In tema di strutture ricettive e locazioni brevi, l’art. 109 T.U.L.P.S. impone ai gestori l’obbligo di verificare de visu l’identità degli ospiti quale presupposto necessario della comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza.
Tale obbligo, mai abrogato dalle modifiche introdotte dal D.L. 201/2011, può essere assolto anche mediante strumenti tecnologici che consentano un riconoscimento in tempo reale, ma non tramite procedure di self check-in anonimo basate sulla mera trasmissione della copia del documento e sull’accesso automatizzato ai locali.
La circolare del Ministero dell’Interno che ribadisce l’obbligo ha natura di atto interno interpretativo e non introduce nuovi oneri a carico dei gestori.
Pubblicato il 21/11/2025
N. 09101/2025REG.PROV.COLL.
N. 05732/2025 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5732 del 2025, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
la Federazione Associazioni Ricettività Extralberghiera, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto Leccese, Luisa Torchia, Francesco De Filippis, Andrea Marega e Giorgia Diotallevi, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Marega in Roma, via Venti Settembre 1,
nei confronti
l’Associazione Italiana Confindustria Alberghi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Gemma, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
la Federazione delle Associazioni Italiane Alberghi e Turismo – Federalberghi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Manzi, Antonio Papi Rossi, Nicola Ferrante, Edoardo Gambaro, con domicilio eletto presso lo studio Antonio Papi Rossi in Milano, via Visconti di Modrone, 12,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 10210/2025, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Federazione Associazioni Ricettività Extralberghiera, della Associazione Italiana Confindustria Alberghi e della Federazione delle Associazioni Italiane Alberghi e Turismo – Federalberghi;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2025, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – Con la Circolare prot. n. 38138 del 18 novembre 2024, il Capo della Polizia, nella veste di Direttore generale della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno, alla luce della intensificazione del fenomeno delle cc.dd. “locazioni brevi” su tutto il territorio nazionale – legata ai numerosi eventi politici, culturali e religiosi in programmazione nel Paese (compreso il Giubileo della Chiesa Cattolica a partire dal 24 dicembre 2024) – e della delicatezza del momento storico a livello internazionale, si è indirizzato a tutti i Prefetti e Questori della Repubblica per confermare l’obbligo previsto dall’art. 109 T.U.L.P.S. a carico dei gestori di strutture ricettive di ogni genere o tipologia di verificare l’identità degli ospiti mediante verifica de visu della corrispondenza tra persone alloggiate e documenti forniti, comunicandola alla Questura territorialmente competente secondo le modalità indicate dal Decreto del Ministro dell’interno del 16 settembre 2021 e, al contempo, ha escluso la legittimità di eventuali procedure di check in da remoto, ritenute non aderenti alla ratio sottesa all’art. 109 del T.U.L.P.S. –, al fine di prevenire rischi per l’ordine e la sicurezza pubblica in relazione all’eventuale alloggiamento di persone pericolose e/o legate ad organizzazioni criminali o terroristiche.
2. – Con il ricorso notificato il 17 gennaio 2025 al solo Ministero dell’interno e ad una privata cittadina in qualità di titolare e gestore di una struttura ricettiva extralberghiera, la Federazione Associazioni Ricettività Extralberghiera (di seguito, breviter, F.A.R.E.) – la quale rappresenta dal 2021 il settore ricettivo extralberghiero (imprenditoriale e non) sul territorio nazionale – ha impugnato dinanzi al T.A.R. per il Lazio la Circolare summenzionata.
2.1. – In primis, F.A.R.E. ha denunciato, oltre all’asserito carattere vago e generico delle affermazioni contenute nella circolare ministeriale – considerate prive di analisi o dati a supporto –, anche il preteso contrasto con la ratio dell’art. 109 T.U.L.P.S. – che non attribuirebbe ai gestori di strutture ricettive poteri o compiti di identificazione o di certificazione dell’identità, né di controllo del territorio o dell’accesso a stanze e appartamenti –, con le modifiche apportate al comma 3 di tale norma dall’art. 40 del d.l. n. 201/2011 (cd. “decreto Monti” recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici),), nonché con il Regolamento (UE) 2024/1183, per avere sostanzialmente reintrodotto l’obbligo di identificazione de visu – asseritamente abrogato dal Decreto Monti e superato dal suddetto Regolamento.
