Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4708 del 29 maggio 2025, ha rigettato integralmente gli appelli proposti da Rai, Rai Pubblicità e dal Comune di Sanremo, confermando quanto già statuito dal Tar Liguria: l’organizzazione del Festival di Sanremo non può essere affidata direttamente alla Rai senza il ricorso a una gara pubblica.
Il caso trae origine dal ricorso presentato da una società operante nel settore della produzione musicale, che aveva contestato la decisione del Comune di affidare senza evidenza pubblica alla Rai le edizioni 2024 e 2025 del Festival. I giudici amministrativi liguri avevano già accolto le doglianze, rilevando la violazione dei principi di trasparenza, concorrenza e imparzialità sanciti dal Codice dei contratti pubblici, e disponendo la necessità di indire una procedura a evidenza pubblica per le successive edizioni della kermesse.
Nel giudizio d’appello, il Consiglio di Stato ha ribadito la legittimità dell’intervento del giudice di primo grado, affermando che il Festival di Sanremo non rientra tra i servizi esclusi dall’obbligo di gara pubblica. Ne consegue che anche lo sfruttamento commerciale dei marchi connessi alla manifestazione deve essere assegnato tramite procedure competitive.
La sentenza affronta anche il ruolo delle Autorità di garanzia. In particolare, viene confermata la competenza dell’AGCOM a sanzionare la Rai per pratiche commerciali audiovisive non trasparenti, escludendo l’esistenza di un conflitto con le attribuzioni dell’AGCM. La Corte ha rilevato che le violazioni contestate (promozione occulta di Instagram durante il Festival) rientrano nell’ambito della disciplina settoriale sui media audiovisivi e non in quella più generale sulle pratiche commerciali scorrette.
La sentenza interviene infine su numerosi altri profili sollevati dalle parti, rigettando tutte le censure, tra cui:
l’inammissibilità dell’intervento delle associazioni dei consumatori;
la supposta illegittimità del procedimento sanzionatorio dell’AGCOM;
l’asserita genericità della contestazione per la promozione occulta di Instagram;
l’assenza di dolo nella condotta della Rai.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che, anche in assenza di un formale accordo con Instagram, la strategia editoriale della Rai, basata su un reiterato richiamo al noto social network, abbia generato un effetto promozionale evidente, tanto da configurare una comunicazione commerciale audiovisiva occulta, vietata dalla normativa di settore.
Unica eccezione accolta riguarda la sanzione relativa alla trasmissione delle cosiddette “Cartoline della Regione Liguria”, in quanto prive di finalità pubblicitarie in senso stretto e dunque esenti dall’obbligo di riconoscibilità previsto per il product placement.
Ad aprile, in applicazione della sentenza del TAR, il Comune di Sanremo aveva pubblicato un bando di manifestazione d’interesse, cioè un avviso pubblico con cui aveva invitato tutti gli operatori potenzialmente interessati a presentare un’offerta per organizzare il Festival nel prossimo triennio, dal 2026 al 2028, con un’eventuale proroga per le due edizioni successive.
Il bando imponeva ai partecipanti di rispettare alcune condizioni, tra cui l’obbligo di riconoscere al Comune un corrispettivo non inferiore a 6 milioni e 500 mila euro per ogni edizione e una percentuale non inferiore all’1 per cento sui ricavi pubblicitari. Il termine per presentare le candidature è scaduto lo scorso 19 maggio: l’unica offerta presentata è stata quella della Rai, che nei prossimi mesi tratterà con il Comune per definire i dettagli dell’accordo.
Almeno per ora, dunque, nonostante l'obbligo di gara, è probabile che il Festival resti in mano alla Rai.
Pubblicato il 29/05/2025
N. 04708/2025REG.PROV.COLL.
N. 02952/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2952 del 2024, proposto da
Rai - Radiotelevisione Italiana S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ottavio Grandinetti e Daniele Majori, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorità per Le Garanzie Nelle Comunicazioni Roma (AGCOM), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
Codacons - Coordinamento di Associazioni per la Tutela dell'Ambiente e dei Diritti di Utenti e Consumatori, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gino Giuliano e Carlo Rienzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta) n. -OMISSIS-/2024.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2025 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Ottavio Grandinetti, l'avv. dello Stato Emanuele Manzo e Mariacristina Tabano, in sostituzione dell'avv. Carlo Rienzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – Nell’ambito dell’attività di vigilanza svolta dall’AGCOM mediante il monitoraggio della programmazione televisiva è stata inoltrata alla Rai - Radiotelevisione Italiana S.p.A., in data 24.2.2023, un’apposita richiesta di documenti e di informazioni (su “accordi di committenza intercorsi tra la società Meta Platform Inc. titolare del social network Instagram…e codesta concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, anche tramite la propria concessionaria di pubblicità Rai Pubblicità S.p.a.”; su “accordi contrattuali di qualsiasi natura tra la Rai Radiotelevisione Italiana S.p.A. e la sig.ra -OMISSIS- e il sig. -OMISSIS-, in arte “-OMISSIS-”, che contemplino la partecipazione di questi ultimi” al 73o Festival di Sanremo).
1.1 – All’esito dell’indagine l’Autorità ha contestato la violazione delle disposizioni normative di cui agli artt. 43, comma 1, lett. a), d.lgs. 208/21, 48, comma 3, lett. d), d.lgs. 208/21 e 13, comma 3, d.m. 581/93 da parte della RAI, dal giorno 7 al giorno 11 febbraio 2023, nel corso della messa in onda dei programmi televisivi denominati “73o Festival della Canzone Italiana di Sanremo” e “Sanremo Start”.
1.2 - In particolare, è stato contestato che: - a) nel corso del 73o Festival “i telespettatori non sono stati chiaramente informati dell’inserimento di prodotti tramite l’apposita identificazione alla ripresa del programma televisivo stesso dopo l’interruzione pubblicitaria, ai sensi dell’art. 48, comma 3, lett. d) d.lgs. 208/2021”, e ciò in 10 episodi specificamente indicati; - b) nel corso della trasmissione della puntata dei giorni 7, 8 e 9 febbraio 2023 del 73o Festival e del programma “Sanremo Start”, “le reiterate, insistite citazioni verbali e apparizioni visive del servizio e dello specifico profilo Instagram associato a un personaggio reale, conduttore del programma televisivo, hanno integrato la messa in onda di una vera e propria comunicazione commerciale audiovisiva occulta a favore del predetto social network”.
2 - L’Autorità ha ritenuto inidonee le giustificazioni della società e con la delibera n. 125/23/CSP (“ordinanza ingiunzione nei confronti di RAI Radiotelevisione Italiana S.p.A. per la violazione delle disposizioni normative contenute negli artt. 43, comma 1, lett. a), d.lgs. 208/21, 48, comma 3, lett. d) del d.lgs. n. 208/21 e 13, comma 3, D.M. 581/93”) all’appellante è stata comminata la sanzione pecuniaria di €175.143: €51.645 per la condotta sub a) e €123.498 per la condotta sub b).
3 - La RAI ha impugnato avanti il Tar per il Lazio tale delibera, nonché tutti gli altri atti e provvedimenti comunque connessi, presupposti e consequenziali.
