazioni. Infine, era stata dedotta la mancanza di motivazione circa il diniego delle attenuanti generiche.
8.2. La Corte di cassazione aveva reputato i motivi generici, reiterativi, mancanti di specifico confronto con la motivazione della sentenza impugnata, manifestamente infondati.
Era però ravvisabile un errore percettivo alla base del giudizio di inammissibilità, fondato sul travisamento dei motivi del precedente ricorso e sull'omessa pronuncia su motivi specifici.
8.3. In tale quadro denuncia il travisamento dei motivi in rapporto alla loro qualificazione come generici, reiterativi e privi di confronto con la motivazione.
Illustra il suddetto motivo rilevando che gli originari motivi erano in realtà riferiti a temi specifici, concernenti gli appalti che il ricorrente non si era aggiudicato, le dichiarazioni di Li.., il preteso dinamismo del ricorrente, che gli stessi non erano reiterativi, anche se riferiti a questioni già proposte, che vi era specifico confronto con la motivazione, puntualmente contestata: segnala che tuttavia la Corte di cassazione aveva ignorato le specifiche contestazioni.
8.4. Il ricorrente denuncia, inoltre, l'errata applicazione dei principi in materia di inammissibilità del ricorso, che la Corte di cassazione non aveva correttamente
applicato in ragione di un'errata percezione dei motivi, a fronte della prospettazione di censure specifiche e rilevanti.
8.5. Denuncia, infine, la viziata valutazione riguardante il tema delle attenuanti generiche, in quanto, a fronte di una motivazione meramente apparente e contraddittoria della Corte territoriale, la Corte di cassazione aveva rilevato che il motivo era generico e manifestamente infondato, non considerando il profilo dell'apparenza della motivazione.
8.6. Con successiva memoria il difensore del ricorrente ha ulteriormente esaminato alcuni temi, in particolare l'interessamento di Ro.Do. all'attività svolta dai familiari, il dinamismo significativo e la capacità di interloquire con i vertici delle cosche, la gestione degli appalti e l'errata lettura delle intercettazioni, le condotte agevolative e la valutazione dei collaboratori, il travisamento della censura sull'appalto Petronà, segnalando che era stata ignorata la specificità degli elementi fattuali e probatori dedotti, ciò che si era tradotto in un'errata percezione del dato processuale. Ribadisce inoltre l'errata applicazione dei principi in materia di inammissibilità e l'omessa pronuncia sulla qualità della motivazione in tema di attenuanti generiche, quale frutto di errore percettivo.
9. La.Ma. deduce errore di fatto in relazione all'esame dell'imputazione di estorsione di cui al capo 94).
9.1. La Corte di cassazione ha rilevato che il significato delle conversazioni intercettate era incompatibile con le dichiarazioni rese al difensore dalla persona offesa e da Fr.Gr. , che erano stati evidentemente giudicati compiacenti o di scarsa attendibilità.
Ma la Corte di appello non aveva effettuato una siffatta valutazione sulle indagini difensive, per cui la Corte era partita da un presupposto di fatto insussistente, tale da viziare il processo formativo della volontà.
Si trattava di errore decisivo a fronte dei motivi di ricorso, con cui era stata segnalata l'omessa valutazione delle indagini difensive.
9.2. Il ricorrente deduce inoltre un secondo profilo, riguardante l'omesso avviso di deposito della sentenza di appello al codifensore Avv. Francesco Coppola.
La Corte di cassazione aveva rigettato una preliminare istanza di separazione della posizione del ricorrente nel presupposto dell'omessa notifica dell'avviso di deposito, con richiesta di rimessione in termini.
La Corte di cassazione aveva provveduto con ordinanza affetta da errore di fatto, in quanto fondata sul presupposto che la nomina effettuata dal detenuto dovesse essere comunicata all'Autorità giudiziaria, presupposto smentito dal tenore dell'art. 123 cod. proc. pen., risultante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 134 del 2021.
Alla resa dei conti era stata attribuita al ricorrente una negligenza a lui non imputabile circa la messa a conoscenza delle vicende processuali, ciò che aveva causato la mancata notifica al nuovo difensore e l'omesso rilievo della relativa nullità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i ricorsi muovono dal presupposto che, con riferimento alle diverse posizioni, sarebbe ravvisabile un errore di fatto nel quale la Corte di cassazione sarebbe incorsa nell'esaminare i motivi di ricorso proposti avverso la sentenza di appello.
