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Accesso abusivo a sistema informatico: rileva l’overruling sfavorevole?

Corte di Cassazione, sez. V Penale, Sentenza n.30516 del 12/06/2025 (dep. 10/09/2025)

Può un mutamento giurisprudenziale peggiorativo – il cosiddetto overruling in malam partem – incidere sulla responsabilità penale di chi ha commesso un fatto quando vigeva un orientamento diverso?

La Cassazione, sez. V penale, ha affrontato recentemente la questione con la sentenza n. 30516 depositata il 10 settembre 2025, riguardante il reato di accesso abusivo a sistema informatico.

Il caso

Un sovrintendente della Polizia di Stato aveva effettuato ricerche sullo SDI (Sistema di indagine del Ministero dell’Interno) per motivi personali, legati alla compagna e al figlio di lei.

In appello era stato assolto con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, richiamando la giurisprudenza più favorevole.

La Procura ha impugnato la decisione davanti alla Cassazione.

Il nodo interpretativo

La questione nasce dal confronto tra due pronunce delle Sezioni Unite:

  • Casani (2011): integra il reato anche chi, pur abilitato, accede violando i limiti stabiliti dal titolare del sistema; irrilevante il movente soggettivo.

  • Savarese (2017): punibile anche chi, pur formalmente abilitato, entra nel sistema per finalità ontologicamente estranee a quelle consentite, soprattutto se pubblico ufficiale.

La difesa aveva sostenuto che il fatto era stato commesso in un momento in cui l’orientamento interpretativo non era ancora consolidato e che l’imputato non poteva prevedere l’evoluzione più sfavorevole.

La decisione della Cassazione

Secondo la Corte, non c’è stato un vero overruling sfavorevole. La sentenza Savarese non ha rovesciato il principio stabilito da Casani, ma lo ha sviluppato, chiarendo che anche l’uso distorto delle credenziali da parte di chi è autorizzato integra il reato di art. 615-ter c.p.. Si tratta, quindi, di un’evoluzione interpretativa fisiologica e non di una svolta imprevedibile.

Il richiamo alla categoria dell’overruling in malam partem – valorizzata in passato dalla sentenza Boenzi (2024) – non è applicabile quando manca un orientamento univoco e consolidato che possa fondare un legittimo affidamento dell’imputato.

Conclusioni

La Suprema Corte ha annullato l’assoluzione con rinvio alla Corte d’appello di Bologna. L’accesso al sistema informatico per motivi estranei al servizio non è un’area grigia, ma rientra nella fattispecie dell’accesso abusivo.

Il principio che emerge è chiaro: l’overruling sfavorevole può incidere solo se si è di fronte a un mutamento giurisprudenziale davvero innovativo, capace di sorprendere chi abbia fatto affidamento su una regola precedente stabile. Diversamente, l’evoluzione interpretativa non scusa l’abuso.

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Cassazione penale, sez. V, sentenza 12/06/2025 (dep. 10/09/2025) n. 30516

RITENUTO IN FATTO

1. Il Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Bologna ricorre avverso la sentenza della citata Corte territoriale con cui, in riforma della decisione del Tribunale di Modena del 14.09.2023, l'imputato appellante Pi.Va. - sovrintendente della Polizia di Stato, accusato di essersi introdotto nella banca dati informatica SDI del Ministero dell'Interno per motivi estranei a quelli consentitigli - è stato assolto con formula "perché il fatto non costituisce reato" dal delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 615-fer, comma 2, nn. 1 e 3, cod. pen., commesso, secondo la contestazione, il 7.9.2017, ai sensi dell'art. 5 cod. pen., come interpretato dalla sentenza Sez. 6, n. 28594 del 26/3/2024, Boenzi, Rv. 286770.

L'imputato avrebbe abusivamente interrogato la banca dati ministeriale sui nominativi della compagna e del figlio di lei.

2. Il ricorso consta di un unico motivo, collegato alla denuncia di vizi di violazione di legge e di motivazione manifestamente illogica del provvedimento impugnato, che ha applicato i principi della sentenza Sez. 6, n. 28594 del 26/3/2024, Boenzi, Rv. 286770, secondo cui costituisce causa di esclusione della colpevolezza il mutamento di giurisprudenza "in malam partem", nel caso in cui l'imputato, al momento del fatto, poteva fare affidamento su una regola stabilizzata, enunciata dalle Sezioni Unite, che escludeva la rilevanza penale della condotta e non vi erano segnali, concreti e specifici, che inducessero a prevedere che, in futuro, le Sezioni Unite avrebbero attribuito rilievo a quella condotta, rivedendo il precedente orientamento in senso peggiorativo, ad un'ipotesi in cui il reato è stato commesso quando il mutamento sfavorevole era già intervenuto.

In relazione alla fattispecie in esame, relativa al delitto di accesso abusivo a sistema informatico o telematico - che è quella al centro del principio di diritto stabilito dalla pronuncia della Sesta Sezione penale -, l'opzione definita come meno rigorosa e stabilizzata dalla sentenza delle Sezioni Unite, n. 4694 del 2011, dep. 2012, Casani, Rv. 251269 sarebbe stata superata dall'orientamento di Sez. U, n. 41210 del 2017, Savarese, Rv. 271061, produttivo di un overruling sfavorevole.