3.1 – Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tar adito ha accolto in parte il ricorso in riferimento all’irrogazione della sanzione di €51.645, relativamente alla condotta sub. a). Per il resto, ha confermato il provvedimento impugnato.
4 – L’originaria ricorrente ha proposto appello avverso tale pronuncia per i motivi di seguito indicati.
Si sono costituiti in giudizio il Codacons, già intervenuto in primo grado, e l’Autorità, che ha proposto appello incidentale avverso il capo della sentenza che ha accolto il ricorso di primo grado.
5 – Con il primo motivo di appello la Rai censura la pronuncia laddove ha respinto il primo motivo di ricorso con il quale aveva eccepito l’incompetenza dell’AGCOM, atteso che, con la delibera impugnata, l’Autorità avrebbe inteso sanzionare l’asserita violazione di disposizioni relative a condotte rientranti a pieno titolo nell’ambito delle c.d. pratiche commerciali scorrette, la cui repressione è di competenza dell’Autorità Antitrust (AGCM).
L’appellante sostiene che la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi riguardo all’incompetenza dell’AGCOM, rilevando che gli artt. 19, co. 3, e 27, commi 1-bis, del Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005) vanno interpretati nel senso che le norme di settore - e la connessa competenza delle autorità di settore - si applicano solo qualora contengano profili di disciplina incompatibili con le norme generali in materia di pratiche commerciali, con la conseguenza che la normativa di settore disciplinerà condotte che presentano aspetti di divergenza radicale con la disciplina consumeristica.
Per l’appellante, nel caso di specie, gli artt. 43, co. 1, lett. a), 48, co. 3, lett. d), del TUSMA (d.lgs. n. 208/2021) e l’art. 13, co. 3, d.m. 581/93 asseritamente violati – lungi dal contenere una disciplina incompatibile con quella contenuta negli artt. 22 e 23 del Codice del consumo – detterebbero una normativa del tutto in linea con quella contenuta in quest’ultimo Codice.
Il Giudice di primo grado ha respinto il motivo richiamando il criterio della specialità per settori, ma, sul punto, l’appellante replica che il principio di specialità “per settori” (effettivamente, a suo tempo, affermato da Ad. Plen. nn. 11-13 e 15-16 del 2012) sarebbe stato superato dapprima in favore del criterio del c.d. assorbimento/consunzione (Ad. Plen. n. 3/2016) e, da ultimo, in favore del criterio del c.d. contrasto tra discipline (Cons. Stato, n. 7296/2019 e n. 6596/2021), con conseguente competenza esclusiva dell’AGCM.
6 – La censura è infondata.
Il percorso giurisprudenziale relativo al riparto di competenze tra l’AGCM e le Autorità di settore che ha caratterizzato l’ultimo decennio è già stato ben descritto dalla Sezione nella sentenza n. 10470/24.
In concreto, nel caso di specie, vengono in rilievo disposizioni di legge che disciplinano le specifiche modalità di presentazione di comunicazioni commerciali nell’ambito di un servizio di media audiovisivo sulle quali, in base alla legge, è chiamata a vigilare l’Autorità appellata e non AGCM.
Tale normativa impone ai fornitori dei servizi di media audiovisivi specifici obblighi di condotta, fra i quali figurano in particolare: l’obbligo di rendere “prontamente riconoscibili” le comunicazioni commerciali [art. 48, comma 3, lett. d), del d.lgs. n. 208/2021 “TUSMA”], che nel caso delle telepromozioni devono essere distinte dal resto del programma mediante la scritta “messaggio promozionale” per tutta la loro durata (art. 13, comma 3, del D.M. 9 dicembre 1993, n. 581, recante Regolamento in materia di sponsorizzazioni di programmi radiotelevisivi e offerte al pubblico); il divieto di realizzare “comunicazioni commerciali audiovisive occulte” [art. 43, comma 1, lett. a), del TUSMA]; e l’obbligo di informare “i telespettatori…dell’inserimento di prodotti tramite apposita identificazione all’inizio e alla fine della trasmissione e quando il programma riprende dopo un’interruzione pubblicitaria, per evitare ogni possibile confusione da parte del telespettatore” [art. 48, comma 3, lett. d), del TUSMA].
L’intervento dell’Autorità appellata è pacificamente avvenuto entro il perimetro disegnato dalle disposizioni citate, sicché non si riscontra alcuna “invasione di campo” dell’AGCOM nell’ambito della competenza dell’AGCM in ordine all’applicazione del Codice del consumo, come reso evidente dal fatto che si contesta una violazione che non ha alcuna attinenza con una condotta commerciale scorretta atta a sviare il consumatore in riferimento ad un rapporto commerciale; invero, i contenuti del programma si pongono in contrasto con le specifiche disposizioni che regolano le comunicazioni audiovisive e che vogliono la trasparenza e la riconoscibilità del messaggio pubblicitario, a prescindere da una loro portata offensiva sulla platea dei consumatori, aspetto questo che, difatti, esula dall’ambito dell’accertamento che l’Autorità di vigilanza sulle comunicazioni è chiamata ad effettuare.
A conferma di quanto esposto si evidenzia che la sanzione è stata elevata (solo) nei confronti dell’emittente televisiva, in quanto unico soggetto – operatore nei media - tenuto ad ottemperare alle specifiche disposizioni innanzi citate, e non al professionista che in ipotesi avrebbe tratto vantaggio dalla pubblicità in pregiudizio dei consumatori.
Non appaiono idonei ad inficiare le considerazioni che precedono i passaggi della delibera impugnata nei quali si fa riferimento al pregiudizio arrecato ai telespettatori dalle condotte poste in essere dalla Rai, che attengono invero alla considerazione degli effetti delle violazioni accertate ai soli fini della valutazione della “gravità della violazione” (cfr. p. 19 del provvedimento impugnato).
Ad escludere ogni profilo di sovrapposizione si osserva inoltre che l’art. 23, lett. m), del Codice del consumo espressamente fa “salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e successive modificazioni” (ovvero il previgente TUSMAR, oggi abrogato e sostituito dal TUSMA).
Ne deriva che non risultano violati i principi in tema di riparto di competenza affermati dalla giurisprudenza (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. II, 13 settembre 2018, nelle cause riunite C-54/17 e C-55/17, Cons. St. n. 7699 dell’11 novembre 2019), per cui “la regola generale è che, in presenza di una pratica commerciale scorretta, la competenza è dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La competenza delle altre Autorità di settore è residuale e ricorre soltanto quando la disciplina di settore regoli “aspetti specifici” delle pratiche che rendono le due discipline incompatibili.” Invero, deve rimarcarsi come non venga in considerazioni una pratica commerciale scorretta di un professionista ai sensi del codice del consumo, bensì la violazione di uno specifico obbligo dell’operatore televisivo posto dalla legge di settore, indipendentemente dalla portata offensiva per la platea dei consumatori della condotta posta in essere.
Va poi aggiunto che, anche volendosi ammettere un’astratta complementarietà tra gli ambiti di intervento delle due Autorità, in concreto, AGCM, parimenti notiziata delle condotte che hanno portato alla delibera impugnata, non ha ritenuto di intervenire, non essendosi quindi ingenerata alcuna sovrapposizione e/o conflitto tra le due Autorità (cfr. Cons. St. 10154/23: “Quando l’Autorità avente competenza generale ha già valutato di non essere competente ed esiste una norma speciale il problema del concorso di norme in concreto non si pone e non può quindi essere sollevato dalla parte privata”).
