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Maltrattamenti in classe: reato scatta anche per la violenza assistita

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.30123 del 01/07/2025 (dep. 02/09/2025)

Un insegnante che assiste a episodi di violenza in classe senza intervenire può essere condannato per maltrattamenti ex art. 572 c.p.?

La Sezione IV penale della Cassazione, con la sentenza n. 30123 depositata il 1° settembre 2025, ha risposto affermativamente, ha chiarendo che anche la condotta omissiva integra il reato quando l’insegnante si trova in una posizione di garanzia.

La vicenda

Il caso nasce da due maestri di una scuola dell’infanzia. Le telecamere hanno documentato episodi ripetuti di spinte, schiaffi, minacce e vessazioni ai danni di alunni molto piccoli. Una docente non ha partecipato direttamente alle violenze, ma è rimasta presente senza fare nulla.

La Corte d’Appello di Napoli ha ridotto solo l’interdizione dall’insegnamento, confermando la condanna.

La Cassazione ha rigettato i ricorsi degli imputati e accolto quello della parte civile su una minore che avrebbe assistito ai maltrattamenti, rinviando per la valutazione dei danni.

La normativa

Queste le norme di riferimento:

  • Art. 572 c.p.: il reato di maltrattamenti è un reato abituale, realizzabile sia con azioni violente che con omissioni.

  • Art. 40, comma 2, c.p.: «Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo».

  • Art. 571 c.p.: l’abuso dei mezzi di correzione non si applica quando vi sia violenza fisica o morale. La giurisprudenza (Cass., Sez. VI, n. 13145/2022) ribadisce che la violenza non può mai essere mezzo educativo.

  • Violenza assistita: la L. 69/2019 ha riconosciuto che anche il minore che assiste è persona offesa. La Cassazione (Sez. VI, n. 16583/2019) aveva già affermato questo principio.

La decisione della Corte

La Cassazione ha evidenziato come le condotte documentate dalle videoriprese fossero numerose e ravvicinate, quindi idonee a integrare l’elemento dell’abitualità richiesto dall’art. 572 c.p. Le violenze hanno creato un clima di sofferenza e sopraffazione, particolarmente grave data la tenera età dei bambini coinvolti.

La difesa aveva chiesto la riqualificazione in abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.), ma i giudici hanno escluso questa possibilità: l’uso della violenza non rientra mai tra i mezzi leciti di educazione.

Quanto alla docente rimasta inerte, la Cassazione ha ritenuto che la sua posizione di garante comportasse un obbligo giuridico di intervento. Non aver agito equivale, sul piano penale, a partecipare al reato.

Infine, sul piano civile, la Corte ha accolto il ricorso relativo a una minore che avrebbe assistito ai maltrattamenti: la Corte d’Appello non aveva motivato correttamente sul punto, nonostante vi fossero elenchi di classe, turni e videoriprese a confermare la sua presenza. Da qui l’annullamento con rinvio.

Conclusione

La Cassazione ribadisce che l’insegnante non può limitarsi a “non picchiare” gli alunni: ha un dovere attivo di vigilanza e protezione. L’omissione equivale a compartecipazione criminosa.

Per prevenire simili episodi, le scuole dovrebbero adottare protocolli chiari di segnalazione e formare il personale sugli obblighi di vigilanza.

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Cassazione penale, sez. VI, sentenza 01/07/2025, (dep. 02/09/2025) n. 30123

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d'Appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto l'interdizione dall'insegnamento nei confronti di Pi.Ge. e Li.Ma. ad anni due, confermando nel resto la condanna degli imputati per maltrattamenti aggravati (artt. 572; 61, n. 11 cod. pen.), perché, in qualità di maestri di una scuola di infanzia, sottoponevano gli alunni ad un regime vessatorio, cagionando loro offese fisiche e psicologiche.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso Pi.Ge. per il tramite dell'Avv. Gaetano Aufiero, deducendo i seguenti motivi.

2.1. Errata applicazione della fattispecie di maltrattamenti in famiglia e vizio di motivazione.

Ai fini della conferma della sentenza di primo grado, la Corte d'Appello ha argomentato dai messaggi del gruppo whatsapp, da cui si desumeva che diverse mamme riferivano di avere appreso dai propri figli che il maestro avrebbe dato uno schiaffo ad un bambino. Ma in appello si era osservato che da tale unico episodio non avrebbe potuto desumersi l'abitualità dei maltrattamenti e che la mancanza di accuse indiscriminate da parte del bambino non dimostrava la genuinità del suo narrato.