Deve al riguardo rilevarsi che "l'errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall'art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall'influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall'inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso" (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280 - 01): in tale prospettiva si è sottolineato nella stessa pronuncia che qualora la causa dell'errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, e che sono estranei all'ambito di applicazione dell'istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l'attribuzione ad esse di una inesatta portata.
Il principio è stato successivamente più volte ribadito, essendosi, in particolare, rilevato che "qualora la causa dell'errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall'orizzonte del rimedio previsto dall'art. 625-bis cod. proc. pen." (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686 - 01; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527 - 01; nello stesso senso, ex plurimis, Sez. 6, n. 28424 del 23/06/2022, Spadini, Rv. 283667 -01; Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Macrì, Rv. 268981 - 01; Sez. 6, n. 46065 del 17/09/2014, Marrelli, Rv. 260819 - 01, riferite al tema della valutazione giuridica di circostanze di fatto correttamente percepite o comunque a quello della deduzione di errore valutativo che si innesti su un sostrato fattuale correttamente percepito).
Tali principi, di recente riaffermati (Sez. U, n. 9788 del 22/01/2025, Annunziata, non massimata), costituiscono ormai ius receptum e devono porsi alla
base dello scrutino richiesto dai ricorsi proposti in questa sede, dovendosi, in particolare, rimarcare come non possa assumere rilievo la deduzione di un errore valutativo o di un errore che non abbia in concreto inciso sulla decisione, che, pur senza di esso, non sarebbe stata diversa.
Deve inoltre segnalarsi, come si avrà modo di ribadire e approfondire, che il rimedio di cui all'art. 625-bis cod. proc. pen. è previsto in favore del condannato, cioè del soggetto che sia direttamente destinatario di una sentenza di condanna, quand'anche pronunciata ai soli effetti civili (Sez. U, n. 28719 del 21/06/2012, Marani, Rv. 252695 -01).
2. Alla luce di tali principi tutti i ricorsi risultano in varia guisa inammissibili.
3. Con riguardo alla posizione di Gi.Sa. si rileva che la Corte di cassazione, al di là del riferimento alla mancata proposizione di un motivo di appello in tema di recidiva, abbia nella sostanza valutato il relativo tema, sottolineando come il giudizio di merito, relativo al diniego delle attenuanti generiche, fondato sulla caratura criminale del ricorrente, sulla sua inclinazione a delinquere, sulla sua persistente pericolosità, desumibili dai precedenti penali omogenei, fosse idoneo a dar conto della sequenza recidivante correttamente ritenuta in primo grado (così a pag. 343).
Si tratta dunque di valutazione completa e idonea a sorreggere la decisione, senza che possa dirsi a tal fine decisivo l'assunto della mancata presentazione di uno specifico motivo di appello. Di qui la manifesta infondatezza del ricorso.
4. Relativamente alla posizione di Pu.Ca. il tema dedotto in questa sede non si incentra sull'individuazione di un errore percettivo in cui la Corte di cassazione sarebbe incorsa, bensì sulla indicazione di profili valutativi idonei a suggerire un diverso esito decisorio, in base al compendio probatorio posto a fondamento del giudizio, relativo al ruolo della ricorrente nell'ambito associativo, il che non rientra nella sfera di applicazione dell'art. 625-bis cod. proc. pen., ma si risolve nella indebita sollecitazione di un ulteriore vaglio del merito.
5. Con riguardo alla posizione di Si.Ro. l'assunto alla base del primo motivo è suggestivo, ma in realtà privo di concreto rilievo, così da risultare del tutto infondato.
5.1. Si segnala la svista nella quale sarebbe incorsa la Corte di cassazione nel rimarcare che non sarebbe stato devoluto in sede di appello il tema che formava oggetto del primo motivo del secondo ricorso.
È tuttavia agevole osservare come venisse in rilievo la tecnica redazionale della sentenza di primo grado, che, secondo gli assunti difensivi, si risolveva nella trasposizione di brani delle ordinanze cautelari, senza specifica analisi delle argomentazioni difensive.
Si tratta di prospettazione del tutto inidonea a sorreggere le doglianze proposte in questa sede.
Le stesse infatti, per trovare accoglimento, avrebbero dovuto risultare decisive al fine di disarticolare la decisione, ciò che deve radicalmente escludersi.