Secondo il ricorrente, non ci si trova dinanzi ad' un'ipotesi di overruling favorevole, anche perché il reato è stato commesso, secondo l'accusa, in data 7.9.2017, mentre la pronuncia Sez. U, Savarese è stata emessa il 18.5.2017, sicché da mesi l'imputato non aveva più ragione di fare affidamento sull'esistenza di quella regola stabilizzata sulla cui scorta è stato assolto e, pertanto, la sua condotta era sorretta dal coefficiente soggettivo richiesto.

3. Il Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d'Appello di Bologna, ritenendo il ricorso fondato.

4. La difesa dell'imputato ha depositato memorie con le quali rappresenta l'infondatezza delle ragioni di ricorso del pubblico ministero, evidenziando che la sentenza delle Sezioni Unite che ha dato luogo all'overruling sfavorevole è stata sì emessa pochi mesi "prima" dell'accesso abusivo contestato, ma le sue motivazioni sono state depositate soltanto "dopo" la condotta, datata 7.9.2017.

Pertanto, non può ipotizzarsi alcuna consapevolezza da parte dell'imputato della diversa interpretazione del precetto normativo adottata, rispetto al precedente e meno rigoroso orientamento, poiché non si può pretendere che questi conoscesse la mera notizia di decisione, diffusa al più tra gli operatori del diritto che seguono il Servizio novità predisposto dalla Cassazione.

Il difensore evidenzia anche che la ricerca riferita alle riviste giuridiche pubblicate in quei mesi restituisce un unico risultato di commento (su Diritto Penale Contemporaneo), a riprova della scarsa diffusione del mutamento giurisprudenziale sugli ordinari strumenti di informazione giuridica.

Inoltre, fino a novembre 2017 non risultano sentenze di legittimità che abbiano ribadito l'opzione più sfavorevole adotta, stabilizzandola e diffondendone la portata innovativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, per le ragioni che si indicheranno di seguito.

2. Anzitutto, va analizzata la questione relativa a se, nell'ordinamento penale interno, possa trovare spazio l'overruling sfavorevole.

Qualora, infatti, non vi fosse possibilità di conferire rilevanza al mutamento giurisprudenziale che produca effetti interpretativi peggiorativi per l'imputato, nell'applicazione di una disposizione penale di natura sostanziale, allora il quesito posto dal ricorso, sulla scia di una recente decisione della Corte di cassazione (Sez. 6, n. 28594 del 26/3/2024, Boenzi, Rv. 286770) che ammette tale rilievo, dovrebbe comunque essere risolto negativamente.

2.1. In realtà, nel nostro ordinamento penale, pur improntato ai principi di legalità formale e della riserva di legge sanciti dall'art. 25 della Costituzione e dall'art. 1 cod. pen., è necessario disegnare un perimetro di intervento per l'impatto sulle posizioni individuali del mutamento giurisprudenziale sfavorevole della legge penale sostanziale, in rapporto al carattere essenziale del principio di legalità: l'irretroattività della disposizione incriminatrice (art. 25, comma 2, Cost. e art. 2 cod. pen.).

Non può mettersi in dubbio, infatti, che, con l'attività interpretativa, i giudici danno concretezza alle fattispecie penali nel diritto vivente, adattandole alle modifiche intervenute nella società, ai tempi e con riferimento ai casi concreti, e fornendo di esse letture costituzionalmente orientate o aderenti ai principi desumibili dal diritto dell'Unione europea ovvero alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

In tale contesto, è necessario, per la giurisprudenza della Cassazione, interrogarsi sempre più profondamente sul tema della "nuova legalità", una legalità non più solo "legalistica", ma basata sulla norma di provenienza legislativa, il cui volto viene costruito con l'ausilio del "diritto giurisprudenziale", dell'interpretazione che dà vita alle norme volute dal legislatore, le quali, con il loro testo, ovviamente costituiscono i cancelli entro i quali il formante giurisprudenziale può agire (in tema, cfr. Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, Beschi, Rv. 246651).

Si tratta di una presa di coscienza "realistica", che descrive un carattere ineluttabile dell'applicazione della legge, anche di quella penale: la sua interpretazione giurisprudenziale contribuisce in modo strutturale alla creazione della norma "vivente".

La "nuova legalità" in action - secondo la definizione da tempo coniata dalla dottrina - implica questioni relative all'esigenza di applicazione delle regole di prevedibilità e tassatività all'attività ermeneutica, sia pur nel contesto di un ordinamento declinato secondo uno schema, immutato, di legalità formale, poiché, preso atto della funzione essenziale del formante giurisprudenziale, è necessario "governare" questa nuova realtà.

Le esigenze appena citate derivano direttamente dalla garanzia prevista dall'art. 7 CEDU, sicché occorre chiedersi, per verificare il rispetto del principio di irretroattività della disposizione penale, se un individuo possa, in una determinata ipotesi, concretamente prevedere l'estensione interpretativa, da parte della giurisprudenza, dell'area della punibilità di una norma a condotte diverse ed ulteriori rispetto a quelle sino ad allora in esse ricomprese e che "vigevano" (o rectius "vivevano") al momento del fatto in valutazione.