Sempre nell’ambito del primo motivo di ricorso, la deducente ha lamentato anche l’eccesso di potere per disparità di trattamento rispetto ad altri settori – come quello del noleggio di autoveicoli, dove vi sarebbe la possibilità di identificare il soggetto interessato in via anticipata rispetto alla consegna del veicolo –, l’irrazionalità e l’illogicità della motivazione e la violazione del principio di proporzionalità, visto il carattere – a suo dire – eccessivamente gravoso dell’obbligo imposto, reputato comunque inidoneo ad elidere il rischio che l’alloggiato possa dare le chiavi dell’appartamento ad altri dopo l’identificazione. Infine, ha censurato lo sviamento di potere, l’incompetenza e la violazione del principio di tipicità degli atti e provvedimenti amministrativi, per avere il Ministero esercitato un potere non conferitogli dalla legge – ovvero, quello di definire le modalità di identificazione della clientela – e per aver, tramite una circolare amministrativa, introdotto limitazioni alla libertà di iniziativa economica privata e fornito un’interpretazione assuntamente estensiva dell’art. 109 del T.U.L.P.S..
2.2. – La Federazione ha poi avanzato tre ulteriori motivi di impugnazione. Tramite il secondo motivo, essa ha dedotto la violazione dei principi di concorrenza e di non discriminazione, il difetto di istruttoria e la carenza di motivazione, paventando gli effetti “nefasti” che deriverebbero dall’applicazione della Circolare per il sistema delle locazioni brevi – in particolare, una “pesantissima contrazione degli affari ad illegittimo vantaggio delle strutture alberghiere” – e criticando il tenore del testo del provvedimento impugnato, privo di alcuna indicazione di termini di durata da cui poter evincere fino a quando sarebbero in vigore le “nuove” modalità di identificazione. Con la terza doglianza, la ricorrente ha denunciato la violazione del principio di riserva di legge in materia penale di cui all’art. 25 Cost., rappresentando che la Circolare introdurrebbe di fatto una nuova fattispecie di reato di violazione dell’obbligo di identificazione de visu senza approvazione legislativa, mentre, con la quarta censura, ha lamentato la violazione e falsa applicazione della Direttiva 2006/123/CE (relativa ai servizi nel mercato interno), la violazione degli artt. 49 e 56 T.F.U.E. – che sanciscono, rispettivamente, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi – e quella di alcune disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’UE relative a diritti e libertà della persona – quali, ad esempio, la libertà d’impresa e di scelta della professione (artt. 15 e 16), il diritto di proprietà (art. 17) e la libertà di circolazione delle persone (art. 45) –, argomentando che la Circolare non favorirebbe, anzi restringerebbe, l’accesso alle attività di servizi e il loro esercizio nel mercato interno.
3. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, disattesa l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse sollevata dal Ministero dell’Interno sul rilievo che l’atto gravato presenterebbe un contenuto direttamente lesivo della sfera giuridica dei ricorrenti e sarebbe perciò immediatamente impugnabile – non avendo, a proprio dire, valore esclusivamente interpretativo dell’art. 109 T.U.L.P.S. –, ha accolto ex art. 74 c.p.a. il ricorso della Federazione e, per l’effetto, ha annullato la Circolare ministeriale, ritenendo l’atto viziato, sia per contrasto con quanto disposto dall’art. 109 T.U.L.P.S., sia per violazione del principio di proporzionalità, sia per eccesso di potere legato ad una carenza di istruttoria.
