Amministrazione pubblica, provvedimento, motivazione, fatto impeditivo

Consiglio di Stato, Sentenza n.2441 del 04/04/2022

Pubblicato il
Amministrazione pubblica, provvedimento, motivazione, fatto impeditivo

L’Amministrazione, ai sensi dell’art. 3 L. n. 241/90, non è tenuta a rappresentare l’assenza di fatti impeditivi all’adozione del provvedimento, dovendo limitarsi a indicare “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione”: per l’effetto, l’obbligo motivazionale è adempiuto attraverso l’indicazione del fatto costitutivo della decisione, che ne giustifica l’adozione; eventuali fatti impeditivi all’adozione del provvedimento configurano ragioni di illegittimità dell’atto - assunto nonostante l’esistenza di impedimenti normativi o fattuali - come tali da dedurre ai sensi dell’art. 2697 c.c. a cura della parte ricorrente, quali fatti principali fondanti l’azione di annullamento.

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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI, Sentenza 4 APRILE 2022, N. 2441

Pubblicato il 04/04/2022
N. 02441/2022REG.PROV.COLL.

N. 06297/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6297 del 2014, proposto da
Playa di Valverde s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto Lassini, Ercole Romano e Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Comune di Robecchetto con Induno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Aldo Travi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino, non costituito in giudizio;
per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 00191/2014, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Robecchetto con Induno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2021 il Cons. Francesco De Luca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, la società Playa di Valverde s.r.l. appella la sentenza n. 191 del 2014, con cui il Tar Lombardia, Milano, in parte, ha dichiarato improcedibile, in altra parte, ha rigettato i motivi di ricorso proposti avverso: a) l’ordinanza di sospensione lavori n. 5/12 e l’ordinanza di demolizione lavori n. 6/2012 emesse in data 7.3.2012 dal Comune di Robecchetto con Induno; b) la dichiarazione di improcedibilità n. 8429/2012 in data 30 agosto 2012 assunta dal Parco Lombardo della Valle del Ticino e avente ad oggetto la richiesta di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata dalla ricorrente; nonché c) il diniego della richiesta di permesso di costruire in sanatoria (n. 6338 del 2013) pronunciato dal Comune di Robecchetto con Induno.

In particolare, secondo quanto dedotto dall’appellante:

- la società ricorrente gestisce una struttura ricreativa all’aperto (camping) sul terreno condotto in affitto di proprietà del Comune di Galliate, in parte ricadente nel territorio del Comune di Robecchetto con Induno e, quindi, nell’ambito periferico del Parco del Ticino;

- sotto la vigenza dell’art. 3, comma 9, legge n. 99 del 2009 la società ha allocato all’interno della struttura ricettiva n. 3 case mobili, per le quali aveva ottenuto l’ammissione a finanziamento agevolato da parte di una società finanziaria in house della Regione Piemonte;

- il Comune di Robecchetto con Induno, ritenendo necessario il previo rilascio del titolo edilizio ex DPR n. 380/01 e L.R. n. 12/05 e ravvisando la presenza sull’area del vincolo paesaggistico e del vincolo idrogeologico, ha disposto la sospensione dei lavori (ordinanza n. 5/12) e la loro demolizione con ripristino dello stato dei luoghi (ordinanza n. 6/12);

- la società ha impugnato i provvedimenti comunali con ricorso dinnanzi al Tar Lombardia, Milano, iscritto al n.r.g. 1320/12; nonché ha presentato, in relazione alle opere in contestazione, una domanda di permesso di costruire in sanatoria e di nulla osta paesaggistico;

- il Parco del Ticino con provvedimento n. 8429 del 30.8.2012 ha dichiarato l’improcedibilità della istanza, ritenendo che si facesse questione di manufatti non riconducibili alle tipologie di cui agli artt. 167, comma 4, e 181, comma 1 ter D. Lgs. n. 42/04;

- il Comune di Robecchetto con Induno, dato atto dell’intervenuta dichiarazione di improcedibilità della richiesta di compatibilità paesaggistica, ha negato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria (provvedimento n. 6338 del 2013);

- la società odierna appellante ha proposto autonomo ricorso dinnanzi al medesimo Tar, iscritto al n.r.g. 2166 del 2012, avverso la determinazione dell’Ente Parco, mentre ha proposto motivi aggiunti - nell’ambito dei giudizi già pendenti - avverso il diniego comunale di sanatoria;

- il Tar ha dichiarato l’improcedibilità dei motivi di ricorso avverso gli ordini di sospensione e di demolizione dei lavori, mentre ha rigettato le doglianze indirizzate contro il diniego di sanatoria e la dichiarazione di improcedibilità della richiesta di nulla osta paesaggistico.

2. In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla sentenza appellata, il Tar ha rilevato che:

- i motivi di ricorso avverso i provvedimenti che ingiungevano la sospensione lavori e la demolizione delle opere realizzate, a seguito della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, erano divenuti improcedibili, tenuto conto che la presentazione di un'istanza di sanatoria secondo l’art. 36 del Testo Unico dell'edilizia avrebbe privato di ogni efficacia il provvedimento demolitorio, con conseguente obbligo per il Comune di pronunciarsi sull’istanza stessa mediante un nuovo provvedimento;

- i manufatti oggetto dei provvedimenti impugnati non potevano essere considerati quali mezzi mobili di pernottamento, facendosi questione, alla stregua di quanto emergente dal provvedimento dichiarativo dell’improcedibilità della richiesta di nulla osta paesaggistico, di case prefabbricate aventi lunghezza pari a mt. 8, larghezza pari a mt. 5 ed altezza variabile da mt. 3,2 a mt. 4,9 al colmo, appoggiate su blocchi di cemento, con applicazione nella zona centrale del basamento di due ruote aventi effetto esclusivamente estetico. Tutte le case risultavano fornite di allacciamento alla rete idrica ed elettrica e agli scarichi fognari in maniera stabile;

- considerata la mole delle strutture e il loro collegamento stabile alle reti ed ai servizi tecnologici, le opere de quibus non potevano essere considerate mezzi mobili, tali essendo esclusivamente quelli che possono essere spostati mediante interventi di facile realizzazione che chiunque può effettuare; con la conseguente inapplicabilità dell’art. 3, comma 9, della legge n. 99/2009;

- nessuna norma escludeva che, per la realizzazione di interventi edilizi all’interno di campeggi (ancorché autorizzati), fosse necessario munirsi delle autorizzazioni edilizie e paesaggistiche previste dalle vigenti disposizioni; né a tali fini avrebbe potuto invocarsi l’art. 51, comma 6, L.R. n. 15 del 2007, considerato, altresì, quanto previsto dall’art. 55, comma 1, L.R. n. 15/2007 circa la necessità del previo rilascio del permesso di costruire per le strutture fisse all’interno dei campeggi;

- essendosi in presenza di opere rilevanti sotto i profili urbanistico e paesaggistico, la loro realizzazione necessitava del previo rilascio delle prescritte autorizzazioni; sicché le stesse, creando superficie utile e volume, in base all’art. 167, comma 4, lett. b), del d.lgs. n. 42/2004, non potevano essere soggette ad accertamento di compatibilità paesaggistica;

