La Corte di cassazione, con la sentenza n. 34036 del 16 ottobre 2025, chiarisce che la raccolta del risparmio postale svolta da Poste Italiane S.p.A. mantiene natura pubblicistica, anche dopo la trasformazione in società per azioni. Gli operatori di Bancoposta sono pertanto qualificabili come pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio ai sensi del codice penale.
La questione affrontata dalla Suprema Corte riguarda due interrogativi centrali:
La raccolta del risparmio postale, effettuata tramite libretti e buoni fruttiferi per conto della Cassa depositi e prestiti, conserva una natura pubblicistica anche dopo la privatizzazione di Poste Italiane?
Gli operatori di Bancoposta, impegnati nella vendita e gestione di tali strumenti, possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio?
La Corte richiama l'art. 357 c.p. (definizione di pubblico ufficiale) e l'art. 358 c.p. (incaricato di pubblico servizio), nonché i principi consolidati in giurisprudenza secondo cui l'attività assume rilievo pubblicistico quando è svolta nell'interesse generale dello Stato o di enti pubblici, anche se affidata a soggetti formalmente privati.
Rileva inoltre il rapporto funzionale con la Cassa depositi e prestiti, ente pubblico economico che gestisce le somme raccolte a fini di investimento pubblico. Tale collegamento conferisce alla raccolta postale un carattere oggettivamente pubblico, in quanto finalizzata al finanziamento delle politiche di interesse generale.
La Cassazione afferma che la trasformazione societaria di Poste Italiane non ha inciso sulla natura dell'attività di raccolta del risparmio postale, la quale continua a essere esercitata per conto dello Stato. Ne deriva che gli addetti ai servizi di Bancoposta operano in una sfera pubblica e sono quindi tenuti agli obblighi e alle responsabilità proprie dei soggetti che svolgono pubbliche funzioni o servizi.
La Corte sottolinea che tale qualifica non è meramente formale, ma comporta conseguenze penali dirette: gli operatori rispondono, ad esempio, dei reati contro la pubblica amministrazione in caso di condotte fraudolente, falsità o abuso della funzione.
La sentenza n. 34036/2025 rappresenta un passaggio chiarificatore nel quadro dei rapporti tra funzioni pubbliche e soggetti privatizzati.
Poste Italiane, pur essendo una società per azioni, continua a svolgere una funzione pubblica nella gestione del risparmio postale, garantendo la tutela dell'interesse generale attraverso la Cassa depositi e prestiti.
L’attività di raccolta del risparmio postale, ossia la raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata da Poste italiane s.p.a. per conto della Cassa depositi e prestiti, costituisce prestazione di un pubblico servizio.
L’operatore di Poste italiane s.p.a. addetto alla vendita e gestione dei prodotti derivanti dalla raccolta del risparmio postale, e segnatamente da libretti di risparmio postale e da buoni postali fruttiferi, nello svolgimento di tale attività, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio.
Cassazione penale, sez. un., sentenza 29/05/2025 (dep. 16/10/2025) n. 34036
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 27 febbraio 2023, la Corte d'Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Lecce il 25 gennaio 2021, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di Pr.Co. per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 314 cod. pen., con applicazione della recidiva infraquinquennale, ed ha rideterminato la pena, riducendola, in tre anni e dieci mesi di reclusione.
Secondo i Giudici di merito, Pr.Co., agendo in qualità di dipendente dell'ente Poste italiane Spa, e segnatamente di responsabile della sala consulenze di un ufficio postale, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, si sarebbe impossessato, nel giugno 2012, della somma di 23.493,58 Euro proveniente dal riscatto di buoni fruttiferi intestati a Ca.Si., nonché, con condotte protratte fino al dicembre 2011, della somma di 30.000,00 Euro proveniente dal riscatto di buoni fruttiferi intestati a Pr.Do. Precisamente, i fatti risultano così ricostruiti a) l'imputato avrebbe indotto le due persone offese a riscattare dei buoni fruttiferi postali al fine di effettuare investimenti più convenienti, facendo sottoscrivere a Ca.Si. un modulo di acquisto di quote del fondo "(Omissis)" e a Pr.Do. un modulo di acquisto di buoni postali fruttiferi BFPremia, senza poi registrarli; b) le persone offese avrebbero incassato le somme provenienti dal riscatto dei buoni postali fruttiferi sui loro conti correnti; c) l'imputato, a questo punto, avrebbe effettuato dei versamenti dai conti correnti delle due clienti sui propri conti correnti o su conti correnti a lui riconducibili.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello indicata in epigrafe Pr.Co., con un atto sottoscritto dall'avvocato David Dell'Atti, articolando cinque motivi, il cui contenuto è sintetizzato a norma di quanto previsto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 314 cod. pen. e 3 Cost., avendo riguardo alla qualificazione dei fatti in termini di peculato, invece che, eventualmente, di appropriazione indebita.
Si deduce che illegittimamente la sentenza impugnata ha ritenuto configurabile il reato di peculato, in quanto le operazioni realizzate dall'imputato sarebbero tipiche dell'attività bancaria, di natura privatistica, e, quindi, al medesimo soggetto non potrebbe essere attribuita la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio. Si aggiunge che la Corte di cassazione, già in relazione all'applicazione della misura cautelare nei confronti dell'attuale ricorrente, aveva escluso la configurabilità della qualifica di incaricato di pubblico servizio, e, quindi, del reato di peculato, osservando che è priva di qualunque ragionevole giustificazione la diversità di trattamento dei dipendenti di Poste italiane Spa rispetto a quelli delle banche, pur se operanti nel medesimo contesto di attività. Si evidenzia, inoltre, che, ripetutamente, la giurisprudenza di legittimità ha escluso la configurabilità della qualifica di persona incaricata di pubblico servizio con riferimento al dipendente di Poste italiane Spa, e perciò del reato di peculato, anche quando questi proceda alla raccolta del risparmio per conto della Cassa depositi e prestiti (si citano, Sez. 6, n. 39852 del 16/09/2015, e Sez. 6, n. 30/10/2014, n. 18457).
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 314 cod. pen., avendo riguardo alla qualificazione dei fatti in termini di peculato, invece che, eventualmente, di truffa, o di abuso di ufficio o di appropriazione indebita.
Si deduce che illegittimamente la sentenza impugnata ha escluso che l'imputato sia venuto in possesso delle somme di denaro mediante artifici o raggiri. Si rappresenta, in proposito, che l'imputato ebbe a far sottoscrivere ad entrambe le persone offese "falsi" moduli di investimento, e che tali condotte non costituiscono un post factum rispetto all'appropriazione, bensì l'antecedente di questa, in quanto, per l'avvenuto riscatto dei buoni fruttiferi, le somme non erano più nella disponibilità di Poste italiane Spa Si rimarca che l'imputato non aveva il possesso immediato del "denaro pubblico", come emerge anche dalla necessità, per il medesimo, di recarsi personalmente presso le abitazioni delle persone offese per ottenere la sottoscrizione dei moduli di investimento.
Si ribadisce, inoltre, che non è configurabile il delitto di peculato, perché l'attività di bancoposta esercitata da Poste italiane Spa non costituisce "pubblico servizio", e, quindi, l'imputato, avendo agito nel contesto di tale attività, non riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia il mancato rilievo dell'insussistenza del dolo necessario per l'integrazione di una condotta delittuosa.
Si deduce che, nella fattispecie in esame, non è rilevabile l'elemento soggettivo del dolo specifico, in quanto non risulta che l'imputato abbia agito per conseguire un profitto. Si osserva che l'imputato ha agito sempre sotto il controllo di dirigenti a lui sovraordinati, e che l'assenza di rilievi da parte di costoro ha indotto l'attuale ricorrente a ritenere di agire in modo lecito.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge avendo riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
Si deduce che la pena irrogata è eccessiva e, alla luce dei criteri indicati
dall'art. 133 cod. pen., avrebbe dovuto essere contenuta nel minimo edittale.
2.5. Con il quinto motivo, si denuncia l'improcedibilità per avvenuta prescrizione del reato contestato.
Si deduce che il reato per cui si procede, in quanto commesso nel dicembre 2011, deve ritenersi estinto per intervenuta prescrizione.
3. Con ordinanza del 29 maggio 2024, la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione, cui era stato assegnato il ricorso, ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 618, comma 1, cod. proc. pen., rilevando l'esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla qualifica soggettiva da attribuire al dipendente di Poste italiane Spa nell'esercizio dell'attività di raccolta del risparmio postale, ossia di raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi, e, in particolare, in ordine alla ravvisabilità, in presenza di tale fattispecie, della figura di un incaricato di pubblico servizio o, invece, di un soggetto privato.
3.1. L'ordinanza di rimessione premette che la risoluzione della questione è rilevante ai fini della decisione.
Sottolinea che, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata, l'attuale ricorrente, agendo quale consulente della struttura di bancoposta, si è appropriato delle somme delle clienti, prelevandole direttamente dal loro conto corrente postale e trasferendole su rapporti a lui riferibili o di suo interesse, senza utilizzare a tal fine una condotta truffaldina. Precisa inoltre che l'imputato, nell'esercizio delle sue mansioni, aveva il potere di compiere autonomamente operazioni sulla giacenza dei conti correnti dei clienti, e che la sua condotta fraudolenta, costituita dalla acquisizione della sottoscrizione di moduli di investimento e dalla successiva omessa registrazione degli stessi nel sistema, era funzionale non a conseguire la disponibilità del denaro, bensì ad occultare la propria condotta appropriativa.
3.2. Ciò posto, l'ordinanza di rimessione evidenzia che sul tema della qualifica soggettiva attribuibile al dipendente di Poste italiane Spa nell'esercizio dell'attività di raccolta del risparmio postale si contrappongono due orientamenti.
3.2.1. Il Collegio innanzitutto dà conto dell'orientamento maggioritario.
Rappresenta che, secondo questo indirizzo, il dipendente di Poste italiane Spa, quando agisce in relazione dell'attività di raccolta del risparmio postale, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto tale attività ha una specifica connotazione pubblicistica, siccome per legge direttamente ed univocamente finalizzata al perseguimento di interessi pubblici (si citano Sez. 6, n. 10875 del 23/11/2016, dep. 2017, Carloni, Rv. 272079 - 01; Sez. 5, n. 31660 del 13/02/2015, Barone, Rv. 265290 - 01; Sez. 6, n. 33610 del 21/06/2010, Serva, Rv. 248271 - 01; Sez. 6, n. 36007 del 15/06/2004, Perrone, Rv. 229758 - 01; Sez. 6, n. 20118 del 08/03/2001, Di Bartolo, Rv. 218903 - 01).
Espone poi, in sintesi, le ragioni poste a base di tale orientamento.
Questo indirizzo sottolinea, in primo luogo, che il D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, rubricato "Regolamento dei servizi di bancoposta", nell'elencare detti servizi, all'art. 2, comma 1, ha considerato distintamente quello concernente la raccolta del risparmio postale, menzionato alla lett. b), rispetto a quello relativo alla raccolta del risparmio tra il pubblico, indicato alla lett. a), e del tutto assimilato agli ordinari sevizi bancari. Richiama, poi, il disposto dell'art. 12 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (codice postale e delle telecomunicazioni), in forza del quale "Le persone addette ai servizi postali e di bancoposta, anche se dati in concessione ad uso pubblico, sono considerate pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, secondo la natura delle funzioni loro affidate, in conformità degli articoli 357 e 358 del codice penale", rimasto vigente anche dopo l'intervento modificativo dell'art. 218, lett. h), D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259. Evidenzia, quindi, che la natura pubblicistica dell'attività di raccolta del risparmio postale trova conferma a) nella strumentalità dei fondi raccolti al perseguimento dei compiti istituzionali assegnati alla Cassa depositi e prestiti; b) nella peculiare regolamentazione dei prodotti di risparmio postale, assistiti dalla garanzia dello Stato, immediatamente liquidabili senza perdite in conto capitale, ed oggetto di monopolio legale; c) nella istituzione, per legge, di un sistema contabile ed organizzativo "separato", da parte della Cassa depositi e prestiti, per la gestione della raccolta del risparmio postale; d) nella sottoposizione al controllo della Corte dei Conti sia della Cassa depositi e prestiti, sia di Poste italiane Spa
Il Collegio, ancora, aggiunge che l'orientamento maggioritario è stato ribadito di recente da ulteriori decisioni (si citano Sez. 6, n. 22280 del 07/03/2024, Faso, Rv. 286614 - 01; Sez. 6, n. 44146 del 22/06/2023, Agnoletti, non massimata; Sez. 6, n. 28630 de 22/06/2022, F., non massimata).
Rimarca che queste decisioni hanno valorizzato anche la previsione, per i prodotti del risparmio postale, di forme di tassazione agevolata e di esenzioni da oneri fiscali, nonché la sottoposizione della relativa attività al potere di indirizzo del Ministro dell'Economia e delle Finanze, esercitato, da ultimo, con il D.M. 5 ottobre 2020, nel quale, all'art. 1, si è ribadito che il "risparmio postale costituisce servizio di interesse economico generale".
3.2.2. Il Collegio, poi, riferisce dell'orientamento contrapposto.
Rappresenta che, ad avviso di questo indirizzo, il dipendente di Poste italiane Spa, anche quando agisce in relazione dell'attività di raccolta del risparmio postale, svolge un'attività di tipo privatistico, non diversa da quella esercitata dalle banche (si citano Sez. 6, n. 42657 del 31/05/2018, Paolacci, Rv. 274289 - 01; Sez. 6, n. 18457 del 30/10/2014, dep. 2015, Romano, Rv. 263359 - 01; Sez. 6, n. 10124 del 21/10/2014, dep. 2015, De Vito, Rv. 262746 - 01).
Espone, in sintesi, le ragioni poste a base di tale orientamento.
Questo indirizzo sottolinea, in primo luogo, che la Cassa depositi e prestiti opera, nei confronti di Poste italiane Spa, come un comune azionista, e non interviene nei rapporti con la clientela, mentre i rapporti tra Poste italiane Spa e la clientela sono regolati esclusivamente dal diritto civile. Rimarca, poi, che riservare ai dipendenti di Poste italiane Spa, nell'espletamento dei servizi del risparmio postale, un trattamento penale più rigoroso di quello applicabile ai dipendenti degli istituti di credito integra una violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. Osserva, quindi, che gli argomenti addotti dall'orientamento contrapposto non sono plausibili o comunque risolutivi, in particolare perché a) l'art. 12 D.P.R. n. 156 del 1973 si colloca nel contesto della disciplina antecedente alle riforme dei settori bancario e postale ed alla privatizzazione dell'attività bancaria; b) il D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, ha riguardo ai servizi postali, ma non è in alcun modo riferibile all'attività di bancoposta; c) la separazione organizzativa e contabile nell'ambito di Cassa depositi e prestiti è solo preordinata ad evitare possibili commistioni nella gestione della provvista derivante dall'attività bancaria rispetto alle altre; d) Poste italiane Spa non opera anche "in nome" di Cassa depositi e prestiti, e, comunque, quand'anche si volesse ritenere ciò, non sono rilevabili interferenze di tale profilo sulle regole di disciplina della sua attività. Evidenzia, ancora, che Cassa depositi e prestiti, per realizzare le proprie finalità istituzionali, a norma dell'art. 2 D.Lgs. n. 284 del 1999, può avvalersi, in alternativa alla raccolta del risparmio postale, di banche, intermediari finanziari e imprese di investimento "per il collocamento degli altri prodotti finanziari, emessi dalla Cassa stessa, di cui al comma 1, lett. b)".
Il Collegio aggiunge inoltre che anche altra decisione, pronunciandosi con riferimento ai reati in materia di falso, ha escluso che la condotta di falsificazione di un libretto postale sia soggetta a sanzione penale, in quanto ha premesso che la negoziazione di buoni fruttiferi da parte di Poste italiane Spa costituisce servizio bancario disciplinato dal diritto privato (si cita Sez. 2, n. 20437 del 07/03/2018, Callea, Rv. 272807 - 01).
3.3. Al termine di questa esposizione, l'ordinanza di rimessione dichiara espressamente di condividere le ragioni poste a base del secondo orientamento, che esclude la qualifica pubblicistica dei dipendenti di Poste italiane Spa, e ne offre analitica spiegazione.
Il Collegio rimettente sottolinea, anzitutto, che la nozione di "servizio economico di interesse generale" è riferita, in generale, anche ai servizi bancari, come rilevato dalla Commissione Europea proprio nella procedura Aiuto di stato n. C 49/2006, relativa alla remunerazione a Poste italiane Spa per il collocamento dei prodotti finanziari del risparmio postale.
Sviluppa, poi, gli argomenti posti a fondamento della tesi privatistica, criticando la persuasività di quelli addotti a base della soluzione pubblicistica.
In particolare, rimarca la natura privatistica dei rapporti con i risparmiatori, richiamando, tra l'altro, l'art. 3 D.P.R. n. 144 del 2001, in forza del quale "Per quanto non diversamente previsto nel presente decreto, i rapporti con la clientela ed il conto corrente postale sono disciplinati in via contrattuale nel rispetto delle norme del codice civile e delle leggi speciali".
Rappresenta, inoltre, che a) la previsione di cui all'art. 12 D.P.R. n. 156 del 1973 è irrilevante, perché si riferisce espressamente a tutti i "servizi postali e di bancoposta", ossia anche a quelli ritenuti pacificamente estranei all'area pubblicistica, come, ad esempio, quelli relativi all'emissione di carte di credito; b) la destinazione della raccolta da risparmio postale al finanziamento delle finalità pubbliche perseguite da Cassa depositi e prestiti non è elemento dirimente, perché Cassa depositi e prestiti può acquisire risorse a questi specifici fini anche ricorrendo a banche, intermediari finanziari e imprese di investimento, ex art. 2 D.Lgs. n. 284 del 1999; c) le particolari tutele riconosciute ai titolari di buoni postali fruttiferi e di libretti postali di risparmio non sono esclusive del risparmio postale, perché possono essere estese ad altri prodotti ex art. 2 D.M. Ministero Economia e Finanze del 6 ottobre 2004, ed hanno come contropartita una bassa redditività; d) il controllo della Corte dei Conti, ex artt. 100 Cost. e 12 legge 21 marzo 1958, n. 259, non è un controllo di legittimità sugli atti, ma di gestione economica, comune a tutti gli enti e le imprese cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, come Eni Spa ed Enel Spa; e) il trattamento fiscale agevolato e l'esenzione dagli oneri di successione non sono caratteristiche esclusive per i buoni postali fruttiferi, perché tali discipline sono estese a tutte le obbligazioni pubbliche italiane, nonché alle obbligazioni emesse da Stati ed enti territoriali inclusi in una lista di Paesi ritenuti affidabili; f) la collocazione del risparmio postale da parte di Poste italiane Spa non avviene in regime di monopolio, anche perché si riferisce ad un prodotto facente parte di un genere di "comune commercio", come rilevato dalla Commissione Europea nella già citata procedura Aiuto di stato n. C 49/2006; g) la qualifica di organismo di diritto pubblico attribuita sia a Poste italiane Spa sia a Cassa depositi e prestiti non è comunque riferibile alle attività di raccolta del risparmio postale.
Il Collegio rimettente, ancora, osserva che, anche a voler ritenere la raccolta del risparmio postale un servizio pubblico, deve escludersi la qualifica pubblicistica dell'operatore di Poste italiane Spa addetto ai rapporti con il cliente per la vendita e la gestione dei relativi prodotti.