3.1. – Più nello specifico, secondo il giudice di prime cure, la circolare in parola non avrebbe valore esclusivamente interpretativo dell’art. 109 TULPS, “in quanto, come risulta dalla parte finale, stabilisce “l’obbligo” a carico dei gestori di strutture ricettive di ogni genere o tipologia di dover verificare l’identità degli ospiti mediante verifica de visu della corrispondenza tra persone alloggiate e documenti forniti, comunicandola alla Questura competente per territorio secondo le modalità indicate dal Decreto del Ministero dell’Interno del 7.1.2013, come modificato dal decreto del 16.9.2021”. Siffatto obbligo di identificazione de visu si porrebbe in contrasto con la riduzione degli adempimenti amministrativi disposta con il decreto-legge n. 201/2011 di novella al terzo comma dell’art. 109 T.U.L.P.S., ripristinando di fatto quanto richiesto in passato, circa l’identificazione de visu a carico dei gestori di strutture ricettive.
3.2. – Il primo giudice avrebbe, inoltre, ravvisato i concorrenti vizi di eccesso di potere sub specie di violazione del principio di proporzionalità e di carenza di istruttoria: sotto il primo profilo, l’obbligo introdotto dalla circolare non farebbe venire meno il rischio che l’alloggio possa essere, comunque, utilizzato anche da soggetti non identificati dal gestore/proprietario dell’immobile locato, né specificherebbe per quale ragione strumenti diversi (ad esempio, la verifica dell’identità da remoto) non sarebbero sufficienti a raggiungere il medesimo obiettivo con minor pregiudizio sui destinatari dell’atto impugnato; sotto il secondo profilo, la Circolare non conterrebbe giustificazioni adeguate rispetto all’obbligo imposto, poiché genericamente farebbe riferimento ad una intensificazione delle c.d. locazioni brevi su tutto il territorio nazionale, in ragione anche del Giubileo della Chiesa cattolica iniziato dal 24 dicembre 2024, nonché ad una difficile evoluzione della situazione internazionale, ma tali affermazioni non sarebbero corroborate da alcun dato, necessario proprio a dimostrare la proporzionalità della misura adottata.
4. – Il Ministero dell’Interno è insorto in appello per ottenere la riforma, previa sospensione, della prefata pronuncia, assumendone l’illegittimità sotto due distinti versanti.
4.1. – Segnatamente, con il primo motivo di gravame, l’appellante si duole dell’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado. La difesa erariale rimarca, in particolare, il carattere interno della circolare che sarebbe espressamente indirizzata alle articolazioni centrali e periferiche del Ministero dell’Interno e, in particolare, ai Prefetti “che vorranno portare a conoscenza, nelle forme ritenute più opportune, gli orientamenti espressi con la presente circolare ai Sindaci dei Comuni della Provincia, nonché per le parti di interesse, alle locali Camere di Commercio, affinché ne rendano edotte le associazioni di categoria interessate” nonché ai Questori che “nell’ambito delle ordinarie attività di polizia amministrativa, vorranno provvedere affinché venga verificata la procedura di check in adottata e assicurata l’osservanza delle disposizioni impartite con la presente circolare”.
Parallelamente, la circolare impugnata avrebbe natura meramente interpretativa essendo destituita di fondamento l’esegesi che ravvisa la re-introduzione dell’obbligo di identificazione de visu asseritamente venuta meno per opera dell’art. 40 d.l. n. 201/2011: quest’ultima disposizione si sarebbe invero limitata a semplificare le modalità comunicative sostituendo l’invio delle schede di dichiarazione sottoscritte con modalità informative telematiche. Indi, il ricorso dell'Associazione F.A.R.E. avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 35, co. 1, lettera b) cod. proc. amm., in quanto proposto avverso un atto interno di natura interpretativa, non introduttivo di alcun obbligo giuridico e inidoneo ad incidere, ex se, sulla sfera giuridica di terzi.