Come detto, la soluzione che precede appare conforme all’evoluzione della giurisprudenza nazionale ed europea in ordine al riparto di competenze tra le Autorità.
7 – Con il secondo motivo l’appellante censura la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha respinto il secondo motivo del ricorso principale e l’ottavo motivo del ricorso per motivi aggiunti con i quali aveva eccepito: a) la violazione dell’Allegato A della delibera AGCOM n. 410/14/CSP (“Regolamento sanzioni”), che disciplina il procedimento che ha condotto all’adozione della Delibera sanzionatoria per cui è causa; b) la violazione della delibera AGCOM n. 223/12/CONS, recante “Adozione del nuovo Regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’Autorità” (“ROF”).
Riguardo al Regolamento sanzioni, l’appellante richiama le disposizioni contenute negli artt. 3, 4 e 10 e sostiene che da queste emerga come l’organo collegiale competente possa e debba intervenire solo dopo che il Direttore della Direzione servizi media (DSM) abbia autonomamente proceduto: i) all’effettuazione della preistruttoria; ii) all’accertamento di una condotta rilevante ai fini della configurazione di un illecito; iii) alla contestazione dell’illecito; iv) all’effettuazione dell’istruttoria in contraddittorio con il privato; v) alla stesura di una proposta all’organo collegiale nel senso dell’archiviazione o della sanzione.
Nel caso di specie, invece, sarebbe emerso che non soltanto il Direttore della DSM avrebbe più volte portato in Consiglio relazioni e aggiornamenti, e ciò perlomeno nelle riunioni del 22.2.2023, del 16.3.2023 e del 3.5.2023, ma che nella riunione del 16.3.2023, in piena fase preistruttoria, sarebbe stata addirittura messa ai voti dei membri del Consiglio la decisione in merito alla notifica dell’atto di contestazione e alla conseguente apertura dell’istruttoria (decisione che avrebbe dovuto essere presa in piena autonomia dal Direttore della DSM).
L’appellante cita un ulteriore episodio intervenuto nella riunione del 22.02.2023, che dimostrerebbe un’interferenza del Consiglio nelle attribuzioni riservate alla DSM, in quanto il Consiglio avrebbe indotto la DSM a mutare la propria pozione in merito all’assoluta illegittimità della citazione di Instagram.
Riguardo al ROF, l’appellante sostiene che le disposizioni di tale regolamento non possano in alcun modo essere richiamate per sanare le violazioni del Regolamento sanzioni, contrariamente a quanto sostenuto da controparte e dal Tar che citano, in particolare, l’art. 12-bis, comma 1, ROF.
Contestando quanto argomentato dal Tar, la Rai deduce che, con il Regolamento sanzioni, l’Autorità si è autovincolata a far svolgere le attività istruttorie agli Uffici competenti (nella specie la DSM), anche all’evidente fine di assicurare la separazione tra funzioni inquirenti (attribuite agli Uffici) e giudicanti (attribuite agli organi collegiali), a garanzia dell’imparzialità ed indipendenza della stessa Autorità e, in definitiva, a tutela del privato sottoposto a procedimento sanzionatorio.
8 – La censura è infondata.
Va subito evidenziato che la censura non attiene ad un vizio di incompetenza in senso proprio; inoltre, il provvedimento impugnato è stato correttamente adottato dalla struttura competente ai sensi dell’art. 1, comma 6, lett. b), della legge n. 249/1997 e dell’art. 40 del ROF.
Quanto al primo aspetto, deve rilevarsi che la separazione tra funzione “istruttoria” e “decisoria”, sulla quale fa leva la censura, riveste nella stessa prospettazione di parte appellante un carattere essenzialmente interno e funzionale, posto che il soggetto decidente sulla sanzione, da un punto di vista formale, non è diverso da quello che svolge l’istruttoria, trattandosi di articolazioni dello stesso ente.
Tenuto conto della precisazione che precede, si osserva come l’appellante non spieghi in che termini le violazioni contestate (e cioè le supposte illegittime ingerenze del Collegio) si possano riflettere sulla legittimità dell’atto impugnato, né in quale misura queste abbiano inciso sul suo diritto di difesa.
8.1 - Sul piano generale, va dato atto della crescente tendenza ad anticipare, con riferimento ai procedimenti sanzionatori di competenza delle autorità amministrative indipendenti, molte garanzie tradizionalmente proprie del processo e dell’esercizio della giurisdizione, entro le quali può ricomprendersi anche il principio di separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie sin dalla fase procedimentale. Tuttavia, tale principio non pare affatto rivestire una valenza assoluta neppure nel caso in cui si sia al cospetto di sanzioni aventi una natura sostanzialmente penale.
Al riguardo, la giurisprudenza ha ritenuto compatibile con l’art. 6, par. 1, della Convenzione EDU che sanzioni “penali” siano imposte in prima istanza da un organo amministrativo – anche a conclusione di una procedura priva di carattere giudiziale e, quindi, senza una adeguata garanzia di separazione tra fase istruttoria e decisoria – purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinnanzi ad un giudice munito di poteri di “piena giurisdizione” (cfr. Cons. St. 1596/2015, nonché Cons. St. 2081/2021: “Deve, pertanto, ritenersi compatibile con l’art. 6, par. 1, della Convenzione che sanzioni “penali” siano imposte in prima istanza da un organo amministrativo – anche a conclusione di una procedura priva di carattere quasi giudiziale o quasi-judicial, vale a dire che non offra garanzie procedurali piene di effettività del contraddittorio – purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinnanzi ad un giudice munito di poteri di “piena giurisdizione” e, quindi, le garanzie previste dalla disposizione in questione possano attuarsi compiutamente quanto meno in sede giurisdizionale”; vedasi anche Corte Europea dei diritti dell’uomo, sez. I, sentenza 10 dicembre 2020 – Edizioni del Roma s.c.r.l. e Edizioni del Roma s.r.l. c/ Italia).
Inoltre, deve rimarcarsi come, nello specifico caso in esame, l’appellante abbia incentrato la propria censura su rilievi di ordine sistematico teorico, rendendo di fatto del tutto evanescente la supposta lesione del diritto di difesa.
8.2 – A prescindere dalle considerazioni che precedono, in riferimento alla fattispecie in esame, deve osservarsi che nello svolgersi procedimentale è rimasta garantita la separazione tra la funzione di indirizzo del Consiglio e le funzioni dispositive della Commissione, così come è stata osservata la disciplina sulla rituale contestazione operata in data 22.3.2023 da parte del Direttore servizi media.
Invero, non appare sussistente la dedotta violazione delle procedure interne; né un’illegittima ingerenza del Collegio rispetto all’attività dell’Ufficio deputato all’istruttoria, essendo i relativi interventi conformi alla disciplina organizzativa dell’ente.
Al riguardo, il Tar ha già esaustivamente illustrato le ragioni per le quali, nel caso in esame, risulta sostanzialmente rispettato il principio di separazione tra la funzione di indirizzo del Consiglio e le funzioni dispositive della Commissione, richiamando i relativi atti rilevanti.