Rileva, in proposito, che detto soggetto, operando in un settore caratterizzato da una gestione ampiamente dematerializzata, svolge un'attività tipicamente esecutiva, la quale non richiede specifiche competenze e risulta priva del carattere di autonomia. Precisa, in particolare, richiamando l'art. 7 D.M. Ministero Economia e Finanze del 6 ottobre 2004, che le annotazioni effettuate sui libretti di risparmio postale sono in tutto equiparate a quelle previste per i libretti di deposito a risparmio dall'art. 1835 cod. civ., ed hanno forza dimostrativa limitata, in quanto destinate a soccombere se discordanti con le registrazioni nelle scritture contabili.
4. A seguito dell'ordinanza di rimessione, con decreto del 6 settembre 2024, la Prima Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, a norma degli artt. 610, comma 3, e 618, comma 1, cod. proc. pen., e ne ha disposto la trattazione all'udienza pubblica per il giorno 12 dicembre 2024.
Con istanza trasmessa il 18 settembre 2024 il difensore dell'imputato ha chiesto di potere discutere oralmente la causa.
Con provvedimento adottato il 20 settembre 2024, la Prima Presidente ha disposto in conformità.
Con successivo provvedimento del 5 novembre 2024, la Prima Presidente ha differito la trattazione del ricorso all'udienza del 30 gennaio 2025.
All'udienza del 30 gennaio 2025, su istanza del difensore del ricorrente, il quale ha allegato il proprio impedimento per motivi di salute, la trattazione del ricorso è stata rinviata all'odierna udienza del 29 maggio 2025.
Con istanza in data 14 febbraio 2025, il difensore dell'imputato ha formulato nuova richiesta di trattazione orale della causa, e, con provvedimento adottato il 17 febbraio 2025, la Prima Presidente ha disposto in conformità.
5. In data 13 gennaio 2025, la Procura generale ha presentato note di udienza nelle quali ha anticipato le proprie conclusioni a sostegno della tesi secondo cui l'operatore di Poste italiane Spa, addetto alla vendita e gestione dei prodotti del risparmio postale, riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio ai sensi dell'art. 358 cod. pen., con conseguente configurabilità del delitto di peculato nel caso di condotta appropriativa da parte del predetto delle somme afferenti a tale tipologia di prodotti.
6. In data 22 maggio 2025, il difensore del ricorrente ha depositato memoria, nella quale, anche in replica alle osservazioni espresse dal Procuratore generale nelle note di udienza, ha riproposto e sviluppato gli argomenti esposti nel ricorso, in particolare per evidenziare l'esigenza di assicurare parità di trattamento tra il dipendente di Poste italiane Spa ed il dipendente della banca incaricato delle medesime mansioni, procedendo ad ampi richiami di giurisprudenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente "Se, nell'ambito delle attività di bancoposta svolte da Poste italiane Spa, la raccolta del risparmio postale, ossia la raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata per conto della Cassa depositi e prestiti, abbia natura pubblicistica e, in caso positivo, se l'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e gestione di tali prodotti rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio".
2. La questione di diritto appena sintetizzata, rilevante ai fini della decisione perché la risoluzione affermativa della stessa costituisce presupposto indispensabile per la configurabilità del delitto di peculato, ha dato luogo ad un argomentato contrasto nella giurisprudenza di legittimità, dei cui termini e delle cui ragioni occorre dare conto.
Per motivi di chiarezza espositiva, si procederà dapprima all'esame del contrasto giurisprudenziale, poi all'approfondimento del tema concernente l'individuazione dell'ambito applicativo delle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di un pubblico servizio, quindi all'analisi dei profili di disciplina dell'attività di raccolta del risparmio postale, per verificare se l'esercizio di essa costituisca pubblico servizio o pubblica funzione, infine, risolta affermativamente tale questione, allo scrutinio del tema se, nell'esercizio del pubblico servizio o della pubblica funzione, rientri anche la specifica attività svolta dall'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e gestione dei prodotti del risparmio postale.
3. La soluzione che attribuisce la qualifica di pubblico agente al dipendente di Poste italiane Spa quando agisce nell'ambito delle attività di raccolta del risparmio postale si è sviluppata progressivamente nel tempo, e si articola in conclusioni non del tutto coincidenti.
3.1. Sez. 6, n. 20118 del 08/03/2001, Di Bartolo, Rv. 218903 - 01, è la prima decisione intervenuta sul tema dopo la riforma degli artt. 357 e 358 cod. pen. recata dalla legge 26 aprile 1990, n. 86, e la trasformazione dell'Ente Poste in società per azioni, in particolare per effetto dell'art. 2, comma 27, legge 23 dicembre 1996, n. 662.
Questa decisione premette che in epoca precedente alla riforma degli artt. 357 e 358 cod. pen. e alla privatizzazione dell'Ente Poste, non vi era dubbio che i preposti ai servizi postali fossero pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, anche in considerazione di quanto previsto dall'art. 12 D.P.R. 29 marzo 1973, n.
156, il quale accomunava indistintamente gli "addetti ai servizi postali, di bancoposta e di telecomunicazione".
La pronuncia, poi, osserva che, anche dopo la c.d. "privatizzazione" dell'Ente Poste in società per azioni, le disposizioni normative hanno continuato ad evidenziare la natura pubblicistica dell'attività di raccolta del risparmio postale. In particolare, richiama le previsioni di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284, relativo al riordino della Cassa depositi e prestiti, per sottolineare che a) i fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale, buoni fruttiferi postali e altri prodotti finanziari assistiti dalla garanzia dello Stato rientrano nelle risorse della Cassa depositi e prestiti; b) le caratteristiche e le altre condizioni dei libretti di risparmio postale, buoni fruttiferi postali e altri prodotti finanziari assistiti dalla garanzia dello Stato sono stabilite con decreti del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, adottati su proposta del Direttore della Cassa depositi e prestiti; c) per la raccolta del risparmio attraverso i libretti di risparmio postale e i buoni fruttiferi postali la Cassa depositi e prestiti "si avvale di Poste italiane Spa"; d) la Corte dei Conti delibera sul rendiconto della Cassa depositi e prestiti e riferisce annualmente al Parlamento sull'andamento della sua gestione; e) le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 156 del 1973 in materia di libretti di risparmio postale e di buoni fruttiferi postali sono abrogate solo a decorrere dall'entrata in vigore dei decreti che stabiliscono nuove caratteristiche di tali prodotti.
La decisione conclude che, in ragione dei "poteri certificatori esercitati", deve riconoscersi la qualifica di pubblico ufficiale al dipendente di Poste italiane Spa quando svolge la sua attività in relazione al risparmio postale.
3.2. Le successive pronunce relative all'attività svolta dal dipendente di Poste italiane Spa nel settore del risparmio postale, per molto tempo, hanno richiamato espressamente Sez. 6, n. 20118 del 08/03/2001, cit., pur ritenendo ravvisabile la qualifica di incaricato di pubblico servizio.
In questo senso, in particolare, si sono espresse Sez. 6, n. 33610 del 21/06/2010, Serva, Rv. 248271 - 01; Sez. 6, n. 3897 del 09/12/2008, dep. 2009, Cappiello, Rv. 242520 - 01; Sez. 6, n. 34884 del 07/03/2007, Incarbone, Rv. 237693 - 01; Sez. 6, n. 36007 del 15/06/2004, Perrone, n. 229758 - 01; Sez. 6, n. 28101 del 07/02/2002, Mancuso, Rv. 222012 - 01.
Tra queste decisioni, Sez. 6, n. 33610 del 21/06/2010, cit., si segnala perché evidenzia come le osservazioni esposte da Sez. 6, n. 20118 del 08/03/2001, cit. non debbano essere rimeditate in considerazione della successiva evoluzione normativa, la quale ha trasformato Cassa depositi e prestiti in una società per azioni, in forza dell'art. 5 D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, ed ha disposto sulla ripartizione delle passività per i buoni fruttiferi postali e per i libretti di risparmio postale tra Cassa depositi e prestiti e Ministero dell'Economia e delle Finanze, mediante D.M. 5 dicembre 2003 del Ministero dell'Economia e delle Finanze.
La qualifica di incaricato di pubblico servizio del dipendente di un ufficio postale, inoltre, è stata riconosciuta anche al fine della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 10, cod. pen. da Sez. 5, n. 31660 del 13/02/2015, Barone, Rv. 265290 - 01).
3.3. Un ulteriore approfondimento della soluzione favorevole alla attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio al dipendente di Poste italiane Spa quando agisce nell'ambito delle attività di raccolta del risparmio postale è stato operato da Sez. 6, n. 10875 del 23/11/2016, dep. 2017, Carloni, Rv. 272079 -01.
La decisione premette che la nozione di incaricato di pubblico servizio è predicabile indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di impiego tra l'agente ed un ente pubblico, in quanto l'art. 358 cod. pen. fa riferimento a colui che, "a qualunque titolo", presta un servizio pubblico, e richiede una regolamentazione pubblicistica di quest'ultimo, che vincola l'operatività del soggetto o ne disciplina la discrezionalità in coerenza col principio di legalità.
La decisione rappresenta poi che, procedendo ad un'analisi delle caratteristiche proprie di ciascuna delle attività di bancoposta definite dall'art. 2, comma 1, D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, risulta evidente la specificità del settore relativo alla raccolta del risparmio postale rispetto a quello dell'ordinaria raccolta di risparmio tra il pubblico.
Evidenzia, in particolare, che a) il risparmio postale, a norma dell'art. 2, comma 6, D.P.R. n. 144 del 2001, è oggetto di distinta considerazione rispetto alle altre attività di bancoposta e ad esso possono essere riferite le disposizioni del T.U. bancario e del T.U. finanze solo "ove applicabili" o "in quanto compatibili"; b) le somme provenienti dal risparmio postale possono essere utilizzate solo per finalità di pubblico interesse, atteso il disposto dell'art. 5, comma 7, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modificazioni; c) gli strumenti di risparmio postale costituiscono forme di investimento prudenziale, caratterizzate dall'immediata liquidabilità dell'investimento senza perdite in conto capitale o altre penalizzazioni, a differenza anche degli investimenti in titoli di Stato, soggetti alle fluttuazioni del mercato in caso di vendita anticipata; d) l'emissione ed il collocamento degli strumenti di risparmio postale sono riservati in via esclusiva, per legge, la prima a Cassa depositi e prestiti Spa ed il secondo a Poste italiane Spa o a società da essa controllate; e) Cassa depositi e prestiti Spa ha l'obbligo di istituire un sistema di separazione patrimoniale, organizzativa e contabile per le attività di pubblico interesse di cui all'art. 5, comma 7, D.L. n. 269 del 2003; f) per le attività della
gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa, il Ministro dell'Economia e delle Finanze determina con propri decreti di natura non regolamentare i parametri e le principali condizioni di esercizio, ex art. 5, comma 11, D.L. n. 269 del 2003, e l'ente può avvalersi dell'Avvocatura dello Stato; g) Cassa depositi e prestiti Spa e Poste italiane Spa sono sottoposte al controllo della Corte dei Conti a norma dell'art. 12 legge n. 259 del 1958; h) a norma dell'art. 12 D.P.R. n. 156 del 1973, anche dopo l'eliminazione del riferimento ai servizi di telecomunicazioni operata dall'art. 218, lett. h), D.Lgs. n. 259 del 2003, "(l)e persone addette ai servizi postali e di bancoposta, anche se dati in concessione ad uso pubblico, sono considerate pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, secondo la natura delle funzioni loro affidate, in conformità degli articoli 357 e 358 del codice penale".
3.4. Le conclusioni e gli argomenti espressi da Sez. 6, n. 10875 del 23/11/2016, cit., sono stati condivisi da successive pronunce, quali Sez. 6, n. 38310 del 04/07/2023, Costa, non massimata; Sez. 6, n. 44146 del 22/06/2023, Agnoletti, non massimata; Sez. 6, n. 28630 del 22/06/2022, F., non massimata; Sez. 6, n. 993 del 20/11/2018, dep. 2019, Consiglio, Rv. 274938 - 01; Sez. 6, n. 52662 del 02/10/2018, Carbone, Rv. 274297 - 01; Sez. 6, n. 14227 del 13/01/2017, Spataro, Rv. 269481 - 01.
In particolare, queste decisioni sottolineano che i prodotti del risparmio postale sono sottoposti a forme di tassazione agevolata, sono esenti dagli oneri di successione; i proventi di tale raccolta sono destinati da Cassa depositi e prestiti al sostegno degli investimenti pubblici; le caratteristiche e le altre condizioni dei libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi postali sono fissate con decreti del Ministro dell'Economia e delle Finanze su proposta del direttore generale della Cassa depositi e prestiti; quest'ultima per la raccolta del risparmio postale si avvale in via esclusiva di Poste italiane Spa
3.5. Da ultimo, la soluzione che qualifica il dipendente di Poste italiane Spa come incaricato di pubblico servizio, quando agisce nell'attività di vendita e gestione dei prodotti del risparmio postale, è stata ribadita con ampia motivazione da Sez. 6, n. 22280 del 07/03/2024, Faso, Rv. 286614 - 01.
La pronuncia appena citata valorizza in particolare i seguenti profili a) il legislatore, specie nel D.P.R. n. 144 del 2001, distingue nettamente tra attività di raccolta del risparmio postale e attività di raccolta del risparmio tra il pubblico; b) i fondi raccolti mediante la sollecitazione del risparmio postale costituiscono risorsa economica utilizzata da Cassa depositi e prestiti per il perseguimento delle sue finalità istituzionali, a norma dell'art. 5, comma 7, D.L. n. 269 del 2003; c) Poste italiane Spa, per la collocazione dei prodotti del risparmio postale, opera in regime di monopolio, in forza del disposto di cui all'art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 284 del 1999; d) il Ministro dell'Economia e delle Finanze ha il potere di determinare
con propri decreti di natura non regolamentare i criteri per la definizione delle condizioni generali ed economiche dei libretti di risparmio postale, dei buoni fruttiferi postali, dei titoli, dei finanziamenti e delle altre operazioni finanziarie, assistiti dalla garanzia dello Stato, ai sensi dell'art. 5 D.L. n. 269 del 2003; e) il D.M. 5 ottobre 2020 del Ministro dell'Economia e delle Finanze ha rimesso a Cassa depositi e prestiti Spa la definizione delle condizioni di emissione e delle caratteristiche dei prodotti del risparmio postale, ha prescritto l'allineamento del costo della raccolta mediante buoni fruttiferi postali al costo equivalente all'indebitamento del Tesoro sul mercato, ed ha escluso commissioni a carico dei risparmiatori per i servizi di collocamento, gestione e rimborso di tali buoni; f) i libretti e i buoni postali sono inclusi nel debito pubblico in quanto passività della Cassa depositi e prestiti, come precisano le "note metodologiche" del 14 ottobre 2008 pubblicate sul sito internet della Banca d'Italia; g) i buoni fruttiferi postali hanno un regime giuridico particolare in quanto assistiti dalla garanzia dello Stato, non cedibili, esenti dalle imposto di registro, bollo, ipotecaria e catastale e da ogni altro tributo, nonché esclusi dall'attivo ereditario e dall'imposta di successione; h) i buoni fruttiferi postali, come ripetutamente precisato dalla giurisprudenza civile di legittimità, non sono titoli di credito, ma documenti di legittimazione, funzionali esclusivamente ad identificare l'avente diritto alla prestazione.
4. La soluzione che esclude la qualifica di pubblico agente in relazione al dipendente di Poste italiane Spa quando agisce nell'ambito delle attività di raccolta del risparmio postale è stata affermata in epoca più recente.
4.1. Sez. 6, n. 10124 del 21/10/2014, dep. 2015, De Vito, Rv. 262746 - 01, è la prima decisione che ha accolto la tesi privatistica.
La pronuncia appena indicata premette che la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio è connessa all'effettivo esercizio di funzioni nell'ambito di un pubblico ufficio o servizio, e, quindi, prescinde dalla qualità pubblica o privata dell'ente di appartenenza.
Osserva, poi, che l'attività bancaria è attività privata e non esercizio di pubblico servizio, e che l'attività di "bancoposta", per il suo intrinseco contenuto, è anch'essa attività bancaria, quindi, come tale, attività di diritto privato.
Sottolinea che la piena equiparazione dell'attività di bancoposta alla comune attività bancaria risulta in modo chiaro dalle previsioni del D.P.R. n. 144 del 2001, poiché questo, tra l'altro, parifica espressamente Poste italiane Spa alle banche ai fini della applicazione del T.U. bancario e del T.U. finanza, separa contabilmente l'intera attività di "bancoposta" rispetto alle altre attività di Poste italiane Spa, evitando commistioni, e riserva la disciplina dei rapporti con la clientela alle leggi civili senza prevedere deroghe implicanti l'esercizio di un pubblico servizio.
Evidenzia, quindi, che qualificare i dipendenti postali come incaricati di pubblico servizio quando svolgono attività relative al servizio di bancoposta implica l'applicazione agli stessi di un trattamento più aspro rispetto a quello riservato ai dipendenti bancari, senza che ciò risponda ad alcuna ragionevole giustificazione.
Sez. 6, n. 10124 del 21/10/2014, cit., inoltre, esamina analiticamente gli argomenti addotti dall'orientamento cui si contrappone, e procede a confutarli. Rappresenta, in particolare, che a) i dipendenti di Poste italiane Spa, quando provvedono alla raccolta del risparmio postale, operano sì "per conto", ma non "in nome", di Cassa depositi e prestiti, in quanto spendono con i clienti il nome di Poste italiane Spa e non quello di Cassa depositi e prestiti, e comunque anche un'eventuale spendita del nome di questa non comporta deroghe all'applicazione delle regole applicabili all'attività bancaria; b) la disposizione di cui all'art. 12 D.P.R. n. 156 del 1973 è stata dettata in epoca precedente alla riforma dei settori postale e bancario, non può dirsi "confermata" dall'eliminazione del solo riferimento agli addetti al settore delle telecomunicazioni, operata dal D.Lgs. n. 259 del 2003, in quanto il D.Lgs. appena citato si è occupato esclusivamente di questo settore, e presuppone comunque la necessità di avere riguardo alla "natura delle funzioni (...) affidate"; c) la disposizione di cui all'art. 18 D.Lgs. n. 261 del 1999 qualifica "incaricate di pubblico servizio in conformità dell'art. 358 cod. pen." le "persone addette ai servizi postali", ma non fa alcun cenno ai servizi di "bancoposta"; d) il contratto di programma stipulato tra il Ministero delle Comunicazioni e Poste italiane Spa non contiene alcuno specifico riferimento ai servizi postali; e) Cassa depositi e prestiti, per realizzare le proprie finalità istituzionali, può utilizzare, oltre che le risorse provenienti dal risparmio postale, anche altri prodotti finanziari da essa emessi e collocati tra il pubblico mediante banche, intermediari finanziari e imprese di investimento; f) i rapporti tra Cassa depositi e prestiti Spa e Poste italiane Spa sono quelli comunemente intercorrenti tra un azionista e la società di cui si possiedono le azioni.
4.2. Il principio affermato da Sez. 6, n. 10124 del 21/10/2014, cit., è stato ribadito o comunque richiamato da alcune successive decisioni.