- le rimanenti censure, indirizzate contro le ulteriori rationes decidendi a sostegno del provvedimento gravato, potevano essere assorbite, trattandosi di atto plurimotivato, con la conseguenza che anche soltanto la legittimità di una delle ragioni prese in esame risultava idonea a fondare la determinazione amministrativa;

- il provvedimento non poteva essere annullato neanche per violazione dell’art. 10 bis L. n. 241/90, trovando applicazione il disposto dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241 del 1990;

- i vizi di legittimità invocati in relazione agli ordini di sospensione e demolizione dei lavori non potevano produrre l’invalidità derivata del diniego di sanatoria, non emergendo un rapporto di presupposizione tra i relativi atti; in ogni caso, tali vizi non sussistevano;

- l’art. 41, comma 4, d.l. n. 69/13 conv. in L. n. 98/13, nel modificare l’art. 3, comma 1, lett. e.5), d.P.R. n. 380/01, consentiva di espungere dalla nozione di nuova costruzione solo quelle strutture che, proprio in quanto dirette a soddisfare esigenze temporanee, potessero essere facilmente rimosse da chiunque senza l’effettuazione di interventi particolarmente complicati;

- nella specie, invece, le case realizzate dalla ricorrente, in ragione delle loro dimensioni ed in ragione del loro collegamento alle reti ed ai servizi tecnologici, non erano facilmente amovibili, necessitando allo scopo di un intervento qualificato e dell’impiego di macchinari di uso non comune; sicché, il loro ancoraggio al suolo non aveva natura meramente temporanea (quantunque prive di fondamenta) e, pertanto, esse dovevano qualificarsi quali “nuove costruzioni” per la realizzazione delle quali era necessario munirsi di titolo edilizio.

3. La ricorrente in primo grado ha appellato la sentenza di prime cure, denunciandone l’erroneità con l’articolazione di tre motivi di impugnazione.

4. Il Comune di Robecchetto con Induno si è costituito in giudizio, resistendo al ricorso.

5. Le parti, in vista dell’udienza di discussione fissata per il giorno 25 febbraio 2021, hanno argomentato le rispettive conclusioni mediante il deposito di memorie conclusionali e repliche.

6. Con ordinanza n. 1878 del 5 marzo 2021 la Sezione ha ritenuto necessario disporre una verificazione sui fatti di causa, al fine di accertare se le strutture in contestazione nell’odierno giudizio presentassero gli elementi propri di una casa mobile.

In particolare, ai sensi dell'art. 66 cod. proc. amm. il Collegio ha disposto che:

1) alla verificazione provvedesse il Direttore della Direzione Generale Territorio e Protezione Civile della Regione Lombardia, con facoltà di subdelega ad un funzionario appartenente alla medesima Direzione in possesso di specifiche competenze per il tipo di attività da svolgere;

2) il verificatore rispondesse ai seguenti quesiti:

“- dica il verificatore se le strutture per cui è controversia - oggetto della dichiarazione di improcedibilità n. 8429/2012 del 30 agosto 2012 assunta dal Parco Lombardo della Valle del Ticino e del diniego di permesso di costruire in sanatoria n. 6338 del 3.7.2013 pronunciato dal Comune di Robecchetto con Induno -:

a) siano collegate permanentemente al terreno ovvero siano costruite su appositi carrelli, che ne consentono una rapida installazione e movimentazione su qualsiasi terreno privato, camping o villaggio turistico, in quanto montate su di un pianale omologato che ne consente il trasporto, o, pur ideate per stare ferme, aventi caratteristiche tali che ne consentano il facile spostamento;

b) conservino i meccanismi di rotazione in funzione;

c) presentino allacciamenti alla rete idrica, elettrica e fognaria rimovibili in qualsiasi momento”.

7. Con deposito del 13 aprile 2021 il verificatore incaricato ha prodotto la relazione istruttoria in riscontro ai quesiti formulati dal Collegio; in data 26 aprile 2021 il verificatore ha chiesto la liquidazione del compenso per l’opera prestata.

8. In vista dell’udienza di discussione del 21 dicembre 2021 le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni - prendendo posizione anche sulle risultanze dell’istruttoria disposta in appello - attraverso il deposito di memorie conclusionali e di repliche. La parte appellante ha pure prodotto osservazioni critiche alla relazione di verificazione. rassegnate dal proprio consulente tecnico.

9. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 21 dicembre 2021.

DIRITTO

1. L’atto di appello consta di tre motivi di impugnazione, esaminabili congiuntamente per ragioni di connessione.

1.1 Con il primo motivo di appello la sentenza di prime cure viene contestata per non avere rilevato che l’Amministrazione, con i provvedimenti impugnati, senza tenere conto del combinato disposto degli artt. 3, comma 9, L. n. 99/2009 e 55, comma 3, L.R. n. 15/2007, non aveva motivato la propria decisione in ragione della mancata configurazione delle opere de quibus quali case mobili: una tale contestazione era stata svolta dal Comune inammissibilmente soltanto nella sede giudiziale e, comunque, risultava infondata nel merito.

In punto di rito, l’appellante osserva che i provvedimenti impugnati in primo grado non prendevano in considerazione il profilo concernente il mancato appoggio delle ruote di gomma delle case mobili direttamente al suolo per essere pronte alla funzione veicolare, traducendosi una tale contestazione in sede giudiziale in un’inammissibile integrazione motivazionale del provvedimento impugnato.

La sentenza di prime cure avrebbe, dunque, pronunciato su un presupposto estraneo alla motivazione che li sorreggeva, non avendo l’Amministrazione valutato il “presupposto considerato dalle norme della materia al fine di esonerare o meno la posa dei manufatti dall’obbligo della preventiva richiesta dei titoli abilitativi” (pag. 8).

Nel merito, il ricorrente rileva che le tre case mobili erano dotate del richiesto meccanismo di rotazione e da ruote, venendo prodotte in serie da una ditta specializzata e propagandate per servire allo scopo della loro mobilità all’interno delle strutture ricettive all’aria aperta. Parimenti, la società in house della Regione Piemonte, ammettendo l’istante al finanziamento pubblico per l’acquisto delle case de quibus, evidentemente ne aveva accertato la legittimità.

1.2. Con il secondo motivo di appello viene censurata l’erroneità della sentenza di prime cure, per avere escluso la rilevanza del combinato disposto degli artt. 51, comma 6, e 55, comma 3, L.R. n. 15/07, al fine di esonerare le opere de quibus dall’obbligo di previo rilascio del titolo abilitativo edilizio.

Secondo quanto dedotto dall’appellante, l’evoluzione della normativa in materia di strutture turistiche deporrebbe nel senso di agevolarne la competitività e l’ampliamento dei servizi nell’interesse del turismo, con l’effetto di escludere le case mobili allocate all’interno delle relative strutture autorizzate dal novero delle nuove costruzioni subordinate al previo rilascio del permesso di costruire (cfr. diverse formulazioni dell’art. 3, comma 1, lett. e.5), DPR n. 380/01, come emergente dalle modifiche apportate dall’art. 41, comma 4, d.l. n. 69/12 e dal d.l. n. 47/2014).

Il primo giudice, pertanto, sarebbe incorso in errore nel ritenere che la posa di case mobili nei campeggi fosse soggetta al previo rilascio del titolo edilizio.