I Giudici di secondo grado hanno poi ritenuto sospetto e non giustificabile l'interessamento dell'imputato alle denunce, senza considerare spiegazioni alternative e senza valutare che, se tale atteggiamento fosse stato indice di pregressa colpevolezza, l'imputato avrebbe mutato comportamento e non avrebbe posto in essere ulteriori condotte, una volta venuto a conoscenza dell'avvio delle indagini.

La motivazione del provvedimento impugnato è inoltre viziata là dove afferma che la difesa non ha tenuto conto delle emergenze risultanti dall'informativa riepilogativa finale, ed ha sminuito i singoli episodi.

In tal modo, infatti, la sentenza di secondo grado ha contraddetto quella di primo grado - che aveva invece ammesso che qualche episodio potesse essere interpretato in maniera diversa e meno grave rispetto alla ricostruzione dell'accusa - e pure se stessa, avendo affermato che alcuni atti potrebbero non essere penalmente rilevanti o configurare il diverso reato di abuso di mezzi di correzione (art. 571 cod. pen.).

In genere, la sentenza è assertiva e non confuta analiticamente la prospettazione difensiva.

Elenca in modo generico le condotte qualificate come gratuitamente violente senza distinzione in ordine: all'autore delle stesse; al numero; ai tempi di commissione; alla motivazione; alle conseguenze.

Non spiega per quale ragione non si sia trattato di fatti episodici, pur riconoscendo che vi furono anche spontanee manifestazioni di affetto da parte del maestro imputato e momenti di serenità.

Lascia inesplorato il tema della genuinità delle risposte dei minori escussi poche settimane dopo lo scandalo derivato dalla pubblicazione della notizia dell'arresto dei maestri e dopo che i genitori erano stati convocati dalla polizia giudiziaria per visionare i filmati, né verifica l'attendibilità del minore che aveva affermato di aver ricevuto schiaffi dalla maestra, pur appartenendo ad una classe diversa.

Non considera la censura relativa al fatto che un bambino aveva riferito dell'uso di un bastone, tuttavia mai emerso nei video (tanto da non essere stato descritto nelle sentenze di merito).

Omette l'esame dei contenuti della consulenza tecnica di parte che confutava la bontà del metodo seguito dal perito, evidenziando l'opportunità che il perito e l'ausiliario del Giudice dell'incidente probatorio fossero persone diverse, e l'omessa indagine sulle modalità di prima rivelazione dei segreti, allo scopo di evitare suggestioni e influenze, essendosi lamentato sul punto un mancato approfondimento anamnestico.

Ancora, non tiene conto del contenuto delle dichiarazioni dei minorenni, procedendo ad una mera somma algebrica delle dichiarazioni di quattro di essi.

Trascura la scarsità numerica degli episodi, l'ampio arco temporale in cui si verificarono, la distanza tra gli stessi, la durata dell'intera giornata lavorativa, il fatto che la condotta dell'insegnante mai determinò una reazione di pianto nei bambini e il clima, nel suo complesso, mediamente disteso in classe.

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla qualificazione del fatto come maltrattamenti in famiglia e non abuso di mezzi di correzione.

La Corte d'Appello, esprimendosi in termini stereotipati, non ha spiegato perché il fatto non poteva essere qualificato ai sensi dell'art. 571 cod. pen., sebbene il reato di abuso dei mezzi di correzione sia compatibile con la reiterazione del gesto punitivo e con l'uso di una minima violenza fisica o morale. Neppure ha indicato la tipologia delle condotte verbali - se ingiuriose o minacciose - e si è confrontata con le risultanze probatorie, verificando se i comportamenti dell'imputato fossero proporzionati e necessari a salvaguardare i bambini dai pericoli da essi stessi creati.

3. Sempre per il tramite dell'avvocato Gaetano Aufiero, ha presentato ricorso Li.Ma. articolando motivi largamente coincidenti con quelli articolati dal precedente imputato e deducendo, tra l'altro, in aggiunta, nel primo motivo che, se l'imputata avesse tenuto comportamenti violenti nei confronti dei bambini, sarebbe stata segnalata dalle madri denuncianti e che alcuni bambini individuarono nell'imputata la maestra preferita o comunque, affermarono che si comportava bene.

All'esposizione della restante parte del ricorso di Pi.Ge., pertanto, si rinvia.

4. Ha impugnato la sentenza, per il tramite dell'Avv. Danilo Iacobacci, la parte civile Ge.Gi. in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale della minorenne An.Gi. articolando quattro motivi.

4.1. Violazione di legge penale sostanziale, processuale e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento del danno in favore della minorenne Pi.Ge..