Deve premettersi che il giudizio si è svolto con rito abbreviato e che il materiale alla base della decisione era lo stesso che aveva formato oggetto dei provvedimenti cautelari.
Inoltre, la circostanza che anche ampi stralci di quei provvedimenti fossero richiamati quale motivazione della sentenza di primo grado non avrebbe potuto mai comportare che tale sentenza potesse per ciò solo dirsi priva di motivazione.
Deve sul punto richiamarsi il principio secondo cui "la sovrapponibilità della sentenza di primo grado rispetto all'ordinanza adottata in sede cautelare non implica di per sé solo la nullità della sentenza, in quanto il requisito dell'autonoma valutazione, previsto a pena di nullità solo con riferimento all'ordinanza cautelare in coerenza con la sua natura di provvedimento "inaudita altera parte", non è invece contemplato dall'art. 546 cod. proc, pen., sicché l'adesione acritica alla decisione adottata in fase cautelare potrà integrare il vizio di mancanza di motivazione solo ove comporti la carente giustificazione delle ragioni colà accolte, anche sotto l'aspetto della omessa considerazione delle opposte ragioni emerse all'esito del contraddittorio" (Sez. 6, n. 38060 del 04/04/2019, Ancora, Rv. 277286 - 01).
In tale ottica la Corte di appello non avrebbe potuto limitarsi ad annullare la sentenza di primo grado, ma avrebbe dovuto invece ricostruire il merito sulla base degli atti acquisiti, alla luce delle ragioni di specifica doglianza, formulate nell'interesse dell'imputato.
Orbene, l'analisi complessiva della motivazione con cui la Corte di cassazione ha respinto i motivi di ricorso proposti nell'interesse di Si.Ro. consente di rilevare come la decisione si sia fondata proprio sul rilievo che tutti i temi critici fossero stati specificamente analizzati dalla Corte di appello, in sintonia con la valutazione del primo Giudice e anche attraverso il richiamo di passaggi della sentenza di primo grado, essendosi la Corte di appello fatta carico della necessità di fornire un'adeguata risposta alle censure di merito e non meramente formali proposte, esaminando gli elementi a carico, costituiti primariamente dalle conversazioni intercettate, valutando gli elementi di conferma, costituiti fra l'altro dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, e confermando il giudizio di
attendibilità di questi ultimi, nel quadro di una più generale condivisione del giudizio di primo grado, salva la riqualificazione del fatto nell'ipotesi del concorso esterno ex artt. 110 e 416-bis cod. pen.
La Corte di cassazione, come espressamente risulta da numerosi passaggi della motivazione, ha segnalato che la Corte di appello aveva fornito un'argomentazione puntuale (pagg. 470 e segg.), dando conto di tutti gli elementi a carico dell'imputato, nel rapporto di reciproco vantaggio con la consorteria, e valutato gli elementi probatori, richiamando conversazioni intercettate e il riscontro riveniente da contributi di collaboratori reputati attendibili.
Risulta dunque evidente come l'asserita svista in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione risulti in concreto inconferente, in quanto l'analisi del tema che si assume pretermesso non avrebbe potuto di per sé condurre ad esiti diversi da quelli cui in sede di legittimità si è giunti alla stregua della verifica del contenuto della motivazione alla base del giudizio di penale responsabilità dell'imputato, articolato in modo da dar conto dei temi cruciali e della rilevanza delle condotte accertate.
Giammai potrebbe prospettarsi che sia mancata la possibilità di fruire di un doppio grado di merito, in quanto anche il giudizio avrebbe dovuto essere formulato sulla base della sincronica lettura delle sentenze di primo e di secondo grado, ciò che in concreto ha formato oggetto dello scrutinio di legittimità, senza che fossero prospettabili esiti decisori diversi in ragione dei profili alla base del motivo di cui era stato omesso l'esame.
5.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Si muove dall'assunto che il primo giudice avesse pronunciato condanna per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., senza considerare l'aggravante dell'associazione armata, e che la Corte di appello, per la prima volta, nel riqualificare il reato come concorso esterno, avesse fatto riferimento al primo e al quarto comma dell'art. 416-bis cod. pen.: di qui la conclusione che solo in sede di appello fosse stata valutata con reformatio in peius l'aggravante e che, conseguentemente, solo con il ricorso il tema avrebbe potuto essere proposto, risultando indebitamente pretermesso il relativo motivo, nell'erroneo presupposto che il tema potesse essere prospettato con un motivo di appello.