I rilievi e le osservazioni in concreto formulati dal Consiglio e contestati dall’appellante appaiono suscettibili di rientrare nei poteri di indirizzo e controllo dell’attività amministrativa spettanti al Consiglio dell’Autorità in base al ROF, che costituisce la cornice generale (prevista dall’art. 1, comma 9, della legge istitutiva dell’AGCOM n. 249/1997) entro la quale l’Autorità adotta le proprie delibere, ivi comprese quelle che disciplinano le proprie procedure, come nel caso del Regolamento sanzioni.
Nello specifico, viene in considerazione l’art. 12-bis, comma 1, del ROF, in base al quale “Salva la competenza degli Organi collegiali ad adottare gli atti previsti dalla legge e dai regolamenti, spettano ai predetti Organi l’indirizzo e il controllo dell’attività amministrativa”. Peraltro, i poteri di indirizzo dell’Organo collegiale possono spingersi, per espressa previsione del ROF, fino alla designazione di uno o più Commissari con il compito di seguire l’istruttoria degli Uffici (cfr. l’art. 30 del ROF, ai sensi del quale “È in facoltà del Consiglio, quando la natura del procedimento lo richieda, designare uno o più Commissari con il compito di seguire l’istruttoria per riferirne al Consiglio”).
Per tali ragioni la doglianza non può trovare accoglimento.
9 – Con il terzo motivo l’appellante censura il rigetto del quarto motivo del ricorso principale e del decimo motivo del ricorso per motivi aggiunti, nonché l’omessa pronuncia su alcuni profili dei predetti motivi che ripropone in questa sede.
In relazione alla condotta B (asserita promozione a favore di Instagram), con il quarto motivo, la Rai aveva eccepito che l’atto di contestazione e la delibera sanzionatoria fossero affetti da genericità e, in via subordinata, che le condotte contestate dovessero ritenersi cristallizzate nelle seguenti frasi trascritte nella delibera sanzionatoria “signori e signore, grandi e piccini […] fateci vedere il vostro amore, commenti like seguitelo […] e adesso che fanno mi scrivono, ti seguono follower”; “vi aspetto tutti […]” e “stiamo facendo una diretta Instagram! Ah! la diretta Instagram […]”, senza poter allargare il contraddittorio ad episodi eventualmente diversi da quelli indicati nei due predetti atti.
L’appellante si lamenta del fatto che il Tar non solo non si sarebbe pronunciato sulla delimitazione degli episodi contestati alle sole frasi trascritte nell’atto e nella delibera, ma nella motivazione avrebbe fatto riferimento ad episodi diversi da quelli oggetto della contestazione (cfr. pp. 27 e 28 sentenza primo grado), violando il principio di necessaria corrispondenza fra contestazione e sanzione.
L’appellante sostiene che il Giudice di prime cure avrebbe travisato le caratteristiche normative dell’illecito di “comunicazione audiovisiva commerciale occulta” nella parte in cui ha disposto che tale illecito possa prescindere dall’intenzione, da parte dell’emittente, di perseguire la promozione di un’impresa terza, essendo sufficiente che oggettivamente si produca un “effetto” promozionale per questa determinata impresa o, almeno, che esso si produca anche solo per una mera condotta colposa dell’emittente, come sarebbe avvenuto nel caso di specie a seguito di un’asserita “sottovalutazione da parte della società RAI” dell’effetto promozionale che sarebbe derivato in favore di Instagram dalle “gag” inserite nel Festival, e che questo si verifichi anche quando a giovarsi dell’effetto promozionale sia la stessa emittente televisiva, direttamente (nel caso di specie, la Rai che aumenta la propria audience) o anche indirettamente (la concessionaria Rai Pubblicità che, grazie all’aumento dell’audience, fattura maggiori ricavi).
Sul punto, l’appellante sostiene che l’illecito esaminato sarebbe un illecito di dolo intenzionale visto che la norma che lo disciplina richiede che l’emittente abbia di mira proprio la realizzazione della condotta illecita (per perseguire scopi pubblicitari e possa ingannare il pubblico circa la sua natura). Pertanto, la sanzione poteva essere applicata alla Rai solo qualora si fosse dimostrata l’intenzione (dolo) di produrre un effetto promozionale a favore di Instagram.
In secondo luogo, il Tar sostiene che una “comunicazione audiovisiva commerciale occulta” persegue scopi promozionali anche quando ad avvantaggiarsene sia la stessa emittente televisiva.
L’appellante sostiene che il Tar avrebbe omesso di considerare che nella norma [art.1, comma 1, lett. j), direttiva UE 2010/13] la finalità di “autopromozione” è contemplata soltanto con riferimento alla “pubblicità televisiva”, ma un tale riferimento all’autopromozione non sarebbe contenuto nelle definizioni normative di “product placement” (cioè, della particolare forma di comunicazione audiovisiva commerciale in cui il Tar include la citazione di Instagram) ovvero di “telepromozione” (cioè, della differente forma di comunicazione audiovisiva commerciale in cui l’AGCom include la citazione di Instagram).
Per l’appellante, la sentenza sarebbe erronea anche in relazione all’onere probatorio e all’intensità della prova.
L’oggetto della prova era l’esistenza del “rapporto di committenza” tra emittente televisiva e impresa promozionata in modo occulto. Nel caso di specie, nonostante il Tar abbia provato l’inesistenza di un rapporto di committenza, ha configurato comunque un’ipotesi di illecito colposo e oggettivo.
L’appellante, inoltre, precisa che sarebbe del tutto errata l’affermazione secondo cui l’incremento dei telespettatori sarebbe stato realizzato dalla Rai mediante il “ragionato e preventivo reclutamento … di testimonial provenienti dal mondo delle piattaforme social”; al contrario, l’aumento di audience sarebbe il frutto della riuscita dell’opera audiovisiva nel suo complesso, dovuta ai suoi autori/curatori e il vantaggio cui allude erroneamente il Tar non sarebbe quell’utilitas che sarebbe potuta derivare da un accordo tra Rai e Instagram, ma è il vantaggio ottenuto dalla Rai quale effetto della propria capacità di costruire una narrazione editoriale attraente e accattivante, nella sua autonomia di creatrice di contenuti.
L’appellante sostiene che la Rai, al pari di qualsiasi emittente televisiva, ha necessità di incrementare i telespettatori dei suoi programmi sia creando liberamente i programmi audiovisivi, sia rivolgendosi a personaggi famosi (che hanno già un proprio seguito tra il pubblico).
In base al vigente contratto di servizio è affidata alla Rai (quale concessionaria “del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale” cfr. art. 59 del TUSMA) la missione di proporre nuovi formati e linguaggi, testuali e visivi, in grado di coinvolgere anche i più giovani e includere quanto maggior pubblico diverso possibile (cfr. art. 3, comma 3, lett. b). Su tali basi l’appellante sostiene che non è dato comprendere come si sia potuto affermare che la comparsa sulla scena di Instagram non sarebbe da ricollegare ad “una scelta artistica dell’autore dello spettacolo”, ma al “frutto di un’intesa pubblicitaria” tra Rai e Instagram.