La Corte d'Appello, pur condannando gli imputati, non ha riconosciuto il danno della minore An.Gi.

Tuttavia, in appello si era evidenziato: che la bambina apparteneva alla classe A), affidata anche alla maestra Li.Ma. che era pacificamente alunna del maestro Pi.Ge.il quale insegnava in tutte le classi, come dimostrato dai turni dell'anno scolastico; che la piccola riportò lesioni dirette, come emerge dalle sommarie informazioni testimoniali del padre e dalla fotografia agli atti; che la minore raccontò espressamente al padre non solo delle vessazioni direttamente subite, ma anche di aver assistito a maltrattamenti su altri. E si era evidenziato che gli altri bambini appartenenti alla medesima classe A), costituitisi parte civile, erano stati dichiarati tutti meritevoli di risarcimento dei danni perché direttamente percossi e maltrattati o perché spettatori dell'altrui maltrattamento. Sicché la motivazione risulta viziata anche perché contraddittoria.

4.2. Violazione di legge penale sostanziale, processuale e vizio di motivazione.

Sebbene dagli elenchi di classe e dai turni di insegnamento si evinca che la

bambina era presente durante gli episodi di maltrattamento, la Corte di appello non ha valutato tale dato e non ha motivato la decisione di non concedere alla stessa il risarcimento dei danni, ponendosi in contrasto con l'art. 2 Cost. e con gli artt. 3 e 19 Convenzione sui diritti dell'infanzia (sull'interesse superiore del minore e sulla protezione da abuso e negligenza).

4.3. Vizio di motivazione per violazione dei diritti umani della minorenne.

La decisione di negare il risarcimento dei danni alla minorenne senza adeguata motivazione configura una violazione dell'art. 8 CEDU, sul diritto al rispetto della vita privata e familiare.

4.4. Violazione di legge penale e processuale, nonché vizio di motivazione quanto al travisamento della prova.

La Corte di appello ha trascurato elementi probatori cruciali allegati all'atto d'appello ed includenti documenti, quali elenchi di presenza, turni di insegnanti e testimonianze video, che attestavano la presenza della minorenne negli ambienti e nel periodo in cui si verificavano i maltrattamenti, dimostrando dunque, quantomeno, gli elementi della violenza assistita.

5. Ha presentato conclusioni scritte la parte civile Ge.Gi. in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla minore An.Gi.

Nell'aderire alle deduzioni del Procuratore Generale, reputa i ricorsi degli imputati inammissibili perché volti a sollecitare una nuova valutazione delle risultanze probatorie e perché manifestamente infondati, basandosi su un'interpretazione giurisprudenziale superata dell'art. 571 cod. pen. e su un'errata lettura della norma incriminatrice.

Precisa che l'abitualità dell'art. 572 cod. pen. non richiede una condotta ininterrotta o quotidiana, né una durata specificamente prolungata, essendo sufficiente una pluralità di atti offensivi posti in essere anche in un periodo ristretto, purché idonei a creare un clima di costante sopraffazione e disagio, laddove le deduzioni difensive tendono ad isolare i singoli episodi.

Quanto al proprio ricorso, insiste sul travisamento delle risultanze istruttorie.

La prova della presenza della minore nella classe degli imputati emerge dalle risultanze documentali e dai turni di servizio versati in atti, che dimostrano come la minore frequentasse la classe A, assegnata alla maestra Li.Ma. e rientrante nel perimetro operativo del maestro Pi.Ge., insegnante in tutte le classi dell'istituto (elenchi nominativi degli alunni e prospetti dei turni settimanali), essendosi omessa anche la valutazione delle videoriprese (dei mesi di aprile e maggio 2019) che attestano la presenza della minore all'interno della classe durante gli episodi oggetto di imputazione.

Manifestamente contraddittoria è, quindi, la valutazione dei danni subiti dalla minorenne rispetto agli altri compagni di classe, posto che la decisione impugnata ha riconosciuto la risarcibilità dei danni per tutti gli altri compagni di classe della minore, basandosi sul principio del maltrattamento anche assistito.

Né sono state considerate le lesioni documentate e le dichiarazioni del padre, da cui emerge che la minorenne riportò anche lesioni dirette, oltre ad avere manifestato, nei colloqui familiari, timori, rendendo racconti coerenti di violenze vissute oppure osservate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi degli imputati Pi.Ge. e di Li.Ma. che, essendo per massima parte coincidenti, possono essere esaminati in modo congiunto sono infondati e vanno dunque rigettati.