Le caratteristiche delle case mobili in parola, peraltro, sarebbero desumibili da un dépliant descrittivo dei beni allegato alla domanda di sanatoria presentata al Comune e dalla lettera della società in house della Regione Piemonte di ammissione al finanziamento pubblico dei manufatti.

Lo spostamento delle case de quibus e il distacco dalla rete dei servizi non avrebbero, inoltre, configurato operazioni impegnative, rientrando in ordinarie attività di gestione delle strutture ricettive: peraltro, la stessa disciplina di riferimento avrebbe previsto un ancoraggio che, seppure non permanente, dovrebbe comunque garantire la stabilità delle case mobili, nonché l’allacciamento ai servizi con tecniche di sicura funzionalità.

1.3 Con il terzo motivo di appello viene censurata la sentenza di prime cure nella parte in cui non ha valorizzato l’ammissione al finanziamento pubblico, circostanza asseritamente idonea a fondare un affidamento sulla conformità delle opere de quibus al disposto dell’art. 9, comma 3, L. n. 99/09.

Con il medesimo motivo viene riproposta la doglianza riferita all’illegittimità del provvedimento del Parco Ticino nella parte in cui ha ravvisato il contrasto con il regolamento Abaco del Parco del Ticino, sebbene il regolamento de quo risultasse inconferente, riguardando le architetture rurali e non i beni per cui è causa.

Per l’effetto, i provvedimenti impugnati in prime cure avrebbero dovuto essere annullati, in quanto non si farebbe questione di opere soggette al previo rilascio del titolo edilizio abilitativo, essendo possibile accordare la sanatoria ex artt. 167 e 181 D. Lgs. n. 42/04, in quanto non costituenti superficie utile e volumetria in senso urbanistico-edilizio.

2. I motivi di appello sono infondati.

3. In primo luogo, deve negarsi che nella specie l’Amministrazione intimata abbia provveduto, in sede giurisdizionale, all’integrazione della motivazione alla base degli atti impugnati.

3.1 Nel processo amministrativo l'integrazione in sede giudiziale della motivazione dell'atto amministrativo è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento - nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta - oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21-nonies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990). È invece inammissibile un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi.

La motivazione costituisce, infatti, il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 ottobre 2018, n. 5984).

3.2 Tali principi giuridici non sono stati violati nel caso di specie, tenuto conto che gli atti impugnati in prime cure sono sorretti da un’adeguata motivazione, che non risulta essere stata integrata in giudizio mediante atti processuali o scritti difensivi.

3.2.1 In particolare, come emerge dal provvedimento n. 8429/12, il Parco Lombardo della Valle del Ticino, nel dichiarare l’improcedibilità dell’istanza presentata dall’odierna appellante, avente ad oggetto l’accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere per cui è controversia:

- ha richiamato il rapporto informativo n. 565 dell’8.9.2010 e il processo verbale di accertamento di trasgressione n. 1057/2010 del 21.9.2010 redatti dal Settore Vigilanza – Polizia Giudiziaria del Parco, dal quale emergeva che “nello specifico 3 strutture (oggetto del presente verbale) risultano completamente terminate ed occupate da fruitori del campeggio …. Le strutture hanno le seguenti misure: lunghezza 8m, larghezza 5m, altezza variabile da 3,2 a 4,9m al colmo. Le medesime sono rialzate dal piano di campagna di circa 0,9 m, sono appoggiate su blocchi di cemento e nella zona centrale del basamento sono applicate 2 ruote (tali ruote assumono un effetto esclusivamente estetico ed a parere degli scriventi le stesse non potrebbero in nessun caso sostenere il peso della struttura). Le abitazioni sono realizzate quasi completamente in legno con finiture di colorazione vistosa (arancio, rosa, azzurro, bianco). La copertura delle medesime è realizzata con guaina catramata di colore rosso. Tutte le case sono fornite di allacciamento alla rete idrica ed elettrica ed agli scarichi fognari in maniera stabile…”;

- ha riportato la definizione di intervento di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.5 del DPR n. 380/01 e dell’art. 27, comma 1, lett. e), punto 5), della L.R. 12/2005, nonché ha individuato gli elementi ostativi all’accertamento della compatibilità paesaggistica ex artt. 167, comma 4, e 181, comma 1 ter, D. Lgs. n. 42/04, dati dalla realizzazione di superfici utili o volumi ovvero dall’ampliamento di quelli legittimamente realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica;

- ha ritenuto che le opere de quibus integrassero gli estremi della nuova costruzione comportante la creazione di superficie utile e di volume, non potendo, pertanto, rientrare nella portata applicativa degli artt. 167, comma 4, e 181, comma 1 ter, D. Lgs. n. 42/04;

- ha, inoltre, rilevato la violazione del regolamento Abaco del Parco del Ticino in relazione alla tipologia edilizia, ai materiali e ai colori utilizzati, nonché la violazione dell’art. 6.11 della D.C.R. VII/919 del 26.11.2003, che precludeva la realizzazione di nuovi edifici nelle zone B2.

3.2.2 Il Comune, con il provvedimento n. 6338 del 3.7.2013, ha rigettato la richiesta di rilascio del permesso di costruire in sanatoria, rilevando che:

- per la sanatoria degli interventi edilizi abusivi in area sottoposta a vincolo paesaggistico risultava indispensabile l’ottenimento della compatibilità paesaggistica ex artt. 167 e 181 D. Lgs. n. 42/04;

- nella specie era stata dichiarata l’improcedibilità della richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica;

- per l’effetto, non poteva essere accolta la richiesta di sanatoria.

3.3 Alla stregua di quanto statuito dalle Amministrazioni intimate, emerge l’adeguatezza della motivazione alla base delle determinazioni amministrative in analisi, non integrata in sede giudiziale.

In particolare, il diniego di sanatoria, implicando una verifica di carattere vincolato, deve indicare le disposizioni di legge o di carattere urbanistico da cui derivi la inedificabilità, in modo da consentire all'interessato di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla regolarizzazione e al mantenimento dell'opera abusiva e di confutare in giudizio, in maniera pienamente consapevole ed esaustiva, la legittimità del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato Sez. II, 6 marzo 2020, n. 1643); il che si è verificato nella specie, avendo il Comune rappresentato l’insussistenza dei presupposti della sanatoria in ragione della dichiarazione di improcedibilità della richiesta di compatibilità paesaggistica, ostativa al rilascio del permesso di costruire in sanatoria.

Parimenti, il Parco Lombardo della Valle del Ticino ha enucleato le ragioni impeditive del richiesto accertamento di compatibilità paesaggistica, rappresentando che le opere in contestazione integravano: a) interventi di nuova costruzioni implicanti un aumento di superfici utili e di volumi, come tali non soggetti ad accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria; b) interventi eseguiti in violazione regolamento Abaco del Parco del Ticino in relazione alla tipologia edilizia, ai materiali e ai colori utilizzati; nonché c) interventi violativi dell’art. 6.11 della D.C.R. VII/919 del 26.11.2003.

3.4 Emerge, pertanto che il Parco Lombardo della Valle del Ticino ha posto a fondamento della propria decisione (tra l’altro) la qualificazione delle opere in contestazione come intervento di nuova costruzione comportante la creazione di nuove superfici utili e volumi, come tale non assoggettabile all’accertamento di compatibilità paesaggistica in via postuma.