4.2. – Con la seconda doglianza, il Ministero denuncia l’erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 T.U.L.P.S., come modificato dall’art. 40 del d.l. n. 201/2011. A detta dell’appellante, il T.A.R. non avrebbe tenuto in debita considerazione il fatto che la disposizione del testo unico richieda da parte dei gestori di strutture ricettive di breve durata, non solo la comunicazione alle Questure territorialmente competenti delle generalità delle persone alloggiate, ma anche l’effettuazione di un accertamento concreto in merito al possesso di documenti d’identità da parte degli ospiti effettivi, il quale permetterebbe all’autorità di pubblica sicurezza l’avvio, sulla base di “un riferimento certo”, di “un’attività di polizia giudiziaria, anche ex post”. Per tale ragione, la Circolare gravata non avrebbe introdotto oneri diversi ed ulteriori rispetto a quelli direttamente derivanti dalla norma primaria, bensì avrebbe richiesto, in linea con il disposto dell’art. 109 T.U.L.P.S., l’adozione di un sistema di verifica in grado – differentemente dai sistemi digitali di acquisizione di dati (come il check-in da remoto) – di accertare in modo obiettivo la corrispondenza dei documenti esibiti ai soggetti effettivamente ospitati presso la struttura ricettiva e, quindi, capace di corrispondere in maniera adeguata all’esigenza di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica alla base delle previsioni di cui alla norma soprarichiamata.
Nel contesto di tale censura, la difesa erariale denuncia anche l’erroneità della decisione del primo giudice per aver reputato sussistenti la violazione del principio di proporzionalità e la carenza istruttoria sulle esigenze da fronteggiare, atteso che i fatti posti alla base del provvedimento ministeriale sarebbero di notoria evidenza e giustificherebbero la rigorosa applicazione di misure come l’identificazione de visu. Infine, l’Amministrazione appellante obietta che il T.A.R. avrebbe accolto senza alcuna specifica motivazione il secondo motivo di ricorso – ai sensi del quale la circolare violerebbe il principio di concorrenza, di non discriminazione e di libertà di iniziativa economica, generando disparità di trattamento con le strutture alberghiere –, a suo dire da rigettare, essendo la normativa e la sua applicazione identiche per le due tipologie di destinatari, come dimostrato dal fatto che, “nell’albergo, è l’addetto al desk che effettua la verifica de facto della corrispondenza del documento rispetto al suo possessore, esattamente come viene richiesto al titolare dell’appartamento destinato ad affitto breve”.
5. – Si è costituita in giudizio F.A.R.E., che ha depositato una memoria difensiva in cui ha diffusamente argomentato nel senso della reiezione dell’appello. In tale atto, parte appellata richiede preliminarmente l’integrazione del contraddittorio ex art. 95 c.p.a. nei confronti della sig.ra Francesca Orietti, in qualità di titolare e gestore della struttura ricettiva extralberghiera “Sweet Somma Mountain Lodge di Francesca Orietti”, nonché della Prefettura – UTG di Roma, e lamenta l’inammissibilità dell’appello, per avere l’Amministrazione appellante omesso qualsiasi censura sulla motivazione della sentenza in punto di carenza di istruttoria, circostanza che determinerebbe di per sé il consolidamento del capo de quo – sul quale si reggerebbe in maniera autonoma l’effetto demolitorio operato dalla sentenza di primo grado sulla Circolare – e l’inoppugnabilità della sentenza gravata in parte qua, rendendo inutile l’esame degli ulteriori motivi di appello. Dopodiché, F.A.R.E. propugna la correttezza della pronuncia di primo grado, ribadendo alcuni dei profili di illegittimità della Circolare sollevati dinanzi al T.A.R. – nello specifico, l’inesistenza di uno stato di emergenza, la carenza assoluta di analisi e dati a supporto e l’assenza di un limite temporale alla misura emergenziale – e controdeducendo ai motivi di appello, per poi riproporre le censure sulle quali il primo giudice non si è pronunciato.
6. – All’esito della trattazione cautelare nella camera di consiglio del 28 agosto 2025, vista la fissazione dell’udienza di merito per il 18 dicembre 2025, la difesa erariale ha rinunciato alla misura cautelare richiesta in occasione della proposizione dell’appello.