In particolare, Sez. 6, n. 39852 del 16/09/2015, Brocco, non massimata, e Sez. 6, n. 18457 del 30/10/2014, dep. 2015, Romano, Rv. 263359 - 01, hanno fatto applicazione del principio (Sez. 6, n. 18457 del 30/10/2014, cit., ha anche testualmente riproposto le motivazioni di Sez. 6, n. 10124 del 21/10/2014, cit.).
Altre decisioni, invece, hanno richiamato il principio, ma, pur ritenendolo esplicitamente o implicitamente condivisibile, hanno escluso di poterlo applicare (così Sez. 6, n. 3940 dell'I 1/12/2015, dep. 2016, Prete, non massimata, la quale ha ravvisato di non potersi pronunciare sul punto per l'esistenza di un giudicato cautelare), o comunque si tratta di pronunce riguardanti attività diverse dal risparmio postale (cfr. Sez. 6, n. 22275 del 31/01/2024, Puglisi, massimata per altro, relativa all'addetto allo sportello di cassa incaricato dal cliente del pagamento di tributi tramite modello F24, nonché Sez. 6, n. 42657 del 31/05/2018, Paolacci, Rv. 274289 - 01, riferita all'addetto ad uno sportello di cassa incaricato del pagamento di un bollettino postale).
4.3. Una ulteriore decisione, Sez. 2, n. 20437 del 07/03/2018, Callea, Rv. 272807 - 01, ha escluso la configurabilità del reato di falsità materiale del privato in atto pubblico con riferimento alla condotta di chi forma falsi buoni fruttiferi postali, ritenendo che detti documenti debbano essere qualificati come scritture private, in quanto, "per struttura e funzione, il servizio di Poste italiane Spa, consistente nella negoziazione dei buoni fruttiferi in favore dei privati, non si discosta dagli analoghi servizi offerti dal sistema bancario rimanendo assoggetta ad una disciplina di diritto privato".
A fondamento di questa conclusione, la pronuncia premette che non è in discussione la natura di ente pubblico di Poste italiane Spa, anche perché l'interesse pubblico può essere perseguito con strumenti giuridici di natura privatistica, come riconosciuto espressamente dal Consiglio di Stato (si cita Cons. Stato, n. 1206 del 02/03/2011). Osserva, però, che i servizi di tipo bancario offerti da Poste italiane Spa hanno natura complementare all'originaria finalità pubblicistica. Sottolinea in proposito, e anzitutto, che il D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, "opera, testualmente e chiaramente, una piena equiparazione dell'attività di bancoposta a quella delle vere e proprie banche, senza prevedere alcuna conseguenza del particolare rapporto con la Cassa depositi e prestiti", in quanto assoggetta anche il c.d. "risparmio postale" alla disciplina del T.U. bancario e del T.U. finanza, e dispone "per quanto non diversamente previsto dal presente decreto i rapporti con la clientela sono disciplinati in via contrattuale nel rispetto delle norme del codice civile e delle leggi speciali". Aggiunge, poi, che la natura privatistica del rapporto intercorrente tra il sottoscrittore dei buoni postali fruttiferi e Poste italiane Spa è evidenziata anche dalla giurisprudenza civile di legittimità, quando qualifica i documenti a questi relativi non come titoli di credito, bensì come meri titoli di legittimazione (si cita Sez. U civ., n. 13979 del 15/06/2007).
4.4. La tesi che nega la configurabilità della qualifica di pubblico agente in relazione al dipendente di Poste italiane Spa quando agisce nell'ambito delle attività di raccolta del risparmio postale è stata infine ribadita, in modo estremamente dettagliato, nell'ordinanza di rimessione.
Il Collegio rimettente sottolinea, anzitutto, che la nozione di "servizio economico di interesse generale" è riferita, in generale, anche ai servizi bancari, come rilevato dalla Commissione Europea proprio nella procedura Aiuto di stato n. C 49/2006, relativa alla remunerazione a Poste italiane Spa per il collocamento dei prodotti finanziari del risparmio postale, e che l'attività relativa agli ordinari servizi bancari non implica l'assunzione di qualifiche pubblicistiche a norma degli artt. 357 e 358 cod. pen., secondo il risalente insegnamento della giurisprudenza di legittimità (si cita Sez. U, n. 8342 del 23/05/1987, Tuzet, Tv. 176405 - 01).
Sviluppa, poi, gli argomenti posti a fondamento della tesi privatistica, criticando la persuasività di quelli addotti a base della soluzione pubblicistica.
In particolare, rimarca la natura privatistica dei rapporti con i risparmiatori, precisando che la scelta di acquisire risorse finanziarie dal mercato non deve essere sovrapposta con quella successiva di negoziazione e gestione degli strumenti finanziari emessi, e richiamando, tra l'altro, l'art. 3 D.P.R. n. 144 del 2001, in forza del quale "Per quanto non diversamente previsto nel presente decreto, i rapporti con la clientela ed il conto corrente postale sono disciplinati in via contrattuale nel rispetto delle norme del codice civile e delle leggi speciali".
Rappresenta, inoltre, che a) la previsione di cui all'art. 12 D.P.R. n. 156 del 1973, ricognitiva della qualifica di "incaricato di pubblico servizio" agli addetti ai "servizi postali e di bancoposta", è irrilevante ai fini in esame, perché si riferisce espressamente anche ai servizi ritenuti pacificamente estranei all'area pubblicistica, come, ad esempio, quelli relativi all'emissione di carte di credito; b) la destinazione della raccolta risparmio postale al finanziamento delle finalità pubbliche perseguite da Cassa depositi e prestiti non è elemento dirimente, perché Cassa depositi e prestiti può acquisire risorse a questi specifici fini anche ricorrendo a banche, intermediari finanziari e imprese di investimento, ex art. 2 D.Lgs. n. 284 del 1999; c) le particolari tutele riconosciute ai titolari di buoni postali fruttiferi e di libretti postali di risparmio non sono esclusive del risparmio postale, perché possono essere estese ad altri prodotti emessi dalla Cassa depositi e prestiti ex art. 2 D.M. Ministero Economia e Finanze del 6 ottobre 2004, ed hanno come contropartita una bassa redditività; d) il controllo della Corte dei Conti, previsto sia per Cassa depositi e prestiti Spa, sia per Poste italiane Spa, a norma degli artt. 100 Cost. e 12 legge 21 marzo 1958, n. 259, non è un controllo di legittimità sugli atti, ma di gestione economica, comune a tutti gli enti e le imprese cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, come Eni Spa ed Enel Spa, e si estende indistintamente a tutte le attività svolte dagli enti controllati; e) il trattamento fiscale agevolato e l'esenzione dagli oneri di successione non sono caratteristiche esclusive per i buoni postali fruttiferi, perché sono regimi giuridici estesi a tutte le obbligazioni pubbliche italiane, nonché alle obbligazioni emesse da Stati ed enti territoriali inclusi in una lista di Paesi ritenuti affidabili; f) la collocazione del risparmio postale da parte di Poste italiane Spa non avviene in regime di monopolio, anche perché si riferisce ad un prodotto facente parte di un genere di "comune commercio", e non attiene allo svolgimento di un'attività economica, come rilevato dalla Commissione Europea nella già citata procedura Aiuto di stato n. C 49/2006; g) la qualifica di organismo di diritto pubblico attribuita sia a Poste italiane Spa sia a Cassa depositi e prestiti non è comunque riferibile alle attività di raccolta del risparmio postale.
Il Collegio rimettente, ancora, osserva che, anche a voler ritenere la raccolta del risparmio postale un servizio pubblico, deve escludersi la qualifica pubblicistica dell'operatore di Poste italiane Spa addetto ai rapporti con il cliente per la vendita e la gestione dei relativi prodotti.
Rileva, in proposito, che il dipendente di Poste italiane Spa addetto ai servizi di risparmio postale, siccome opera in un settore caratterizzato da una gestione ampiamente dematerializzata, svolge un'attività tipicamente esecutiva, la quale non richiede specifiche competenze e risulta priva del carattere di autonomia. Precisa, in particolare, richiamando l'art. 7 D.M. Ministero Economia e Finanze del 6 ottobre 2004, che le annotazioni effettuate sui libretti di risparmio postale sono in tutto equiparate a quelle previste per i libretti di deposito a risparmio dall'art. 1835 cod. civ., ed hanno forza dimostrativa limitata, in quanto destinate a soccombere se discordanti con le registrazioni contenute nelle scritture contabili di Poste italiane Spa
5. Esposti i termini e le ragioni del contrasto, ad avviso delle Sezioni Unite, per individuare la soluzione della questione, occorre muovere dalle nozioni di pubblico ufficiale e, soprattutto, di incaricato di pubblico servizio.
L'individuazione del contenuto e, soprattutto, dei confini applicativi di tali nozioni, infatti, costituisce la necessaria premessa per poter valutare se in una di esse sia, o meno, sussumibile, la figura dell'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e alla gestione dei prodotti del risparmio postale.
6. Le disposizioni che definiscono le nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, agli effetti della legge penale, sono fissate dagli artt. 357 e 358 cod. pen.
L'art. 357 cod. pen., rubricato "Nozione di pubblico ufficiale", prevede, al primo comma, che "Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa", e, al secondo comma, che "Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi".
L'art. 358 cod. pen., rubricato "Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio", dispone, al primo comma, che "Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio", e, al secondo comma, che "Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale".
Il testo vigente degli artt. 357 e 358 cod. pen. è stato introdotto, rispettivamente, dagli artt. 17 e 18 della legge 26 aprile 1990, n. 86, salvo lievi modifiche, relative al solo art. 357 cod. pen., recate dall'art. 4, comma 7, legge 7 febbraio 1992, n. 181.
Le citate disposizioni, peraltro, trovano corrispondenza nell'art. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 3002, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 3 agosto 2009, n. 116, e comunemente indicata come "Convenzione di Mérida", la quale, per quanto di specifico interesse in questa sede, all'art. 17, impone agli Stati-parte un preciso obbligo di criminalizzazione delle condotte di sottrazione, appropriazione indebita o altro uso illecito di beni da parte di un "pubblico ufficiale".
Precisamente, a norma dell'art. 2 della Convenzione di Mérida, per "pubblico ufficiale" ("public officiai") deve intendersi (i) qualunque persona sia titolare di un incarico legislativo, esecutivo, amministrativo o giudiziario di uno Stato-parte; (ii) qualunque persona eserciti una pubblica funzione, anche se per conto di una agenzia pubblica ("public agency") o di una impresa pubblica ("public enterprise"), ovvero fornisca un pubblico servizio ("who (...) provides a public service"), così come tali termini sono definiti dalla disciplina nazionale dello Stato-parte e applicati nel ramo pertinente del diritto di tale Stato; (iii) qualunque altra persona definita come "public officiai" dalla disciplina nazionale dello Stato-parte.
7. In relazione alle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, risulta un'ampia ed articolata elaborazione sia della giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, sia della dottrina.
8. Nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, risultano, in particolare, tre decisioni pronunciate dopo la sostituzione del testo degli artt. 357 e 358 cod. pen. in forza dell'art. 17 della legge n. 86 del 1990.
8.1. La prima decisione, in ordine cronologico, è Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992, Delogu, Rv. 191171 - 01/191172 - 01/191173 - 01, la quale, in particolare, ha enunciato tre principi in tema di individuazione delle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio.
Innanzitutto, ha affermato che, ai sensi dell'art. 357 cod. pen., come novellato dalle leggi n. 86 del 1990 e n. 181 del 1992, la qualifica di pubblico ufficiale deve essere riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati, quale che sia la loro posizione soggettiva, possono e debbono, nell'ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione oppure esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati.
In proposito, ha specificamente precisato che, ai fini della qualificazione di pubblico ufficiale, è sufficiente l'esercizio disgiuntivo del potere autoritativo o certificativo. Ciò anche perché la riforma di cui all'art. 4 della legge n. 181 del 1992, ponendosi in linea con la giurisprudenza formatasi subito dopo l'entrata in vigore della legge n. 86 del 1990, ha sostituito l'ultima parte dell'art. 357, secondo comma, cod. pen., laddove recitava "caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione "e" dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi "e" certificativi", con la formula "caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione "o" dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi "o" certificativi".
In secondo luogo, Sez. U, Delogu, ha rilevato che, in tema di nozione di pubblico ufficiale, rientrano nel concetto di "poteri autoritativi" non soltanto i "poteri coercitivi", ma anche tutte quelle attività che sono comunque esplicazione di un potere pubblico discrezionale nei confronti di un soggetto, che viene a trovarsi così su un piano non paritetico - di diritto privato - rispetto all'autorità che tale potere esercita, e, invece, nel concetto di "poteri certificativi" tutte quelle attività di documentazione cui l'ordinamento assegna efficacia probatoria, quale che ne sia il grado.
Con riguardo a tale aspetto, in particolare, ha osservato che "(i)l carattere autoritativo degli atti amministrativi è, invero, nozione di genere che contraddistingue il potere della pubblica amministrazione di porre in essere atti o provvedimenti suscettibili di produrre unilateralmente ex se effetti giuridici". Ha inoltre evidenziato che la principale modifica recata dalle riforme di cui alle leggi n. 84 del 1990 e n. 181 del 1992, "è costituita dall'esclusione di ogni riferimento al rapporto di dipendenza del soggetto dallo Stato ovvero da altro ente pubblico, con la conclusiva sostituzione del criterio di distinzione funzionale-oggettivo a quello soggettivo. Per cui la qualifica di pubblico ufficiale deriva e risulta connotata esclusivamente dal concreto esercizio di una pubblica funzione".
In terzo luogo, Sez. U, Delogu, ha esplicitato che sono incaricati di un pubblico servizio, ai sensi dell'art. 358 cod. pen., come novellato dall'art. 18 della legge n. 86 del 1990, coloro i quali, pur agendo nell'ambito di un'attività disciplinata nelle forme della pubblica funzione, mancano dei poteri tipici di questa, purché non svolgano semplici mansioni di ordine, né prestino opera meramente materiale "Il pubblico servizio è dunque attività di carattere intellettivo, caratterizzata, quanto al contenuto, dalla mancanza dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, con la quale è solo in rapporto di accessorietà o complementarietà".
8.2. La successiva decisione in ordine cronologico è Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, Rv. 211190 - 01, la quale ha enunciato significativi principi in tema di pubblico agente e di incaricato di pubblico servizio.
Precisamente, secondo questa pronuncia, al fine di stabilire se l'attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 cod. pen., è necessario verificare se essa sia o meno disciplinata da norme di diritto pubblico, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, distinguendosi poi - nell'ambito dell'attività definita pubblica sulla base di detto parametro oggettivo - la pubblica funzione dal pubblico servizio per la presenza (nell'una) o la mancanza (nell'altro) dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal secondo comma dell'art. 357 cit.
Sez. U, Citaristi, ha innanzitutto evidenziato che, dopo la riforma degli artt. 357 e 358 cod. pen. recata dalla legge n. 86 del 1990, "le nuove formule definitorie della "pubblica funzione" e del "pubblico servizio" non solo non consentono il recupero dei risultati conseguiti nel corso dell'applicazione della precedente normativa, ma nemmeno l'utilizzazione di quei criteri sintomatici ai quali si era soliti fare ricorso".
Ha poi segnalato che "l'adozione del criterio oggettivo, realizzatosi con quell'auspicata riforma, si è tradotta in una connotazione funzionale dell'attività concretamente esercitata e che in tale prospettiva è essenziale la ricerca e l'individuazione della disciplina normativa alla quale essa è sottoposta, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore". Ha inoltre puntualizzato che al secondo comma dell'art. 357 cod. pen. "va riconosciuto il ruolo di fornire un'analitica definizione della "pubblica funzione", non esposta al rischio di discrezionali scelte interpretative, ma destinata a riflettersi, attraverso una comparazione negativa, sulla nozione residuale del "pubblico servizio"".
Sez. U, Citaristi, ha quindi rilevato che le nuove formule definitorie hanno ridotto l'area dell'incertezza interpretativa con riguardo alla individuazione delle funzioni legislativa e giudiziaria, ma anche di quella amministrativa.
In particolare, occupandosi di quest'ultima, ha premesso che vi è una certa difficoltà nella "delimitazione della funzione amministrativa", in specie "perché oggi si assiste, proprio nell'ambito della pubblica amministrazione, al moltiplicarsi di forme organizzative complesse nelle quali convergono e si sovrappongono interessi pubblici e privati". Ha però osservato che anche con riguardo all'attività amministrativa è possibile individuare "schemi tipici". Segnatamente, ha rimarcato che il rapporto tra diritto pubblico e diritto amministrativo è un rapporto di genere a specie, posto che "il primo concerne l'organizzazione generale dello Stato, mentre il secondo riguarda, in particolare, la concreta organizzazione della pubblica amministrazione, e cioè di quell'attività che non solo è diversa da quella legislativa e giudiziaria, ma è, in positivo, quella volta a realizzare, in concreto, le finalità perseguite dallo Stato". E, muovendo da questa premessa, ha concluso che, "in base alla più tradizionale concezione del diritto pubblico, questo viene individuato nelle norme organizzative che rendono possibile la concreta attuazione degli interessi pubblici realizzabili attraverso appropriate strutture operative".
Facendo applicazione di tale principio, Sez. U, Citaristi, ha ritenuto sussistente la qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al soggetto che ricopriva la carica di presidente del "fondo pensioni" di una banca, rilevando, per un verso, che l'attività previdenziale svolta da tale "fondo" era sottoposta ad una disciplina di diritto pubblico, siccome volta a rendere possibile la concreta attuazione di interessi pubblici, e, sotto altro lato, che nello svolgimento di tale attività non erano rinvenibili né il concorso alla formazione o alla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione, né l'esercizio dì poteri autoritatìvì o certificativi.
Sembra utile evidenziare, con riguardo al primo aspetto, che è stata ravvisata la qualifica pubblicistica perché l'attività in esame "è (era) interamente disciplinata da norme di diritto pubblico", nonostante l'espresso riconoscimento che il "fondo pensioni" in questione rientrasse "nell'alveo delle "fondazioni", sottoposte a mera autorizzazione amministrativa", e, quindi, avesse incontestabilmente una "intrinseca natura privatistica". A fondamento della conclusione della natura delle norme di riferimento come "norme di diritto pubblico", la sentenza ha osservato che tali regole esaltano i profili pubblicistici dell'attività regolata "attraverso l'imposizione obbligatoria di specifici oneri, nonché attraverso la stessa disciplina organizzativa dell'ente che all'esercizio di quelle funzioni era preposto", quali, segnatamente, l'iscrizione necessaria agli stessi e la sottoposizione ad un controllo del Ministero del Tesoro non limitato ad un "mero controllo estrinseco di legittimità formale degli atti", ma comprendente "la correttezza sostanziale della gestione", caratterizzato anche dal potere di nominare il presidente del collegio sindacale. Ha poi precisato che, nell'ambito delle attività svolte dal "fondo", e disciplinate da "norme di diritto pubblico", rientrano anche quelle relative alla "gestione delle risorse finanziarie", perché i contributi versati hanno una destinazione imposta dalla legge, la quale costituisce parte integrante dell'attività pensionistica e previdenziale, e che, a tal fine, è del tutto irrilevante l'impiego di contratti "sottoposti ad una disciplina privatistica", in quanto "per l'individuazione di una pubblica attività ciò che rileva è la connotazione pubblicistica della fonte normativa dalla quale tale attività trae la sua legittimazione, nonché le regole del suo esercizio, ma non certamente le norme che disciplinano i singoli mezzi, materiali o giuridici, necessari per la concreta esecuzione di quell'attività".