Il tema della (im)prevedibilità corre parallelo, dunque, a quello dei contrasti "diacronici", vale a dire degli orientamenti contrastanti che si susseguono nell'ambito di un determinato periodo, il più recente scalzando e superando quello antecedente.

Anche se non ogni contrasto diacronico genera automaticamente la necessità di impedire la retroattività del dispiegarsi di un orientamento interpretativo innovativo, dovendosi misurare, piuttosto, in ogni caso, l'imprevedibilità complessiva del mutamento determinatosi, rapportandolo alle modifiche sociali di un determinato periodo storico e al concreto atteggiarsi della fattispecie oggetto di giudizio.

Il contrasto "sincronico", invece, non attiene al mutamento giurisprudenziale e incide sulla prevedibilità solo in termini di effettiva conoscibilità del precetto nel suo volto concretamente disegnato dall'interpretazione; il contrasto sincronico di per sé non può generare imprevedibilità da overruling non essendovi, in tale ipotesi, un orientamento stabile e sicuro che sia stato superato, bensì due o più opzioni ermeneutiche antagoniste nel medesimo contesto temporale di riferimento.

Ecco perché è stato condivisibilmente affermato che il principio, secondo cui il non prevedibile mutamento della precedente e consolidata interpretazione di una norma processuale penale da parte della Corte di cassazione (c.d. "overruling") non si applica in pregiudizio della parte che abbia incolpevolmente confidato in un precedente indirizzo ermeneutico, non può essere invocato nel caso in cui sussista un contrasto giurisprudenziale ancora "attivo" al momento della commissione del fatto (Sez. 6, n. 23060 del 19/04/2023, R., Rv. 285640).

Il contrasto, infatti, è una forma di fisiologico sviluppo dell'interpretazione giurisprudenziale.

Le Sezioni Unite, nella motivazione della sentenza Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019, Genco, Rv. 278054, hanno confermato che il contrasto, di per sé, non implica imprevedibilità, ma può assumere rilevanza, eventualmente, in termini di conoscenza/conoscibilità e determinatezza del precetto.

Il caso sottoposto alle Sezioni Unite era quello generatosi dalla decisione della Corte EDU, Contrada c. Italia, del 15 aprile 2015 in relazione al reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Emerge dalla sentenza Sez. U, Genco una considerazione: se il binomio legislatore-giurisprudenza dà un messaggio contraddittorio nella lettura del precetto penale, mediante il manifestarsi di un contrasto sincronico, l'individuo, di fronte al dubbio, ha la possibilità di valutare la rilevanza penale della condotta, sicché, in ultima analisi, non può invocare la inevitabilità dell'ignoranza del precetto.

Ancora le Sezioni Unite, nella sentenza Sez. U, n. 16153 del 18/01/2024, Clemente, Rv, 286241-02, hanno validato autorevolmente la prospettiva, da ribadirsi in questa sede, secondo cui l'incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell'interpretazione e nell'applicazione di una norma non abilita, da sola, ad invocare la condizione soggettiva d'ignoranza inevitabile della legge penale, atteso che il dubbio circa la liceità o meno di una condotta, ontologicamente inidoneo ad escludere la consapevolezza dell'illiceità della medesima, deve indurre l'agente ad un atteggiamento di cautela, fino all'astensione dall'azione.

Infine, nella recentissima sentenza Sez. U, n. 27515 del 10/04/2025, Valca, la Cassazione ha osservato, in chiave prospettica rispetto al quesito sottopostole, che ciò che realmente rileva ai fini dell'overruling è, necessariamente, un pregresso indirizzo di tale significanza da non potere lasciare dubbi di sorta al destinatario del precetto circa le conseguenze, penali o meno, della propria azione (la precisazione sulla necessità che l'orientamento, per creare "affidamento" nei consociati, promani dalle Sezioni Unite è tratta, poi, in parte, dall'eco di Sez. U, n. 8052 del 26/10/2023, dep. 2024, Rizzi, non mass, sul punto).

2.2. Analizzando il tema dell'overrulling, la citata sentenza Boenzi ha posto una distinzione tra mutamento giurisprudenziale evolutivo e mutamento giurisprudenziale innovativo.

Le interpretazioni estensive, di adattamento, di specificazione, che rispettano i requisiti di ragionevolezza e di conformità al "precedente" e rappresentano un'evoluzione fisiologica del dato legale sono "evolutive" e, quindi, prevedibili.

Le interpretazioni che l'agente non è in grado di rappresentarsi al momento del fatto sono "innovative" e devono ritenersi imprevedibili; in questa seconda categoria rientrano tutte quelle situazioni in cui il mutamento giurisprudenziale, di fatto, rende penalmente rilevante un'area di condotte che prima era ritenuta lecita dall'interpretazione dominante e ciò fa per venire incontro alle più disparate esigenze di evoluzione interpretativa motivate dall'impatto con le mutate esigenze del quadro giuridico-sociale.