7. – In data 29 agosto 2025, il Ministero dell’Interno ha presentato istanza di anticipazione dell’udienza di celebrazione del merito, accompagnandola con una richiesta di abbreviazione dei termini ex art. 53 c.p.a., affinché essa potesse essere fissata nei tempi più celeri possibili, ritenendo sussistente “l’esigenza, ineludibile per la sicurezza pubblica, che la decisione di merito intervenga in tempi più brevi rispetto a quelli già calendarizzati, atteso che la circolare oggetto di giudizio è foriera di rilevanti effetti nel corso dell’anno 2025, in considerazione del cospicuo flusso turistico connesso agli ultimi mesi di apertura dell’anno giubilare”. In accoglimento dell’istanza, la discussione del merito del ricorso in appello è stata anticipata all’udienza pubblica del 9 ottobre 2025.
8. – Successivamente, con decreto presidenziale n. 541 del 9 settembre 2025, sono state rilevate d’ufficio, ai sensi dell’art. 72-bis, due questioni ritenute astrattamente suscettibili di condurre ad una definizione in rito del giudizio e quindi sottoposte al contraddittorio delle parti. La prima questione riguarda la legittimazione ad agire di F.A.R.E., sia perché non avrebbe comprovato documentalmente il conferimento al legale rappresentante del mandato ad agire in giudizio, sia perché non sarebbe possibile, allo stato, evincere il rispetto del requisito della omogeneità dell’interesse collettivo azionato in giudizio. La seconda questione concerne, invece, l’integrità del contraddittorio in primo grado e l’opportunità di estenderlo alle associazioni di tutela degli interessi delle imprese che esercitano ricettività alberghiera, in particolare coinvolgendo “un ente associativo rappresentativo del settore della ricettività alberghiera, quale naturale contraltare agli interessi collettivi azionati da un ente rappresentativo della ricettività extralberghiera”, individuato dal decreto in Federalberghi, “ferma la facoltà di integrare il contraddittorio, aggiuntivamente, anche nei confronti di altri analoghi enti esponenziali rappresentativi del settore”.
9. – A seguito dell’atto di integrazione del contradditorio notificato – in ottemperanza al decreto presidenziale – dal Ministero dell’Interno, si sono costituiti in giudizio l’Associazione Italiana Confindustria Alberghi (qui di seguito, A.I.C.A.) e la Federazione delle Associazioni Italiane Alberghi e Turismo (qui di seguito, Federalberghi).
9.1. – Nella propria memoria di costituzione, A.I.C.A. ha eccepito in via preliminare: l’inammissibilità del ricorso di primo grado per non essere stato notificato ad almeno uno dei controinteressati individuabili in associazioni di categoria rappresentative del settore della ricettività alberghiera (quali la stessa A.I.C.A. e Federalberghi); l’inammissibilità di tale ricorso per carenza di interesse di F.A.R.E., stante la natura meramente interna e non prescrittiva della Circolare impugnata; il difetto di legittimazione attiva di F.A.R.E. per aver il legale rappresentante agito in giudizio senza alcun potere (non essendo stata depositata in giudizio dalla Federazione in questione alcuna deliberazione interna, adottata dagli organi statutariamente competenti, che autorizzasse espressamente l’organo rappresentativo a proporre ricorso giurisdizionale); il difetto di allegazione e prova, da parte di F.A.R.E., del requisito dell’omogeneità dell’interesse collettivo azionato, considerato che la contestazione della Circolare ministeriale potrebbe riflettere le esigenze solo di una parte degli operatori extralberghieri e risultare divisiva rispetto ad altri. Nel merito, invece, l’Associazione ha aderito e integrato le difese articolate dal Ministero dell’Interno nel ricorso in appello.
9.2. – Federalberghi, dal canto suo, ha depositato una memoria di replica – “quale unico atto difensivo cronologicamente possibile a fronte delle scadenze derivanti dal precedente Decreto presidenziale di abbreviazione dei termini” –, con la quale ha preliminarmente rilevato la violazione insanabile del principio del contraddittorio nei confronti di un controinteressato necessario, la violazione degli artt. 27, 28 e 40 c.p.a. e la nullità della sentenza resa dal T.A.R. per il Lazio – derivata dalla inammissibilità del ricorso di primo grado –, mentre, per quanto attiene al merito, ha sostenuto le argomentazioni svolte dalla difesa erariale nei propri scritti, nonché ha lamentato l’erroneità ed illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 T.U.L.P.S..