Appare significativo rimarcare, poi, in ordine al secondo aspetto, già in precedenza menzionato, che è stato escluso l'esercizio di una pubblica funzione, e quindi la qualifica di pubblico ufficiale, perché l'attività svolta non concorreva "alla formazione o alla manifestazione della volontà della P.A., ossia dello Stato o delle strutture pubbliche preposte all'assolvimento della funzione pensionistica e di quella previdenziale", né poteva dirsi riferita ad un ente, il quale "disponesse di poteri autoritativi o certificativi e che di tali poteri si sia avvalso nella sua istituzionale attività".
8.3. La più recente delle decisioni precedentemente richiamate in tema di individuazione della nozione di pubblico agente è Sez. U, n. 6087 del 24/09/2020, Rubbo, Rv. 280573 - 01, la quale ha precisato che il titolare della concessione per gli apparecchi da gioco leciti di cui all'art. 110, commi 6 e 7, T.U.L.P.S., riveste la qualifica formale di "agente contabile" ed è incaricato di pubblico servizio, e che all'esercizio di tale funzione partecipano anche il gestore e l'esercente, essendo loro delegate parte delle attività proprie del concessionario.
La pronuncia appena citata rappresenta, innanzitutto, che il concessionario di esercizio della rete telematica esercita un pubblico servizio. Osserva, in proposito, che la materia dei giochi pubblici è riservata al monopolio dello Stato, il quale può affidarne a privati l'organizzazione e l'esercizio in regime di concessione di servizio. Rimarca, inoltre, che il privato concessionario svolge una "funzione pubblica", la quale consiste nel controllo delle attività di gioco, sia al fine di assicurare il rispetto dei limiti di liceità delle stesse, e di svolgere così una funzione di contrasto alla diffusione della ludopatia e delle attività criminali nel settore, sia al fine di garantire "la gestione degli incassi delle giocate, destinati all'Erario".
Sez. U, Rubbo, poi, rileva che anche il gestore e l'esercente, i quali agiscono su incarico del concessionario, svolgono compiti rientranti nella nozione del pubblico servizio, sebbene gli stessi non rivestano il ruolo di "agente contabile", spettante invece al concessionario, perché privi di autonomia nel "maneggio" degli incassi. A fondamento di questa conclusione, osserva che il gestore, come l'esercente, "svolge la sua attività in autonomia, senza il controllo diretto del concessionario, ed a lui è affidata, tra l'altro, la verifica della funzionalità della rete telematica con obblighi di segnalazione di anomalie, risultando già solo per questo avere un ruolo determinante nel profilo che qualifica l'attività data in concessione quale pubblico servizio". Aggiunge, inoltre, che il gestore e l'esercente, pur non avendo un ruolo diretto ed autonomo nella gestione del denaro, "lì dove delegati anche alla gestione degli incassi, sono comunque destinatari, secondo la convenzione di concessione (artt. 6-bis, del contratto con il gestore, e 6, del contratto con l'esercente), di penetranti obblighi di controllo, offerta di garanzie, tracciabilità; tali obblighi sono evidentemente fondamentali per la verifica dei corretti flussi finanziari per la prevenzione dell'inserimento di fenomeni criminali, anche di riciclaggio, così realizzando altri interessi pubblici sottesi alla gestione monopolistica nei termini di cui si è già detto". Evidenzia, quindi, che il gestore, come l'esercente, "partecipa, per la parte delegatagli, all'esercizio delle attività in concessione", in particolare perché "partecipa anche all'esercizio della stessa attività di agente contabile del concessionario, svolgendo rispetto a questa, pur nell'ambito del rapporto di dipendenza considerato dal citato art. 188, R.D. 23 maggio 1924 n. 827, funzioni che non sono di mero concetto, essendogli delegate parte delle necessarie attività di contabilizzazione e movimentazione che il gestore svolge in piena autonomia ed al di fuori del diretto controllo del suo committente".
9. Amplissima è l'elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni semplici della Corte di cassazione con riguardo alle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio.
9.1. Innanzitutto, costituisce principio generalmente condiviso quello secondo cui è configurabile la qualifica di incaricato di pubblico servizio di persone preposte ad attività riferite a soggetti aventi personalità giuridica di diritto privato.
In questo senso, ad esempio, si è ritenuta sussistente la qualifica di pubblico agente con riguardo al presidente di una università agraria; si è osservato che tali enti, pur avendo assunto personalità giuridica di diritto privato, per effetto della legge 20 novembre 2017, n. 168, svolgono in prevalenza un servizio pubblico, in quanto preposti alla amministrazione di beni di collettivo godimento - ovverossia i domini collettivi - quali strumenti di promozione del patrimonio naturale, storico e culturale dei territori e fonti di risorse rinnovabili, con poteri di gestione dei relativi proventi per il perseguimento di interessi generali (Sez. 6, n. 37705 del 11/07/2022, De Paolis, Rv. 283937 - 01).
Allo stesso modo, si è ritenuto siano incaricati di un pubblico servizio anche il presidente di un'associazione di volontariato, facente parte del sistema integrato di protezione civile (Sez. 6, n. 14171 del 29/01/2020, Raviele, Rv. 278759 - 01), nonché il presidente della fondazione "Lombardia Film Commission", in quanto tale ente, pur se con gli strumenti privatistici, persegue finalità pubbliche, quali la promozione del territorio lombardo e dello sviluppo del suo comparto industriale nonché dei servizi nel settore delle nuove tecnologie (Sez. 6, n. 33779 del 21/06/2021, Scillieri, Rv. 282107 - 01).
9.2. In linea con questa impostazione, è estremamente diffuso l'indirizzo in forza del quale "anche i soggetti inseriti nella struttura organizzativa di una società per azioni possono essere qualificati come pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l'attività della società sia disciplinata da norme di diritto pubblico e persegua delle finalità pubbliche sia pure con strumenti privatistici" (così Sez. 6, n. 41788 del 0/07/2024, Callaro, Rv. 287246 - 01; cfr., in questo senso, tra le tantissime altre, Sez. 6, n. 36874 del 13/06/2017, Romeo, Rv. 270816 - 01, e Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 2016, Bonomelli, Rv. 267045 - 01).
Ad ulteriore esplicazione di questo principio, si è ritenuto che possa rivestire la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio l'amministratore di una società a partecipazione pubblica, anche quando questa partecipazione sia minoritaria e non di maggioranza, a condizione che sussista il carattere pubblico del servizio svolto dall'impresa (Sez. 6, n. 22282 del 07/05/2024, Rinaldi, Rv. 286666 - 01).
È stato ritenuto incaricato di pubblico servizio il legale rappresentante di una società privata, la quale, in forza di un contratto stipulato con un ente pubblico, abbia il compito della raccolta e della conservazione su di un server delle immagini registrate dall'impianto di videosorveglianza installato da un Comune sul proprio territorio, allo scopo di tutela della sicurezza dei cittadini, in quanto tale attività, pur quando è svolta da un soggetto operante con gli strumenti del diritto privato, attiene ad un ambito, quello avente ad oggetto il diritto alla riservatezza della generalità degli individui, tipicamente disciplinato da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi (Sez. 6, n. 31171 del 20/06/2023, Canu, Rv. 285085 - 01).
In una prospettiva più generale, inoltre, è costante l'affermazione del principio secondo cui il medico dipendente di una struttura ospedaliera che svolge in regime di convenzione attività libero-professionale, anche all'interno del proprio studio (c.d. intra moenia allargata), è pubblico agente con riferimento al mancato versamento all'ente pubblico dell'onorario riscosso per le prestazioni eseguite, sebbene i suoi rapporti con il paziente siano regolati da un contratto di diritto privato, come quello di prestazione di opera professionale, se e nei limiti in cui la sua attività si svolge nell'ambito di un rapporto con la P.A. (cfr., tra le tantissime Sez. 6, n. 24717 del 24/04/2024, Lombardo, Rv. 286666 - 01; Sez. 6, n. 23792 del 10/03/2022, Negro, Rv. 283274 - 01; Sez. 6, n. 15945 del 18/02/2021, Del Gaudio, Rv. 280967 - 01).
9.3. Secondo questa consolidata elaborazione giurisprudenziale, il profilo decisivo, quindi, attiene all'individuazione della natura della specifica attività che viene in rilievo.
Precisamente, occorre verificare se l'attività, sebbene svolta per conto di un soggetto di diritto privato, e quindi anche di una società, e sebbene realizzata mediante strumenti di diritto privato, debba ritenersi regolata da una disciplina pubblicistica.
Come già osservato in giurisprudenza, "sulla base degli artt. 357 e 358 cod. pen., le qualifiche di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio sono collegate alle attività svolte, che possono definirsi come pubblica funzione amministrativa o come pubblico servizio non per il legame tra il soggetto e un ente pubblico, ma per la disciplina pubblicistica che regola l'attività nonché per i contenuti giuridici pubblici che la connotano, che per quanto riguarda il servizio pubblico sono quantitativamente inferiori (rispetto a quelli della funzione pubblica), tali comunque da escludere dalla categoria i soggetti che svolgono semplici mansioni di ordine ovvero che prestino un'opera meramente materiale" (Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 2016, Bonomelli, cit.).
Un'affermazione costante, ripetuta da numerosissime decisioni, è quella secondo cui "il parametro di delimitazione esterna del pubblico servizio è identico a quello della pubblica funzione ed è costituito da una regolamentazione di natura pubblicistica, che vincola l'operatività dell'agente o ne disciplina la discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio alla libertà di agire quale contrassegno tipico dell'autonomia privata" (così, tra le tantissime Sez. 6, n. 42978 del 17/09/2024, Moauro, Rv. 287123 - 01; Sez. 6, n. 24598 del 08/02/2023, Bartolomei, Rv. 284914 - 01; Sez. 6, n. 18837 del 08/02/2023, Orlando, Rv. 284620 - 01; Sez. 6, n. 1826 del 27/11/2019, dep. 2020, Innocenti, Rv. 278125 - 01; Sez. 6, n. 53578 del 21/10/2014, Cofano, Rv. 261835 - 01; Sez. 6 n. 39359 del 07/03/2012, Ferrazzoli, Rv. 254337 - 01).
Alcune decisioni, in termini sostanzialmente corrispondenti, osservano che "la qualità di servizio pubblico viene ad essere correlata a due requisiti essenziali, quello teleologico della finalità di interesse generale dell'attività svolta, e quello normativo, della previsione di una disciplina di carattere imperativo che, in ragione della rilevanza di interesse generale dell'attività svolta, ne disciplini le modalità di svolgimento con stringenti limiti all'autonomia privata allo scopo di salvaguardare il prevalente interesse generale rispetto a quello privato" (così Sez. 6, n. 22282 del 07/05/2024, Rinaldi, cit., e Sez. 6, n. 44667 del 08/10/2019, Cristini, Rv. 278191 - 01).
9.4. Ad avviso della ormai convergente elaborazione giurisprudenziale, poi, l'attività che viene in rilievo ai fini della qualifica di incaricato di pubblico servizio, o di pubblico ufficiale, non è solo quella dell'ente, ma anche, e segnatamente, quella concretamente esercitata dal soggetto agente, la cui condotta costituisce il riferimento dell'imputazione.
È infatti costante l'affermazione secondo cui, per la sussistenza della qualifica di pubblico agente, è necessario "un attento scrutinio dell'attività concretamente esercitata dal soggetto, la ricerca e l'individuazione della disciplina normativa alla quale essa è sottoposta, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, e la verifica della presenza dei poteri tipici della potestà amministrativa" (così, per tutte Sez. 6, n. 42978 del 17/09/2024, Moauro, cit.; Sez. 6, n. 24598 del 08/02/2023, Bartolomei, cit.; Sez. 6, n. 18837 del 08/02/2023, Orlando, cit.). E, in termini ancor più analitici, si è osservato che, ai fini della configurabilità della qualifica pubblicistica, "(r)ileva l'attività dell'ente, e, posto che questo ente abbia caratteri pubblicistici, quale sia in concreto l'attività compiuta dal soggetto" (Sez. 6, n. 41788 del 02/07/2024, Callaro, cit.).
Questa conclusione, che ritiene fondamentale l'esame dell'attività concretamente esercitata dal soggetto agente, si raccorda anche alla precisa indicazione dell'art. 358, secondo comma, cod. pen., che esclude dall'area del pubblico servizio sia lo "svolgimento di semplici mansioni di ordine", sìa la "prestazione di opera meramente materiale".
9.5. I principi sopra indicati sono stati puntualmente richiamati anche da una recentissima decisione, la quale ha sottolineato che "è la connotazione oggettiva e funzionale dell'attività e non già il carattere pubblico della pecunia a fondare la qualifica di agente pubblico" (così Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, Felicita, Rv. 287453 - 01).
Sembra utile dare conto anche dell'applicazione concreta del principio enunciato, riferito all'attività svolta dal presidente di una Federazione sportiva, ossia di un ente di diritto privato, operante secondo regole di diritto privato.
Precisamente, si è escluso che l'imputato avesse agito nello svolgimento di un'attività pubblicistica quando si era fatto rimborsare dalla Federazione sportiva spese "extra-istituzionali", in quanto tali spese "traevano origine dal proprio rapporto contrattuale con la Federazione, retto dal diritto privato e non da norme di diritto pubblico".
Si è invece affermato che il medesimo imputato aveva agito nello svolgimento di un pubblico servizio, e commesso il reato di peculato, quando aveva stipulato, nell'interesse e per conto della precisata Federazione sportiva, un contratto avente ad oggetto la locazione di un immobile di sua proprietà, al dichiarato fine di soddisfare le esigenze abitative degli atleti, dei dipendenti e dei dirigenti dell'ente, per poi invece concederlo in godimento alla figlia.
10. In dottrina, le posizioni in tema di nozioni generali di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio sono articolate, sebbene spesso in parte accomunate da alcuni approdi condivisi.
10.1. Un profilo sul quale è dato registrare una generale concordanza di opinioni tra gli Studiosi è quello secondo cui, ai fini della qualifica di pubblico agente, a norma degli artt. 357 e 358 cod. pen., non è necessario che il soggetto-persona fisica agisca in nome o anche solo per conto di un ente pubblico.
Sin dall'entrata in vigore della legge di riforma n. 86 del 1990, si è infatti evidenziato che, nel dettato normativo, le nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio sono ancorate ad una concezione oggettiva e funzionale della pubblica funzione e del pubblico servizio, in assenza di qualunque riferimento alla necessità di un rapporto tra il soggetto agente ed un ente pubblico, come invece previsto dalla disciplina previgente.
In particolare, con riferimento alla figura dell'incaricato di un pubblico servizio si è osservato che l'eliminazione della necessità di un rapporto organico tra il soggetto agente e l'ente pubblico è stata ulteriormente sottolineata dalla locuzione "a qualunque titolo", presente nel primo comma dell'art. 358 cod. pen.
E, nella medesima prospettiva, si è evidenziato, già a metà degli anni Novanta, che la figura tipica dell'incaricato di un pubblico servizio, nella comune esperienza applicativa, è quella del concessionario, ossia quella di un soggetto che "opera nell'ambito di una disciplina pubblicistica, ma agisce iure proprio, mediante atti e strumenti che non rifluiscono nella sfera soggettiva della P.A., in quanto sono direttamente ascrivibili al concessionario stesso".
Altra opinione dottrinale, poi, di fronte ai moderni sviluppi del diritto pubblico dell'economia, caratterizzata dalla trasformazione di enti pubblici economici e di aziende pubbliche in società per azioni, ha sottolineato che occorre distinguere tra "privatizzazione" e "liberalizzazione", e privilegiare il secondo aspetto rispetto al primo ai fini dell'individuazione della qualifica soggettiva pubblicistica. Secondo questa impostazione, "privatizzare" significa trasformare l'assetto strutturale di un soggetto, prima articolato sulla base di schemi organizzativi pubblicistici, secondo forme tipologiche privatistiche, come quelle di una società per azioni, mentre "liberalizzare" significa dismettere vincoli pubblicistici nella gestione dell'attività e nella erogazione del servizio, per aprire quell'attività e quel servizio alle dinamiche della concorrenza e del mercato. Ed è la "liberalizzazione" il fenomeno di maggior rilievo per valutare se sia configurabile la qualifica di pubblico agente, perché la disciplina di cui agli artt. 357 e 358 cod. pen., come modificata dalla legge n. 86 del 1990, "guarda non alla forma ma alla sostanza, concentrandosi sull'attività esercitata, ricalcando un paradigma funzionale oggettivo".
10.2. Il profilo decisivo per valutare se sia configurabile la qualifica di incaricato di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, quindi, nella generalità delle ricostruzioni della dottrina, attiene all'individuazione della natura dell'attività esercitata, che deve essere legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Con specifico riguardo alla attività amministrativa, si evidenzia che, dal combinato disposto del secondo comma dell'art. 357 cod. pen. e del secondo comma dell'art. 358 cod. pen., emerge innanzitutto un criterio di "delimitazione esterna", comune ad entrambe le qualifiche pubblicistiche l'attività deve essere "disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi". E poi un criterio di "delimitazione intema" tra le due qualifiche la qualifica di pubblico ufficiale si distingue da quella dell'incaricato di pubblico servizio perché è "caratterizzata dalla formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi". Inoltre, si rimarca come il secondo comma dell'art. 358 cod. pen. puntualizzi l'estraneità alle qualifiche pubblicistiche "dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale".
10.3. Per quanto attiene al criterio di "delimitazione esterna" della funzione o del servizio "amministrativi", si discute innanzitutto se sia sufficiente che la specifica attività sia regolata da norme di diritto pubblico o se sia anche necessaria la presenza di atti autoritativi.
Vi è stato chi, in linea generale, ha rilevato che, quando ricorrono atti autoritativi, vi è anche una disciplina dettata da norme di diritto pubblico, mentre l'applicazione di una disciplina pubblicistica non implica indefettibilmente la presenza dei primi.
Ad ogni modo, sembra maggiormente diffusa la tesi della necessità della compresenza dei due profili. Questa opzione ermeneutica, in particolare, è argomentata sulla base del dato testuale dell'art. 357, secondo comma, cod. pen., e della sua evoluzione storica dopo la riforma del 1990, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disposizione di cui all'art. 357 cod. pen., con la legge n. 181 del 1992, e, mentre ha lasciato inalterata la congiuntiva "e" laddove si prevede che l'attività deve essere "disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi", ha sostituito la congiuntiva "e" con la disgiuntiva "o" nella parte in cui si attribuisce rilevanza all'esercizio di "poteri autoritativi o certificativi".
Problematica, poi, risulta essere l'individuazione della nozione di "norme di diritto pubblico".
In linea generale, si osserva che detta nozione implica il superamento delle tesi fondati su criteri ontologici o teleologici di individuazione della funzione amministrativa, come quello della immanenza dell'interesse pubblico o del perseguimento di finalità pubblicistica.
Secondo alcune impostazioni, inoltre, esulano dall'ambito della disciplina delle norme di diritto pubblico le attività regolamentate in forme privatistica, cioè attraverso gli strumenti di un contratto tipico o di un negozio giuridico privato.