1.1. Il primo motivo di entrambi i ricorsi opera una strumentale parcellizzazione del materiale probatorio, invece apprezzato in modo unitario dai Giudici di merito, con motivazione ampia, completa e tutt'altro che manifestamente illogica,

Sul punto, in replica alle deduzioni difensive, va preliminarmente ricordato che l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841).

E che a tale insegnamento sì è conformata la Corte d'Appello di Napoli.

Essa, infatti, ha innanzitutto precisato come il procedimento in oggetto avesse preso l'avvio dalla denuncia di due madri, le quali avevano riportato i contenuti della chat whatsapp, da cui emergevano le condotte maltrattanti.

Ha aggiunto che tale ipotesi trovò conferma nelle riprese delle videocamere istallate le quali, nell'arco di due mesi, documentarono episodi: numerosi, ripetuti vuoi anche nell'arco della stessa giornata, condensati in un contenuto lasso di tempo - dal che l'indiscutibile abitualità, requisito costitutivo dell'art. 572 cod. pen. -, realizzati addirittura quando gli imputati erano già a conoscenza delle indagini in atto (incidentalmente, la buona fede che si pretende di farne discendere nulla toglie all'elemento soggettivo del reato, che si atteggia in chiave di dolo generico e, quindi, di mera coscienza e volontà della condotta).

Ha poi riportato in modo analitico - elencandoli uno per uno - tali episodi, evidenziando come essi consistettero in atteggiamenti gratuitamente violenti verso gli alunni i quali, tra le altre cose, erano tirati per le braccia e trascinati con forza nei vari spostamenti, anche a costo di farli rovinare a terra, venivano presi per il grembiule e colpiti sulla testa, subivano calci nel sedere, spintoni o schiaffi, venivano variamente minacciati ed incitati a picchiarsi l'un l'altro.

Ciò ha fatto al dichiarato scopo di dimostrare come la difesa non avesse negato la realizzazione dei comportamenti condotte, ma si fosse limitata a dare un apprezzamento diverso da quello motivatamente espresso in primo grado.

Quanto alle censure relative alla modalità dell'incidente probatorio, la circostanza che la piattaforma probatoria fosse rappresentata in prevalenza da intercettazioni ambientali avrebbe potuto essere considerata, già di per sé, sufficiente ai fini dell'affermazione della responsabilità penale, escludendo la decisività di quanto dichiarato dai bambini - di età prescolare - e così negando, in radice, rilievo alle deduzioni difensive.

Ma la Corte d'Appello ha comunque rivendicato la correttezza dei loro racconti e, a tal fine, ha precisato - con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità - che i minorenni furono lasciati liberi di esprimersi con parole proprie, che vennero rispettati i tempi delle risposte e che la spontaneità di queste ultime non venne compromessa, essendosi evitate domande suggestive.

Per poi aggiungere come non tutti i genitori dei minori maltrattati si fossero costituiti parte civile - a riprova del fatto che non ci fu accanimento verso gli insegnanti - e, soprattutto, che il pericolo di contagio dichiarativo fu scongiurato, dal momento che le dichiarazioni vennero state acquisite prontamente e con tutte le garanzie, nell'immediatezza dei fatti.

Mentre, quanto alle modalità di assunzione della perizia, dopo averne rilevato la correttezza, in ordine all'opportunità di tenere distinti i ruoli del perito e dell'ausiliario, la Corte d'Appello ha citato Sez. 5, n. 17951 del 07/02/2020, Zilio, Rv. 279175, secondo cui sussiste l'incompatibilità con l'ufficio di testimone solo per l'ausiliario in senso tecnico, che appartiene al personale della segreteria o della cancelleria dell'ufficio giudiziario, e non invece in relazione ad un esperto, estraneo all'amministrazione giudiziaria, che abbia svolto occasionalmente funzioni di ausiliario della polizia giudiziaria in fase di indagini preliminari. Per inciso, si tratta di massima di diritto che i ricorrenti reputano non pertinente ma che invece svela, a fortiori, l'equivoco terminologico in cui essi sono incorsi, dovendosi assumere -in assenza di deduzioni contrarie - che l'ausiliario della cui opera il Tribunale si era avvalso, fosse proprio un tecnico esterno.