10. – F.A.R.E., nel replicare alle eccezioni sollevate d’ufficio, ha depositato il verbale del Consiglio Direttivo di FARE del 12 gennaio 2025 che dà mandato al Presidente, sig. Elia Rosciano, di incaricare appositi legali per la proposizione di un’azione di giudizio per l’annullamento della Circolare del Ministero dell’Interno, ponendo l’accento sull’art. 15 dello Statuto che, nel disciplinare la figura del Presidente della Federazione, lo qualifica al comma 2, lett. a) come “il legale rappresentante della Federazione nei rapporti esterni e in quelli interni, nei confronti dei terzi ed in giudizio”.
Ha poi ribadito di esser munita di legittimazione al ricorso osservando il requisito della omogeneità dell’interesse collettivo azionato in giudizio in quanto tutti i membri di F.A.R.E. sarebbero, infatti, accomunati dallo svolgimento di un’attività ricettiva extra-alberghiera essendo dunque uniformemente interessati dalle restrizioni introdotte dalla Circolare impugnata. Contesta poi la posizione di controinteressato di Federalberghi (essendovi alberghi che non dispongono della reception h24 indi possono trarre beneficio dalla procedura di check in da remoto).
11. – Espletato lo scambio di scritti difensivi, la causa è stata discussa all’udienza pubblica del 9 ottobre 2025 e successivamente incamerata per la decisione.
DIRITTO
1. – Il Collegio deve dare atto preliminarmente del superamento del rilievo sollevato d’ufficio circa il presunto difetto di legittimazione per carenza del potere rappresentativo del Presidente dell’Associazione che ha promosso materialmente il giudizio. E’ stato, infatti, versato in atti il verbale del Consiglio direttivo del 12 gennaio 2025 che conferisce mandato al Presidente “affinché, nella propria qualità e secondo il proprio discernimento (attesa anche la sua professionalità di Avvocato) individui il professionista o i professionisti che riterrà dotati delle opportune doti professionali al fine di conferire loro incarico e/o procura speciale - eventualmente anche con facoltà di sub-delega o sub-procura - al fine di proporre ricorso nelle opportune sedi giudiziarie per veder dichiarare la nullità, l’invalidità o l’inefficacia della Circolare Min. Interno - Dip. Pubblica Sicurezza - n° 557/ST/221.3.1.0 del 28.11.2024 - prot.0038138, nonchè di agire o resistere in ogni eventualmente ulteriore grado di giudizio, sino alla pronuncia definitiva, avendo sin d’ora per rato e fermo il suo operato”. Tale determina consiliare è stata evidentemente adottata nell’esercizio del potere di cui all’art. 14, co. 6 lett. k) dello Statuto secondo cui il Comitato direttivo ha il compito di “adottare delibere di indirizzo in merito alle spese da sostenere per intentare o resistere in giudizi civili, penali ed amministrativi, nonché per altre iniziative di carattere stragiudiziale”.
2. – Tanto precisato, il Collegio ritiene di scrutinare direttamente funditus il merito dell’appello per il criterio della ragion più liquida, pur dando atto nel prosieguo degli ulteriori profili di rito che determinerebbero altrettante cause di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
3. – L’appello è fondato per quanto si espone dappresso.
3.1. – Il paradigma normativo di riferimento su cui verte la res controversa è rappresentato dall’art. 109 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, a tenor del cui primo comma “i gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive, comprese quelle che forniscono alloggio in tende, roulotte, nonché i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere, ivi compresi i gestori di strutture di accoglienza non convenzionali, ad eccezione dei rifugi alpini inclusi in apposito elenco istituito dalla regione o dalla provincia autonoma, possono dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d'identità o di altro documento idoneo ad attestarne l'identità secondo le norme vigenti”.