La circostanza per cui le opere in parole potessero o meno essere esentate dal previo rilascio del titolo abilitativo edilizio, in applicazione della disciplina legislativa regionale e statale riferita alle case mobili ubicabili nell’ambito delle strutture ricettive all’aperto, non costituiva, invece, una ratio decidendi delle determinazioni impugnate, inammissibilmente dedotta in sede giurisdizionale.

L’integrazione giudiziale della motivazione si verifica qualora l’Amministrazione, in pendenza del giudizio, tenti di recuperare l’invalidità del provvedimento, carente di motivazione o incentrato su rationes decidendi insuscettibili di resistere alle critiche all’uopo svolte dal ricorrente, mediante l’illustrazione di ulteriori argomentazioni in fatto e in diritto che potrebbero sostenere la decisione assunta a definizione del procedimento; ma non quando l’Amministrazione, nell’esercizio del proprio diritto di difesa, si limiti a controdedurre in ordine all’infondatezza delle avverse doglianze.

In particolare, l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 3 L. n. 241/90, non è tenuta a rappresentare l’assenza di fatti impeditivi all’adozione del provvedimento, dovendo limitarsi a indicare “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione”: per l’effetto, l’obbligo motivazionale è adempiuto attraverso l’indicazione del fatto costitutivo della decisione, che ne giustifica l’adozione (nella specie rappresentato dall’emersione di una nuova costruzione); eventuali fatti impeditivi all’adozione del provvedimento (quali la configurazione di case mobili sottratte all’obbligo di previo rilascio del titolo abilitativo edilizio) configurano ragioni di illegittimità dell’atto - assunto nonostante l’esistenza di impedimenti normativi o fattuali - come tali da dedurre ai sensi dell’art. 2697 c.c. a cura della parte ricorrente, quali fatti principali fondanti l’azione di annullamento.

Tali ragioni di illegittimità ben possono essere contrastate dall’Amministrazione resistente in sede giurisdizionale, anche negando la sussistenza del fatto impeditivo ex adverso allegato: in tale caso, non si integra la motivazione del provvedimento, che rimane fondata sul presupposto positivamente riscontrato in sede procedimentale, ma si contrasta l’avversa iniziativa processuale, ritenuta infondata in quanto incentrata sulla valorizzazione di fatti impeditivi inconferenti o inesistenti.

3.5 Nel caso in esame la riconducibilità delle opere de quibus alla disciplina regionale e statale derogatoria rispetto all’obbligo di previo rilascio del titolo edilizio abilitativo non costituiva un’ulteriore ragione a sostegno della decisione amministrativa svolta in sede giurisdizionale, bensì rappresentava un fatto impeditivo all’adozione dei provvedimenti impugnati in primo grado e, dunque, un asserito vizio di legittimità dei relativi atti amministrativi, assunti nonostante si fosse -in ipotesi- in presenza di opere di edilizia libera.

La difesa del Comune, nell’escludere la natura di case mobili, non ha dunque arricchito il contenuto motivazionale degli atti gravati, ma ha difeso le relative decisioni, contrastando l’avversa iniziativa processuale, in specie evidenziando che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, non si faceva questione di case mobili, bensì, come correttamente rilevato nei provvedimenti censurati, di nuove costruzioni soggette al prescritto titolo abilitativo edilizio nella specie carente.

3.6 Il che emerge per tabulas, avendo il Comune:

- rilevato che l’art. 3, comma 9, l. n. 99 del 2009 “invocato dalla ricorrente” (pag. 3 memoria conclusionale giudizio n.r.g. 2611/12) era stato dichiarato incostituzionale e “non risulta(va) comunque applicabile al nostro caso” (pag. 3 memoria conclusionale giudizio n.r.g. 2611/12), non potendo le strutture in parola essere assimilate ai mezzi mobili di pernottamento; nonché che la tesi della ricorrente, incentrata sulla violazione dell’art. 3, comma 1, lett. e.5) DPR n. 380/01, come modificato dall’art. 41, comma 4, D.L. n. 69/2013 conv. in L. n. 98/2013, “non sembra condivisibile” (pag. 6 memoria conclusionale giudizio n.r.g. 2611/12);

- riaffermato che “il Comune ritiene che le strutture della ricorrente necessitassero del permesso di costruire, in quanto rientranti a tutti gli effetti fra gli interventi di “nuova costruzione” ai sensi del testo unico in materia edilizia e della legge regionale lombarda per il governo del territorio” (pag. 8 memoria conclusionale giudizio n.r.g. 2611/12)

3.7 Ne deriva che nelle difese di primo grado, l’Amministrazione comunale non ha introdotto nuovi temi di decisione, funzionali ad illustrare nuove rationes decidendi in sostituzione o in aggiunta a quelle già fondanti gli atti gravati, ma si è limitata, nell’esercizio del proprio diritto di difesa, a contestare le censure svolte dalla controparte, negando che le opere in esame fossero riconducibili alla disciplina derogatoria invocata a sostegno dei motivi di ricorso, da ritenere nella specie inapplicabile.

4. Ciò premesso, la sentenza di prime cure merita conferma anche nella parte in cui ha escluso che le opere per cui è causa potessero essere ricondotte alla disciplina dettata dagli artt. 3, comma 9, L. n. 99/09, 55, comma 3, L.R. n. 15/2007, nonché 3, comma 1, lett. e.5, in relazione all’art. 41, comma 4, D.L. n. 69/13 conv. con L. n. 98/13.

4.1 In primo luogo, si osserva che la Corte costituzionale, con sentenza 22 luglio 2010, n. 278, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 9, L. n. 99 del 2009, con conseguente sua inapplicabilità al caso di specie.

Ai sensi del combinato disposto dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953 la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge determina la cessazione della sua efficacia erga omnes ed impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza, che essa possa essere applicata ai rapporti per i quali la norma dichiarata incostituzionale risulti ancora rilevante: stante l’effetto retroattivo dell’annullamento, la pronuncia di incostituzionalità trova il limite dei soli rapporti esauriti (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 31 maggio 2019, n. 03664), in relazione ai quali sia divenuta irretrattabile la regula iuris del caso concreto, perché dettata da un giudicato formatosi nell’applicazione della disciplina precedente alla pronuncia di incostituzionalità ovvero perché cristallizzata per effetto dell’intervenuta decadenza processuale o sostanziale o dell’intervenuta prescrizione della situazione giuridica soggettiva concretamente rilevante (in termini, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 1 agosto 2016, n. 3474).

La realizzazione di opere edilizie, di per sé, non è idonea a configurare un rapporto esaurito, in quanto, da un lato, la legittimità delle relative opere non è ancora accertata con sentenza passata in giudicata, dall’altro, non si ravvisa alcuna ipotesi di decadenza dell’Amministrazione dal potere di vigilanza in materia urbanistica ed edilizia, non soggetto a limiti temporali per il suo esercizio.

La repressione degli illeciti urbanistico-edilizi costituisce, infatti, attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura demolitoria intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall'epoca della commissione dell'abuso, in ragione del carattere permanente rinvenibile nell'illecito edilizio e dell'immanenza dell'interesse pubblico al ripristino dell'ordine violato, il quale è sempre prevalente sull'aspirazione del privato al mantenimento dell'opera (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 12 marzo 2020, n. 1765).