L'intera deduzione risulta fallace, in quanto il primo giudice ha ritenuto l'imputato colpevole del reato a lui contestato, senza escludere, come altrimenti avrebbe dovuto, la contestata aggravante, e irrogando comunque una pena coerente con quella prevista per l'ipotesi aggravata.
La Corte di appello, nel riqualificare il reato come concorso esterno, ha proprio per questo avvertito la necessità di riferirsi al concorso nel reato di cui al primo e al quarto comma dell'art. 416-bis cod. pen., senza alcuna riforma in peius.
A fronte di ciò, risulta pienamente rispondente al dato processuale il rilievo della Corte di cassazione in ordine all'inammissibilità del motivo di ricorso relativo all'aggravante, trattandosi di tema che avrebbe dovuto e potuto formare oggetto di motivo di appello.
6. Esula in radice dall'ambito di applicazione dell'art. 625-bis cod. proc. pen. il ricorso presentato nell'interesse di Sa.Vi.
In realtà, manca la deduzione di un errore di fatto, nel quale sarebbe incorsa la Corte di cassazione, in quanto il motivo si risolve nella riproposizione dei temi oggetto dell'originario ricorso, nella prospettiva dell'assenza di dati fattuali alla base della decisione e di elementi di segno contrario, ciò che non tiene conto dell'ampia motivazione con cui la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibili i motivi riguardanti i capi relativamente ai quali la condanna è divenuta irrevocabile, soffermandosi sul ruolo dell'imputato e sulla conoscenza delle dinamiche associative nonché sugli elementi a supporto di tale valutazione, sulla valenza delle dichiarazioni rese da Oliverio, La.e Ga..,sull'individuazione di elementi estremamente rilevanti (così fra l'altro a pag. 452 e 453), osservando come le deduzioni difensive inerissero al merito, esulando dai limiti dello scrutinio di legittimità.
7. Relativamente al ricorso presentato nell'interesse di Pa.Ba.,incentrato sulla disposta confisca, può rilevarsi che le deduzioni formulate in questa sede sono volte a riproporre gli argomenti alla base delle doglianze sollevate dapprima in sede di appello e poi di ricorso per cassazione, facendo ancora volta leva sulle risultanze delle consulenze di parte e sulla valutazione del reddito dei familiari, al fine di escludere la configurabilità della sproporzione, posta a fondamento della confisca in relazione alla protratta partecipazione alla consorteria di 'ndrangheta.
La Corte di cassazione ha al riguardo osservato come tutti i motivi proposti reiterassero le medesime censure di merito e non fossero connotati da profili di specificità in relazione alla motivazione della sentenza impugnata.
Con riguardo poi al tema della confisca, la Corte di cassazione (pag. 377) ha rilevato che l'ottavo motivo di ricorso risultava generico e manifestamente infondato, dovendosi ritenere che la Corte di appello avesse debitamente valutato le consulenze di parte e che avesse per contro dato rilievo alla nota della Guardia di Finanza, che evidenziava l'incompatibilità tra il regime di vita e i redditi percepiti dal ricorrente e dal suo nucleo familiare, senza che fossero stati specificamente affrontati i temi esaminati dalla Corte di appello in ordine a tale nucleo familiare e ai beni posseduti, in una situazione di incompatibilità con i redditi dichiarati. La
Corte di cassazione ha inoltre segnalato che la contestata nota della Guardia di Finanza era stata indicata come atto articolato e approfondito, a fronte del quale non era stato indicato quale specifico punto fosse da ritenere infondato e in contrasto con le conclusioni della Corte di appello, in tal modo dovendosi ritenere superate le allegazioni anche tecniche della difesa.
Sulla scorta di tale analisi risulta dunque evidente come non sia stato rappresentato alcun errore percettivo della Corte di cassazione, che ha valutato i motivi e preso in considerazione il loro contenuto, giudicandoli nel loro complesso generici e ritenendo sul piano valutativo superate le allegazioni difensive alla luce dell'analisi dei Giudici di merito.