Si può essere d'accordo con tale categorizzazione di massima, segnalando, tuttavia, che il discrimine tra le due tipologie di mutamento giurisprudenziale non passa attraverso la constatazione dell'assenza o meno di precedenti ermeneutici, che pure potrebbe caratterizzare la prima tipologia di overruling, dovendo invece la natura dei fenomeni di mutamento essere catalogata come innovativa o evolutiva secondo i contenuti di tali precedenti e a prescindere dalla loro esistenza o meno, nel confronto con la percezione giuridico-sociale e la capacità di orientamento dell'individuo medio (cfr., per un'impostazione coerente a quella appena richiamata, Sez. 4, n. 45935 del 13/06/2019, PG., Rv. 277869 - 02).

La stessa Corte EDU, peraltro, come ha rilevato Sez. U, Genco, ritiene che possa essere oggetto di valutazione l'evoluzione della considerazione sociale del comportamento come antigiuridico, ritenendo "prevedibile" l'incriminazione persino se in contrasto con un testo normativo dal tenore liberatorio e pur in assenza di indicatori orientativi oggettivi (cfr. Corte EDU, S.W. c. Regno Unito, del 22 novembre 1995 e Corte EDU, Muller c. Svizzera, del 24 maggio 1988).

Come ha chiarito la dottrina, il diritto è una scienza pratica, immersa nella realtà relazionale della società e dei suoi cambiamenti.

In numerose pronunce della Corte di Strasburgo, poi, è accolta, accanto alla rilevanza degli indicatori oggettivi di prevedibilità, anche la concezione soggettiva della prevedibilità, apprezzata in riferimento ad attività professionali, qualifiche ed esperienze individuali, dalle quali si è ricostruito il dovere per l'imputato, nonché la materiale possibilità, di conoscere l'illiceità penale dei comportamenti che aveva in animo di tenere (cfr., tra le altre, Corte EDU, X e Y c. Francia, del 1 settembre 2016; Corte EDU, Soros c. Francia, del 6 ottobre 2011; Corte EDU, Pessino c. Francia, del 10 ottobre 2006; vedi, in generale, Corte EDU, Sunday Times c. Gran Bretagna, del 26 aprile 1979 e Corte EDU, Tolstoy c. Gran Bretagna, del 13 luglio 1995).

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno già tracciato la strada anche in punto di rapporto tra evoluzione sociale e overruling.

La sentenza Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, M., Rv. 274087-01, infatti, confrontandosi con un proprio precedente del 2000 e affermando che, ai fini dell'integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all'art. 600-ter, comma 1, cod. pen., non è richiesto l'accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale, ha ribadito la possibilità di ingresso nel nostro ordinamento del prospettive overruling, in via astratta (alla luce dell'art. 7 CEDU e della giurisprudenza della Corte EDU, in particolare analizzando la sentenza Corte EDU, GC, Rio Prada c. Spagna del 21 ottobre 2013).

Tuttavia, nel caso di specie, si è esclusa la rilevanza del mutamento giurisprudenziale in termini di imprevedibilità rapportandosi all'evoluzione della società, vista nel prisma del progresso della tecnologia informatica. Secondo le Sezioni Unite, la diffusività immediata di tali materiali attraverso dispositivi informatici rappresenta un dato evidente, conosciuto e conoscibile da parte di tutti i consociati. Ecco che, dunque, la "prevedibilità" si nutre del quadro socio-tecnologico del momento in cui il fatto si è verificato per leggere il fenomeno dell'overruling in modo "storicizzato".

2.3. Se il mutamento giurisprudenziale sfavorevole assume risvolti problematici perché incide su fatti commessi quando predominava l'orientamento "favorevole", generatore di affidamento, è pur vero che il dominio dell'opzione di irrilevanza penale deve essere incontrastato per generare tale affidamento.

D'altro canto, come si è già poc'anzi evidenziato, non devono esservi condizioni sociali, giuridiche, storiche tali da generare dubbio nell'individuo al cospetto del precetto penale, poiché il dubbio, come si è già chiarito, determina la possibilità di previsione dell'incriminabilità di una certa condotta.

Per ovviare, dunque, a situazioni di possibile, rilevante frizione tra il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole e l'imprevedibilità del precetto causata dal mutamento giurisprudenziale, la sentenza Boenzi ha affermato che costituisce causa di esclusione della colpevolezza il mutamento di giurisprudenza "in malam partem", nel caso in cui l'imputato, al momento del fatto, poteva fare affidamento su una regola stabilizzata, enunciata dalle Sezioni Unite, che escludeva la rilevanza penale della condotta e non vi erano segnali, concreti e specifici tali da indurre a prevedere che, in futuro, le Sezioni Unite avrebbero attribuito rilievo a quella condotta, rivedendo il precedente orientamento in senso peggiorativo.

La Sesta Sezione ha agito attraverso la leva dell'art. 5 cod. pen. - come interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 364 del 1988, che ha affermato l'illegittimità della citata disposizione, nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale, l'ignoranza inevitabile - direttamente piegando tale disposizione normativa all'esigenza di dare attuazione al principio dell'irretroattività del mutamento giurisprudenziale (overruling) sfavorevole, ed ha aperto un dibattito in dottrina, con molte voci che hanno salutato con favore quella che è stata ritenuta una svolta nell'ermeneutica della Corte di legittimità.