Ne deriva l’inapplicabilità nel caso di specie dell’art. 3, comma 9, L. n. 99/09, facendosi questione di disposizione dichiarata incostituzionale, come tale non invocabile ai fini della soluzione dell’odierna controversia, in cui si fa questione di rapporti giuridici non esauriti.

4.2 In ogni caso, si osserva che l’art. 3, comma 9, L. n. 99/09 prevedeva che nelle strutture turistico-ricettive all'aperto, le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili di pernottamento, anche se collocati permanentemente, per l'esercizio dell'attività, entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive regolarmente autorizzate, non costituissero in alcun caso attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici, “purché ottemperino alle specifiche condizioni strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali”.

Pertanto, tale disposizione, da un lato, operava un puntuale riferimento ai “mezzi mobili di pernottamento”, dall’altro, prescriveva comunque il rispetto delle condizioni strutturali e di mobilità stabilite dalla normativa regionale.

Con riferimento all’ordinamento lombardo, rilevava l’art. 55, comma 3, L.R. n. 15/2007 (abrogato dall’art. 86, comma 1, lett. i), L.R. n. 27 del 2015, ma ratione temporis applicabile alla specie, avuto riguardo alla data di adozione dei provvedimenti per cui è causa), ai sensi del quale “Non è richiesto il titolo abilitativo edilizio per gli allestimenti mobili di pernottamento, che conservano i meccanismi di rotazione in funzione, non sono collegati permanentemente al terreno e i cui allacciamenti alla rete idrica, elettrica e fognaria sono rimovibili in qualsiasi momento”.

Il presupposto del combinato disposto degli artt. 3, comma 9, L. n. 99/09 e 55, comma 3, L.R. n. 15/2007 era rappresentato, dunque, dalla presenza di mezzi mobili di pernottamento (art. 3, comma 9, L. n. 99/09) ovvero di “allestimenti mobili di pernottamento”, tra l’altro, aventi meccanismi di rotazione in funzione e non collegati permanentemente al terreno (art. 55, comma 3, L.R. n. 15/2007).

Al riguardo, questo Consiglio (sez. II, 3 novembre 2020, n.6768) ha precisato che sono definibili “case mobili”, le strutture non ancorate al terreno, costruite su appositi carrelli, che ne consentono una rapida installazione su qualsiasi terreno privato, camping o villaggio turistico: quelle omologate sono montate su di un pianale omologato che ne consente il trasporto, mentre quelle non omologate, solitamente destinate a campeggi e villaggi turistici, pur essendo ideate per stare ferme, debbono avere caratteristiche tali che ne consentano il facile spostamento. Ciò che è essenziale è che tali case mobili, ancorché realizzate all’interno di camping o villaggi turistici, siano ancorate al suolo solo temporaneamente, con caratteristiche, cioè, che ne dimostrino la precarietà.

Le disposizioni in esame (artt. 3, comma 9, L. n. 99/09 e 55, comma 3, L.R. n. 15/2007) erano, dunque, volte a consentire la libera collocazione all’interno delle strutture ricettive di strutture mobili (come le “case” su ruote), al fine di favorire l’occupazione transitoria del suolo e non anche per la realizzazione, in assenza di titoli edilizi, di strutture stabili equiparabili a quelle di tipo alberghiero.

4.3 Ciò premesso, avuto riguardo al caso di specie, alla stregua della documentazione in atti, tenuto conto delle risultanze della verificazione disposta nell’odierno grado di giudizio, le opere in esame non possono qualificarsi come case o strutture mobili, difettando, per l’effetto, il presupposto fattuale di applicazione degli artt. 3, comma 9, L. n. 99/09 e 55, comma 3, L.R. n. 15/2007.

Al riguardo, assumono rilievo il processo verbale di sopralluogo sub doc. 3 produzione comunale del 6.8.2013 nell’ambito del giudizio di primo grado n.r.g. 2611 del 2012, posto alla base del verbale di accertamento di trasgressione n. 1057 del 2010 (richiamato nello stesso provvedimento dichiarativo dell’improcedibilità dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica impugnato in primo grado) e la relazione di verificazione acquisita nell’odierno grado di giudizio.

4.3.1 Con riferimento al primo documento, si è in presenza di un atto pubblico fidefaciente: “[l]a giurisprudenza penale e quella amministrativa hanno raggiunto sin da tempo risalente una concordanza di opinioni nel ritenere che gli atti redatti dalla Polizia Giudiziaria, anche in materia di immobili abusivi, facciano piena prova sino a querela di falso pure con riguardo alla consistenza dell'immobile .[…] il verbale redatto e sottoscritto dagli agenti e dai tecnici del Comune a seguito di sopralluogo, attestante l'esistenza di manufatti abusivi, costituisce atto pubblico, fidefaciente fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c., delle circostanze di fatto in esse accertate sia relativamente allo stato di fatto e sia rispetto allo status quo ante” (Consiglio di Stato, sez. IV, 14 dicembre 2016, n. 5262).

Difatti, per costituire atto pubblico ed avere l'efficacia riconosciuta dall'art. 2700 c.c., l’atto deve provenire da un pubblico ufficiale ed essere formato nell'esercizio di una funzione specificatamente diretta alla documentazione (cfr. Cass. civ. Sez. I, Sent., 11 giugno 2020, n. 11267): i verbali con cui la polizia giudiziaria o i tecnici comunali attestano la consistenza delle opere sottoposte ad accertamento sono provvisti della fede privilegiata di cui all’art. 2700 c.c. in quanto promananti da un pubblico ufficiale e formati nell’esercizio di una funzionale diretta alla documentazione di un abuso edilizio.

4.3.2 La relazione di verificazione deve parimenti essere valorizzata ai fini della decisione dell’odierna controversia, in quanto connotata da puntuali accertamenti, documentati anche attraverso specifiche riproduzioni fotografiche, svolti da un organismo pubblico equidistante alle parti e dotato di specifica qualificazione professionale.

4.4 Iniziando la disamina delle risultanze istruttorie dal verbale di sopralluogo del 10.8.2010 sub doc. 3 produzione comunale cit. e dal processo verbale di accertamento di trasgressione n. 1057 del 2010, da tali documenti emerge, tra l’altro, che:

- le strutture de quibus sono rialzate dal piano di campagna di circa 0,9 metri, sono appoggiate su blocchi di cemento, nonché presentano nella zona centrale del basamento due ruote; nel processo verbale n. 1057/2010 cit. si precisa, altresì, che “tali ruote assumono un effetto esclusivamente estetico ed, a parere degli scriventi, le stesse non potrebbero in nessun caso sostenere il peso della struttura”;

- le medesime strutture, secondo quanto dichiarato dall’amministratore unico e legale rappresentante dell’odierna società appellante, sono state realizzate verso la fine del 2009, al fine di poterle utilizzare come strutture ricettive per il campeggio.

4.5 La relazione di verificazione, formata sulla base (altresì) di apposito sopralluogo svolto in data 26 marzo 2021, parimenti dà atto che:

- “E’ stato possibile verificare la qualità e la quantità degli appoggi delle strutture al terreno (…) che consistono, per ogni struttura, in 9 appoggi su blocchi di cemento 20x20x40 cm, disposti su due piani e completati da piedini regolabili in ferro che consentono la regolazione del livello di piano”;

- risultano presenti 4 ruote posizionate sotto i lati esterni delle strutture, 2 ruote per ogni lato;

- non risulta visibile alcun elemento “timone per il traino”, come descritto nella documentazione fornita dalla Proprietà.

