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Violenza sessuale tra fratelli, quando scatta la responsabilità omissiva del genitore

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza del 26/03/2025 (dep. 12/09/2025)

Un genitore che conosce episodi di violenza sessuale commessi da un figlio nei confronti dei fratelli minori, ma non interviene per impedirli o denunciarli, può essere ritenuto penalmente responsabile?

La Cassazione risponde affermativamente, richiamando il principio sancito dall’art. 40, comma 2, c.p.: “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.

Il caso

La vicenda nasce in un contesto familiare caratterizzato da maltrattamenti e abusi sessuali. La Corte d’assise d’appello di Torino aveva riconosciuto la responsabilità di più imputati, tra cui la madre, accusata di non aver impedito le condotte del figlio maggiore nei confronti dei fratelli minori.

In Cassazione, la donna ha sostenuto di non avere avuto piena consapevolezza dei fatti, poiché la stanza del figlio era collocata in un’area separata della casa. La Suprema Corte ha però respinto il ricorso, confermando che la madre era a conoscenza delle condotte e che, pur potendo attivarsi in vari modi, è rimasta inerte.

La normativa

Queste le principali norme di riferimento:

  • Art. 40, comma 2, c.p.: fonda la responsabilità omissiva.

  • Art. 609-bis c.p.: disciplina la violenza sessuale; la riduzione per fatto di minore gravità non è stata concessa, vista la gravità delle condotte e la giovane età delle vittime.

  • Art. 147 c.c.: definisce i doveri dei genitori nella cura e protezione dei figli, da cui discende la posizione di garanzia.

  • Art. 133 c.p.: criteri di valutazione per la pena, richiamati per il giudizio sulle attenuanti generiche.

Principi giurisprudenziali costanti precisano che il genitore-garante risponde degli abusi se:

  1. conosce o può conoscere l’evento;

  2. sa di avere il dovere di attivarsi;

  3. ha la concreta possibilità di impedire il fatto.

L’elemento psicologico può configurarsi anche a livello di dolo eventuale, quando il garante accetta il rischio dell’evento restando inerte di fronte a segnali evidenti.

La decisione della Corte

La Corte ha ritenuto provata la consapevolezza della madre, sulla base delle testimonianze raccolte. Avrebbe potuto rivolgersi ai servizi sociali, agli insegnanti, al medico curante o alle forze dell’ordine, interrompendo così le condotte lesive.

La scelta di non attivarsi ha determinato la sua responsabilità omissiva. Esclusa anche la possibilità di qualificare i fatti come di minore gravità, data la ripetitività degli abusi e la tenera età delle vittime.

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La madre è stata ritenuta responsabile ex art. 40 cpv c.p. per le violenze sessuali commesse dal figlio. Non è stata riconosciuta l’attenuante del fatto di minore gravità né la riduzione massima delle attenuanti generiche.

Conclusione

La sentenza ribadisce che il genitore ha una posizione di garanzia effettiva: non può ignorare segnali di abusi intrafamiliari.

L’inerzia non è un’opzione. Davanti a comportamenti anomali dei figli, il genitore deve subito attivare i canali di protezione previsti: scuola, servizi sociali, medico, forze dell’ordine.

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Cassazione penale, sez. III, sentenza 26/03/2025 (dep. 12/09/2025) n. 30580

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 02/10/2024, la Corte di assise di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Torino, all'esito di giudizio abbreviato, in data 13/12/2023, confermata l'affermazione di responsabilità di Ra.An. e Ra.Da. per i reati loro ascritti (maltrattamenti e violenza sessuale in danno di minori, nonchè art. 600-ter e 600-quater cod. pen.), riconosceva a Ra.Da. le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti rideterminando la pena inflitta in anni tre e mesi otto di reclusione e riduceva la pena inflitta a Ra.An. ad anni otto di reclusione.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, chiedendone l'annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati.

Ra.An. propone due motivi di ricorso.

Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di bilanciamento tra circostanze.