Per l’appellante è insostenibile affermare che manchi una specifica connessione fra i riferimenti a Instagram e al profilo del conduttore e il contesto narrativo del programma televisivo; in secondo luogo, il giudizio di superfluità dal punto di vista artistico e narrativo delle gag su Instagram, oltre ad esorbitare dai limiti di sindacato dell’AGCOM, sarebbe del tutto arbitrario, atteso che l’unica motivazione fornita al riguardo è che “il contesto spettacolare si sarebbe potuto svolgere anche in assenza dell’ostentata esibizione di Instagram”.
Si sostiene altresì che, posto che tra la Rai e Instagram non intercorrevano accordi di natura pubblicitaria, non si comprende come la Rai – che è assoggettata a regole di contabilità ancor più rigorose di quelle già ferree applicabili a qualsiasi società per azioni – avrebbe potuto incassare i compensi asseritamente pattuiti per la presunta promozione occulta di Instagram ed inoltre perché avrebbe dovuto ricorrere a questa illegittima forma di comunicazione commerciale audiovisiva invece che ad una normale e trasparente telepromozione o product placement.
Nessun marchio o logo di Instagram sarebbe stato diffuso nel corso delle puntate oggetto di contestazione, salvo che nella prima puntata, in cui ciò era inevitabile per l’apertura del profilo di -OMISSIS- e per la pubblicazione del primo selfie dei tre conduttori (-OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-) nonché per la realizzazione della prima diretta social dal nuovo profilo.
Infine, l’appellante sostiene che sia infondato anche l’ultimo aspetto tenuto in considerazione dall’Autorità per l’irrogazione della sanzione, cioè l’asserito mancato “riferimento a servizi diversi appartenenti al medesimo genere e forniti da imprese concorrenti”, in quanto, al contrario, sin dalla prima puntata del festival sono stati lanciati i profili social ufficiali attivi su diverse piattaforme (Facebook, Twitter, Instagram e TikTok).
9.1 – Con il quarto motivo l’appellante lamenta l’omessa pronuncia sul sesto motivo di ricorso principale e sull’undicesimo dei motivi aggiunti.
Con tali censure la Rai aveva eccepito che, stante la peculiarità della vicenda, una corretta applicazione dell’art. 3 l. n. 689/1981 avrebbe dovuto indurre l’Autorità a non applicare alcuna sanzione in relazione ad entrambe le condotte.
10 – Le censure possono essere esaminare congiuntamente e sono infondate, dovendosi integralmente confermare quanto argomento dal Giudice di primo grado.
A norma dell’art. 43, comma 1, lett a), d.lgs. 208/21 “Le comunicazioni commerciali audiovisive fornite dai fornitori di servizi di media soggetti alla giurisdizione italiana rispettano le seguenti disposizioni: a) le comunicazioni commerciali audiovisive devono essere prontamente riconoscibili come tali e sono proibite le comunicazioni commerciali audiovisive occulte”.
A norma dell’art. 13, comma 3, del DM 581/1993 “Le telepromozioni devono essere riconoscibili come tali ed essere distinte dal resto del programma mediante la scritta messaggio promozionale per tutta la loro durata”.
È stato contestato che dal giorno 7 al giorno 11 febbraio 2023, nel corso della messa in onda dei programmi televisivi denominati “73o Festival della Canzone Italiana di Sanremo” e “Sanremo Start”, le reiterate citazioni verbali e apparizioni visive del servizio e dello specifico profilo Instagram associato a un personaggio reale, conduttore del programma televisivo, hanno integrato la messa in onda di una vera e propria comunicazione commerciale audiovisiva occulta a favore del predetto social network. Riguardo a tale condotta sono stati contestati episodi relativi a tre puntate, rispettivamente del 7, 8 e 9 febbraio.
Tali condotte – chiaramente individuate, contrariamente all’assunto dell’appellante, che per altro verso non ha neppure contestato la sussistenza dei fatti storici alla base della contestazione - devono ritenersi pacifiche ed integrano la fattispecie astratta di cui all’art. 43, comma 1, d.lgs. n. 208/21 “comunicazione commerciale audiovisiva occulta” ossia “la presentazione orale o visiva di beni, di servizi, del nome, del marchio o delle attività di un produttore di beni o di un fornitore di servizi in un programma, quando tale presentazione è compiuta dal fornitore di servizi di media per scopi pubblicitari” e – per quanto più interessa la presente controversia – “può ingannare il pubblico circa la sua natura, con presunzione del suo carattere intenzionale, in particolare nei casi di svolgimento a pagamento o dietro altro compenso” [cfr. art. 3, comma 1, lett. rr), d.lgs. 208/2021].
Come meglio esaminato nel prosieguo, nel caso di specie, sebbene non vi sia la prova di un rapporto di committenza tra il beneficiario della comunicazione commerciale e la Rai, dovendosi ritenere tale aspetto non essenziale ai fini dell’integrazione della fattispecie, devono condividersi le valutazioni del Tar per cui, alla luce della condotta posta in essere durante il Festival di Saremo, un effetto pubblicitario per il social in questione si sia comunque prodotto e, a monte, tale evenienza non poteva essere ignorata da un organismo come la Rai, dotato di specifiche competenze professionali nel settore audiovisivo e, anche in qualità di operatore nel servizio pubblico audiovisivo, tenuta ad una particolare diligenza nello svolgimento della propria missione.
La strategia dell’appellante (ossia la cd. strategia cross, “diretta ad ampliare la platea dei telespettatori del programma televisivo del Festival di Sanremo anche all’ambiente digital e a quelle porzioni di pubblico che non fruiscono del mezzo televisivo con le modalità tradizionali, target giovane”) - secondo cui la scelta di eleggere Instagram rientrerebbe nell’alveo della sua missione di proporre nuovi formati e linguaggi, testuali e visivi, in grado di coinvolgere anche i più giovani e di includere in tal modo quanto maggior pubblico diverso possibile - non può scriminare la violazione, né può essere valutata disgiuntamente dal contesto e, quindi, dall’effetto più immediato ed evidente che tale scelta ha, in effetti, determinato (notevole aumento degli ascolti, che hanno superato gli 11 milioni con oltre il 66% di share).
Non è, pertanto, dubitabile che l’implementazione del bacino degli spettatori (dichiarato obiettivo di carattere editoriale), volontariamente perseguito attraverso l’esplicito e reiterato riferimento ad uno specifico social network, abbia assicurato notevoli ritorni sia in favore dell’azienda pubblica, sia, ancora, della concessionaria Rai Pubblicità, sia, infine, dello stesso social Instagram.
Conferma tale considerazione il fatto che tale strategia è stata assicurata dal preventivo reclutamento – come ammesso dalla stessa appellante – di testimonial provenienti dal mondo delle piattaforme social: il riferimento è alla presenza, in qualità di conduttrice da affiancare al presentatore -OMISSIS-, dell’influencer -OMISSIS- (la quale vantava su Instagram circa 29 milioni di followers).
Dunque, come correttamente rilevato dal Tar, è palese che la strategia in questione non avrebbe che potuto determinare un effetto promozionale, che ha assicurato sia alla RAI (nelle sue articolazioni operative: compresa la concessionaria pubblicitaria) che al social Instagram un’utilità vicendevole, naturalmente legata alle finalità tipiche della pubblicità televisiva, quest’ultima definita dal legislatore come “ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, da un'impresa pubblica o privata o da una persona fisica nell'ambito di un'attività commerciale, industriale, artigiana o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni” [art. 3, comma 1, lett. pp) del d.lgs. 208/2021].