Tuttavia, già in precedenza la Cassazione aveva conferito valore all'overruling sfavorevole, in alcune ipotesi peculiari assimilandolo ad una modifica normativa in malam partem (cfr., Sez, U, n. 18288 del 21/01/2010, Beschi, Rv. 246651, che, in seguito ad un mutamento dell'orientamento dominante dovuto ad un intervento delle Sezioni Unite, ha ritenuto ammissibile la riproposizione, in sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell'indulto in precedenza rigettata).

In generale, sul tema della prevedibilità del mutamento giurisprudenziale in malam partem è sempre stato dominante l'orientamento secondo cui l'applicazione retroattiva dell'interpretazione giurisprudenziale più sfavorevole di una norma penale non è consentita, salvo che il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del fatto, pena la violazione degli artt. 2 cod. pen., 25 Cost. e 7 CEDU (così, Sez. 3, n. 46184 del 23/11/2021, M., Rv. 282238; Sez. 5, n. 37857 del 24/04/2018, Fabbrizzi, Rv. 273876; Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016, Tronchetti Provera, Rv. 267164; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, Rv. 256584).

Le esigenze di dare rilievo, dunque, all'overruling sfavorevole sono state da tempo prese in considerazione dalla Corte di cassazione, anche molti anni prima dell'ultima pronuncia della Sesta Sezione penale, che è stata posta alla base della decisione di assoluzione presa nel caso all'esame del Collegio; una pronuncia la quale ha certamente il merito di avere proposto un diverso punto di vista della questione che era rimasta sin qui confinata - fatta salva l'applicazione delle Sezioni Unite, Beschi - ad enunciazioni di principio calibrate sull'art. 7 CEDU e sui principi costituzionali, ma in fattispecie nelle quali non si erano ritenute sussistenti ipotesi di mutamento giurisprudenziale sfavorevole "imprevedibile" e, pertanto, irretroattivo.

In sintesi, non si era affrontato mai direttamente il tema, in qualche modo "sovversivo" del sistema di legalità penale adottato nel nostro ordinamento, delle conseguenze dogmatiche dell'applicazione del principio di irretroattività al precedente giurisprudenziale sfavorevole, e cioè del suo presupporre, se interpretato come criterio "a valle", la questione dell'equiparazione del diritto vivente alla legge.

Radicare nell'art. 5 cod. pen., come interpretato dalla Corte Cost. con la sentenza n. 364 del 1988, le ragioni di legalità connesse all'esigenza di tutelare l'individuo da surrettizie applicazioni retroattive di norme penali sfavorevoli rappresenta una scelta di intelligente equilibrio tra tale esigenza e la necessità di conservare la coerenza del sistema penale basato sul primato della legge sull'interpretazione, nella convinzione che il diritto vivente non può comunque essere equiparato alla legge.

Le garanzie di legalità non "legalistica" ma effettiva si servono della categoria della colpevolezza, attraverso lo strumento dell'art. 5 cod. pen., per riconoscere valenza alle ragioni di giustizia sostanziale che impongono di non applicare retroattivamente una norma penale "imprevedibile" perché figlia di un overruling improvviso e non preventivabile. In tal modo, come è stato notato da autorevole dottrina, si chiarisce che la categoria dell'irretroattività vige per la legge e non opera per il mutamento giurisprudenziale, ancorché qualificato.

Oggi più che mai, del resto, grazie all'art. 618, comma 1 -bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 103 del 2017, l'ordinamento processuale penale interno è proiettato verso l'adozione di un sistema che riconosce il valore del "precedente" - seppure inteso in senso relativo, nel rapporto dialettico tra Sezioni semplici e Sezioni Unite della Cassazione -, con la conseguenza che deve riconoscersi ancora maggiore rilievo al problema della possibilità di rendere applicabile un mutamento giurisprudenziale sfavorevole a fatti realizzati prima del suo consolidamento (sul tema del mutamento giurisprudenziale "favorevole", invece, cfr. la sentenza n. 230 del 2012 Corte cost.; vedi anche, in generale, le sentenze nn. 24 del 2017; n. 115 del 2018; n. 9 del 2021 Corte cost.).

In presenza, infatti, di pronunce delle Sezioni unite sempre più rilevanti per effetto del "vincolo" da esse derivante (soft - procedimentale, nei confronti delle Sezioni semplici della Cassazione e soft, per crescente autorevolezza, nei confronti dei giudici di merito) e di un sistema che, proprio grazie all'art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., vuole puntare ad assicurare maggiore uniformità alla giurisprudenza e, per questo, maggiore prevedibilità e stabilità, il mutamento giurisprudenziale si atteggia sempre più come una vera e propria modifica legislativa; e tuttavia, il nostro sistema interno di legalità penale non tollera l'applicazione automatica dei canoni di irretroattività della legge all'overruling. Deve essere affermato, pertanto, che costituisce causa di esclusione della colpevolezza il mutamento di giurisprudenza "in malam partem", nel caso in cui l'imputato, al momento del fatto, poteva fare affidamento su una regola giurisprudenziale stabilizzata, ancor più se basata su affermazioni delle Sezioni Unite, che escludeva la rilevanza penale della condotta e non vi erano segnali, concreti e specifici tali da indurre a prevedere che, in futuro, la giurisprudenza di legittimità avrebbe attribuito rilievo a quella condotta, rivedendo il precedente orientamento in senso peggiorativo.