Si tratta dunque di profili insuscettibili di ulteriori contestazioni in questa sede, in assenza dei presupposti per la prospettazione di un vizio riconducibile alla sfera di operatività dell'art. 625-bis cod. proc. pen,
8. Il ricorso presentato nell'interesse di Ro.Do. ha ad oggetto non la rappresentazione di uno o più errori percettivi, in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione, ma -in forma di autonoma impugnazione- la censura delle valutazioni da essa formulate in ordine alla genericità dei motivi e alla sussistenza di un idoneo apparato argomentativo a fondamento della condanna del ricorrente, quale concorrente esterno dell'associazione di 'ndrangheta.
8.1. In questa sede sono invero reiterate le censure formulate avverso la sentenza di appello, che assumono all'evidenza connotazione di doglianze di merito, dovendosi per contro rilevare come la Corte di cassazione abbia nitidamente valutato il contenuto dei motivi, segnalato che gli stessi erano volti a suggerire una lettura alternativa del compendio probatorio, rilevato che la Corte di appello aveva correttamente dato conto dell'attivismo del ricorrente e del suo rapporto con personaggi di vertice della cosca, che non assumevano rilevanza le questioni legate all'appalto di Petronà, che la prova regina era costituita dalle conversazioni intercettate e che correttamente erano stati applicati i principi consolidati ai fini della confjgurabilità del concorso esterno in associazione di 'ndrangheta.
In nessun caso sono individuabili sviste o errori percettivi, dovendosi invero ritenere che la Corte di cassazione abbia valutato i motivi e li abbia giudicati inidonei a sovvertire il giudizio di merito, anche in ragione della mancanza della specifica individuazione di decisive fratture logiche e argomentative della sentenza impugnata, profilo non coincidente con il mero richiamo di taluni passaggi della motivazione, esigendosi un'analisi critica, giuridicamente apprezzabile in sede di legittimità, ciò che la Corte di cassazione nel caso di specie ha escluso sulla base di un'articolata motivazione in questa sede incensurabile, anche perché correlata
all'applicazione di consolidati principi giuridici in tema di specificità dei motivi, insuscettibile di qualsivoglia contestazione.
Non conduce a conclusioni diverse la valutazione della memoria che invero ripropone argomenti non rilevanti in questa sede e reitera censure inammissibili in ordine a profili valutativi, anche di rilievo giuridico.
8.2. Infine inammissibili risultano le doglianze in merito al giudizio formulato con riguardo alle attenuanti generiche, in quanto la Corte di cassazione, senza incorrere in alcuna svista o erronea percezione, ha debitamente valutato la motivazione della sentenza impugnata, avendo reputato sufficiente, a tal fine, il riferimento alla gravità del fatto e all'insussistenza di elementi positivamente valutabili, tali non essendo, secondo l'espressa valutazione, quelli genericamente riproposti dalla difesa.
9. Quanto alla posizione di La.Ma., si deduce in primo luogo che la Corte di cassazione sarebbe incorsa in un errore di fatto, attribuendo alla Corte di appello una valutazione sulle indagini difensive, che in realtà non era stata effettuata.
9.1. Si tratta di assunto manifestamente infondato e comunque inidoneo a rappresentare un errore di fatto.
La Corte di cassazione con riguardo all'estorsione di cui al capo 94) ha valutato la motivazione della sentenza impugnata, rilevando il significato assolutamente inequivoco delle conversazioni intercettate, tali da attestare la diretta partecipazione del ricorrente alla condotta estorsiva e ha dunque segnalato l'incompatibilità di tali evidenze con le dichiarazioni acquisite in sede di indagini difensive dalla persona offesa e da Fr.Gr. : in tale prospettiva la Corte di cassazione ha sottolineato come tali dichiaranti fossero stati "evidentemente giudicati se non compiacenti, quanto meno di scarsa credibilità". Non si tratta di errore percettivo nell'apprezzamento della sentenza impugnata, a fronte di valutazione che la Corte non aveva esplicitato, ma di motivazione volta a dar conto dell'esito decisorio, a fronte di un elemento comunque inidoneo -e così implicitamente valutato dalla Corte di appello- a smentire le decisive risultanze emergenti dalle conversazioni.