Appare dunque evidente che nella condotta contestata, pur manifestazione di un’espressione artistica ed editoriale, connessa alla produzione ed allo scambio di idee, non sia estraneo un diretto ed immediato risvolto economico, connesso ai vantaggi di carattere commerciale e/o promozionale derivanti dalla condotta stessa.
L’Autorità ha inoltre plausibilmente rilevato che il “camuffamento dell’effettivo intento promozionale non può conciliarsi, nella generalità dei casi, con la formalizzazione di un rapporto di committenza che renderebbe palese la finalità commerciale della comunicazione audiovisiva e, quindi, finirebbe per vanificare il perseguimento della finalità pubblicitaria di un’operazione rivolta appunto all’aggiramento e all’elusione del divieto di messa in onda di comunicazioni commerciali audiovisive occulte, l’individuazione del rapporto di committenza non formalizzato nell’acquisto di appositi spazi pubblicitari non può che essere legittimamente affidata alla prudente ricerca di elementi presuntivi, purché risultino gravi precisi e concordanti”.
Sotto altro profilo, per le ragioni innanzi evidenziate, si rileva che l’elezione della c.d. strategia editoriale “cross” ha avuto quale fulcro l’elezione del social network Instagram, ripetutamente richiamato durante le puntate (a differenza di altre piattaforme similari), con il conseguente effetto promozionale, quest’ultimo confermato in sede procedimentale dalla stessa Rai, la quale ha dichiarato che gli “esatti minuti dei momenti di confronto interessati tra -OMISSIS- e -OMISSIS-hanno fatto registrare dei picchi di share sui 15 - 24enni sempre superiori al 75% circa (VS 65% circa del totale individui) toccando anche punte a ridosso del 90% dei giovani presenti in platea”. Nell’impugnata deliberazione si è, perciò, persuasivamente contestato che “non è presente nel corso della trasmissione del programma televisivo, al fine di offrire una informazione il più completa possibile al telespettatore fondata sul loro confronto, la citazione di altri servizi informatici on line appartenenti al medesimo genere forniti da imprese concorrenti rispetto a Instagram, c.d. servizi di rete sociale, che consentono di creare un profilo pubblico o parzialmente pubblico, di formare una lista di contatti, di poter interagire e comunicare con essi, né sono richiamati profili di utenti di altri social network, ma unicamente quelli iscritti ad Instagram”.
Sotto altro profilo, va dato atto che la contestualizzazione del fine promozionale nel corso dello spettacolo in diretta (di cui è esemplificazione l’instaurata associazione di Instagram alla figura del conduttore -OMISSIS-) era ragionevolmente idonea ad ostacolare l’immediata comprensione della finalità pubblicitaria, comunque oggettivamente esistente; ne deriva come appaia plausibile la conclusione dell’Autorità per cui “l’apertura dello specifico profilo Instagram è risultata la circostanza chiave per rappresentare fittiziamente agli occhi del pubblico quanto trasmesso come una scelta artistica connaturata al programma televisivo d’intrattenimento, anziché come una vera e propria comunicazione commerciale non trasparente”.
Peraltro, come già rilevato, l’Autorità ha opportunamente valorizzato il fatto che la promozione sostanziale ed indiretta di Instagram non è cessata con l’apertura del profilo del conduttore, essendosi, all’opposto, verificate delle “reiterate insistite citazioni verbali e apparizioni visive del servizio e dello specifico profilo Instagram associato a un personaggio reale, conduttore del programma televisivo”.
Alla luce delle considerazioni che precedono non appare censurabile l’assunto dell’Autorità per cui la strategia editoriale della RAI ha comunque consentito ad Instagram di ottenere, secondo un effetto emulativo facilmente pronosticabile, l’apertura di nuovi e numerosi profili da parte dei telespettatori del Festival. Il che integra gli estremi della definizione di “comunicazione commerciale audiovisiva occulta”.
In definitiva, i rilievi di parte appellante non riescono a giustificare il fatto che, alla luce del ruolo della Rai e della risonanza che il programma in questione riveste (non solo a livello nazionale), l’emittente non poteva ragionevolmente trascurare che il continuo riferimento ad un determinato social network si sarebbe risolto nella promozione dello stesso (come di fatto accaduto); ciò implicava la necessità di conformare i messaggi – oggettivamente promozionali – alla disciplina di settore, atta a rendere edotto lo spettatore del contenuto promozionale.
L’assunto che precede, pur nella peculiarità del caso, non risulta inficiato dal fatto che l’obiettivo che aveva di mira la Rai era (solo) quello di ampliare la platea degli spettatori (rivolgersi al pubblico giovanile) e non direttamente quello di pubblicizzare Instagram.
L’evidenza e la prevedibilità dell’effetto promozionale del social network derivante dalle condotte contestate - tenuto anche conto del fatto, già rimarcato, che alla conduzione dell’evento era stato posto un personaggio con un’elevata risonanza nell’ambito di Instagram (-OMISSIS-) - e l’inscindibile compenetrazione tra l’effetto pubblicitario del social e l’esplicita strategia di ampliare il numero di spettatori inducono a ritenere che la Rai, non solo avrebbe dovuto essere consapevole dell’effetto pubblicitario, e dunque segnalarlo nelle forme di legge, ma l’abbia, di fatto, certamente voluto perseguendo tale finalità, seppure in tesi solo per un interesse proprio, in quanto l’effetto pubblicitario del social, come detto, risulta intimamente connesso alla predetta strategia editoriale volontariamente perseguita, con i correlati benefici, anche di natura economica, a ciò connessi.
Alla luce delle considerazioni che precedono non risultano condivisibili i rilievi di parte appellante facenti leva sull’assenza dell’elemento soggettivo della condotta.
Viste le considerazioni innanzi esposte, non può trovare accoglimento neppure il quarto motivo di appello, non potendosi mandare l’appellante esente da sanzione, stante la pacifica integrazione della violazione.
11 – Con il quinto motivo l’appellante lamenta l’erroneo rigetto del settimo motivo del ricorso principale e l’undicesimo dei motivi aggiunti, nonché l’omessa pronuncia su alcuni profili dei predetti motivi che in questa sede ripropone.
Con tali censure, per quanto concerne la condotta B, la Rai aveva eccepito che l’Autorità ha fissato la sanzione “base” in €41.316,00 (pari a quattro volte il minimo edittale) maggiorandola, senza fornire alcuna motivazione, del 300%, in asserita applicazione del cumulo giuridico di cui all’art. 8 della l. n. 689/1981.
L’appellante sostiene dapprima che, in ragione di quanto esposto nel motivo precedente, l’Autorità avrebbe dovuto applicare il minimo edittale; in secondo luogo, che l’Autorità non avrebbe motivato perché ha deciso di triplicare la sanzione base e, quindi, avrebbe fatto un cattivo uso dei criteri di cui all’art. 11 della l. 689/1981.