Altri, invece, dopo aver rilevato come la lettera della disposizione non sia in grado di escludere che un'attività privatistica sia da ritenere pubblico servizio, hanno però segnalato che tale conclusione si porrebbe in contrasto con l'evoluzione della disciplina e delle pertinenti elaborazioni in materia. E che, quindi, "un'attività regolata da norme privatistiche, com'è senz'altro l'attività di impresa (...), ancorché oggetto di particolare "cura" ad opera della p.a. sotto più o meno numerosi e anche importanti profili (autorizzazioni, controlli), non può costituire, almeno per questa sola ragione, un pubblico servizio". Ed hanno precisato che attività non assoggettata a "norme di diritto pubblico", in particolare, è quell'attività il cui ordinario svolgimento si pone su un piano di parità formale e di libera concorrenza tra pubblico e privato, nonché in termini di rapidità d'azione e di efficienza e dinamismo manageriale. Aggiungendo, però, che il "processo di privatizzazione (...) non risulta di per sé determinante per escludere l'assunzione, da parte degli operatori delle qualifiche soggettive di p.u. (pubblico ufficiale) o di i.p.s. (incaricato di un pubblico servizio)".
In analogo ordine di idee, altra opinione ha sottolineato che non vi è più pubblico servizio "se manca un regime di monopolio o riserva, se manca un finanziamento pubblico a sostegno delle diseconomie di quel servizio, perché quel servizio è stato ormai affidato alla concorrenza".
Secondo un'opzione ermeneutica recentemente riproposta, la quale muove dalla correlazione tra le regole di cui agli artt. 357 e 358 cod. pen. e i valori tutelati dagli artt. 97 e 98 Cost., deve reputarsi di "diritto pubblico" "la disciplina legale che vincola l'esercizio di una data attività alla realizzazione di quei valori, vale a dire al soddisfacimento di un'utilità pubblica, condizionando ogni scelta a criteri di imparzialità e buon andamento (continuità, efficienza)". E, conseguentemente, è da "riconoscere se non altro un "pubblico servizio" quando la disciplina, pur rivolgendosi a un'attività imprenditoriale, imponga la prestazione per l'affermazione di interessi pubblici, stabilendo eccezioni alla libertà di intrattenere relazioni giuridiche, costringendo ad "ammettere alla fruizione del servizio tutti gli utenti che ne abbiano titolo", a condizioni di parità, "adottando criteri uniformi per la determinazione del prezzo"". Fermo restando, però, che "l'attività abbandonata alla concorrenza non può ritenersi eterodiretta alla soddisfazione di una finalità pubblica", perché "nel mercato contano tattiche differenziate e differenzianti, ispirate dalla convenienza personale dell'operatore, dalle sue specifiche predilezioni, capacità, predisposizione al rischio".
10.4. Altro aspetto importante, ai fini del riconoscimento della qualifica pubblicistica, attiene all'individuazione della specifica "attività" che deve essere "disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi".
È ampiamente diffusa l'opinione secondo cui occorre guardare all'attività svolta dallo specifico soggetto agente, e non a quella complessiva dell'ente di riferimento, nonché, nel caso di più attività svolte dal medesimo soggetto agente, a quella cui specificamente attiene la condotta oggetto di contestazione.
Pur muovendo da questa prospettiva, si è però anche puntualizzato che, siccome la disciplina pubblicistica è riferita dagli artt. 357 e 368 cod. pen. all'attività e non a singoli atti, "l'eventuale natura privatistica (= secondo il c.c.) di uno specifico atto compiuto da un soggetto in un contesto comunque governato dal diritto amministrativo" non preclude la presenza di una pubblica funzione o di un pubblico servizio, e, quindi, la qualifica soggettiva di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.
10.5. Per quanto concerne ì criteri di "delimitazione interna" tra la qualifica di pubblico ufficiale e quella di incaricato di pubblico servizio, non si dubita che il riferimento decisivo sia fornito dalla presenza anche di uno solo degli elementi indicati dal secondo comma dell'art. 357 cod. pen., ossia dalla "formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione", ovvero dall'esercizio di "poteri autoritativi o certificativi", evidentemente posti dal legislatore avendo riguardo al "settore amministrativo".
In particolare, secondo la dottrina, per "poteri autoritativi" si intendono tutte le esplicazioni di un potere pubblico discrezionale attraverso cui si manifesta un rapporto di supremazia di carattere pubblico, con conseguente subordinazione del destinatario dell'atto o del provvedimento, mentre i "poteri certificativi" si riferiscono alla formazione di atti di documentazione, dichiarazione o attestazione cui l'ordinamento assegna uno specifico valore probatorio.
Maggiori perplessità sono rilevabili con riguardo al criterio della "formazione e manifestazione di volontà della pubblica amministrazione". In linea generale, comunque, si ritiene che detto enunciato normativo abbia riguardo all'attività di un soggetto agente che forma, o concorre a formare all'interno di un organismo collegiale, e, "insieme", manifesta all'esterno la volontà dello Stato, di un ente territoriale o di un altro ente pubblico retto da norme pubblicistiche.
10.6. L'ulteriore criterio di "delimitazione esterna", specificamente previsto per l'incaricato di un pubblico servizio, è quello della esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.
In proposito, la dottrina generalmente rileva che l'affiancamento dei due requisiti negativi implica l'esclusione dall'area del pubblico servizio delle attività che non richiedono un particolare impegno intellettuale e si esauriscono in compiti di prevalente natura applicativa, privi di autonomia decisionale, ovvero in prestazioni di contenuto semplice e generico, o caratterizzate in prevalenza dall'impegno di energia fisica.
11. Ad avviso delle Sezioni Unite, ai fini della configurabilità della qualifica di pubblico agente, non hanno funzione preclusiva né lo svolgimento dell'attività per conto di ente strutturato sulla base di forme privatistiche, né, almeno di per sé solo, l'impiego, nell'esplicazione di tale attività, di contratti di diritto privato.
Ai fini in questione, invero, gli artt. 357 e 358 cod pen., prevedono, in termini più generali, come requisiti necessari, che l'attività sia regolata da norme di diritto pubblico e che in relazione ad essa sia previsto l'intervento di atti autoritativi.
11.1. Innanzitutto, l'irrilevanza della forma privatistica dell'ente per conto del quale il soggetto-persona fisica agisce, ivi compreso il modello della società per azioni, è conclusione che discende in maniera immediata dalle definizioni dettate dagli artt. 357 e 358 cod. pen.
Le due disposizioni appena citate, infatti, ai fini della configurabilità delle qualifiche di pubblico agente, non richiedono l'esistenza di un rapporto tra il soggetto-persona fisica ed un particolare tipo di ente, ma incentrano la loro attenzione sul profilo oggettivo dell'attività svolta. In particolare, emblematica è la previsione di cui all'art. 358, primo comma, cod. pen., secondo la quale, agli effetti della legge penale, "sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio".
E questa conclusione, come si è evidenziato in precedenza, costituisce un dato acquisito in dottrina ed in giurisprudenza. Anche le Sezioni Unite hanno espressamente e ripetutamente sottolineato che, al fine di individuare se l'attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 cod. pen., è indifferente la connotazione soggettiva del suo autore, in quanto il profilo dirimente è se la stessa sia disciplinata da norme di diritto pubblico (così espressamente Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, cit., ma pure Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992, Delogu, cit.).
11.2. In secondo luogo, la configurabilità della qualifica di pubblico agente, e in particolare di incaricato di pubblico servizio, non è esclusa, di per sé, nemmeno dall'impiego, da parte del soggetto agente, di contratti di diritto privato per la prestazione del servizio.
Come si è evidenziato in precedenza, risulta espressamente riconosciuta, sia in giurisprudenza quanto in dottrina, la possibilità che, nell'ambito delle attività disciplinate da "norme di diritto pubblico", rientrino anche quelle realizzate mediante l'impiego di contratti "sottoposti ad una disciplina privatistica" (così Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, cit.; cfr., inoltre, per una recentissima applicazione, Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, Felicita, cit.).
Si tratta di conclusione che risulta in linea con quanto emerge dal combinato disposto degli artt. 357 e 358 cod. pen.
In particolare, l'art. 358, secondo comma, cod. pen. definisce "pubblico servizio" "un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima", mentre l'art. 357, secondo comma, cod. pen., quando descrive la "pubblica funzione", la indica come "caratterizzata dalla formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi". Il "pubblico servizio", quindi, si caratterizza anche per l'assenza di "poteri autoritativi o certificativi"; per "poteri autoritativi", poi, e in particolare, secondo una nozione generalmente condivisa, si intendono non solo i "poteri coercitivi", ma tutte quelle attività costituenti esplicazione di un potere pubblico discrezionale nei confronti di un soggetto, che viene a trovarsi così su un piano non paritetico - di diritto privato - rispetto all'autorità che tale potere esercita (cfr., ad esempio, Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992, Delogu, cit.). Se ne può allora desumere che, nell'ambito del genus "attività disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi" costituente un "pubblico servizio", siccome contrassegnata dall'assenza di "poteri autoritativi o certificativi", possano rientrare anche attività in cui il soggetto agente non si pone in una posizione di "supremazia" di tipo pubblicistico rispetto ai destinatari delle stesse, e adopera, per lo svolgimento dei suoi compiti, strumenti di diritto privato.
La conclusione indicata appare pienamente coerente anche con le soluzioni emerse nell'ambito della giurisprudenza civile di legittimità.
In particolare, ai fini della individuazione della giurisdizione della Corte dei Conti in tema di giudizi di responsabilità per danno all'Erario, le Sezioni Unite civili hanno ritenuto che "si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, si perseguono le finalità proprie dell'amministrazione pubblica mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato" (così, tra le tante Sez. U civ., n. 7645 del 01/04/2020, Rv. 657525 - 01; Sez. U civ., n. 32608 del 12/12/2019, Rv. 656173 - 01; Sez. U civ., n. 19667 del 22/12/2003, Rv. 569157 - 01). E, sembra opportuno rilevarlo, questa affermazione è stata ribadita per individuare una delle condizioni necessarie per il radicamento della giurisdizione contabile anche in relazione ad attività svolta per conto di fondazioni di diritto privato e concernente investimenti finanziari a notevolissimo rischio (Sez. U civ., n. 7645 del 01/04/2020, cit.). Si può aggiungere che l'originaria enunciazione del principio è avvenuta all'esito di un percorso argomentativo nel cui contesto è stata espressamente richiamata anche Sez. 6, n. 20118 del 08/03/2001, Di Bartolo, cit., la quale aveva affermato la qualità di pubblico agente del dipendente di Poste italiane Spa quando agisce nell'ambito delle attività di raccolta del risparmio postale, pur dopo la trasformazione dell'Ente Poste in società per azioni (cfr. Sez. U civ., n. 19667 del 22/12/2003, in motivazione, par. 8).
La precisata soluzione, ancora, sembra compatibile anche con le indicazioni di principio desumibili dalla Convenzione di Mérida.
L'art. 2 della Convenzione di Mérida, infatti, nel definire la nozione di "pubblico ufficiale" ("public officiai"), pur facendo rinvio alla legislazione nazionale di ciascuno Stato-parte, accede ad una perimetrazione ampia, includendo in essa anche chi esercita una pubblica funzione per conto di una "impresa pubblica" ("public enterprise"), ossia un soggetto che opera ordinariamente attraverso strumenti dì diritto privato, nonché, aggiuntivamente, chi fornisce un "pubblico servizio" ("who (...) provides a public service"), e non compie alcun espresso riferimento alla necessità dell'esercizio di poteri pubblicistici.
11.3. Ciò posto, deve però escludersi che qualunque attività compiuta mediante contratti di diritto privato, solo perché diretta alla realizzazione di interessi pubblici, possa ritenersi prestazione di un "pubblico servizio".
Questa conclusione, infatti, è incompatibile con la puntualizzazione normativa in forza della quale, per la configurabilità delle qualifiche di pubblico agente, e in particolare di quella di incaricato di un pubblico servizio, è necessario che l'attività svolta sia "disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi".
Pur senza formulare definizioni esaustive, può ritenersi che, nell'ambito delle attività disciplinate da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, rientri quella oggetto di disposizioni normative le quali predeterminino in maniera puntuale gli schemi organizzativi ed operativi della stessa al fine di assicurare a tutti gli interessati prestazioni in condizioni di parità di trattamento, continuità ed obbligatorietà del servizio, attribuiscano risorse pubbliche senza obbligo di corrispettivo in funzione dell'effettuazione delle prestazioni, e prevedano poteri discrezionali conformativi in ordine ai contenuti dell'attività e ai "prezzi" di erogazione, eventualmente anche al fine di realizzare ulteriori interessi pubblici.
La compresenza di tutti questi indici, infatti, consente di rilevare come l'attività sia strutturata dall'ordinamento giuridico perla fornitura di un servizio da rendere alla collettività in condizioni di imparzialità, obbligatorietà e continuità, canoni indispensabili per l'individuazione della funzione amministrativa ex art. 97 Cost., con recessività della finalità di profitto del soggetto che la svolge rispetto al dovere di erogazione delle prestazioni.
In questa prospettiva, allora, può ritenersi che il "pubblico servizio" possa essere prestato anche mediante contratti di diritto privato, se questi costituiscono strumenti operativi di un modulo organizzativo specificamente istituito per l'effettuazione di prestazioni di interesse pubblico, che mette a disposizione a tal fine risorse pubbliche in forza di una previsione normativa e senza obblighi di pagare un corrispettivo, che assicura il servizio agii interessati in condizioni di parità, continuità ed obbligatorietà, e che impone all'erogatore vincoli di "prezzo", con recessività dello scopo di profitto rispetto a quello di erogazione.
12. Una volta precisato che il "pubblico servizio" può essere fornito anche mediante contratti di diritto privato, quando questi sono strumenti operativi di un modulo organizzativo specificamente istituito per l'effettuazione di prestazioni di interesse pubblico, che mette a disposizione a tal fine risorse pubbliche in forza di una previsione normativa e senza obblighi di pagare un corrispettivo, che assicura il servizio agli interessati in condizioni di parità, continuità ed obbligatorietà, e che impone all'erogatore vincoli di "prezzo", con recessività dello scopo di profitto rispetto a quello di erogazione, può affermarsi che in tale ambito rientra anche l'attività di raccolta del risparmio postale.
12.1. In primo luogo, la raccolta del risparmio postale è attività che l'ordinamento giuridico riserva a soggetti giuridici nominativamente individuati e che distingue con caratteristiche specifiche.
La previsione legislativa di riferimento è offerta dall'art. 5, comma 7, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. Questa disposizione, ponendosi in linea di continuità con quanto stabilito dall'art. 2, commi 2 e 3, D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284, prevede, in particolare e specificamente, l'utilizzo, da parte di Cassa depositi e prestiti, di "fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale e di buoni fruttiferi postali, assistiti dalla garanzia dello Stato e distribuiti attraverso Poste italiane Spa o società da essa controllate".
In attuazione della indicata previsione di legge, l'art. 1, comma 1, D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze, come modificato dal D.M. 5 ottobre 2020 del Ministro dell'Economia e delle Finanze, rappresenta in maniera puntuale "Ai fini del presente decreto per "Risparmio postale" si intende la raccolta di fondi, con obbligo di rimborso assistito dalla garanzia dello Stato, effettuata dalla CDP Spa avvalendosi di Poste italiane Spa".
Inoltre, anche il D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, adottato sulla base della previsione di cui all'art. 40, comma 4, legge 23 dicembre 1998, n. 448, e rubricato "Regolamento recante norme sui servizi di bancoposta", all'art. 1, comma 1, lett. h), definisce "risparmio postale la raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata da Poste per conto della Cassa depositi e prestiti". E, all'art. 2, comma 1, distingue in modo netto, nell'ambito delle attività di bancoposta, quelle costituite dalla "raccolta di risparmio tra il pubblico, come definita dall'articolo 11, comma 1, del testo unico bancario" (lett. a), e quelle costituite dalla "raccolta del risparmio postale" (lett. b).
Quindi, in forza delle univoche indicazioni normative, l'attività di raccolta del risparmio postale è attività che può essere svolta soltanto da Cassa depositi e prestiti con la necessaria collaborazione di Poste italiane Spa, che ha come
elemento caratterizzante l'obbligo di rimborso assistito dalla garanzia dello Stato, e che è distinta dalle "ordinarie" attività di raccolta di risparmio tra il pubblico.
12.2. In secondo luogo, l'attività di raccolta del risparmio postale è oggetto, anche con riguardo ai contenuti, di una disciplina che il legislatore ha indicato ripetutamente, e anche recentemente, come retta da principi specifici, in quanto contraddistinta da "peculiari caratteristiche"; disciplina che, per precisa volontà di legge, è puntualizzata in dettaglio da disposizioni adottate con decreti del Ministero dell'Economia e delle Finanze aventi "natura non regolamentare".
L'art. 40, comma 4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, nel prevedere l'emanazione di un provvedimento del Governo a norma dell'art. 17, comma 2, legge 23 agosto 1988, n. 400, per la modifica del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale di bancoposta e di telecomunicazioni, aveva disposto, tra l'altro, che questo testo normativo avrebbe dovuto "definir(e) le modalità di applicazione ai servizi di bancoposta della normativa di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (c.d. T.U. finanza), fatti salvi i principi normativi che governano il risparmio postale nelle sue peculiari caratteristiche".
La precisata indicazione, puntualmente riportata nella premessa del D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, è stata ribadita dall'art. 9, comma 1, D.Lgs. 3 agosto 2017, n. 129. La disposizione appena citata, infatti, recita "Entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Governo emana, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, apposito provvedimento di modificazione del decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 2001, n. 144, e successive modificazioni, volto a definire le modalità di applicazione ai servizi di bancoposta delle disposizioni del testo unico finanza, come modificato dal presente decreto, fatti salvi i principi normativi che governano il risparmio postale nelle sue peculiari caratteristiche".
La previsione di rango legislativo che rimette a decreti "di natura non regolamentare", adottati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, la più puntuale disciplina dell'attività di raccolta del risparmio postale è contenuta nell'art. 5, comma 11, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n, 326. Può essere utile precisare che l'art. 5, comma 11, cit., è stato dettato all'interno del testo normativo che ha previsto la trasformazione della Cassa depositi e prestiti da amministrazione dello Stato dotata di personalità giuridica in società per azioni, e si pone in continuità di disciplina con il disposto dell'art. 2, comma 2, D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284.
In particolare, a norma dell'art. 5, comma 11, cit., i decreti ministeriali debbono fissare "i criteri per la definizione delle condizioni generali ed economiche dei libretti di risparmio postale, dei buoni fruttiferi postali, dei titoli, dei finanziamenti e delle altre operazioni finanziarie assistiti dalla garanzia dello
Stato" (lett. a), e "le norme in materia di trasparenza, pubblicità, contratti e comunicazioni periodiche" (lett. c).
12.3. La specificità della disciplina relativa alla raccolta del risparmio postale risulta evidente sia perché in gran parte dettata da provvedimenti amministrativi, sia, decisamente, per i suoi contenuti.
Il D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, nel testo vigente, prevede all'art. 2, comma 6, che il "risparmio postale" è disciplinato innanzitutto da disposizioni specificamente dedicate (il D.L. 1 dicembre 1993, n. 487, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 1994, n. 71; il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284; il D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze), e, poi, "dalle norme del testo unico della finanza indicate nel comma 4, in quanto compatibili, nonché dalle norme del testo unico bancario, ove applicabili".