La disposizione di rango primario ha subito una progressiva evoluzione in senso ampliativo delle categorie soggettive interessate, prendendo le mosse dall’originaria formulazione che onerava dell’incombente “gli albergatori, i locandieri, coloro che gestiscono pensioni o case di salute o altrimenti dànno alloggio per mercede”, poi incisa dal d.l. 29 marzo 1995, n. 97, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 maggio 1995, n. 203 che optò per la più moderna locuzione i “gestori delle strutture ricettive di cui all'articolo 6 della legge 17 maggio 1983, n. 217, esclusi i rifugi alpini inclusi in apposito elenco approvato dalla regione o provincia autonoma in cui sono ubicati”. Dipoi, la legge n. 135 del 2001 ha esteso l’adempimento de quo anche ai gestori delle strutture che “forniscono alloggio in tende, roulotte, nonché i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere, ivi compresi i gestori di strutture di accoglienza non convenzionali” – formulazione che dal 2011 è rimasta in vigore immutata.
A tali interventi novellistici direttamente incidenti sul dato letterale si è affiancato anche un intervento legislativo di interpretazione autentica recato dall’art. 19-bis, co. 1, d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, secondo cui l’art. 109 T.U.L.P.S. si interpreta nel senso che gli obblighi in esso previsti si applicano anche con riguardo ai locatori o sublocatori che locano immobili o parti di essi con contratti di durata inferiore a trenta giorni.
3.2. – In disparte gli ampliamenti sul lato soggettivo, il nucleo oggettuale della disposizione è tuttavia rimasto pressoché invariato sin dal 1931 salvo l’abbandono del costrutto imperniato sulla doppia negazione “non possono dare alloggio a persone non munite della carta di identità…” trasfigurato nella più lapidaria formulazione “possono dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d'identità…” introdotta sempre dalla legge n. 135 del 2001.
Di contro, si sono registrati rimarchevoli evoluzioni sul fronte degli adempimenti strumentali volti ad assicurare effettività alla previsione del primo comma: il terzo comma della norma originaria, rimasto immutato dal 1931 sino al 1993, contemplava l’obbligo di tenuta a cura degli albergatori di un apposito registro in cui annotare le generalità e il luogo di provenienza degli ospiti unitamente all’obbligo di comunicazione su base giornaliera all’autorità locale di pubblica sicurezza l’arrivo, la partenza e il luogo di destinazione di tali persone. Tali obblighi erano anche presidiati penalmente (v. art. 109, co. 4 illo tempore vigente).
Successivamente, il legislatore innovò la disciplina strumentale stabilendo che in luogo del registro si procedesse alla compilazione di una “scheda conforme al modello approvato con decreto del Ministro dell'interno, fatta compilare e firmare personalmente dagli alloggiati, ed integrata, a cura degli albergatori o altri esercenti predetti, dagli estremi del documento di identità, passaporto o documento equivalente”; la scheda doveva poi essere trasmessa all’Autorità di pubblica sicurezza con la medesima frequenza giornaliera, mentre gli eventuali inadempimenti rifluivano dall’alveo della illiceità penale verso quello degli illeciti amministrativi.
Già nel 1995 fece capolino, sia pur in via alternativa e succedanea, la trasmissione dei dati “mediante comunicazione, anche con mezzi informatici, effettuate secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno”. Finalmente, in virtù degli interventi novellistici del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, il terzo comma venne integralmente riscritto prevedendo che gli albergatori, entro le 24 ore successive all’arrivo degli ospiti, procedessero a comunicare alle Questure territorialmente competenti “avvalendosi di mezzi informatici o telematici o mediante fax, le generalità delle persone alloggiate, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno, sentito il Garante per la protezione dei dati personali”. La misura è, tuttora, vigente avendo ricevuto compiuta attuazione con l’emanazione del Decreto ministeriale 7 gennaio 2013 recante disposizioni concernenti la comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza dell’arrivo di persone alloggiate in strutture ricettive.