Per l’appellante sarebbe destituita di fondamento la motivazione dell’entità elevata della violazione basata sulla “rilevazione di numerosi episodi di violazione”, dal momento che questi non emergerebbero né dall’Atto di contestazione, né dalla Delibera sanzionatoria.
Secondo la Rai sarebbero altrettanto illegittime le valutazioni effettuate dall’Autorità in merito alle “condizioni economiche dell’agente”.
Il Tar avrebbe omesso di pronunciarsi sulla mancanza di motivazione in merito all’automatica triplicazione della sanzione e, per altro verso, avrebbe ritenuto proporzionata la sanzione sulla base di un iter motivazionale del tutto apodittico e, soprattutto, sganciato dai criteri individuati dall’AGCOM nelle sue stesse Linee guida.
12 – La censura è infondata.
In base all’art. 11 della l. n. 689/1981 “nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.
Nelle linee guida di cui all’Allegato A della deliberazione AGCOM n. 410/14/CSP si è precisato che “l’obiettivo perseguito tramite l’irrogazione di una sanzione amministrativa è quello di reprimere adeguatamente la condotta illecita e di prevenirne la reiterazione, non soltanto da parte del trasgressore, ma anche di altri soggetti; pertanto, l’attività di quantificazione in concreto della sanzione tramite l’applicazione dei sopra ricordati criteri e le motivazioni ad essa sottese assumono particolare rilevanza nell’esercizio del potere sanzionatorio, poiché servono ad esplicitare, anche a fini di prevenzione generale, il disvalore che l’ordinamento attribuisce ad una determinata condotta illecita, tenuto conto dei suoi molteplici profili, soggettivi ed oggettivi”.
Sempre nelle linee guida, si precisa che si deve procedere a determinare, in una prima fase, l’importo “base” della sanzione, tenendo conto dei due criteri “essenziali”, vale a dire ricorrenti in ogni fattispecie (criteri della gravità della violazione e delle condizioni economiche dell’agente); e, in una seconda fase, a calcolare l’importo finale della sanzione, tenendo conto dei due criteri “accidentali” previsti dalla legge (opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione e personalità dell’agente, da intendersi come inclinazione alla violazione di norme).
Nel caso in esame, la determinazione della sanzione irrogata appare coerente delle disposizioni citate e proporzionata alla violazione ed alle condizioni dell’agente.
Nello specifico, la gravità della violazione deve essere valutata in rapporto all’importanza e alla risonanza mediatica che il Festival di Sanremo ha non solo a livello nazionale, ma anche internazionale e, dunque, all’elevato grado di accuratezza nell’organizzazione dell’evento che è esigibile dalla Rai, quale concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale.
Occorre inoltre considerare la capacità economica dell’appellante, rispetto alla quale l’importo dalla sanzione appare modesto e non certamente sproporzionato.
13 – Passando all’esame dell’appello incidentale dell’Autorità, questo risulta proposto avverso il capo della sentenza che ha accolto il terzo motivo del ricorso principale e il nono motivo del ricorso per motivi aggiunti, limitatamente alla sanzione di €51.645,00 irrogata dall’Autorità per violazione dell’art. 48, comma 3, lett. d), del d.lgs. n. 208/2021 (“TUSMA”), in ragione dell’omesso avviso del product placement dopo la messa in onda della comunicazione istituzionale denominata “Cartoline della Regione Liguria” (Condotta A).
Per l’appellante l’atto di accertamento e contestazione e la successiva delibera sanzionatoria sarebbero coerenti e univoci nell’individuare quale sia la violazione contestata alla Rai: muovendo dal presupposto che l’art. 5 della delibera n. 538/01/CSP estende alla comunicazione istituzionale la normativa in materia di riconoscibilità della comunicazione commerciale, ivi compresa la previsione di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 208/21, sarebbe stata accertata dall’Autorità una violazione dell’art. 48, comma 3, lett. d), del citato d.lgs. n. 208/21, in relazione ai cinque episodi delle Cartoline Regione Liguria, verificatisi tra il 7 e l’11 febbraio 2023.
Per l’appellante, la tesi del Tar, secondo cui il richiamo alla previsione della sopra citata deliberazione n. 538/2001 non avrebbe mai potuto avallare un’interpretazione sostanzialmente abrogatrice della norma primaria di cui all’art. 1, comma 6, della legge 150/2000 muove da una asistematica interpretazione dell’art. 1, comma 6, della legge 150/2000, asserendosi che l’esenzione dal rispetto dei limiti “in materia di pubblicità, sponsorizzazioni e offerte al pubblico”, operante per le comunicazioni istituzionali, debba ricomprendere tutte le tipologie di limiti, ivi compresi quelli concernenti il riconoscimento del messaggio pubblicitario.
Il Giudice di primo grado non avrebbe considerato però il complessivo quadro normativo di riferimento e non avrebbe compiuto quella doverosa interpretazione sistematica ed adeguatrice, anche alla luce della disciplina europea in materia. Ad assumere precipua rilevanza sarebbe il recepimento della pertinente normativa unionale (direttiva 89/552/CEE così come modificata dalla Direttiva 97/36/CE), attuato dall’AGCOM con il Regolamento in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite.
L’articolo 5 del Regolamento in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite, quale risultante dalla modifica recata dalla delibera n. 162/07/CSP, avrebbe correttamente recepito la normativa europea, definendo in conformità alla stessa – tramite l’espresso richiamo degli articoli 3 e 4 del medesimo Regolamento – l’ambito entro cui la disciplina della pubblicità televisiva deve trovare applicazione alla messa in onda degli annunci di servizi pubblici. Pertanto, l’Autorità avrebbe esercitato la propria potestà regolamentare in materia di pubblicità televisiva e di televendite, previa (la necessaria) disapplicazione del diritto interno – il menzionato art. 1, comma 6, legge 150/2000 – contrastante con le direttive europee e previa integrazione della normativa nazionale, onde adeguarla al contenuto delle direttive stesse.
Peraltro, anche la direttiva sui servizi di media audiovisivi attualmente vigente [direttiva 2010/13/UE del 10 marzo 2010, quale risultante dalle modifiche apportate dalla direttiva (UE) 2018/1808 del 14 novembre 2018] confermerebbe la legittimità della disciplina regolamentare recante l’obbligo, per le emittenti televisive, di informare il telespettatore dell’inserimento di prodotti dopo ogni interruzione causata dalla messa in onda delle comunicazioni istituzionali.
14 – L’appello incidentale è infondato.
La norma contenuta nel citato art. 48, comma 3, lett. d), asseritamente violata, recita che “I programmi che contengono l'inserimento di prodotti devono rispettare le seguenti disposizioni: … d) i telespettatori sono chiaramente informati dell'inserimento di prodotti tramite apposita identificazione all'inizio e alla fine della trasmissione e quando il programma riprende dopo un'interruzione pubblicitaria, per evitare ogni possibile confusione da parte del telespettatore”.
L’art. 5 della deliberazione n. 538/01/CSP del 27.7.2021, recante “Regolamento in materia di pubblicità televisiva e di televendite”, prevede che “fermi restando i limiti di affollamento previsti ai sensi della normativa vigente, le autopromozioni e le attività di informazione e di comunicazione istituzionale di cui alla legge 7 giugno 2000, n. 150, compresi i messaggi di utilità sociale e di pubblico interesse, non sono computati nei limiti di affollamento. Ad essi si applicano gli articoli 3 e 4”.