Il D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze, anche nel testo risultante a seguito delle modifiche recate dal D.M. 5 ottobre 2020 del Ministro dell'Economia e delle Finanze, contiene disposizioni generali sulla continuità e regolarità della raccolta del risparmio postale, sul regime fiscale, sulla garanzia dello Stato, nonché disposizioni speciali in materia di buoni fruttiferi postali e di libretti di risparmio postale.
In particolare, nell'ambito della disciplina comune, il d.m, cit. prevede, innanzitutto, all'art. 1, comma 1, l'obbligo incondizionato di rimborso del capitale investito, obbligo "assistito dalla garanzia dello Stato", ad esplicitazione di quanto indicato dall'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. n. 269 del 2003.
Dispone, poi, ai commi 3 e 4, che la Cassa depositi e prestiti debba definire le condizioni di emissione e le caratteristiche dei buoni fruttiferi postali e dei libretti di risparmio postale al "fine di garantire continuità e regolarità alla raccolta di fondi", e possa sospendere l'emissione di buoni fruttiferi postali, in relazione alla situazione di mercato e per salvaguardare il proprio equilibrio economico "sentito il Ministro dell'Economia e delle finanze".
Rileva, inoltre, all'art. 1, comma 5, che, a norma dell'art. 5, comma 24, D.L. n. 269 del 2003, tutti gli atti, i contratti, i trasferimenti, le prestazioni e le formalità relativi al risparmio postale e alle altre operazioni previste per il reperimento, da parte della Cassa depositi e prestiti, delle risorse necessarie per le attività di finanziamento di cui all'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. cit., sono esenti dall'imposta di registro, dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e da ogni altra imposta indiretta, nonché da ogni altro tributo o diritto (le attività di finanziamento di cui all'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. n. 269 del 2003, sono quelle cui debbono essere necessariamente destinate, in forza della medesima disposizione, le risorse ottenute mediante i libretti di risparmio postale e i buoni fruttiferi postali). /
Dispone, ancora, all'art. 2, che la Cassa depositi e prestiti, per acquisire risorse per le attività di finanziamento di cui all'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. n. 269 del 2003, può emettere altri prodotti del risparmio postale o effettuare altre operazioni assistite dalla garanzia dello Stato, ma, a tale fine, deve chiedere apposita autorizzazione a Ministero dell'Economia e delle Finanze, e questa "è rilasciata con decreto del direttore generale del Tesoro". Precisa, ulteriormente, all'art. 3, che la garanzia dello Stato è rilasciata a tutela dei depositanti, degli investitori e dei risparmiatori e che il diritto di regresso dello Stato nei confronti di Cassa depositi e prestiti non può determinare pregiudizio per crediti di terzi e per la titolarità di partecipazioni societarie, come indicati dal comma 2, né per il perseguimento delle finalità di interesse economico generale di cui all'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. n. 269 del 2003.
Il D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze, poi, nella parte specificamente dedicata ai buoni fruttiferi postali, prevede, in particolare, che a) i buoni fruttiferi postali non sono cedibili, possono essere trasferiti solo mortis causa o per successione a titolo universale, non possono essere dati in pegno e possono essere riacquistati solo da Cassa depositi e prestiti, al valore di rimborso "per il tramite di Poste italiane Spa" (art. 4); b) il "costo della raccolta" ad essi relativo "deve allinearsi al costo equivalente dell'indebitamento del Tesoro sul mercato", e per il collocamento, la gestione, il rimborso e le altre operazioni concernenti i medesimi "non sono previste commissioni a carico dei risparmiatori" (art. 5); c) le comunicazioni analitiche per il collocamento dei buoni fruttiferi postali debbono ricevere ampia diffusione, con modalità specificamente determinate, tra cui "l'inserzione di appositi avvisi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica" (art. 6); d) i diritti dei titolari dei buoni fruttiferi postali si prescrivono trascorsi dieci anni dalla data di scadenza del buono, ed i relativi importi, per i prodotti emessi dal 14 aprile 2001, sono destinati al Fondo per indennizzare i risparmiatori rimasti vittime di frodi finanziarie (art. 6-ter).
Il D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze, quindi, nella parte specificamente dedicata ai libretti di risparmio postale, prevede, in particolare, che a) il "costo della raccolta" ad essi relativa "deve allinearsi al costo di raccolta a breve termine del Tesoro sul mercato", e per l'apertura e la gestione dei medesimi non sono previste spese (art. 8); b) le comunicazioni analitiche per il collocamento dei libretti di risparmio postale debbono ricevere ampia diffusione, con modalità specificamente determinate, tra cui "l'inserzione di appositi avvisi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica" (art. 9).
La disciplina del risparmio postale è completata dalle previsioni di cui art. 2 del D.L. 1 dicembre 1993, n. 487, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 1994, n. 71, e dal regime applicabile in materia di imposte di successione.
In forza dell'art. 2 D.L. cit., Poste italiane Spa e Cassa depositi e prestiti stipulano un accordo che regola, per quanto concerne la raccolta del risparmio postale, il regime dei flussi finanziari e la remunerazione, da determinare in rapporto "alla raccolta, netta e/o lorda, di risparmio postale, tale da generare un utile per il servizio coerente con le regole del mercato".
La Risoluzione del Ministero delle Finanze del 13 luglio 1999, n. 115, relativa al trattamento tributario delle successioni, invece, ha chiarito che i buoni postali fruttiferi sono equiparati a tutti gli effetti ai titoli del debito pubblico e sono perciò esclusi dall'attivo ereditario e dal pagamento dell'imposta di successione.
12.4. In particolare, la specificità della disciplina relativa alla raccolta del risparmio postale consente di rilevare che tale attività è compiuta nel rispetto dei principi di continuità, regolarità, pubblicità e obbligatorietà del servizio; nel contesto di stringenti limiti per l'autonomia privata; con la messa a disposizione, per legge e senza costi in corrispettivo, di risorse pubbliche in funzione dell'effettuazione delle prestazioni; con la previsione di vincoli alle determinazioni dei "prezzi" e delle prestazioni dell'emittente dettati da interessi pubblici anche più generali. Ed è quindi attività orientata a fornire prestazioni di interesse pubblico, con recessività dello scopo di profitto rispetto a quello di erogazione del servizio.
12.4.1. Per quanto attiene allo svolgimento dell'attività di raccolta del risparmio postale nel rispetto dei principi di continuità, regolarità, pubblicità e obbligatorietà del servizio, chiarissime sono le indicazioni contenute negli artt. 1, 6 e 9, D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze.
In particolare, può premettersi che, in linea con i principi di continuità e regolarità, le emissioni dei buoni postali fruttiferi sono a "rubinetto", in quanto l'emittente, Cassa depositi e prestiti, fissa le condizioni economiche, ma non la quantità dei prodotti da immettere sul mercato, consentendo la presentazione di richieste da parte del pubblico nell'arco di una finestra temporale più o meno estesa, e non solo in un momento determinato.
Ma, soprattutto, appare significativo che la sospensione dell'emissione di buoni fruttiferi postali, a norma dell'art. 1, comma 4, D.M. cit., può essere disposta dalla Cassa depositi e prestiti solo in considerazione della "situazione di mercato e per salvaguardare il proprio equilibrio economico", e solo dopo aver "sentito il Ministero dell'Economia e delle Finanze". Quindi, l'offerta al pubblico, iniziativa tipicamente disciplinata dal diritto privato, nel caso dell'emissione dei buoni fruttiferi postali, è revocabile non in forza della libera volontà dell'offerente, ma solo dopo l'intervento dell'autorità amministrativa, e sulla base di valutazioni che possono implicare lo svolgimento dell'attività e la stipulazione di contratti in contrasto con il perseguimento di qualunque possibile finalità di profitto, al fine primario di assicurare l'erogazione delle prestazioni.
12.4.2. Con riguardo ai limiti per l'autonomia privata, significative sono le prescrizioni dettate dagli artt. 1, 4, 5 e 8 D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze.
Innanzitutto, la raccolta di fondi deve essere svolta nel rispetto dell'obbligo "incondizionato" di rimborso del capitale, anche prima della scadenza concordata, ed in qualunque momento (art. 1 D.M. cit.). È questa, infatti, una previsione di forte impatto sul contenuto contrattuale e di incisiva limitazione della libertà di determinazione del suo contenuto, non prevista nemmeno per i titoli di Stato.
In secondo luogo, il "costo della raccolta", e quindi il complesso delle condizioni economiche dell'offerta, non è liberamente determinato dall'emittente, perché "deve allinearsi al costo equivalente dell'indebitamento del Tesoro sul mercato" per i buoni fruttiferi postali (art. 5, comma 1, D.M. cit.) e "al costo di raccolta a breve termine del Tesoro sul mercato" per i libretti di risparmio postale (art. 8 D.M. cit.). Anche questa disciplina pone un limite incisivo alla libertà di iniziativa dell'emittente, perché gli impedisce di fissare il "prezzo" che si impegna a corrispondere per la "raccolta" sulla base di valutazioni di semplice opportunità economica, come invece generalmente accade per gli altri operatori che raccolgono capitali sul mercato.
Non va trascurato, inoltre, che, per i servizi di collocamento, per la gestione, per il rimborso e per le altre operazioni concernenti i buoni fruttiferi postali, "non sono previste commissioni a carico dei risparmiatori" (art. 5, comma 2, D.M. cit.), così come "non sono previste spese relative all'apertura e alla gestione" dei libretti di risparmio postale. Questa disciplina, infatti, esclude l'applicabilità di commissioni a carico dei risparmiatori e a favore dell'intermediario, Poste italiane Spa, nonostante la diversa prassi di mercato che prevede il pagamento di commissioni dai risparmiatori agli intermediari anche in relazione all'acquisito di titoli di Stato.
Piuttosto, va evidenziato che l'onere economico per le spese di raccolta del risparmio postale è riversato dalla legge (art. 2 D.L. 1 dicembre 1993, n. 487) sull'emittente, previa indicazione di parametri specifici Poste italiane Spa e Cassa depositi e prestiti non sono pienamente libere di concordare la remunerazione per le attività svolte dalla prima, perché, in proposito, è prevista la stipulazione di un apposito accordo il cui contenuto è vincolato al rispetto di due parametri di riferimento la "raccolta, netta e/o lorda, di risparmio postale"; "un utile per il servizio coerente con le regole del mercato". Si può osservare che questa disciplina di legge sulla individuazione del soggetto onerato dei costi per la raccolta e sui criteri per fissare la remunerazione da corrispondere si inscrive coerentemente, quale elemento di ulteriore "dettaglio", nella precostituzione normativa di un articolato modulo organizzativo preposto alla fornitura di un servizio. Ed è stata apprezzata, anche dalla Commissione Europea, come funzionale alla compensazione di costi determinati dagli obblighi di servizio pubblico, in considerazione dei relativi introiti e di un margine di utile ragionevole per l'adempimento di detti obblighi (cfr. Commissione Europea, procedimento Aiuto di Stato n. C 49/2006, provvedimento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea, 13 febbraio 2007, C 31/11, in particolare par. 14).
Ancora, i buoni fruttiferi postali non possono essere ceduti, salvo che all'emittente, e non possono nemmeno essere dati in pegno (art. 4 D.M. cit.).
12.4.3. Relativamente alla messa a disposizione di risorse pubbliche in funzione dell'effettuazione delle prestazioni, per legge e senza costi in corrispettivo, viene in rilievo, primariamente, la garanzia dello Stato per l'adempimento dell'obbligo di rimborso verso i depositanti, gli investitori e i risparmiatori (artt. 1, 2 e 3 D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze).
La garanzia dello Stato costituisce prestazione assicurata da un soggetto estraneo al rapporto contrattuale, senza obblighi di corrispettivo a carico delle parti contraenti, prevista direttamente dalla legge (art. 5, comma 7, lett. a), D.L. n. 269 del 2003), oltre che dal D.M. cit. La stessa è economicamente rilevante anche, e specificamente, in favore dell'emittente, perché rafforza nei terzi la fiducia nell'adempimento dell'obbligazione di restituzione; si tratta di un'utilità che è apprezzata da una considerevole "fascia" di risparmiatori, e che è concessa senza corrispettivo all'emittente dei prodotti di risparmio postale, ma non anche alla generalità degli operatori economici interessati alla raccolta del risparmio.
La garanzia dello Stato, poi, "entra" nella regolamentazione del contratto di cui è parte il risparmiatore, per "incentivare" quest'ultimo in ragione dell'affidabilità della prestazione promessa, ma è concessa anche al fine di assicurare la soddisfazione di ulteriori interessi pubblici.
Invero, la raccolta derivante dal risparmio postale può essere utilizzata esclusivamente per il finanziamento dello Stato, delle regioni, degli enti locali, degli enti pubblici, degli organismi di diritto pubblico o di altre operazioni di interesse pubblico specificamente individuate sulla base dei criteri prestabiliti da provvedimenti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, come precisa espressamente l'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. n. 269 del 2003; e per queste attività, il successivo comma 8 istituisce, all'interno di Cassa depositi e prestiti, una gestione separata a fini contabili e amministrativi. Inoltre, i prodotti del risparmio postale diversi dai buoni fruttiferi postali e dai libretti di deposito postale e le altre operazioni dirette a reperire fondi per il finanziamento delle attività di cui all'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. n. 269 del 2003, siano queste con o senza garanzia dello Stato, possono essere messi in circolazione solo dopo "preventiva autorizzazione", rilasciata con decreto del direttore generale del Tesoro, ex art. 2 D.M. 6 ottobre 2004 cit. Ancora, il diritto di regresso dello Stato dopo l'escussione della garanzia trova dei precisi limiti a tutela della gestione separata della Cassa depositi e prestiti, specificamente istituita per l'attuazione delle finalità previste dall'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. cit.
Un'altra risorsa concessa dalla legge a favore della raccolta del risparmio postale, e che colloca l'emittente dei relativi prodotti in una posizione differenziata rispetto alla generalità degli operatori economici interessati alla raccolta del risparmio, è costituita dalla disciplina fiscale di favore, in particolare in materia di imposte di registro, imposte di bollo, imposte ipotecarie e catastali, imposte indirette di qualunque tipo, e di imposta di successione.
12.4.4. Per quanto concerne la previsione di vincoli alle determinazioni dei "prezzi" e delle prestazioni dell'emittente dettati da interessi pubblici anche più generali di quello relativo alla raccolta del risparmio postale, vengono in rilievo, in particolare, le disposizioni già richiamate di cui agli artt. 5 e 8 D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze.
In effetti, queste disposizioni, in forza delle quali il "costo della raccolta (...) deve allinearsi al costo equivalente dell'indebitamento del Tesoro sul mercato" per i buoni fruttiferi postali, e "al costo di raccolta a breve termine del Tesoro sul mercato" per i libretti di risparmio postale, fissano un limite che non solo interferisce significativamente sulla libertà di iniziativa dell'emittente, con riferimento al profilo primario della determinazione del "prezzo" della prestazione fornita, ma che, con immediata evidenza, è dettato per la salvaguardia dell'equilibrio economico della finanza pubblica.
E il rispetto di queste disposizioni, come di quelle relative alla destinazione delle risorse acquisite agli scopi pubblicistici di cui all'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. n. 269 del 2003, è assicurato dalla particolare organizzazione della gestione separata della Cassa depositi e prestiti prevista dall'art. 5, comma 8, D.L. n. 269 del 2003; organizzazione nella quale, come meglio si preciserà infra al par. 13.1, sono previsti poteri di direttiva del Ministro dell'Economia e delle Finanze, un consiglio di amministrazione integrato da figure apicali dell'Amministrazione economica e finanziaria dello Stato, e il controllo della Corte dei conti e della speciale Commissione di cui all'art. 3 r.d. 2 gennaio 1913, n. 453.
12.5. La disciplina precedentemente sintetizzata, che riserva a soggetti nominativamente individuati l'attività di raccolta del risparmio postale, e prevede in relazione ad essa principi, regole e limiti specifici a tutela dell'interesse pubblico, risulta in linea con il diritto dell'Unione Europea anche perché, a norma dell'art. 1, comma 2, D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze, "(i)l risparmio postale costituisce servizio economico di interesse generale".
Questa qualificazione, infatti, ha uno specifico riconoscimento nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea anche ai fini dell'applicazione delle regole sulla concorrenza. In particolare, l'art. 14 T.F.U.E. prevede che, "in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti", e fa "salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi". L'art. 106 T.F.U.E., poi, al paragrafo 2, dispone "Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata".
E la natura di "servizio di economico di interesse generale" della raccolta del risparmio postale, anche e proprio per la parte di attività svolta da Poste italiane Spa, è stata espressamente riconosciuta dalla Commissione Europea nel procedimento Aiuto di Stato n. C 49/2006 (cfr., in particolare, parr. 79, 83, 115, 120 e 121 del provvedimento pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea, 13 febbraio 2007, C 31/11, avente ad oggetto la compatibilità con i Trattati della remunerazione per il collocamento dei prodotti finanziari del risparmio postale; riconoscimento che richiama come presupposto proprio il D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze).
13. La conclusione secondo cui l'attività di raccolta del risparmio postale costituisce prestazione di un "pubblico servizio" non si pone in contrasto con il principio di eguaglianza prendendo come termine di riferimento l'attività svolta dagli operatori bancari, o quella di intermediazione per l'acquisto di titoli di Stato.
13.1. All'attività di raccolta del risparmio postale non è in alcun modo equiparabile l'attività bancaria.
Innanzitutto, come analiticamente indicato in precedenza (nei parr. 12, 12.1, 12.2, 12.3, 12.4, 12.4.1, 12.4.2., 12.4.3, 12.4.4, e 12.4.5), l'attività di raccolta del risparmio postale ha una disciplina specifica, ed è sottoposta a principi normativi suoi propri, come espressamente riconosciuto anche dal legislatore.
In secondo luogo, l'attività svolta dalla Cassa depositi e prestiti, anche in generale, non è equiparabile all'attività bancaria, atteso l'espresso disposto dell'art. 5, comma 6, D.L. n. 269 del 2003. In forza di questa disposizione, infatti, alla Cassa depositi e prestiti non si applicano le disposizioni che il T.U. bancario
prevede per le banche, bensì le disposizioni che il T.U. bancario detta per i "soggetti operanti nel settore finanziario", e comunque "tenendo presenti le caratteristiche del soggetto vigilato e la speciale disciplina della gestione separata di cui al comma 8", ossia quella cui è destinata la raccolta del risparmio postale.
In terzo luogo, la gestione separata della Cassa depositi e prestiti, specificamente istituita per l'attuazione delle finalità previste dall'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. n. 269 del 2003, ha una conformazione difficilmente riconducibile all'attività di impresa, per una pluralità di ragioni. Sotto un primo profilo, detta gestione è assoggettata al potere di indirizzo del Ministro dell'Economia e delle Finanze ed ha un consiglio di amministrazione specificamente integrato da figure di vertice dell'Amministrazione economica e finanziaria dello Stato come il Ragioniere generale dello Stato e il direttore generale del Tesoro, oltre che da esperti scelti e nominati direttamente dal Ministro del Tesoro (art. 5, commi 9 e 10, D.L. n. 269 del 2003). Sotto altro aspetto, la medesima gestione separata è sottoposta a speciali controlli non solo quello della Corte dei conti sulla gestione finanziaria, nelle forme e per i fini previsti dall'art. 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259, che si estende a tutte le attività della Cassa depositi e prestiti (art. 5, comma 17, D.L. n. 269 del 2003); ma anche quello della Commissione di vigilanza di cui all'art. 3 r.d. 2 gennaio 1913, n. 453, e successive modificazioni, composta da quattro senatori, quattro deputati, tre consiglieri di Stato ed un consigliere della Corte dei conti, i cui compiti, limitati alla sola gestione separata, sono quelli, previsti dai successivi artt. 4 e 5, di presentare al Parlamento "una relazione sulla direzione morale e sulla situazione materiale dell'amministrazione della Cassa", nonché di approvare i rendiconti consuntivi della stessa e delle gestioni alla medesima annesse (art. 5, comma 9, D.L. n. 269 del 2003). Ancora, la gestione separata sopra precisata "è uniformata a criteri di trasparenza e di salvaguardia dell'equilibrio economico" si tratta di criteri diversi da quelli che reggono l'attività di impresa, che si indirizza alla produzione di un profitto; piuttosto, sono criteri che si avvicinano a quello dell'equilibrio dei bilanci previsto per le pubbliche amministrazioni dall'art. 97, primo comma, Cost., come inserito dalla legge cost. 20 aprile 2012, n. 1.
