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Chat WhatsApp, per acquisirle occorre il sequestro del Pm

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.31878 del 20/06/2025 (dep. 24/09/2025)

Le chat WhatsApp possono essere acquisite nel processo penale senza decreto di sequestro, tramite semplici screenshot della polizia giudiziaria?

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 31878 depositata il 24 settembre 2025, ha risposto negativamente, ribadendo che occorre il decreto di sequestro del pubblico ministero ai sensi dell’art. 254 c.p.p.

Il caso riguardava un imputato condannato per detenzione di stupefacenti sulla base anche di screenshot delle chat presenti sul suo telefono, acquisiti direttamente dalla polizia giudiziaria al momento dell’arresto, senza che fosse disposto il sequestro del dispositivo.

I principi in materia

Secondo la Cassazione, i messaggi inviati tramite WhatsApp, email e applicazioni di messaggistica non sono meri documenti, ma vanno qualificati come corrispondenza, protetta dall’art. 15 Cost. e dall’art. 254 c.p.p.

La Consulta, con la sentenza n. 170/2023, ha chiarito che tale tutela vale anche per i messaggi già ricevuti e conservati nella memoria del dispositivo, finché conservano attualità e interesse, assimilabili a lettere o biglietti chiusi.

La polizia giudiziaria, quindi, non può acquisirli autonomamente: è necessaria una autorizzazione motivata dell’autorità giudiziaria. In mancanza, la prova è affetta da inutilizzabilità patologica ex art. 191 c.p.p. (vedi anche Cass. pen., sez. II, sent. n. 25549/2024).

La decisione della Corte

Nel caso concreto, la difesa dell’imputato aveva contestato l’utilizzabilità degli screenshot, rilevando che la loro acquisizione era avvenuta senza decreto di sequestro. La Cassazione, richiamando il principio espresso dalla Corte costituzionale, ha ribadito che i messaggi WhatsApp rientrano nella nozione di corrispondenza anche dopo la ricezione. Pertanto, la loro acquisizione richiede sempre il decreto di sequestro del pm.

La Suprema Corte ha ricordato che solo quando il tempo o altre circostanze abbiano trasformato i messaggi in documenti storici può venir meno la tutela costituzionale della corrispondenza.

Conclusione

La sentenza fissa un principio chiaro: per acquisire le chat WhatsApp serve il decreto di sequestro del pubblico ministero. L’acquisizione diretta da parte della polizia giudiziaria mediante screenshot è inutilizzabile.

Per gli operatori del diritto significa che ogni prova tratta da messaggi digitali deve rispettare le stesse garanzie previste per la corrispondenza cartacea. In caso contrario, il rischio è di vedere svanire la prova in dibattimento.

Messaggi WhatsApp, screenshots, acquisizione da parte della polizia giudiziaria, decreto di sequestro del pubblico ministero, assenza, inutilizzabilità

In tema di mezzi di prova, sono affetti da inutilizzabilità patologica, in considerazione della loro natura di corrispondenza, i messaggi "WhatsApp" acquisiti, in violazione dell'art. 254 cod. proc. pen., mediante "screenshots" eseguiti dalla polizia giudiziaria, di propria iniziativa e senza ragioni di urgenza, in assenza di decreto di sequestro del pubblico ministero.

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Cassazione penale sez. IV, sentenza 20/06/2025 (dep. 24/09/2025) n. 31878

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa il 21 dicembre 2023, in esito a giudizio abbreviato, dal Tribunale di Prato nei confronti di Fa.Mo.per il reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore dell'imputato che, con un unico motivo, deduce la violazione degli artt. 15 Cost., 191 e 234 cod. proc. pen., nonché l'omessa applicazione dell'art. 254 cod. proc. pen. per non aver dichiarato l'inutilizzabilità dei messaggi contenuti nel telefono cellulare dell'imputato ed oggetto di riproduzione fotografica ad opera della polizia giudiziaria al momento dell'arresto senza che il telefono fosse stato posto sotto sequestro e per essere state acquisite le riproduzioni fotografiche della chat di WhatsApp quale prova documentale, su cui la sentenza impugnata ha fondato l'affermazione di responsabilità dell'imputato. Diversamente da quanto si legge nella sentenza di appello si trattava di messaggi resi in data prossima al momento dell'attività di polizia giudiziaria.

3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

4. In data 10 giugno 2025, è pervenuta memoria di replica del difensore dell'imputato, avv. Christian Vannucchi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Con l'unico motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia l'inutilizzabilità dei messaggi WhatsApp utilizzati a suo carico, in quanto assume che la loro acquisizione dovesse avvenire con le forme previste dagli artt. 253 e 254 cod. proc. pen., trattandosi di corrispondenza.

Al riguardo, giova ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 170 del 2023, ha specificamente affrontato il tema della natura di tali messaggi, quando essi si trovino riposti, statici e giacenti nella memoria dei telefoni cellulari, degli smartphone o di qualsiasi altro dispositivo di natura analoga.