Alla luce di tali rilievi, il verificatore, pure evidenziando che “le strutture oggetto di verificazione presentano allacciamenti alla rete idrica, elettrica e fognaria, e che tali allacciamenti sono facilmente rimovibili”, ha rilevato che:

- “le tre strutture se pur non ancorate a terra attraverso fondazioni permanenti, si poggiano infatti ognuna su 9 elementi costituiti da due pile di blocchetti in cemento e da piedini regolabili in ferro (foto 3, 8, 9), non possono essere spostate in modo agevole e rapido per la mancanza di un pianale rigido omologato, di elementi di rotazione funzionali e di timone direzionale”;

“sono presenti 2 ruote su gomma poste sui lati esterni delle strutture. Tali ruote sono imperniate su travetti in legno, fissati alle travi esterne longitudinali alla base delle strutture, con boccole in ferro fermate da coppiglie (foto 10, 11, 12, 13). Tali ruote, attraverso prova manuale di rotazione, risultano bloccate”;

- “non essendo, a mio giudizio, sufficiente il sistema di rotazione presente, a titolo semplificativo, ritengo che, per un eventuale spostamento delle strutture, si renderebbe necessario predisporre un telaio in ferro, formato da travi longitudinali e trasversali irrigidite (dimensionate valutando il peso delle strutture), da porre sotto il solaio inferiore. Provvedere a sollevare le strutture ancorate ai supporti di cui sopra mediante gru. Per lo spostamento su strada pubblica, viste le dimensioni delle strutture, le stesse dovranno essere posizionate su un adeguato mezzo di trasporto eccezionale (sono soggetti ad autorizzazione per trasporto eccezionale i convogli le cui dimensioni eccedono la lunghezza di 16,55 m, la larghezza 2,55 m e l’altezza 4,00 m)”.

Le conclusioni del verificatore sono supportate, altresì, da una copiosa documentazione fotografia attestante puntualmente i singoli rilievi all’uopo svolti.

4.6 Le conclusioni del verificatore, seppure contestate dall’appellante, non possono ritenersi del tutto smentite neppure dalle osservazioni critiche svolte dal consulente tecnico della ricorrente, depositate in data 9 novembre 2021.

Tali osservazioni, da un lato, non sono corredate da documentazione giustificativa, esaurendosi, dunque, in una mera deduzione tecnica priva di prova (tenuto conto che “la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio” - tra gli altri, Cass. civ. Sez. VI - 3, Ord., 26 maggio 2021, n. 14469); dall’altro, sebbene incentrate sull’asserita agevole rimozione degli attuali appoggi senza pregiudicare la mobilità dei manufatti (attesa la supposta presenza di ruote idonee a fungere anche da sostegno alle casette mobili), sulla ravvisata agevole recuperabilità della piena rotazione delle ruote esistenti e sulla ritenuta facile rimovibilità degli allacciamenti esistenti, evidenziano, comunque, la necessità di inserire un pianale rigido omologato, dotato di elementi di rotazione funzionali e di timone direzionale ai fini degli spostamenti, nonché presuppongono l’inidoneità attuale delle ruote ad una piena rotazione.

4.7 Alla luce di tali emergenze istruttorie, deve ritenersi che le strutture de quibus non possano essere ricondotte alla disciplina prevista dal combinato disposto degli artt. 3, comma 9, L. n. 99/09 e 55, comma 3, L.R. n. 15/2007, che si riferisce a strutture aventi un sistema di rotazione in funzione e prive di un collegamento stabile con il terreno.

Nella specie, invero, si è in presenza di manufatti, da un lato, stabilmente collegati al suolo mediante blocchi di cemento, non essendo impiegate le ruote come sostegno della struttura (il che risulta chiaramente dalla documentazione fotografica in atti, non essendo le ruote poggiate al suolo), dall’altro, prive di un sistema di rotazione funzionante, idoneo al loro spostamento.

Deve, dunque, escludersi la presenza di opere idonee ad una rapida movimentazione, occorrendo a tale fine provvedere alla predisposizione di un telaio in ferro, al sollevamento delle strutture mediante gru e allo spostamento su strada pubblica mediante mezzi di trasporto eccezionale; attività certamente possibili, ma che non risultano eseguibili prontamente e agevolmente, come richiederebbe un mezzo mobile, per propria natura non ancorato al suolo e suscettibile di immediata e facile movimentazione.

4.8 Non potrebbe giungersi a diversa conclusione argomentando sulla base:

- della presenza di un sistema ruotante, tenuto conto che, come osservato, tali ruote, da un lato, non poggiano al suolo, non realizzando un collegamento precario con l’area di installazione - la struttura è stabilmente ancorata su blocchi di cemento, tali da impedirne una pronta movimentazione -, dall’altro, sono inidonee a permettere lo spostamento delle strutture de quibus;

- dei dépliant allegati alla domanda di sanatoria, dovendosi verificare l’attuale consistenza delle strutture e la relativa destinazione, come emergente dal verbale di sopralluogo, dal processo verbale di accertamento, dalla relazione di verificazione e dalla documentazione fotografica acquisita in atti sopra richiamati;

- dell’art. 51, comma 6, L.R. n. 15/07 (ratione temporis applicabile alla specie), secondo cui “Nei campeggi è consentita la presenza di allestimenti minimi utilizzabili da clienti sprovvisti di mezzi propri di pernottamento, purché in misura non superiore al trenta per cento del numero complessivo delle piazzole autorizzate”, trattandosi di disposizione da applicare in combinato disposto con l’art. 55 della stessa legge, che esclude, come osservato, la necessità del titolo edilizio abilitativo per i soli allestimenti mobili di pernottamento con meccanismi di rotazione in funzione, non collegati permanentemente al terreno; pertanto, una volta rilevato che non si è in presenza di allestimenti mobili, tali disposizioni risultano inapplicabili nella specie;

- del finanziamento regionale dell’acquisto delle strutture de quibus, tenuto conto che la società erogatrice di tali agevolazioni economiche non risultava istituzionalmente competente a valutare la legittimità edilizia ed urbanistica delle opere per cui è causa; ragion per cui l’ammissione al relativo affidamento non poteva fare sorgere in capo all’odierna appellante alcun affidamento meritevole di tutela circa la non assoggettabilità dell’intervento al previo rilascio del titolo abilitativo edilizio;

- della condotta tenuta dalla società costruttrice delle opere in esame, parimenti non competente a valutarne la legittimità.

Sotto tale ultimo profilo, riguardante la sussistenza di un ipotetico legittimo affidamento prestato dall’appellante sulla legittimità delle opere in contestazione, si osserva, altresì, che, come precisato dalla giurisprudenza amministrativa, "il principio dell'affidamento trova la sua giustificazione nella circostanza che il privato possa confidare nella stabilità di un atto amministrativo, quando abbia ragione di ritenere che l'atto sia legittimo e comunque abbia prodotto i suoi effetti per lungo tempo, senza che sia intervenuto alcun "rilievo" da parte dell'amministrazione che lo ha emanato" (CGA, 23 maggio 2017, n. 243).