I Giudici di secondo grado hanno anche replicato alle critiche sull'omesso approfondimento in ordine alle modalità di prima rivelazione delle notizie, escludendo l'ipotesi di c.d. "contagio dichiarativo" e ricordando come l'indagine si fosse sì avviata a partire da un allarme diffuso nella chat dei genitori, ma che, come già evidenziato, venne presto disposta l'attivazione del servizio di videosorveglianza - che innegabilmente fornì la prova principale del processo -per poi anche precisare come, dei minori sentiti, ben cinque si soffermarono sui

comportamenti di Pi.Ge. e quattro su quelli di Li.Ma. la perizia avendo confermato l'attendibilità astratta delle loro dichiarazioni.

Per converso, e in conclusione, le deduzioni dei ricorrenti appaiono poco perspicue, per lo più meramente ipotetiche e congetturali, comunque sprovviste di quella forza logica che invece sprigiona un compendio probatorio essenzialmente formato, come più volte sottolineato, da videoriprese.

1.2. Anche il secondo motivo dei due ricorsi è infondato.

In ordine alla riqualificazione della condotta in abuso dei mezzi di correzione (art. 571 cod. pen.), la Corte d'Appello, per un verso, correttamente ha ravvisato la configurabilità degli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti in famiglia di cui, nel caso di specie, ricorrono sia l'abitualità delle condotte, sia l'induzione di uno stato di sofferenza e di umiliazione come effetto della instaurazione di un generale clima vessatorio: conclusione vieppiù evidente, se si considera che, nel caso di specie, persone offese erano bambini in età prescolare, come tali vulnerabili e particolarmente esposti al rischio di danni psicologici.

Peraltro verso, altrettanto correttamente ha escluso la configurabilità dell'art. 571 cod. pen., sulla base dell'ormai pacifica giurisprudenza di legittimità, secondo cui esula dal perimetro applicativo di tale fattispecie qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorché sostenuta da animus corrigendi, atteso che, secondo la linea evolutiva tracciata dalla Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l'esercizio lecito del potere correttivo ed educativo - che mai deve deprimere l'armonico sviluppo della personalità del minore - lì dove l'abuso ex art. 571 cod. pen. presuppone l'eccesso nell'uso di mezzi che siano in sé giuridicamente leciti (Sez. 6, n. 13145 del 03/03/2022, M., Rv. 283110).

In altre parole, assunto l'arcaico termine "correzione" di cui all'art. 571 cod. pen. nel senso di "educazione", il presupposto applicativo della fattispecie di cui all'art. 571 cod. pen. è un uso immoderato (appunto, ab-uso) di mezzi educativi che, però, per loro natura, devono essere pur sempre leciti, il ricorso alla violenza non essendo mai consentito per fini correttivi o educativi.

Laddove, per contro, molte delle condotte qui sinteticamente descritte furono, appunto, anche fisicamente, violente.

2. Fondato è, invece, il ricorso della parte civile Pi.Ge., che lamenta un vizio di motivazione sub specie di travisamento della prova per omissione.

La Corte di appello ha ineccepibilmente attribuito valore sia ai maltrattamenti "diretti" nei confronti di alcuni minori, sia ai maltrattamenti "assistiti", rivestisti di rilievo legislativo penale dall'art. 9, comma 2, lett. c) legge 19 luglio 2019, n. 69

(il quale ha esplicitato che il minorenne che assiste ai maltrattamenti è persona offesa del reato), che però ha recepito il pacifico orientamento di questa Corte, sicché, già prima della novella, il reato era configurabile anche nei confronti dei minori presenti alle violenze fisiche e psicologiche realizzate a danni diretti di terzi (ex multis, Sez. 6, n. 16583 del 28/03/2019, A., Rv. 275725).

Tuttavia, pur escludendo che sussista la prova che la minore Gi.An. fosse anche solo presente ai maltrattamenti, i Giudici nulla hanno replicato alle deduzioni - specifiche e supportate da allegati - della suddetta parte civile.

Essendo la valutazione degli atti su cui si fondano le censure difensive preclusa a questa Corte, si impone l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice civile dell'appello competente per valore sul punto relativo al rigetto dell'appello proposto dalla parte civile Pi.Ge..

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso della parte civile Gi.Ge. in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla minore Gi.An. annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con riferimento alla predetta parte civile, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado d'appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità. Rigetta i ricorsi degli imputati Pi.Ge. e Li.Ma. che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in Euro 3.686 in favore di De.Gi.e in Euro 3.686 in favore di Gi.An. nonché in Euro 4.350 in favore di Ce.Ma. e Del Fr.An., in Euro 4.350 in favore di Ca.Ar. ePe.Gi., e in Euro 4.350 in favore di rU.Sa. e Ma.Ga. oltre per tutte le parti accessori di legge.

Così deciso il 01 luglio 2025

Depositato in cancelleria il 2 settembre 2025.

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