Argomenta che la Corte di appello aveva denegato la prevalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche, con motivazione illogica; in particolare, i Giudici di appello, pur valutando gli stessi elementi posti dal primo giudice alla base della concessione delle circostanze attenuanti generiche (la confessione e la buona condotta in sede di cautela), li apprezzavano in senso negativo, in contrasto con le argomentazioni del primo giudice (la confessione sarebbe stata imposta dalle risultanze processuali e l'imputato avrebbe dovuto frequentare un corso di recupero e tenere altre condotte espressive di totale rivisitazione critica dei fatti posti in essere).

Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 572 cod. pen.

Argomenta che con motivo di appello si sosteneva una causa di esclusione del dolo rispetto alle condotte vessatorie in ragione dei maltrattamenti subiti anche dall'imputato nel contesto familiare e ad opera tanto della madre quanto del padre (coimputati in altro procedimento per il reato commesso); la Corte di appello disattendeva il motivo di appello con motivazione eccentrica ed inconferente, argomentando in ordine all'inapplicabilità della scriminante dell'esercizio di un diritto, mentre la causa di esclusione del dolo doveva correttamente inquadrarsi come errore su un elemento del fatto reato, con conseguenza carenza di dolo sotto il profilo della rappresentazione.

Ra.Da. propone quattro motivi di ricorso.

Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 598-bis, comma 4-ter cod. proc. pen.

Lamenta che la Corte di appello, pur rideterminando il trattamento sanzionatorio con applicazione di una pena detentiva non superiore a 4 anni, non sostituiva la pena detentiva con sanzione sostitutiva ex art. 53 I 689/1981 nè giustificava in motivazione tale mancata applicazione.

Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 609-bis cod. pen. - 40, ultimo comma, cod. pen.

Argomenta che, trattandosi di una ipotesi di reato commissivo mediante omissione, l'affermazione di responsabilità riguardava fatti di cui la ricorrente non aveva avuto conoscenza diretta e di cui non aveva avuto consapevolezza, profilandosi un ragionevole dubbio che l'imputata avesse effettiva consapevolezza di quanto avveniva nella camera del figlio collocata fisicamente in una zona separata dell'abitazione e a cui non aveva mai avuto accesso.

Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen.

Lamenta che la Corte di appello aveva disatteso la richiesta di applicazione dell'ipotesi attenuata del fatto di minore gravità, senza considerare che l'imputata non era in grado di conoscere l'effettiva gravità dei comportamenti del figlio coimputato.

Con il quarto motivo lamenta la mancata applicazione nella massima estensione delle attenuanti generiche concesse in regime di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti, senza motivazione al riguardo.

3. La difesa dell'imputato Ra.An. ha chiesto la trattazione orale del ricorso in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di Ra.An. va dichiarato inammissibile.

1.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Va ricordato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U 25.2.2010, n. 10713, Rv. 245931).

Secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, per il corretto adempimento dell'obbligo della motivazione in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee è sufficiente che il giudice dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell'art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, essendo sottratto al sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al detto giudice, il supporto motivazionale sul punto quando sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretto (Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Rv. 260415; Sez. 5, n. 5579 del 26/09/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 258874-01; Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Rv. 236992).

Nel caso in esame la Corte territoriale ha reso adeguata ed ampia motivazione sulle ragioni e sui criteri per i quali ha confermato la valutazione di equivalenza delle già concesse circostanze attenuanti generiche, richiamando, quali elementi ostativi ad un giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti, la ripetività e sistematicità dette condotte e la tenera età dette vittime; ha, quindi, evidenziato che gli elementi positivi dedotti dalla difesa erano gli stessi già considerati per la concessione delle circostanze attenuanti generiche e che essi non assumevano valenza preponderante rispetto alle significative e pregnanti modalità delle condotte.

In tale motivazione non vi è alcuna manifesta illogicità o carenza sindacabile in questa sede.

1.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte di appello, valutando complessivamente i fatti, ha ritenuto non rilevante ai fini della sussistenza del dolo del delitto di cui all'art. 572 cod. pen. la circostanza che l'imputato fosse cresciuto in un contesto familiare degradato, rimarcando che le concrete caratteristiche delle condotte poste in essere dall'imputato nei confronti dei fratelli più piccoli denotavano la consapevolezza della illiceità delle ripetute condotte e della loro portata umiliante.