9.2. Il secondo profilo dedotto, riguardante il mancato accoglimento della richiesta di separazione della posizione del ricorrente, in ragione del mancato avviso di deposito della sentenza di appello al secondo difensore successivamente nominato, si risolve nella prospettazione non di una svista o di un errore percettivo ma di una non condivisa valutazione giuridica circa la necessità o meno di dare avviso del dennsitn della ";en1"en7a al nunvn rlifenqnre alla Iure del nuadrn
normativo vigente: in tal senso le censure volte a censurare l'interpretazione data dalla Corte di cassazione all'art. 123 cod. proc. pen..
Ma in tal modo la deduzione esula all'evidenza dal paradigma normativo delineato dall'art. 625-bis cod. proc. pen.
10. Quanto infine alla posizione di Ca.Er., Fo.Gi., Ca.Gi., La.Pa. e Co.Fi., che hanno presentato separati ricorsi di identico contenuto, deducendo, quali terzi interessati, che la Corte di cassazione aveva omesso di valutare i motivi proposti in tema di confisca, avendo indebitamente escluso, per effetto di errore percettivo, che potesse dirsi conferita procura speciale, quando l'atto prodotto attestava, in ragione del suo contenuto, l'effettivo rilascio di una procura speciale idonea a legittimare la proposizione del ricorso nell'interesse dei predetti, deve rimarcarsi come detti ricorsi siano pregiudizialmente inammissibili, in quanto non proposti da soggetto condannato, come tale legittimato ai sensi dell'art. 625-bis, comma 2, cod. proc. pen.
10.1. Deve al riguardo osservarsi che tale conclusione costituisce principio consolidato, essendosi osservato che "in tema di impugnazioni, avverso la sentenza con la quale la Corte di cassazione si pronuncia sull'istanza di restituzione del bene confiscato proposta dal terzo interessato non condannato non è ammesso il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto in quanto rimedio esperibile solo in relazione alle pronunce per effetto delle quali diviene definitiva una sentenza di condanna, né può invocarsi la correzione dell'errore materiale qualora l'emenda del vizio dedotto, mutando il contenuto decisorio della sentenza, comporti una "modificazione essenziale dell'atto"" (Sez. 5, n. 4611 del 13/12/2023, dep. 2024, Linardi, Rv. 285940 - 01; in senso analogo, quanto all'inapplicabilità del rimedio della correzione di errore materiale, Sez. 6, n. 8337 del 27/01/2021, Solfaroli, Rv. 280971 - 01).
Va inoltre segnalato che in talune occasioni si è più, in generale, escluso che il rimedio sia utilizzabile con riguardo a statuizioni in tema di sequestro e confisca (Sez. 6, n. 20684 del 09/05/2016, Mastropietro, Rv. 266745 - 01), principio che non può dirsi nella sua assolutezza condivisibile, allorché la deduzione provenga, nel suo interesse, da soggetto condannato ed inerisca a statuizione strettamente correlata alla condanna.
Ed invero in questa sede è stato esaminato il ricorso di Pa.Ba., che aveva ad oggetto la statuizione di confisca.
Può inoltre in generale richiamarsi la diversa affermazione secondo cui "è ammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto ex art. 625-bis cod. proc. pen. avverso la sentenza di annullamento senza rinvio che, nel dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, confermi le statuizioni civili e la confisca disposta ex art. 322-ter cod. pen., conseguendo tali statuizioni ad un accertamento sostanziale della responsabilità" (Sez. 6, n. 29680 del 12/04/2022, Conti, Rv. 283717 - 01).
Sta di fatto che, nel caso di specie, vengono in rilievo solo terzi interessati, non coinvolti da alcuna statuizione di condanna, ai quali l'istituto in esame non può dunque dirsi specificamente riferibile.
10.2. I difensori dei ricorrenti, in sede di conclusioni, hanno prospettato una questione di legittimità costituzionale incentrata sulla violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa e dei parametri evocati dalla normativa sovranazionale a garanzia dell'effettività della giurisdizione e a tutela della proprietà.
Va subito rilevato che il tema dell'errore di fatto della Corte di cassazione, evocato nel corso degli anni soprattutto con riguardo alla giurisdizione civile e all'ambito del giudizio di revocazione, è stato tuttavia progressivamente esaminato anche con riguardo alla giurisdizione penale: sul punto la Corte costituzionale con ordinanza n. 395 del 2000 ebbe a sottolineare come in assenza di una specifica disciplina, peraltro rimessa al legislatore, gravasse primariamente sulla stessa Corte di cassazione il compito di verificare la possibilità di individuare un rimedio, dovendosi a tal fine valutare l'utilizzabilità della disciplina dettata in tema di correzione di errore materiale di cui all'art. 130 cod. proc. pen.