La Corte costituzionale ha anzitutto affrontato il tema della differenza tra il sequestro di corrispondenza e le intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni e, a tal fine, in assenza di una definizione di queste ultime contenuta nel codice di procedura penale, ha richiamato la sentenza delle Sezioni Unite penali n. 36747 del 28 maggio 2003, che ha chiarito che le intercettazioni

consistono nella "apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti estranei al colloquio". Sulla base di tale definizione, la Corte costituzionale ha puntualizzato che per aversi intercettazione debbano ricorrere due condizioni, la prima delle quali è di ordine temporale: la comunicazione deve essere in corso nel momento della sua captazione da parte dell'estraneo, ossia deve essere colta nel suo momento "dinamico", con la conseguente estraneità a tale nozione dell'attività di acquisizione del supporto fisico contenente la memoria d una comunicazione già avvenuta e, quindi, oramai quiescente nel suo momento "statico". La seconda condizione attiene alle modalità di esecuzione: l'apprensione del messaggio comunicativo da parte del terzo deve avvenire in maniera occulta, ossia all'insaputa dei soggetti tra i quali intercorre la comunicazione. Nel caso dell'acquisizione dei messaggi custoditi nella memoria del dispositivo mancano entrambe tali condizioni, con la conseguenza che non può parlarsi di intercettazioni con riguardo alla loro acquisizione. Così escluso che l'acquisizione dei messaggi di che trattasi possa considerarsi intercettazione, la Corte costituzionale ha poi rimarcato che essi rientrano senz'altro nell'amplissima nozione di corrispondenza, che abbraccia ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) e che prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero. Con l'ulteriore precisazione che la garanzia di cui all'art. 15 della Costituzione - che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza della "corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione", consentendone la limitazione "soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria" - si estende "a ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini educativi, compresi quelli elettronici e informatici". Da qui la certa riconducibilità alla nozione di corrispondenza della posta elettronica, dei messaggi WhatsApp e più in generale della messaggistica istantanea, che, quindi, rientrano nella sfera di protezione dell'art. 15 della Costituzione, "apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi".

Così escluso che l'acquisizione dei messaggi possa rientrare nella nozione di intercettazione e una volta riconosciuto in via generale che essi rientrano nella nozione di corrispondenza, la Corte costituzionale evidenzia che l'interrogativo principale da risolvere è quello di stabilire se i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e la messaggistica istantanea in generale mantengano la natura di corrispondenza anche quando siano stati ricevuti e letti dal destinatario e ormai conservati e giacenti nella memoria dei dispositivi elettronici dello stesso destinatario o del mittente. Sul punto, la Corte costituzionale ha evidenziato che su tale tema si fronteggiano due opposte concezioni: secondo una concezione, la corrispondenza già ricevuta e letta dal destinatario non è più un mezzo di comunicazione, perde la natura di corrispondenza e diventa un semplice documento che, in quanto tale, non soggiace né alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 266-bis cod. proc. pen.), né a quella del sequestro di corrispondenza di cui al citato art. 254 cod. proc. pen., la quale implica una attività di spedizione in corso. Secondo l'altra concezione, al contrario, la natura di corrispondenza non si esaurisce con la mera ricezione del messaggio e la presa di cognizione del suo contenuto da parte del destinatario, ma permane finché la comunicazione conservi carattere di attualità e di interesse per i corrispondenti, venendo meno solo quando il decorso del tempo o altra causa abbia trasformato il messaggio in documento "storico". A fronte di tali due contrapposte posizioni definitorie, la Corte costituzionale ha dunque chiarito che la natura di corrispondenza va correttamente intesa nel senso espresso dalla seconda concezione, in quanto la degradazione della comunicazione a mero documento quando non più in itinere restringerebbe l'ambito della tutela costituzionale apprestata dall'art. 15 Cost. alle sole ipotesi - sempre più rare- di corrispondenza cartacea; tutela che sarebbe del tutto assente in relazione alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all'invio segue la ricezione con caratteri di sostanziale immediatezza.

In conformità alle precise indicazioni della Corte costituzionale, deve pertanto essere disatteso l'orientamento (cfr. Sez. 6, n. 22417 del 16/03/2022, Sgromo Eugenio Rv. 283319), secondo cui i messaggi WhatsApp (i messaggi di posta elettronica e la messagistica istantanea) devono considerarsi alla stregua di documenti, dovendosi invece ribadire il principio di diritto per il quale, in tema di mezzi di prova, i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un dispositivo elettronico conservano la natura di corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo o per altra causa, essi non abbiano perso ogni carattere di attualità, in rapporto all'interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento "storico", sicché - fino a quel momento - la loro acquisizione deve avvenire secondo le forme previste dall'art. 254 cod. proc. pen. per il sequestro della corrispondenza, essendo altrimenti affetti, come avvenuto nel caso di specie, da inutilizzabilità patologica, in quanto tale rilevante anche nel giudizio abbreviato (cfr. Sez. 6, n. 39548 del 11/09/2024, Di Francesco Kevin, Rv. 287039, massimata nei seguenti termini: "In tema di mezzi di prova, sono affetti da inutilizzabilità patologica, in considerazione della loro natura di corrispondenza, i messaggi "WhatsApp" acquisiti, in violazione dell'art. 254 cod. proc. pen., mediante "screenshots" eseguiti dalla polizia giudiziaria, di propria iniziativa e senza ragioni di urgenza, in assenza di decreto di sequestro del pubblico ministero"; Sez. 2, n. 25549 del 15/05/2024, Tundo Andrea, Rv. 286467).

3. Tanto premesso, il Collegio rileva che, a fronte di una motivazione che ha esibito una più ampia piattaforma probatoria rispetto ai menzionati messaggi

WhatsApp, il ricorrente non ha adeguatamente assolto all'onere di specificare l'incidenza degli elementi asseritamente inutilizzabili, essendosi limitato ad affermare in modo generico ed assertivo che "la mancata rilevata inutilizzabilità delle conversazioni WhatsApp risulta incidente sulla decisione assunta". Ciò in contrasto con l'insegnamento di questa Corte secondo cui, nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova, acquisiti illegittimamente, diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, Izzo Raffaele, Rv. 287024 - 02; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina e altro, Rv. 269218).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 20 giugno 2025

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2025

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