In quarto luogo, non solo le risorse raccolte mediante il risparmio postale sono obbligatoriamente destinate alle attività di finanziamento di interesse pubblico specificamente previste dall'art. 5, comma 7, lett. a), D.L. n. 269 del 2003. Ma i diritti dei titolari dei buoni postali che si estinguono per prescrizione non restano alla Cassa depositi e prestiti, dovendo invece essere riversati ad un soggetto da essa distinto, ossia al Fondo per indennizzare i risparmiatori rimasti vittime di frodi finanziarie (art. 6-ter D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze).
13.2. All'attività di raccolta del risparmio postale non è in alcun modo equiparabile neppure quella svolta dagli intermediari per l'acquisto di titoli di Stato.
Le aste relative ai titoli di Stato sono effettuare presso la Banca d'Italia, alla presenza di un dipendente della medesima Banca d'Italia e di un funzionario del Ministero dell'Economia e Finanze, che rappresenta il Ministro, ed è responsabile della regolarità dell'asta. Alle aste possono partecipare tutti gli operatori abilitati, i quali indirizzano le loro domande per via telematica, utilizzando la rete interbancaria; le domande possono essere inviate entro le ore 11,00 del giorno dell'asta, mentre se vengono inviate successivamente sono respinte. Le domande sono decodificate dopo le ore 11,00 da parte di un funzionario della Banca d'Italia incaricato dell'asta, tramite apposita chiave informatica. Effettuata la decodifica, si avviano una serie di operazioni automatiche, da cui si perviene alla formazione di un tabulato dove sono riportate le richieste in ordine decrescente di prezzo o crescente di rendimento; il tabulato è parte integrante del verbale d'asta, che viene sottoscritto dal dipendente della medesima Banca d'Italia e dal funzionario del Ministero dell'Economia e Finanze (c.d. ufficiale rogante).
Sono operatori abilitati tutte le banche e le imprese di investimento registrate presso la Banca d'Italia. Si tratta, precisamente, di tutte le banche italiane, comunitarie ed extra-comunitarie, le società di intermediazione mobiliare nonché imprese di investimento comunitarie ed extracomunitarie, le quali hanno firmato la convenzione con la Banca d'Italia per la sottoscrizione dei titoli di Stato, hanno sostenuto i test per l'accesso da remoto alla rete nazionale interbancaria e sono in grado di regolare l'operazione in via diretta o tramite altro intermediario autorizzato. Gli operatori abilitati, come sopra precisati, possono partecipare all'asta in proprio e per conto di terzi.
Sulla base di questa disciplina - può essere utile premetterlo - non dovrebbero esservi difficoltà a ritenere configurabile la qualifica di pubblico agente, a norma degli artt. 357 e 358 cod. pen., del dipendente della Banca d'Italia e del funzionario del Ministero dell'Economia e Finanze preposti all'asta per i titoli di Stato, anche per i poteri certificativi connessi alla sottoscrizione del relativo verbale.
Diversa è invece la posizione degli operatori che partecipano all'asta.
Costoro, infatti, hanno una posizione ben diversa, sia sotto il profilo organizzativo, sia sotto il profilo funzionale, rispetto a Poste italiane Spa quando svolge la sua attività strumentale alla raccolta del risparmio postale.
Innanzitutto, gli operatori abilitati possono partecipare all'asta per la compravendita dei titoli di Stato anche in proprio, mentre, nella disciplina del risparmio postale, Poste italiane Spa è il soggetto incaricato di collocare i pertinenti prodotti.
In secondo luogo, il numero degli operatori ammessi a partecipare all'asta è un numero "aperto", perché, come precedentemente indicato, in tale ambito rientrano tutte le banche e le imprese di investimento autorizzate, le quali si siano registrate presso la Banca d'Italia, previa dimostrazione di avere determinati requisiti tecnici, mentre il compito di collocare i prodotti del risparmio postale è riservato in via esclusiva, e per legge, a Poste italiane Spa
In terzo luogo, gli operatori che partecipano all'asta per l'acquisto di titoli pubblici per conto di terzi possono riversare su costoro le spese per la gestione e l'amministrazione di tali titoli, e, nel caso dei buoni ordinari del Tesoro (c.d. Bot), anche applicare commissioni per la sottoscrizione degli stessi (cfr. D.M. 15 gennaio 2015 del Ministro dell'Economia e delle Finanze, recante norme per la trasparenza nelle operazioni di collocamento dei titoli di Stato, pubblicato sulla G.U. del 17 gennaio 2015). Invece, con riferimento al risparmio postale, non sono previste "commissioni a carico dei risparmiatori" per il servizio di collocamento, la gestione, il rimborso e le altre operazioni concernenti i buoni fruttiferi postali (art. 5, comma 2, D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze), né "spese relative all'apertura e alla gestione" dei libretti di risparmio postale (art. 8 D.M. 6 ottobre 2004, cit.).
Ancora, le attività di gestione ed amministrazione dei titoli di Stato hanno ad oggetto prodotti di contenuto diverso da quelli di raccolta del risparmio postale, e, quindi, si differenziano anche per il contenuto delle prestazioni rese. I titoli di Stato, infatti, a differenza dei prodotti del risparmio postale, sono cedibili sul mercato, ma possono essere riscossi solo alla naturale scadenza o, comunque, e solo in alcune particolari ipotesi, dopo un lungo periodo di tempo prefissato. Di conseguenza, gli investitori in titoli di Stato, prima della scadenza prevista, sono esposti alle eventuali fluttuazioni del loro valore, e possono subire perdite anche rispetto al capitale investito. I buoni postali, invece, si caratterizzano per la loro immediata liquidabilità anche prima della naturale scadenza, con garanzia, per il risparmiatore, del rimborso totale del capitale investito. Costituisce perciò tipica attività di gestione dei prodotti del risparmio postale, e non anche dei titoli di Stato, la riscossione anticipata.
14. Nell'ambito della prestazione di un pubblico servizio costituita dalla raccolta del risparmio postale si inscrive anche l'attività dell'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e alla gestione dei relativi prodotti.
14.1. Innanzitutto, nell'ambito dell'attività di raccolta del risparmio postale quale attività costituente prestazione di un pubblico servizio rientra sicuramente anche l'attività svolta da Poste italiane Spa
Si è infatti già evidenziato che secondo la legge (art. 5, comma 7, D.L. n. 269 del 2003), le altre fonti normative (art. 1, comma 1, lett. h), D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144) e i provvedimenti ministeriali di attuazione (art. 1, comma 1, D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze), per risparmio postale si intende "la raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata da Poste per conto della Cassa depositi e prestiti".
In altri termini, il ruolo svolto da Poste italiane Spa costituisce elemento distintivo, indefettibile e tipizzante dell'attività di raccolta del risparmio postale nel modello normativo, l'attività di raccolta del risparmio postale si configura solo se vi è un'attività di "raccolta dei fondi" presso i risparmiatori effettuata specificamente ed esclusivamente da Poste italiane Spa, mediante la distribuzione dei libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi postali.
E, quindi, se l'attività di raccolta di risparmio postale è prestazione di un pubblico servizio, in questa rientra anche l'attività svolta a tal fine da Poste italiane Spa, quale "segmento" costitutivo della prima.
Né l'attività specificamente svolta da Poste italiane Spa può ritenersi estranea alla prestazione di un pubblico servizio perché si concretizza nella stipulazione e gestione di contratti di diritto privato questi atti negoziali, come precisato nei parr. da 12 a 12.5, costituiscono estrinsecazione di un pubblico servizio in quanto, in forza della specifica disciplina che li riguarda, sono strumenti operativi di un modulo organizzativo istituito per fornire, in condizioni di imparzialità, obbligatorietà e continuità del servizio, prestazioni di interesse pubblico il cui contenuto è regolato da provvedimenti conformativi, e con recessività dello scopo di profitto rispetto a quello di erogazione.
Se si vuole, pienamente in linea con questa ricostruzione è anche la disciplina relativa alla remunerazione dell'attività prestata da Poste italiane Spa Detta remunerazione, infatti, è posta a carico esclusivamente del soggetto emittente, e non anche dei risparmiatori, ossia su coloro che fruiscono del "servizio". Ed è stata considerata alla Commissione Europea come funzionale alla compensazione di costi determinati dagli obblighi di servizio pubblico, in considerazione dei relativi introiti e di un margine di utile ragionevole per l'adempimento di detti obblighi.
14.2. Ciò posto, poi, anche e specificamente l'attività dell'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e alla gestione dei prodotti del risparmio postale costituisce prestazione di un pubblico servizio, e qualifica il medesimo come "pubblico agente".
Come si è appena detto nel par. 14.1, l'attività di "raccolta dei fondi" presso i risparmiatori da parte di Poste italiane Spa, mediante la distribuzione dei libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi postali, è elemento costitutivo dell'attività
di raccolta del risparmio postale, ed integra, essa stessa, prestazione di un pubblico servizio.
Ora, gli atti compiuti dal singolo operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e alla gestione dei libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi postali integrano proprio, ed esattamente, l'attività di "raccolta dei fondi".
Né sembra plausibile ritenere che l'attività di tale operatore integri svolgimento di semplici mansioni di ordine o prestazione di opera meramente materiale, ossia mansioni e prestazioni il cui espletamento non è qualificabile come prestazione di un pubblico servizio a norma dell'art. 358, secondo comma, cod. pen.
L'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e alla gestione dei libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi postali, infatti, svolge anche, e principalmente, attività di consulenza per i risparmiatori.
Egli, precisamente, come rilevabile anche nelle vicende in esame, ha il compito di informare i risparmiatori su contenuto e condizioni dei diversi prodotti nei quali possono essere investite le loro disponibilità, nonché di aiutarli a comprendere quali sono i prodotti finanziari per essi più convenienti. E ciò sia tra prodotti e rapporti appartenenti al "risparmio postale" ed altri prodotti e rapporti estranei a tale categoria, sia, specificamente, all'interno dei diversi prodotti nei quali si articola la "raccolta postale". Si consideri, ad esempio, che, per la diversità di condizioni economiche applicate, potrebbe essere utile chiedere il rimborso anticipato di buoni fruttiferi postali appartenenti ad una determinata serie, e reinvestire quanto così conseguito in buoni fruttiferi postali di una serie successiva.
14.3. Per completezza, deve anche precisarsi che l'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e alla gestione dei prodotti costituenti forma di "raccolta del risparmio postale", nella prestazione di tale attività, non riveste la qualifica di pubblico ufficiale.
La questione è stata correttamente segnalata nell'ordinanza di rimessione, perché a tale conclusione era giunta la prima delle decisioni che vengono in rilievo nel contrasto. Invero, Sez. 6, n. 20118 del 08/03/2001, Di Bartolo, cit., aveva concluso che, in ragione dei "poteri certificatori esercitati", deve riconoscersi la qualifica di pubblico ufficiale al dipendente di Poste italiane Spa quando svolge la sua attività in relazione al risparmio postale.
In realtà, l'unico elemento che sembra possa essere addotto a fondamento di questa tesi, peraltro non più riproposta da nessuna successiva decisione, è costituito dalla regola di cui all'art. 7, comma 3, D.M. 6 ottobre 2004 del Ministro dell'Economia e delle Finanze. La disposizione appena citata, dettata con specifico riferimento ai libretti di risparmio postale, prevede "Le registrazioni contabili relative alle operazioni effettuate a valere sui libretti cartacei e dematerializzati
fanno prova nei rapporti fra Poste italiane Spa e titolare fino a querela di falso ed è nullo ogni patto contrario. In caso di discordanza tra le registrazioni contabili e le annotazioni sui libretti cartacei, prevalgono le scritture contabili".
Tuttavia, questa disciplina non solo è relativa esclusivamente ai libretti di risparmio postale, ma prevede un'attestazione la cui efficacia di prova è limitata alle parti del rapporto, ossia a Poste italiane Spa e al titolare del libretto.
Deve quindi escludersi che l'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e alla gestione dei prodotti costituenti forma di "raccolta del risparmio postale", nella prestazione di tale attività, si avvalga di "poteri certificativi", come richiesto dall'art. 357, secondo comma, cod. pen.
15. All'esito delle argomentazioni precedentemente svolte, devono essere conclusivamente affermato i seguenti principi di diritto
"L'attività di raccolta del risparmio postale, ossia la raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata da Poste italiane Spa per conto della Cassa depositi e prestiti, costituisce prestazione di un pubblico servizio".
"L'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e gestione dei prodotti derivanti dalla raccolta del risparmio postale, e segnatamente da libretti di risparmio postale e da buoni postali fruttiferi, nello svolgimento di tale attività, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio".
16. Sulla base dei princìpi dì diritto enunciati, e degli argomenti esposti a loro fondamento, è possibile esaminare le censure enunciate nel primo e nel secondo motivo del ricorso, le quali contestano la configurabilità del delitto di peculato, deducendo, in particolare, che sarebbero ipotizzabili o la fattispecie di appropriazione indebita, non potendo essere riconosciuta la qualifica di pubblico agente in capo all'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e gestione dei prodotti derivanti dalla raccolta del risparmio postale, o comunque la fattispecie di truffa, perché l'imputato non aveva il possesso del denaro e, per potersi appropriare delle somme, ebbe la necessità di far sottoscrivere alle persone offese "falsi" moduli di investimento, o ancora quella di abuso d'ufficio.
16.1. Per la soluzione delle questioni poste è necessario innanzitutto individuare l'area di applicazione della fattispecie del delitto di peculato e i confini tra la stessa, da un lato, e i delitti di appropriazione indebita, di truffa e di indebita destinazione di denaro o cose mobili, dall'altro.
16.1.1. Il delitto di peculato ha ad oggetto la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, "che avendo per ragione del suo ufficio o del servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria" (art. 314 cod. pen.).
Il delitto di peculato, quindi, per la sua configurabilità, richiede a) la sussistenza della qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio in capo al soggetto agente; b) il "possesso o comunque la disponibilità" di denaro o altra cosa mobile da parte del pubblico agente "per ragione del suo ufficio o del servizio"; c) l'appropriazione, da parte del medesimo, del denaro o della cosa mobile di cui ha il possesso o la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio.
In particolare, posto il riconoscimento della qualifica di incaricato di pubblico servizio all'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e gestione dei prodotti derivanti dalla raccolta del risparmio postale nello svolgimento della sua attività, ai fini della disamina delle censure proposte nel ricorso, occorre precisare quale sia la nozione di "possesso o comunque (...) disponibilità" del denaro (o di altra cosa mobile) cui fa riferimento l'art. 314 cod. pen.
Ora, secondo il costante indirizzo ermeneutico della giurisprudenza di legittimità, in tema di peculato, la nozione di "possesso o comunque (...) disponibilità" deve intendersi come comprensiva sia della detenzione materiale, sia della disponibilità giuridica del bene, l'una o l'altra purché qualificate dalla ragione dell'ufficio o del servizio svolti.
Invero, con riguardo alla "detenzione materiale", è consolidata l'affermazione secondo cui, in tema di peculato, il possesso qualificato dalla ragione d'ufficio o di servizio non è solo quello rientrante nella specifica competenza funzionale dell'agente, ma anche quello derivante dall'esercizio di fatto o arbitrario di funzioni che permetta di maneggiare od avere la disponibilità materiale del bene, senza che rilevi per la consumazione il rispetto o meno delle disposizioni organizzative dell'ufficio, dovendosi escludere il reato solo quando il possesso sia meramente occasionale, ovvero dipendente da evento fortuito o legato al caso (cfr., tra le tantissime, Sez. 6, n. 11741 del 27/01/2023, Abbondanza, Rv. 284578 - 01, in fattispecie relativa ad appropriazione di denaro da parte dell'addetta di fatto alla gestione della contabilità di un ente pubblico la quale, dopo aver ricoperto il medesimo incarico in forza di regolare contratto di assunzione, continuava ad avere la disponibilità esclusiva della chiavetta USB che le consentiva di effettuare prelievi ori line dal conto corrente bancario intestato all'ente, nonché Sez. 6, n. 19424 del 03/05/2022, Grasso, Rv. 283161 - 01, e Sez. 6, n. 33254 del 19/05/2016, Caruso, Rv. 267525 - 01).
Mentre, con riguardo alla "disponibilità giuridica", è oggetto di costante ripetizione l'enunciazione in forza della quale, in tema di peculato, la nozione di possesso, riferita al danaro, deve intendersi come comprensiva non solo della detenzione materiale, ma anche della disponibilità giuridica, con la conseguenza che l'appropriazione può avvenire anche attraverso il compimento di un atto - di competenza del pubblico agente o connesso a prassi e consuetudini invalse nell'ufficio - di carattere dispositivo, che consenta di conseguire l'oggetto della appropriazione (cfr., tra le tantissime, Sez. 6, n. 16783 del 19/01/2021, Romei, Rv. 281511 - 01; Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257385 - 01; Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, dep. 2013, Bartolotta, Rv. 255529 - 01; Sez. 6, n. 11633 del 22/01/2007, Guida, Rv. 236146 - 01).
Per quanto concerne altri profili, poi, è utile rappresentare che oggetto del delitto di peculato può essere anche un credito (cfr., per tutte, Sez. 6, n, 24334 del 04/05/2023, Verlezza, Rv. 284762 - 01), e che, anche dopo l'introduzione della fattispecie di cui all'art. 314-bis cod. pen., relativa al reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili, è diffuso l'indirizzo ermeneutico secondo cui, nella figura delittuosa del peculato, continuano a rientrare le condotte riconducibili al paradigma delle "distrazioni appropriative", ossia caratterizzate dalla destinazione del denaro o della cosa mobile altrui all'esclusivo soddisfacimento di interessi privati (Sez. 6, n. 18587 del 12/02/2025, Barisano, Rv. 288058 - 01; Sez. 5, n. 10398 del 14/02/2025, Duca, Rv. 287780 - 03; Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, Felicita, Rv. 287453 - 02).
16.1.2. La sfera di applicazione di operatività della fattispecie di peculato è nettamente distinta da quella di appropriazione indebita.
Invero, mentre la figura di appropriazione indebita costituisce reato comune che può essere commesso da "chiunque", il delitto di peculato presenta un elemento di specialità, costituita dalla qualifica soggettiva del soggetto agente. Inoltre, può aggiungersi che, mentre l'appropriazione indebita richiede come presupposto della condotta appropriativa il "possesso", la fattispecie di cui all'art. 314 cod. pen. prevede come presupposto della condotta appropriativa il "possesso o comunque la disponibilità" del bene "per ragione del suo ufficio o del servizio".