La problematicità di tale conclusione fu all'origine dell'intervento legislativo, culminato nell'introduzione con legge n. 128 del 2001 del rimedio della correzione dell'errore materiale o di fatto, imputabile alla Corte di cassazione, contemplato dall'art. 625-bis cod. proc. pen.
In tale prospettiva deve rimarcarsi come, a fronte dell'ampio ventaglio di possibili scelte a disposizione del legislatore, la disciplina introdotta ha definito la sfera di operatività dell'intervento, ponendolo a tutela del condannato, nel contempo essendosi prevista la disciplina della correzione dell'errore materiale, quale rimedio diverso e non fungibile.
Sembra trovare in tal modo piena giustificazione il principio già richiamato, per cui non possa farsi luogo alla correzione di errore materiale, quando si tratti di modificazione sostanziale dell'atto.
D'altro canto, la limitazione della sfera di operatività dell'istituto a tutela del condannato costituisce il risultato di una scelta volta a riconoscere, nel contempo, la valenza e la peculiarità del giudizio di legittimità in rapporto alla salvaguardia del giudicato.
Si comprende in tale ottica che l'errore di fatto non sia deducibile in situazioni nelle quali non venga in rilievo una decisione definitiva, ma si tratti di procedimento incidentale, come in materia cautelare, allorché possono venire in rilievo profili suscettibili di un'evoluzione, a prescindere dal precedente esito decisorio (per l'esclusione del rimedio di cui all'art. 625-bis cod. proc. pen. in materia cautelare, si rinvia a Sez. U, n. 13199 del 21/07/2016, Nunziata, Rv. 269790 - 01).
10.3. È peraltro immaginabile che un errore di fatto possa compromettere la tutela di soggetti diversi dal condannato, come nel caso dei terzi interessati, titolari di beni nondimeno sottoposti a confisca in ragione della condanna pronunciata nei confronti di altro soggetto, per lo più un familiare.
In questo caso può venire in rilievo l'esigenza di assicurare l'effettività della tutela, ben potendosi a tal fine rievocare il monito della Corte costituzionale, a
fronte di possibili diverse scelte demandate al legislatore, in ordine alla verifica di un rimedio comunque praticabile.
Nel caso appena evocato, in cui l'errore coinvolga la posizione di un terzo interessato, deve in termini astratti ritenersi che, ove l'errore si traduca nella pretermissione della valutazione delle censure, il rimedio sia già in atto configurabile nella forma dell'incidente di esecuzione, in generale operante in tutti i casi in cui la posizione del terzo sia stata di fatto pretermessa, il che può discendere dalle più diverse cause, ad esempio dalla mancata citazione nel giudizio di merito.
Peraltro, in assenza di una specifica disciplina che regoli la materia, ben può ritenersi che, a fronte della mancata citazione di un soggetto o della mancata valutazione delle sue difese, ove dipendente da errore di fatto, non possa parlarsi di preclusione discendente da giudicato opponibile, fermo restando che all'esaurimento degli ordinari mezzi di gravame si sostituisce la contestazione "ab extrinseco", specificamente garantita dalla possibilità di attivare un incidente di esecuzione nelle forme previste, in relazione ai temi pretermessi, con la possibilità di giungere se del caso ad un nuovo giudizio di legittimità,
Conferma tale assunto il contenuto dell'art. 676 cod. proc. pen., che demanda alla fase dell'esecuzione plurime questioni esterne al giudicato, comprese quelle in materia restituzione di beni o confisca.
Si tratta all'evidenza di strumento che risulta applicabile in via interpretativa e coerente con le prospettabili esigenze di difesa, senza che possa dirsi imposta la formulazione di una questione di legittimità costituzionale, fermo restando che, in assenza della via interpretativa, la lacuna non potrebbe dirsi colmabile al di fuori di un intervento legislativo.
È comunque di tutta evidenza come i precedenti rilievi, formulati, si ribadisce, in termini astratti, non valgano ad elidere l'originaria inammissibilità del ricorso presentato in questa sede per difetto di legittimazione.
11. In conclusione, tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell'inammissibilità, a quello della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30 aprile 2025
Depositato in cancelleria il 29 luglio 2025.