Va rimarcato che l'accertamento del dolo, quale prova della coscienza e volontà del fatto, costituisce un accertamento di fatto volto a conoscere e ricostruire il fatto storico e deve fondarsi sulla considerazione di tutte le circostanze esteriori dello stesso.

Nella specie, la motivazione offerta dalla Corte territoriale a fondamento dell'accertamento dell'elemento psicologico ha tenuto conto di tutti gli elementi fattuali rilevanti, e si connota come adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità.

Il ricorrente, a fronte di tale adeguato percorso argomentativo propone una censura generica, in quanto priva di confronto con le argomentazioni della Corte di appello, confronto doveroso per l'ammissibilità dell'impugnazione, ex art. 581 cod. proc. pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv. 243838; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Rv. 244181).

Trova, dunque, applicazione il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Rv. 240109; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Rv. 259425).

2. Il ricorso di Ra.Da. va dichiarato inammissibile.

2.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Va richiamato il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo il quale il giudice di secondo grado non ha il potere di applicare d'ufficio le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi se nell'atto di appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta con riguardo a tale punto dalla decisione, dal momento che l'ambito di tale potere è circoscritto alle ipotesi tassativamente indicate dall'art. 597, comma 5, cod. proc. pen., che costituisce una eccezione alla regola generale del principio devolutivo dell'appello e che segna anche il limite del potere discrezionale del giudice di sostituire la pena detentiva previsto dall'art. 58 della legge n. 689 del 1981 (Sez. U, n. 12872 del 19/10/2017, Punzo, Rv. 269125-01, nonchè Sez. 2, n. 1188 del 22/11/2024, dep. 10/01/2025, Rv. 287460-01).

Inoltre, la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa a una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l'osservanza dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen., considerando la gravità del fatto e la personalità dell'imputato. Questo principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle sanzioni sostitutive disciplinate dall'originario art. 53 della legge 24 novembre 1981 (cfr., ad es., Sez. 1, n. 35849 del 17/05/2319, Rv. 276716-01; Sez. 2, n. 13920 del 20/02/2015, Rv. 263300-01; Sez. 3, n. 19326 det. 27/01/2015, Rv. 263558 è valido anche per te nuove pene sostitutive di cui all'art. 20-bis cod. pen., atteso che l'art. 58 della stessa legge prevede che, nell'esercizio del "potere discrezionale del giudice nell'applicazione e nella scelta delle pene sostitutive", si debba tenere "conto dei criteri indicati nell'articolo 133 det. codice penate" (così da ultimo Sez. 3, n. 9708 det. 16/02/2024, Rv. 286031-01; in senso conforme cfr. Sez. 2, n. 8794 del 14/02/2024, Rv. 286006-01).

Alla luce di questi principi l'appellante aveva l'onere di avanzare specifica richiesta e di supportare la richiesta con specifiche deduzioni inerenti al caso di cui si tratta; il mancato assolvimento di tale onere, priva di ogni rilievo il silenzio sul punto da parte dalla Corte di appello.

2.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il genitore esercente la potestà sui figli minori, come tale investito, a norma dell'art. 147 cod. civ., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell'integrità psico - fisica dei medesimi, risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all'art. 40 cpv. cod. pen., degli atti di violenza sessuale compiuti da terzi sui figli minori allorquando sussistano le condizioni rappresentate: a) dalla conoscenza o conoscibilità dell'evento; b) dalla conoscenza o riconoscibilità dell'azione doverosa incombente sul garante; c) dalla possibilità oggettiva di impedire l'evento (Sez. 3, n. 4730 del 14/12/2007, dep. 30/01/2008, Rv. 238698; Sez. 3, n. 36824 del 08/07/2009, Rv. 244931; Sez. 3, n. 1369 del 11/10/2011, dep. 17/01/2012, Rv. 251624).

Tale posizione di garanzia comporta l'obbligo per il genitore di tutelare la vita, l'incolumità e la moralità sessuale dei minori contro altrui aggressioni, anche endofamiliari, adottando anche le misure più drastiche in vista del raggiungimento di tale scopo.

In relazione all'elemento psicologico, specificamente contestato dalla ricorrente, vanno svolte te considerazioni che seguono.