16.1.3. La fattispecie di peculato, inoltre, presenta precisi profili differenziali anche rispetto a quella di truffa.
Secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza, infatti, l'elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell'art. 61 n. 9, cod. pen., va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (così, tra le tantissime Sez. 6, n. 46799 del 20/06/2018, Pieretti, Rv. 274282 - 01; Sez. 6, n. 10309 del 22/01/2014, Lo Presti,
Rv. 259507 - 01; Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo, Rv. 256595 - 01; Sez. 6, n. 32863 del 25/05/2011, Pacciani, Rv. 250901 - 01, Sez. 6, n. 35852 del 06/05/2008, Savorgnano, Rv. 241186 - 01).
Può essere utile riportare quanto analiticamente chiarito in una delle decisioni dell'orientamento in esame "A differenziare le due figure criminose, conclusivamente, non rileva tanto la precedenza cronologica o la contestualità della frode rispetto alla condotta appropriativa, bensì il modo col quale il funzionario infedele acquista il possesso del denaro o del bene costituente l'oggetto materiale del reato il momento consumativo della truffa coincide con il conseguimento del possesso a cagione dell'inganno e quale diretta conseguenza di esso, il che significa appropriazione immediata e definitiva del denaro o della res a vantaggio personale dell'agente; il peculato presuppone il legittimo possesso (disponibilità materiale o giuridica), per ragione dell'ufficio o del servizio, del denaro o della res, che l'agente successivamente fa propri, condotta quest'ultima che, anche se eventualmente caratterizzata da aspetti di fraudolenza, non esclude la configurabilità del delitto di cui all'art. 314 c.p., fatte salve le ulteriori ipotesi di reato eventualmente concorrenti (nella specie, reati di falso)" (così Sez. 6, n. n. 32863 del 25/05/2011, cit.).
Occorre evidenziare come, in applicazione del precisato orientamento, sia stato ravvisato il delitto di peculato con riferimento alla condotta dell'impiegata di un ufficio postale, la quale, in occasione del reinvestimento di buoni postali scaduti, aveva fatto sottoscrivere ai titolari quietanze in bianco relative al calcolo della sorte capitale e degli interessi maturati sui buoni scaduti e, con tale artificio, si era appropriata della differenza tra le somme effettivamente maturate a favore di ciascun utente sui buoni scaduti e quelle reinvestite nella emissione di nuovi buoni si è affermato che "il possesso o comunque la detenzione del denaro, ben prima di una qualsiasi richiesta di pagamento da parte degli utenti, era in capo all'Amministrazione delle Poste (e, pertanto, all'imputata, quale addetta allo specifico settore), che lo custodiva e amministrava in base al corrispondente titolo e alle facoltà ad esso connesse, con l'effetto che l'escamotage al quale aveva fatto ricorso la prevenuta non era funzionale al conseguimento del possesso che già aveva, ma a garantire la regolarità formale degli atti d'ufficio e a mascherare l'illecita condotta posta in essere" (Sez. 6, n. 35852 del 06/05/2008, cit.).
Più in generale, poi, va rilevato che, "per l'integrazione della truffa occorre, e basta, un comportamento del soggetto ingannato che sia frutto dell'errore in cui è caduto per fatto dell'agente e dal quale derivi causalmente una modificazione patrimoniale, a ingiusto profitto del reo e a danno della vittima", o, in altri termini, "un atto volontario, causativo di un ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall'errore indotto da una condotta artificiosa", anche se non qualificabile in termini di atto negoziale, ovvero di atto giuridico in senso stretto (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251499 - 01).
16.2. Indicati i principi giuridici applicabili, occorre individuare la precisa conformazione dei fatti per i quali è stata pronunciata condanna, così come desumibili dalle sentenze di merito.
Per chiarezza, occorre premettere, innanzitutto, che la sentenza impugnata opera un espresso rinvio, per la ricostruzione dei fatti, alla sentenza di primo grado, osservando che in proposito non vi è stata alcuna specifica contestazione dell'appellante, e, poi, che il ricorso non formula alcun rilievo in ordine a tale indicazione, o comunque in ordine alla descrizione degli accadimenti.
Per quanto concerne le condotte in danno di Pr.Do., oggetto di imputazione e di condanna unicamente per l'appropriazione della somma di 30.000,00 euro, i fatti sono ricostruiti sulla base delle dichiarazioni testimoniali della stessa e degli accertamenti effettuati presso l'ufficio postale dove erano stati emessi ed incassati i precisati prodotti finanziari.
Si rappresenta, in particolare, che la persona offesa ha dichiarato che a) ella e la madre erano titolari di buoni postali fruttiferi, emessi nell'ufficio postale di P, sin dal 7 agosto 2009; b) ella e la madre erano state contattate dall'imputato, Pr.Co., impiegato presso l'ufficio postale di Parabita, al fine di effettuare un investimento più conveniente, previa riscossione anticipata di un buono postale fruttifero; c) a seguito di questa proposta, i suoi genitori, in data 3 novembre 2011, si erano recati presso l'ufficio postale ed avevano ottenuto un nuovo buono postale fruttifero dematerializzato BFPREMIA dell'importo di 30.000,00 euro; d) anch'ella personalmente si era rivolta all'imputato e, in data 22 dicembre 2011, aderendo alla proposta del medesimo, aveva ottenuto un nuovo buono postale fruttifero dell'importo di 7.000,00 euro; e) nel luglio 2017, ella e sua madre, a causa della morte del padre, ed anche perché non avevano più ricevuto documenti e comunicazioni circa gli investimenti effettuati, si erano recate presso l'ufficio postale ed avevano appreso dal direttore che i nuovi buoni postali non erano mai stati registrati; f) nel frattempo, l'imputato le aveva sempre invitate a non riscuotere i buoni, perché in tal modo avrebbero ottenuto il massimo profitto.
Si espone, poi, che, dagli accertamenti effettuati da Poste italiane Spa, è emerso che i documenti rappresentativi di buoni postali fruttiferi dematerializzati rilasciati in sostituzione dei buoni rimborsati non erano mai stati contabilizzati nelle scritture dell'ufficio, che su di essi non vi era l'impronta informatica del sistema operativo di Poste italiane Spa, e che gli stessi, in realtà, erano costituiti da semplici moduli cartacei recanti il timbro guller. Si aggiunge che, all'esito dei medesimi accertamenti effettuati da Poste italiane Spa, era inoltre risultato che a) tutte le operazioni di rimborso dei buoni postali fruttiferi preesistenti e di
movimentazione delle relative disponibilità erano riconducibili alla USER ID di Pr.Co., siccome rilevata dai "giornali di fondo" dell'ufficio postale; b) il giorno successivo a quello del rimborso del buono postale fruttifero dematerializzato di 7.000,00 Euro era stato effettuato il prelievo della somma ed erano stati effettuati due versamenti per complessivi 5.100,00 Euro in favore di una società di riscossione tributi, per debiti probabilmente riferibili all'imputato; c) subito dopo il rimborso del buono postale di 30.000,00 Euro era stato prelevato l'importo di 31.000,00 euro, in parte confluito, tramite due versamenti, per 14.000,00 Euro su un conto intestato alla madre dell'imputato, e per 9.000,00 Euro su un conto intestato personalmente all'imputato.
Analoghe sono le fonti di prova e le risultanze riportate con riguardo ai fatti commessi in danno di Ca.Si.
Si segnala, in particolare, che la persona offesa ha dichiarato che a) l'imputato, persona cui ella e sua madre si rivolgevano per la gestione dei loro risparmi presso l'ufficio postale di P, si era recato a casa loro nel giugno 2012, per invitarle a riemettere buoni postali maturati o per reinvestirli; b) ella, in particolare, aveva sottoscritto un modulo relativo alle quote del fondo (Omissis), per un importo di 23.493,58 euro, modulo riconosciuto nel corso della deposizione a dibattimento; c) ella, nel giugno 2017, si era recata presso l'ufficio postale di Parabita ed aveva constatato, con il direttore che nessun titolo a lei riferibile risultava registrato nella contabilità aziendale; d) ella aveva ottenuto il rimborso esclusivamente del precisato fondo Banco Posta Obbligazionario, perché aveva esibito il modulo sottoscritto ed era stata ritenuta provata la sottoscrizione, ma non anche di altri titoli, perché nessuna documentazione era stata rinvenuta.
Si evidenzia poi, che il direttore dell'ufficio postale, Claudio Fuso, ha affermato che a) l'imputato, Pr.Co., svolgeva le funzioni di consulente finanziario per Poste italiane Spa; b) Ca.Si. si era effettivamente recata presso l'ufficio postale per chiedere informazioni su alcuni buoni postali; c) a seguito di tali richieste, egli aveva verificato che erano stati redatti dei moduli, che però non erano stati registrati e non recavano nemmeno il timbro della macchina dell'ufficio postale; d) dai successivi accertamenti era emersa l'assenza di annotazioni in ordine a tali moduli sia nei fascicoli dell'ufficio, sia nel sistema informatico.
Si conclude, in sintesi, che, in entrambe le vicende, l'imputato 1) aveva fatto sottoscrivere moduli di disinvestimento e riscatto di buoni postali fruttiferi e di nuovo investimento, apponendo sugli stessi un timbro cartaceo, il timbro guller, senza procedere alla registrazione degli ordini di acquisto; 2) aveva effettuato i rimborsi delle somme derivanti dai riscatti dei buoni postali sui conti correnti dei clienti, ossia dei titolari dei prodotti disinvestiti; 3) subito dopo, aveva proceduto ad "effettuare dei versamenti dai conti correnti dei propri clienti - dove confluivano le somme dei buoni disinvestiti - sui propri correnti o su conti a lui riconducibili, così appropriandosi delle somme che dovevano essere, destinate all'investimento concordato con i clienti firmatari"; 4) successivamente, aveva suggerito ai clienti di conservare il più a lungo possibile i prodotti cui si riferivano i moduli sottoscritti, in modo da allontanare nel tempo la scoperta di quanto accaduto. Si precisa, inoltre, che "Pr.Co. (l'imputato) aveva la disponibilità di tali somme, avendo accesso alla cassa dell'istituto postale e alla banca dati informativa che gli consentiva di compiere operazioni anche in relazione al denaro depositato sui libretti postali e sui buoni postali fruttiferi".
16.3. Sulla base dei principi giuridici applicabili e dei fatti come incensurabilmente ricostruiti dai Giudici di merito, deve concludersi che le conclusioni della sentenza impugnata, laddove ha ritenuto di sussumere le condotte contestate nella fattispecie del delitto di peculato, sono corrette.
Innanzitutto, per come emerge dai fatti ricostruiti dai Giudici di merito, l'imputato ha commesso le condotte per le quali è stata pronunciata condanna nel prestare un pubblico servizio.
Invero, in forza del principio di diritto enunciato al par. 15, l'operatore di Poste italiane Spa addetto alla vendita e gestione dei prodotti derivanti dalla raccolta del risparmio postale, e segnatamente da libretti di risparmio postale e da buoni postali fruttiferi, nello svolgimento di tale attività, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio. Nella specie, in entrambe le vicende, l'imputato ha agito quale dipendente di Poste italiane Spa con le funzioni di consulente finanziario, a tale titolo aveva accesso alla cassa dell'istituto postale e alla banca dati informativa che gli consentiva di compiere operazioni anche in relazione al denaro depositato sui libretti postali e sui buoni postali fruttiferi, e proprio in forza di tali poteri e facoltà ha riscosso buoni postali fruttiferi di clienti per impossessarsi immediatamente e direttamente delle relative somme.
In secondo luogo, sempre alla luce di quanto indicato dai Giudici di merito, l'imputato aveva il "possesso o comunque la disponibilità" dei buoni postali fruttiferi, e dei relativi importi, "per ragione del suo ufficio o del servizio" e proprio approfittando di tale posizione, li ha riscossi e se li è appropriati.
Come si è già evidenziato, l'imputato, quale dipendente di Poste italiane Spa con le funzioni di consulente finanziario, proprio in ragione di tale incarico, aveva accesso alla cassa dell'istituto postale e alla banca dati informativa che gli consentiva di compiere operazioni anche in relazione al denaro depositato sui libretti postali e sui buoni postali fruttiferi. Inoltre, lo stesso ha eseguito direttamente le operazioni sui buoni postali fruttiferi di cui ai capi di imputazione, riscuotendoli e subito dopo deviando i relativi importi su conti correnti a lui riferibili o comunque appropriandoseli, utilizzando le proprie credenziali USER ID, e senza avvalersi, per le operazioni "distrattive-appropriative", di alcun atto dei titolari di tali rapporti, in quanto i moduli consegnati agli stessi non sono stati registrati nel sistema informativo di Poste italiane Spa, né comunque archiviati presso l'ufficio postale. Quanto all'appropriazione, non è concretamente contestato che le riscossioni siano state effettuate dall'imputato, e, anzi, con riferimento al buono fruttifero postale di 30.000,00 euro, è stato anche specificamente accertato che, immediatamente dopo l'incasso, sono stati effettuati due versamenti, uno di 14.000,00 Euro su un conto intestato alla madre dell'imputato, e l'altro di 9.000,00 Euro su un conto intestato personalmente all'imputato.
In terzo luogo, alla luce dei fatti come accertati e descritti, deve escludersi la configurabilità del delitto di truffa.
Le persone titolari dei buoni fruttiferi postali, per i fatti di cui alle imputazioni, non hanno sottoscritto o rilasciato alcuna disposizione che trasferisse o consentisse di trasferire all'imputato detti prodotti, o le somme derivanti dalla liquidazione degli stessi. Inoltre, l'imputato, quando si è appropriato le somme di denaro, subito dopo aver riscosso i buoni fruttiferi postali, prelevando le stesse dai rapporti cui detti titoli erano "collegati" per la loro gestione, non ha fatto alcun uso dei moduli che aveva fatto sottoscrivere ai clienti, in quanto non li ha registrati nel sistema informatico di Poste italiane Spa, e nemmeno li ha allegati in copia cartacea ai fascicoli dell'ufficio egli ha compiuto direttamente operazioni su detti rapporti mediante le sue credenziali USER ID, essendo a ciò specificamente abilitato proprio quale dipendente di Poste italiane Spa con le funzioni di consulente finanziario, senza avvalersi di alcuna documentazione giustificativa a supporto del prelevamento delle somme. Del resto, anche a voler tenere in conto le disposizioni contenute nei moduli sottoscritti dai clienti (ma non registrati negli atti di ufficio), da queste risulta che l'imputato aveva assunto il preciso obbligo di reinvestire le somme rappresentate dai buoni postali da riscuotere in altri buoni fruttiferi postali o in altri titoli, e non disponeva di alcuna procura a gestire liberamente, o anche solo diversamente, i prodotti del risparmio postale che aveva suggerito di liquidare. Le condotte maliziose dell'imputato, quindi, sono state strumentali non già ad acquisire il possesso dei buoni fruttiferi postali e delle somme da essi recati - in quanto egli poteva accedervi con le proprie credenziali, e non ha nemmeno utilizzato a supporto i moduli fatti sottoscrivere ai clienti -, bensì a "tranquillizzare" le persone offese, così da "sorprenderle" rispetto a quanto stava compiendo e da impedire o procrastinare nel tempo, come in effetti avvenuto a distanza di cinque anni o più, la "scoperta" delle sue illecite appropriazioni.
Ancora, è da escludere la configurabilità sia del delitto di appropriazione indebita, sia del delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili.
La configurabilità della fattispecie di cui all'art. 646 cod. pen., infatti, è esclusa dalla presenza dell'elemento specializzante della qualifica soggettiva previsto per l'integrazione del peculato l'imputato, come si è detto, ha commesso i fatti agendo nella qualità di incaricato di un pubblico servizio, ed avvalendosi specificamente di tale qualità per realizzarli. La configurabilità della fattispecie di cui all'art. 314-bis cod. pen., poi, è esclusa dall'elemento costituito dall'appropriazione delle somme recate dai buoni fruttiferi postali, effettuata dall'imputato per fini personali o comunque esclusivamente privati.
17. Prive di specificità sono le censure esposte nel terzo motivo del ricorso, le quali contestano l'affermazione della sussistenza del dolo, deducendo che l'imputato non ha agito per conseguire un profitto, e che comunque era convinto della liceità dei propri comportamenti per l'assenza di rilievi, durante lo svolgimento della sua attività, da parte dei superiori, sotto il cui controllo operava.
Le sintetizzate censure, infatti, per un verso, sono meramente assertive, perché non supportate da alcuna allegazione. Sotto altro profilo, non si confrontano in alcun modo con la ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito, i quali hanno evidenziato, sulla base di precisi elementi di prova, che l'imputato ha agito in modo articolato e malizioso per realizzare le appropriazioni di cui alle imputazioni. Sotto altro aspetto ancora, indicano come requisito della fattispecie di cui all'art. 314 cod. pen. il dolo specifico, quando, invece, dal dettato normativo, risulta evidente come questa disposizione preveda un reato a dolo generico.
18. Prive di specificità sono anche le censure formulate nel quarto motivo del ricorso, le quali contestano la determinazione del trattamento sanzionatorio, deducendo che la pena irrogata è eccessiva.
Innanzitutto, la pena base è stata fissata in tre anni di reclusione, ossia nel minimo edittale previsto dall'art. 314 cod. pen. all'epoca dei fatti. Per quanto concerne gli aumenti relativi alla recidiva infraquinquennale e alla continuazione, deve osservarsi che a) l'applicazione della recidiva non è stata contestata in questa sede, e nemmeno con l'atto di appello; b) i fatti hanno avuto ad oggetto somme significative, perché pari per un episodio a 23.493,58 Euro e per l'altro a 30.000,00 euro; c) il ricorso non indica alcuna ragione specifica per ritenere incongrui o comunque manifestamente irragionevoli le determinazioni concernenti detti aumenti di pena; d) gli stessi sono stati quantificati in misura contenuta, in quanto l'uno in quattro mesi di reclusione e l'altro in sei mesi di reclusione.
19. Manifestamente infondate, infine, sono le censure enunciate nel quinto motivo, le quali contestano la omessa dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione.
Per il delitto di peculato, in linea generale, il tempo necessario a prescrivere è pari a dieci anni, atteso il combinato disposto degli artt. 157, primo comma, e 314, primo comma, cod. pen. Inoltre, nella specie, deve tenersi conto della recidiva infraquinquennale, applicata e non contestata nel ricorso, sicché, a norma del combinato disposto degli artt. 157, secondo comma, e 99, secondo comma, cod. pen., il tempo necessario a prescrivere è pari a quindici anni. Ancora, occorre calcolare l'interruzione della prescrizione che, a norma dell'art. 161, secondo comma, cod. pen., in combinato disposto con l'art. 99, secondo comma, cod. pen., comporta un aumento del tempo necessario a prescrivere nella misura della metà. In conclusione, quindi, il tempo necessario a prescrivere i reati in esame è pari a ventidue anni e sei mesi.
Ciò posto, anche senza calcolare i periodi di sospensione, pure intercorsi, i reati per i quali è stata pronunciata condanna, siccome commessi tra il novembre 2011 e il giugno 2012, non possono in alcun modo ritenersi estinti per prescrizione.
20. Alla complessiva infondatezza delle censure seguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 29 maggio 2025.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2025.