Affinché possa riscontrarsi una posizione di legittimo affidamento, occorre, dunque, che la parte privata sia beneficiata da un pregresso atto amministrativo, costitutivo di una situazione di vantaggio acquisita in buona fede, consolidatasi nel proprio patrimonio giuridico per via del decorso di un apprezzabile periodo temporale.

Posto che nella specie non risultava ascrivibile in capo alla ricorrente alcun titolo edilizio in relazione alle opere per cui è causa – non essendo conferente, come osservato la concessione di un contributo pubblico o la condotta della società costruttrice delle strutture in esame, inidonei ad esprimere una valutazione amministrativa, promanante dall’organo titolare del potere di vigilanza in materia edilizia ed urbanistica – non potrebbe ricontrarsi alcuna posizione di legittimo affidamento tutelabile nell’odierno giudizio.

Peraltro, in materia di repressione degli abusi edilizi, la giurisprudenza di questo Consiglio è ferma nell’escludere un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo trascorso dalla realizzazione dell'abuso non legittima affatto (ex multis, Consiglio di Stato Sez. VI, 19 marzo 2021, n. 2380).

4.9 Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello è infondato nella parte in cui invoca il combinato disposto degli artt. 3, comma 9, L. n. 99/09, dell’art. 55, comma 3, L.R. n. 15/2007, tenuto conto che – ferma la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 3, comma 9 cit. e, dunque, la sua inapplicabilità a regolazione della fattispecie concreta – nella specie non si fa questione di mezzi o allestimenti mobili di pernottamento, connotati dalla precarietà e dalla temporaneità dell’occupazione dei luoghi, bensì si discorre di strutture aventi prive di un sistema di rotazione in funzione e stabilmente collegate con il terreno.

5. L’appello è infondato, altresì, nella parte in cui è argomentato sulla base dell’art. 3, comma 1, lett. e.5, DPR n. 380 del 2001, come modificato dall’art. 41, comma 4, D.L. n. 69/13 conv. con L. n. 98/13.

5.1 Al riguardo, in primo luogo, si osserva che la modifica recata dall’art. 41, comma 4, D.L. n. 69/13 cit. non risulta, ratione temporis, applicabile al provvedimento dichiarativo dell’improcedibilità della richiesta di compatibilità paesaggistica, in quanto sopravvenuta alla sua adozione.

Con riguardo all’istanza di sanatoria, ai sensi dell’art. 36 DPR n. 380/01 la compatibilità delle opere deve essere vagliata tenendo conto della normativa urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell’abuso e della presentazione della domanda, in entrambi i casi anteriori alla riforma recata dall’art. 41 comma 4, D.L. n. 69/13 conv. con L. n. 98/13.

5.2 In ogni caso, si osserva che:

- l’art. 41, comma 4, D.L. n. 69/13 cit. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 2015, con conseguente sua inapplicabilità nel caso di specie, non facendosi questione, come supra osservato, di un rapporto esaurito, per propria natura sottratto all’effetto retroattivo delle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate;

- la disciplina di cui all’art. 3, comma 1, lett. e.5 DPR n. 380/01 risultava incentrata sul “temporaneo ancoraggio al suolo”, nella specie da escludere in ragione della presenza di un ancoraggio stabile, dato dall’appoggio su blocchi di cemento, in assenza di meccanismi di rotazione in funzione.

6. Non potrebbe neanche valorizzarsi l’evoluzione normativa registratasi in materia, attesa l’inapplicabilità ratione temporis di disposizioni sopravvenute alla data di adozione dei provvedimenti per cui è causa.

6.1 In ogni caso, al riguardo, è sufficiente evidenziare come questo Consiglio, statuendo sulle formulazioni successive dell’art. 3, comma 1, lett. e) DPR n. 380/01 ha evidenziato come “per effetto di quanto disposto dal citato art. 3 del T.U. dell’edilizia, l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper e, come nella specie, case mobili, possa ritenersi consentita in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, solo ove diretta a soddisfare esigenze meramente temporanee, non determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono; laddove, diversamente, l’installazione stabile di mezzi (teoricamente) mobili di pernottamento determina una trasformazione irreversibile o permanente del territorio, con la conseguenza che per tali manufatti, equiparabili alle nuove costruzioni, necessita il permesso di costruire” (Consiglio di Stato, sez. II, 3 novembre 2020, n. 6768).

Si conferma, dunque, l’impossibilità di ricondurre al regime dell’edilizia libera interventi di trasformazione permanente del territorio, realizzati mediante opere non precarie, da valutare “non con riferimento al tipo di materiali utilizzati per la sua realizzazione, ma avendo riguardo all'uso cui lo stesso è destinato: nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria dell'opera, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata” (Cons. Stato, Sez. VI, 15 gennaio 2018, n. 150).

6.2 Peraltro, anche l’attuale formulazione dell’art. 3, comma 1, lett. e.5, cit. richiede, al fine di escludere la configurazione di un intervento di nuova costruzione, che l’installazione abbia ad oggetto case mobili dirette a soddisfare esigenze meramente temporanee ovvero (al ricorrere degli ulteriori presupposti delineati dalla relativa disposizione) unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, tra l’altro, prive di collegamento di natura permanente al terreno.

In ordine all’impossibilità di configurare le strutture de quibus quale unità abitative con meccanismi di rotazione in funzione e prive di collegamento di natura permanente al terreno, si rinvia alle considerazioni sopra svolte nella disamina (altresì) della disciplina regionale.

Con riferimento all’impossibilità di qualificare le strutture in contestazione come case mobili tese alla realizzazione si esigenze meramente temporanee, si osserva che non possono essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 febbraio 2011, n. 986; Sez. V, 12 dicembre 2009, n. 7789).

Nella specie, sotto il profilo funzionale, le case in parola non sono destinate ad un uso per fini contingenti, bensì ad uno reiterato nel tempo; circostanza riscontrabile anche nell’uso stagionale.

Le opere aventi carattere stagionale, qualora siano orientate alla soddisfazione di interessi permanenti nel tempo, devono infatti essere equiparate alle “nuove costruzioni” necessitando di conseguenza di permesso di costruire: come precisato da questo Consiglio (cfr. Sez. VI, 3 giugno 2014, n. 2842), “i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario … non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale”.

Nella specie, si fa questione di strutture edificate mesi prima rispetto alla data dell’accertamento amministrativo (agosto 2010) e ancora oggi esistenti (come confermato dalla relazione di verificazione), destinate al pernottamento dei turisti, con conseguente emersione di una struttura ricettiva atipica assimilabile a quella di un villaggio turistico (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 1 aprile 2016, n. 1291).

Né potrebbe argomentarsi diversamente, ritenendo che le strutture non fossero adibite a destinazione abitativa, in quanto deputate ad ospitare temporaneamente i clienti del campeggio: difatti, non è la continuità della presenza delle stesse persone a caratterizzare la destinazione, bensì la potenziale fruibilità del manufatto, costante nel tempo, ancorché con la ciclicità dell’alternarsi delle stagioni che la rendano gradevole e/o apprezzabile (in termini Consiglio di Stato, sez. II, 3 novembre 2020, n. 6768).