Si è osservato che "anche per i reati imputati ai sensi dell'art. 40 cpv. cod. pen., l'elemento psicologico si configura secondo i principi generali, sicché è sufficiente che il "garante" abbia conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi per impedire l'evento e si astenga, con coscienza e volontà, dall'attivarsi, con ciò volendo o prevedendo l'evento (nei delitti dolosi) o provocandolo per negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme (nei delitti colposi e nelle contravvenzioni in genere) e che la responsabilità penale per omesso impedimento dell'evento può qualificarsi anche per il solo dolo eventuale, a condizione che sussista, e sia percepibile dal soggetto, la presenza di segnali perspicui e peculiari dell'evento illecito caratterizzati da un elevato grado di anormalità (Sez. 3, n. 28701 del 12/05/2010, Rv. 248067).

Ciò posto, nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e prova di vizi logici nonchè in linea con i suesposti principi di diritto, ha confermato l'affermazione di responsabilità della ricorrente ai sensi dell'art. 40 cpv. cod. pen. per i reati di violenza sessuale commessi dal figlio Ra.An. in danno dei figli minori, evidenziando che le risultanze dette prove testimoniati comprovavano che la ricorrente era a conoscenza dei comportamenti sessualmente caratterizzati posti in essere da Ra.An. nei confronti dei fratelli (p 10 e 11 della sentenza impugnata) e che, quindi, la Radu avrebbe potuto intervenire a tutela dei figli minori con plurime possibilità (ricorso ai servizi sociali, agli insegnanti a scuota, al medico curante, oltre che alle forze dell'ordine), scegliendo, invece, consapevolmente di rimanere inerte.

A fronte di tale adeguato e corretto percorso argomentativo, la ricorrente propone censure generiche, prive di confronto con le argomentazioni esposte dai Giudici di appello, nonchè volte a sollecitare un inammissibile riesame delle risultanze istruttorie.

2.3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte di appello, confermando la valutazione del primo giudice ha escluso la ricorrenza dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 609 bis ult. comma cod. pen., richiamando la gravità dei fatti e la tenera età delle vittime.

La motivazione è adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità.

Del resto, questa Corte ha affermato che, in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all'art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 22/02/2016, Rv. 266272; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/201515, Rv. 263821; Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196; Sez. 3, n. 5002 del 07/11/2006, dep. 07/02/2007, Rv. 235648).

2.4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte territoriale, richiamando la gravità dei pregiudizi riportati dalle persone offese a causa della condotta omissiva della Radu, ha, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, assolto all'obbligo di motivazione circa la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione.

Al riguardo, va richiamata la condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale non è ravvisabile il vizio di contraddittorietà della motivazione nel caso in cui il giudice, pur ritenendo te circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante in sede di giudizio di bilanciamento, non operi la riduzione di pena nella massima misura possibile in ragione della sussistenza delle aggravanti che continuano a costituire elementi di qualificazione della gravità della condotta (Sez. 3, n. 13210 del 11/03/2010, Rv. 246820; Sez. 4, n. 48391 del 05/11/2015, Rv. 265332); inoltre, è stato anche affermato che la mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo non impone al giudice di considerare necessariamente gli elementi favorevoli dedotti dall'imputato, sia pure per disattenderli, essendo sufficiente che nel riferimento a quelli sfavorevoli di preponderante rilevanza - come avvenuto nella specie -, ritenuti ostativi alla concessione delle predette attenuanti nella massima estensione, abbia riguardo al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost. (Sez. 7, n. 39396 del 27/05/2016, Rv. 268475; Sez. 2 n. 17347 del 26/01/2021, Rv. 281217-01).

3. Essendo i ricorsi inammissibili e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura di Euro tremila, ritenuta equa in relazione alla entità delle questioni trattate.

4. I ricorrenti vanno condannati, inoltre, in base al disposto dell'art. 541 cod. proc. pen., in via generica, alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato; spetterà, poi, al giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115/2002 (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 12/02/2020, Rv. 277760-01).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di assise di appello di Torino con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma il 26 marzo 2025.

Depositata in Cancelleria il 12 settembre 2025.

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