2.4. La soluzione che si muove sul piano della colpevolezza appare, dunque, realmente capace di trovare la quadra ai numerosi problemi che si agitano nelle correnti profonde che percorrono il tema del mutamento interpretativo sfavorevole.

Accessibilità e conoscibilità della norma, prevedibilità della decisione e conoscibilità delle conseguenze del proprio agire dipendono, infatti, sia dal livello qualitativo delle norme da interpretare sia dalla stabilizzazione dell'orientamento interpretativo che di quella disposizione definisce il volto concreto.

Il diritto "di cambiare idea" e il mutamento dell'interpretazione, capisaldi ineluttabili del sistema di legalità penale formale in cui siamo immersi, come è stato ben affermato dalla sentenza Boenzi, "passano attraverso la necessità di considerare il diritto individuale dell'imputato alla prevedibilità della decisione".

Lo strumento per poter modificare un orientamento interpretativo senza intaccare la legalità sostanziale e il principio di irretroattività sfavorevole è proprio l'art. 5 cod. pen., come interpretato con la pronuncia della Corte Cost. n. 364/88: la categoria della colpevolezza consente dì tutelare l'individuo "contro le incertezze e i difetti della produzione giuridica, legislativa e giurisprudenziale perché essa si modella alle effettive capacità conoscitive del soggetto concreto, realizzando il principio di responsabilità"".

2.5. La condivisione di tale prospettiva generale, tuttavia, lascia impregiudicata la questione relativa a sé la condivisa possibilità di "aprire" l'interpretazione dell'art. 5 cod. pen. alla "incolpevolezza" derivante dalla imprevedibilità del mutamento giurisprudenziale sfavorevole possa avvenire mediante un'interpretazione adeguatrice della citata disposizione da parte del giudice ordinario, anzitutto di quello di legittimità, oppure mediante ricorso ad incidente di costituzionalità.

Quest'ultima soluzione garantirebbe - così come è stato fatto dalla sentenza n. 364 del 1988 Corte cost. con riguardo all'ignoranza inevitabile della legge che "scusa" - uniformità erga omnes alla scelta ermeneutica di far agire l'imprevedibilità dell'overruling sfavorevole sul piano della colpevolezza e la sua piena corrispondenza alla funzione affidata alla Corte costituzionale (sul tema generale del valore dell'incidente di costituzionalità, cfr., da ultimo, la sentenza n. 7 del 2025 Corte cost.).

Nella fattispecie in esame, stabilire se sia meglio agire con un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione di cui all'art. 5 cod. pen. nei termini sopra evidenziati, ovvero se sia più opportuno sollevare incidente di costituzionalità, è irrilevante, poiché, nella successione degli orientamenti delle Sezioni Unite in ordine all'interpretazione del delitto di cui all'art. 615-tercod. pen. non si è al cospetto, in verità, di un caso di overruling sfavorevole, per le ragioni che si spiegheranno di seguito.

3. Il reato previsto dall'art. 615-ter cod. pen. ha formato oggetto di due interventi delle Sezioni Unite.

Con la sentenza Sez. U, Casani è stato affermato che integra il reato colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l'accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l'ingresso nel sistema (Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012, Casani, Rv 251269).

Con la sentenza Sez. U, Savarese le Sezioni Unite, pronunciandosi in un'ipotesi di fatto commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio (615-ter, secondo comma, n. 1, cod. pen.), hanno avuto modo di precisare, sotto il profilo dell'elemento oggettivo, che integra il delitto previsto dall'art. 615-ter cod. pen. la condotta di colui che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l'accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita (Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, Rv. 271061 - 01).

Il contrasto giurisprudenziale, in epoca antecedente alla sentenza Casani, era sorto tra due differenti tesi.

Da un lato, chi riteneva che l'art. 615-ter cod. pen. sanziona non solo l'introduzione abusiva di un soggetto non abilitato in un sistema informatico protetto, ma anche il permanere al suo interno contro la volontà espressa o tacita di chi abbia il diritto di escluderlo, di tal ché anche l'accesso del soggetto abilitato, di per sé legittimo, diviene abusivo, e perciò illecito, per il suo protrarsi all'interno del sistema per fini e ragioni estranee a quelle d'istituto (Sez. 5, n. 37322 del 08/07/2008, Bassani, Rv. 241202 - 01 e da Sez. 5, n. 39620 del 22/09/2010, Lesce, Rv. 248653).