Per l’effetto, posto che le opere in contestazione non risultano precarie, sia perché stabilmente ancorate al suolo, mediante la realizzazione di blocchi di cemento su cui poggia la struttura, sia perché destinate a trasformare permanentemente l’area di installazione, essendo deputate ad ospitare gli ospiti del campeggio alla stregua di struttura ricettiva, in ogni caso, non avrebbe potuto invocarsi l’applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. e.5), volto ad escludere dalla categoria degli interventi di nuova costruzione l’installazione di manufatti leggeri diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee.

7. Alla stregua delle osservazioni svolte, facendosi questione nella specie di opere comportanti una trasformazione permanente dello stato dei luoghi, correttamente il Parco Lombardo ha ritenuto che si fosse in presenza di interventi di nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e.5, DPR n. 380/01.

Atteso che tali interventi si sono tradotti nella realizzazione di nuovi volumi oltre che di nuovi superfici utili, per effetto dell’edificazione di case destinate ad ospitare i clienti della struttura ricettiva, risultava precluso un accertamento postumo della compatibilità paesaggistica.

L’art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), recante la disciplina delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle prescrizioni poste a tutela dei beni paesaggistici, contiene infatti (nella sua attuale formulazione) la regola della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali. Il trasgressore, infatti, è “sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese”, “fatto salvo quanto previsto al comma 4”.

L’intenzione legislativa è chiara nel senso di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento.

Il rigore del precetto è ridimensionato soltanto da poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull’assetto del bene vincolato. Segnatamente, sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica: gli interventi realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (art. 167, comma 4).

L’accertamento di compatibilità, peraltro, è subordinato al positivo riscontro della Soprintendenza e al pagamento di una somma equivalente al minore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.

Secondo l’orientamento più volte espresso dalla Sezione (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. VI, 19 novembre 2021, n. 7733), il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno.

Per l’effetto, facendosi questione nella specie di nuovi volumi oltre che di nuovi superfici utili, non poteva accertarsi in via postuma la loro compatibilità paesaggistica e, per l’effetto, non poteva procedersi alla loro sanatoria.

8. Tali considerazioni rendono inutile la disamina dell’ultima censura, riferita alla violazione del regolamento Abaco del Parco del Ticino, il cui accoglimento non potrebbe comunque condurre all’annullamento del provvedimento n. 8429/12 del Parco Lombardo della Valle del Ticino impugnato in primo grado.

Il provvedimento dichiarativo dell’improcedibilità dell’accertamento paesaggistico risultava infatti plurimotivato, in quanto incentrato su plurime e autonome rationes deidendi, riferite sia all’impossibilità di accertare in via postuma la compatibilità paesaggistica di opere comportanti la realizzazione di nuovi volumi e di nuove superfici utili, sia alla violazione del Regolamento Abaco del Parco del Ticino (oltre che dell’art. 6.11 D.C.R. VII/919 del 26.11.2003).

In siffatte ipotesi, è sufficiente riscontrare la legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa, per condurre al rigetto dell’intero ricorso, tenuto conto che, anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, questo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un’autonoma ragione giustificatrice confermata in sede giurisdizionale.

Questo Consiglio, in particolare, ha precisato che “in presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale; in sostanza, in caso di atto amministrativo, fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le una dalla altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017, n. 2910; sez. V, 12 settembre 2017, n. 4297; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045)” (Cons. Stato, IV, 30 marzo 2018, n. 2019)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2019, n. 6190).

Pertanto, una volta riscontrata la legittimità della qualificazione delle opere de quibus come intervento di nuova costruzione comportante la realizzazione di nuovi volumi e superfici utili, come tale non assoggettabile ad accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, e, per l’effetto, una volta ritenuta legittima un’autonoma ratio decidendi del provvedimento impugnato in prime cure, è possibile prescindere dalla disamina delle censure riferite all’ulteriore ratio decidendi, relativa alla violazione del regolamento Abaco del Parco del Ticino, la cui ipotetica fondatezza non potrebbe comunque arrecare alcuna utilità concreta in capo al ricorrente, essendo inidonea a determinare l’annullamento del provvedimento impugnato in prime cure, comunque da confermare nel suo contenuto dispositivo perché sorretto da un’autonoma ragione giustificatrice immune dai vizi censurati in giudizio.

9. In conclusione, l’appello deve essere rigettato.

Il provvedimento dichiarativo di improcedibilità dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica risulta fondato su un’autonoma ratio decidendi, immune dalle censure impugnatorie svolte dalla ricorrente, relativa alla realizzazione, in zona paesaggisticamente vincolata, di nuovi manufatti comportanti nuovi volumi e superfici utili, come tali sottratti all’applicazione dell’art. 167, comma 4, e dell’art. 181, comma 1-ter D. Lgs. n. 42/04.

Per l’effetto, deve ritenersi immune dalle censure attoree anche il diniego di sanatoria impugnato in prime cure, avente come proprio presupposto la dichiarazione di improcedibilità dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica.

L'autorizzazione paesaggistica (rilasciata anche in sanatoria) costituisce, infatti, atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio (Consiglio di Stato Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1935); ragion per cui, una volta acclarata la legittimità della dichiarazione di improcedibilità dell’istanza ex art. 167 D. Lgs. n. 42/04, non potendo ottenersi l’accertamento di compatibilità paesaggistica, era preclusa anche la possibilità di ottenere la sanatoria sul piano edilizio delle opere abusive così realizzate.

In definitiva, facendosi questione di opere integranti un intervento di nuova costruzione in zona paesaggisticamente vincolata, nella specie risultavano preclusi tanto l’accertamento di compatibilità paesaggistica quanto – di conseguenza – l’accertamento di conformità.

10. Le spese di giudizio sono regolate in applicazione della regola della soccombenza, dovendo essere poste a carico dell’appellante e in favore del Comune appellato nella misura liquidata in dispositivo.

Non vi è, invece, luogo a statuire sulle spese di giudizio nei rapporti tra l’appellante e il Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino, in ragione della mancata costituzione di tale ultima parte processuale.

11. A carico della parte appellante devono essere poste, altresì, le spese di verificazione, il cui regime è correlato al riparto delle spese processuali (in termini, Consiglio di Stato, sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 5632).

Il verificatore ha domandato il riconoscimento di € 2.070,00.

Al riguardo, tenuto conto delle previsioni e dei criteri di cui agli artt. 50, 51 e 52 D.P.R. 30/05/2002 n. 115 e al D.M. 30 maggio 2002, costituente parametro assumibile nel presente caso a fondamento della liquidazione, il Collegio ritiene che la particolarità delle questioni oggetto di verificazione e la completezza della prestazione eseguita possano consentire la liquidazione del compenso spettante al verificatore nella misura richiesta (€ 2.070,00).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna la società Playa di Valverde s.r.l. a pagare, in favore del Comune di Robecchetto con Induno, le spese di giudizio del grado di appello, liquidate nella misura complessiva di € 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge ove dovuti.

Condanna la società Playa di Valverde s.r.l. a pagare, in favore del verificatore nominato, arch. Tiziano Gandola, le spese di verificazione, liquidate nella misura di complessivi € 2.070,00 (duemilasettanta/00).

Nulla statuisce sulle spese di giudizio nei rapporti tra la società Playa di Valverde s.r.l. e il Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Andrea Pannone, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Francesco De Luca        Sergio De Felice
         
         
         
         
         
IL SEGRETARIO

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