In base a questi ultimi articoli, pubblicità televisiva e televendite devono garantire la riconoscibilità del messaggio pubblicitario rispetto al resto del programma e devono rispettare le regole di inserimento della pubblicità nelle trasmissioni televisive.
Secondo l’art. 1, comma 6, della legge 150/2000 (“Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”): “le attività di informazione e di comunicazione istituzionale di cui alla presente legge non sono soggette ai limiti imposti in materia di pubblicità, sponsorizzazioni e offerte al pubblico”.
14.1 - Oggetto di contestazione sono i 5 episodi riguardanti le “cartoline” per la promozione della Regione Liguria.
Si rileva che la stessa Autorità, nel provvedimento impugnato, ha precisato che “…l’attività di informazione e di comunicazione istituzionale oggetto di esame non dia luogo, di per sé, a una vera e propria comunicazione commerciale e, in specie, a pubblicità televisiva…”.
Nonostante tale affermazione, l’Autorità ha ritenuto integrata la violazione dell’art. 48 del d.lgs. 208/2021.
Seppur il Giudice di primo grado non abbia correttamente richiamato l’art. 5 della deliberazione n. 538/01/CSP, omettendo di considerare il rinvio agli articoli 3 e 4 del medesimo regolamento, appaiono tuttavia condivisibili gli assunti contenuti nella sentenza impugnata, per cui l’Autorità non avrebbe esplicitato gli elementi che fonderebbero una condotta della RAI in contrasto con il predetto art. 48 del d.lgs. 208/2021.
14.2 - Sotto il profilo generale, appare infatti pacifico, da un lato, che i messaggi in questione non possono essere qualificati messaggi pubblicitari in senso stretto, né integrano una “comunicazione commerciale audiovisiva”, essendo invece riconducibili ad un ente pubblico territoriale (la Regione Liguria) che non promuove propri “beni” e “servizi” (in base all’art. 3 del TUSMA, per “comunicazione commerciale audiovisiva”, invece, si intendono le “immagini, siano esse sonore o non, destinate a promuovere, direttamente o indirettamente, i beni, i servizi o l'immagine di una persona fisica o giuridica che esercita un’attività economica e comprendenti, tra l’altro, la pubblicità televisiva, la sponsorizzazione, la telepromozione, la televendita e l’inserimento di prodotti, inserite o di accompagnamento in un programma o in un video generato dall’utente dietro pagamento o altro compenso o a fini di autopromozione”).
Le Cartoline Liguria appaiono invero finalizzate a promuovere l’immagine delle amministrazioni e del territorio, conferendo conoscenza e visibilità ad eventi d’importanza locale, regionale, nazionale ed internazionale.
A tale rilievo, che l’appello non riesce a superare, va aggiunto che, in base all’art. 1, comma 6, della legge 150/2000 (“Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”): “le attività di informazione e di comunicazione istituzionale di cui alla presente legge non sono soggette ai limiti imposti in materia di pubblicità, sponsorizzazioni e offerte al pubblico”.
Contrariamente agli assunti di parte appellante, il tenore letterale della disposizione depone nel senso che l’esenzione dal rispetto dei limiti “in materia di pubblicità, sponsorizzazioni e offerte al pubblico” ricomprende tutte le tipologie di limiti.
14.3 - Nel contesto innanzi descritto, l’Autorità non spiega in modo convincente per quale ragione dovrebbero prevalere le disposizioni di cui all’art. 5 della deliberazione n. 538/01/CSP, che estendono alla comunicazione istituzionale la normativa in materia di riconoscibilità della comunicazione commerciale, rispetto alle norme primarie innanzi citate.
La tesi per cui tale estensione sarebbe in realtà conforme alla disciplina europea che regola la materia, per cui dovrebbero disapplicarsi le norme primarie confliggenti, non risulta suffragata da precisi riscontri normativi (nel provvedimento, al riguardo, ci si limita ad osservare genericamente che “l’attività di informazione e di comunicazione istituzionale non debba, comunque, soggiacere solo alle regole in materia di affollamento pubblicitario, ai sensi dell’art. 5, comma 1, delibera n. 538/01/CSP, dimostra proprio che, ove in sede legislativa comunitaria e, poi, in sede regolamentare nazionale, si è voluto prevedere un’esclusione di tale fattispecie dall’applicazione della specifica disciplina propria della comunicazione commerciale, come in materia di affollamento pubblicitario, si è normato in tale senso” e che: “considerato che l’art. 5 del suddetto Regolamento adottato dall’Autorità, nel recepire la normativa comunitaria e nel definire in conformità ad essa l’ambito entro il quale la disciplina dettata per la pubblicità televisiva…”).
Anche i riferimenti normativi e i “considerando” citati negli atti difensivi, ed in particolare il considerando 43 e l’articolo 4, comma 1, della direttiva (UE) 2018/1808 del 14 novembre 2018 richiamati dall’Autorità, non paiono riferirsi allo specifico aspetto rilevante nel presente giudizio.
Ne deriva come, allo stato, non possa che confermarsi la statuizione del Giudice di primo grado, che ha sostanzialmente rilevato come la sanzione sia stata imposta in forza di una norma secondaria in contrasto con la norma primaria di cui alla legge 150/2000.
Fermo il fatto che è l’Autorità a dover giustificare la base giuridica e i presupposti del potere sanzionatorio esercitato, in senso opposto alla prospettazione della stessa, va osservato che sin dalla direttiva 2007/65/Ce (art. 1) è venuto meno il riferimento agli “annunci di servizio pubblico” (invece contenuto nella precedente versione della disposizione).
Tale esegesi pare confermata dal considerando 26 della stessa direttiva, in cui si legge: “La presente direttiva dovrebbe introdurre, in aggiunta alla definizione di pubblicità televisiva e di televendita, una definizione più ampia di comunicazioni commerciali audiovisive, che tuttavia non dovrebbe comprendere gli annunci di servizio pubblico e gli appelli a scopo di beneficenza trasmessi gratuitamente”.
Non avendo l’Autorità individuato in modo preciso le norme sovranazionali (tale non potendosi considerare neppure la Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera stipulata a Strasburgo il 5.5.1989, neppure citata nel provvedimento impugnato) in ipotesi incompatibili con le norme primarie nazionali, non vi sono margini per giustificare – specie sotto il profilo sanzionatorio per il quale il principio di legalità è più stringente - l’assimilazione dei messaggi istituzionali alla pubblicità commerciale stante il chiaro dettato dell’art. 1, comma 6, della legge 150/2000 innanzi citato.
14.4 - Il rigetto dell’appello incidentale implica l’assorbimento dei motivi di primo grado riproposti in appello dalla Rai.
15 – In definitiva, vanno respinti entrambi gli appelli.
Le spese di lite, vista anche la soccombenza reciproca delle parti, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello principale, respinge l’appello incidentale e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 [e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016], a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle persone fisiche citate in sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore
Davide Ponte, Consigliere
Lorenzo Cordi', Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere
L'ESTENSORE
Giordano Lamberti
IL PRESIDENTE
Carmine Volpe
IL SEGRETARIO