Dall'altro, un diverso orientamento che riteneva illecito il solo accesso abusivo, e cioè quello effettuato da soggetto non abilitato, mentre è sempre e comunque lecito l'accesso del soggetto abilitato, ancorché effettuato per finalità estranee a quelle d'ufficio e, persino, illecite (Sez. 5, n. 2534 del 20/12/2007, Migliazzo, Rv. 239105; Sez. 5, n. 26797 del 29/05/2008, Scimia, Rv. 240497; Sez. 6, n. 3290 del 08/10/2008, Peparaio, Rv. 242684; Sez. 5, n. 40078 del 25/06/2009, Genchi, Rv. 244749).

Appare evidente come aver aderito al primo orientamento, ha sPi.Va. le Sezioni Unite ad affermare il principio già richiamato, con la precisazione dell'irrilevanza del movente dell'agire criminoso.

Anche alla luce dei termini del contrasto risolto da Sez. U, Casani, che verteva su un aspetto differente e più radicale del profilo toccato poi da Sez. U, Savarese, i principi affermati dalle due pronunce del massimo collegio nomofilattico, a ben vedere, sono integrabili l'uno con l'altro e coerenti tra loro nella sostanza del richiamo alla necessità di badare - ai fini della configurabilità del reato -all'essenza illecita dell'agire di accesso o permanenza nella banca dati, di cui pure si detengono le credenziali per motivi legittimi, in adesione alle "regole di ingaggio" dell'ente pubblico o del datore di lavoro, secondo che si tratti di pubblico dipendente o di dipendente privato.

Sia la sentenza Casani che la sentenza Savarese puntano ad affermare, di fondo, che gli accessi ontologicamente estranei a quelli autorizzati integrano il reato: l'accesso contrario alle finalità autorizzate è un accesso abusivo poiché ontologicamente "altro" dall'accesso autorizzato.

L"'irrilevanza" delle finalità dell'accesso abusivo, predicata dalla sentenza Sez. U, Casani, non vuol dire che venga "esclusa la rilevanza dell'abuso conseguente allo sviamento del potere funzionale concesso al pubblico ufficiale".

Irrilevante è il movente dell'agire, vale a dire lo scopo recondito dell'azione di accesso, che può rifluire in tema di prova, ma non il "motore autorizzativo" dell'agire, che, mancando, determina l'abusività di detto agire, illegittimo e ontologicamente estraneo all'area del lecito.

È ontologicamente avulso da quello autorizzato l'accesso con finalità del tutto estranee a quelle che fondano la radice autorizzatoria della concessione delle credenziali, sebbene formalmente ricompreso nell'alveo delle condizioni autorizzative previste.

Deve concordarsi, dunque, con l'orientamento dominante di questa Quinta Sezione secondo cui, in tema di accesso abusivo ad un sistema informatico ex art. 615-ter cod. pen., la sentenza Sez. U, Savarese si è inserita nella fisiologica evoluzione dell'approfondimento ermeneutico di un profilo (magari solo) non specificamente analizzato dalla precedente pronuncia Sez. U, Casani: il concetto di "operazioni ontologicamente incompatibili" (cfr. Sez. 5, n. 47510 del 09/07/2018, Dilaghi, Rv. 274406, che ha trattato approfonditamente il rapporto tra le due sentenze delle Sezioni Unite, nonché Sez. 5, n. 22017 del 11/04/2025, Cresta).

L'abuso delle finalità autorizzative, per Sez. U, Savarese, equivale a "operazioni ontologicamente estranee" rispetto a quelle consentite; operazioni che già la sentenza Casani aveva incluso nella configurabilità del reato (cfr. pag. 12, terzultimo capoverso). Ecco perché le finalità funzionali rientrano non già nel movente ma nel titolo dell'agire lecito del pubblico ufficiale e possono in concreto realizzare un abuso.

3.1. A tutto voler concedere, in ogni caso, non può' ritenersi che, precedentemente alla sentenza Sez. U, Savarese, si fosse in presenza di un univoco, consolidato e stabile orientamento contrario a quello poi adottato, né da parte delle Sezioni semplici della Corte di cassazione né tantomeno "affidabile" sulla base della sentenza Casani.

Nessuna opzione consolidata consentiva di escludere dal fuoco della condotta quella concretantesi in uno sviamento di potere, in un suo uso al di fuori dell'ambito di azione istituzionalmente conferito, come risulta da ripetuti interventi delle Sezioni semplici successivamente alla sentenza Casani (cfr. tra quelle massimate, Sez. 5, n. 10083 del 31/10/2014, dep. 2015, Gorziglia, Rv. 263454; Sez. 5, n. 15054 del 22/02/2012, Crescenzi, Rv. 252479; richiede soltanto un surplus di motivazione, ma non si esprime in senso difforme dal ritenere che già Sez. U, Casani imponessero la configurabilità del reato in caso di condotte ontologicamente estranee alle prescrizioni connesse al titolo autorizzativo, Sez. 5, n. 22024 del 24/04/2013, Carnevale, Rv. 255387).

Particolarmente illuminante sulla possibilità di ritenere integrabile il delitto in esame, nel caso di accesso abusivo di soggetto formalmente autorizzato per finalità ontologicamente estranee a quelle consentite, nel periodo "di mezzo" intercorso tra le due sentenze delle Sezioni Unite, è Sez. 5, n. 44403 del 26/06/2015, Morisco, Rv. 266088 - 01 (in cui la Corte ha ritenuto configurarsi il reato nei confronti di un cancelliere del Tribunale, che, utilizzando un codice di accesso ad efficacia limitata nel tempo, fornitogli anni addietro per la trasmigrazione di dati informatici, si era abusivamente introdotto nel sistema informatico RE.GE. in dotazione alla Procura della Repubblica, al diverso fine di visionare l'iscrizione di un procedimento penale a carico di un suo conoscente). Soltanto una specificazione di una peculiare ipotesi si ritrova nella sentenza Sez. 5, n. 44390 del 20/06/2014, Mecca, Rv. 260763 - 01.

Il dato che si registra, pertanto, è quello di un fermento giurisprudenziale perdurante, dopo Sez. U, Casani, in cui più volte si è declinato il principio affermato dalle Sezioni Unite, ricomprendendovi ipotesi di "sviamento del potere".

Un fermento che prova, al più, la possibile "non chiarezza", sul punto oggetto della nuova pronuncia Savarese, di alcuni dei contenuti della sentenza Casani; "non chiarezza" poi riversatasi nella posizione della nuova questione alle Sezioni Unite, con un'ordinanza che rivela, dalla sua motivazione, l'impossibilità di considerare "indubbia" l'irrilevanza penale della condotta di accesso abusivo per ragioni ontologicamente estranee a quelle per le quali l'agente sia autorizzato (cfr. ord. Sez. 5, n. 12264 del 25/01/2017).

Al più, dunque, si è al cospetto di un orientamento che, nonostante il primo intervento delle Sezioni Unite, ha dovuto essere metabolizzato dalla giurisprudenza di legittimità nei suoi dettagli, tanto da meritare un secondo intervento del massimo collegio nomofilattico, ma che certamente non può costituire il presupposto di una scusabilità, radicata sul piano della colpevolezza, dell'ignoranza del precetto penale, declinato secondo l'inclusione della condotta di accedere o permanere ad un sistema informatico per finalità ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso è attribuita.

E ciò per la ragione che non è esatto neppure parlare di un "contrasto" tra le due affermazioni di principio nelle quali si è soliti sintetizzare il portato delle sentenze Casani e Savarese (del resto, la giurisprudenza successiva, come si è anticipato, ha sistematicamente escluso l'esistenza di un profilo di reale difformità tra le due sentenze e lo stesso ufficio del Massimario non richiama le due pronunce come "difformi" tra loro; in tal senso, oltre esplicitamente alla citata sentenza n. 47510 del 2018, cfr. anche Sez. 5, n. 47049 del 12 luglio 2019, non mass.).

3.1. Nell'ipotesi posta oggi all'attenzione del Collegio - in cui un sovrintendente della Polizia di Stato è accusato di essersi introdotto nella banca dati informatica SDI del Ministero dell'Interno per motivi estranei a quelli consentitigli e precisamente, per "spiare" la ex compagna e il figlio - si è di fronte ad una delle più frequenti ipotesi di "sviamento di potere"; di accesso per finalità ontologicamente estranee a quelle per le quali l'autore della condotta è autorizzato (in tema, cfr. Sez. 5, n. 565 del 29/11/2018, Landi di Chiavenna, Rv. 274392 -01 e Sez. 6, n. 17307 del 24/01/2024, Garofalo, Rv. 286338 - 01).

Si rientra, quindi, perfettamente, nel paradigma interpretativo del rapporto evolutivo-chiarificatore sussistente tra le sentenze Casani e Savarese, sicché, per quanto sin qui affermato, non si è in presenza di alcun mutamento giurisprudenziale radicale, tantomeno repentino, inaspettato, contrario e "sfavorevole", rispetto ad un precedente "stabile e incontrastato" delle Sezioni Unite.

3.2. Le ragioni sin qui esposte escludono, poi, la necessità di esaminare l'ulteriore prospettiva in cui si sono mossi il pubblico ministero ricorrente e, in risposta, la difesa dell'imputato, per sostenere, rispettivamente, l'inapplicabilità o l'applicabilità, al caso di specie, del principio affermato dalla sentenza Boenzi; vale a dire l'impossibilità di ascrivere al ricorrente la conoscibilità dell'orientamento di Sez. U, Savarese solo perché, al momento del suo agire (7.9.2017), la decisione delle Sezioni Unite era stata emessa (in data 18.5.2017) ed era stata diffusa l'informazione provvisoria con i consueti canali conoscitivi e pubblici previsti dalla Corte di cassazione.

4. Dunque, essendo esatta la denuncia di insussistenza di un'ipotesi di overruling sfavorevole nel caso in esame, per le ragioni preliminari ed assorbenti esaminate dal Collegio rispetto a quelle evidenziate nel ricorso, deve essere disposto l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Bologna, che si atterrà ai principi affermati dalla presente decisione rescindente.

5. Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Bologna.

In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma il 12 giugno 2025.

Depositata in Cancelleria il 10 settembre 2025.

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