3.3. – La ratio legis che ispira la disciplina de qua sin dalle sue prime formulazioni è stata autorevolmente enucleata dalla Corte costituzionale in occasione dello scrutinio di una questione incidentale di costituzionalità con l’ordinanza n. 262 del 1° luglio 2005 la quale, nel dichiarare infondati i dubbi di costituzionalità dell’art. 109 T.U.L.P.S. in riferimento all’art. 3 della Costituzione, ha chiarito che “l’obbligo di comunicazione delle generalità delle persone alloggiate imposto dall'art. 109, terzo comma, investe una modalità di svolgimento di tale attività d'impresa [attività alberghiera] che si correla, con immediatezza, a specifiche esigenze di sicurezza pubblica, giacché il predetto obbligo è volto a consentire all’autorità di polizia la più rapida cognizione dei nominativi degli ospiti dell'albergo al fine di garantire, appunto, la sicurezza pubblica nell’ambito dei compiti d'istituto individuati dall’art. 1 TULPS”.
4. – Tracciati questi indispensabili lineamenti ricostruttivi dell’evoluzione del formante normativo, il Collegio deve soffermarsi sull’effettivo tenore della Circolare impugnata prendendo le mosse dai destinatari cui risulta essere indirizzata: la circolare in parola è stata, infatti, emanata dal Direttore generale della pubblica sicurezza e si rivolge a tutti i Prefetti e Questori della Repubblica con preghiera di assicurarne la diffusione dei contenuti nei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica e diramarli a tutti i Sindaci e alle Camere di commercio affinché ne diano notizia alle associazioni di categoria. Tale circostanza corrobora la reiterata eccezione della difesa erariale che rivendica il carattere di atto meramente interno privo di immediato contenuto lesivo e, per l’effetto, non impugnabile innanzi al giudice amministrativo.
Sul versante contenutistico, la Circolare, dopo aver esaminato la pratica del cd. “check in da remoto”, consistente in buona sostanza nella identificazione da remoto degli ospiti delle strutture ricettive a breve termine mediante trasmissione informatica delle copie dei documenti e accesso negli alloggi con codice di apertura automatizzata ovvero tramite installazione di key boxes all’ingresso, afferma che “tali procedure non possano ritenersi satisfattive degli adempimenti di cui all’articolo 109 TULPS, cui sono tenuti i gestori di strutture ricettive” ribadendo che “i gestori di strutture ricettive sono tenuti a verificare l’identità degli ospiti, comunicandola alla Questura esclusivamente secondo le modalità indicate dal decreto del Ministro dell’interno in data 7 gennaio 2013, recante “Disposizioni concernenti la comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza dell’arrivo di persone alloggiate in strutture ricettive”, come modificato dal Decreto del Ministro dell’interno in data 16 settembre 2021”.
4.2. – Orbene, le conclusioni rassegnate dal Capo della Polizia nella ridetta Circolare, laddove egli “conferma l’obbligo posto a carico dei gestori di strutture ricettive di ogni genere e tipologia – come nella ratio sottesa all’art. 109 TULPS – di verificare l’identità degli ospiti mediante verifica de visu della corrispondenza tra persone alloggiate e documenti forniti”, si appalesano meramente ricognitive dell’obbligo di legge senza nulla aggiungere a riprova della natura genuinamente interpretativa della circolare il cui principale obiettivo è quello di confermare la portata degli obblighi recati dall’art. 109 T.U.L.P.S. e non già quello di introdurre – o reintrodurre, come vorrebbe intendere il primo giudice – l’obbligo di identificazione de visu, invero ininterrottamente vigente nell’ordinamento dello Stato italiano sin dall’11 luglio 1931 con l’entrata in vigore del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si appalesa fondato il primo profilo di gravame per l’evidente fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse diretto e concreto della ricorrente in ragione della acclarata natura di atto interno a valenza meramente interpretativa della Circolare impugnata, destinata ad illustrare gli indirizzi operativi agli organi dell’Amministrazione periferica del Ministero dell’interno.
5. – Per scrupolo di completezza, pur ritenendo di dirimere la controversia sul crinale di merito, il Collegio deve puntualizzare che, come precisato in esordio, il ricorso introduttivo sconta ulteriori profili di inammissibilità rispetto a quello testé esaminato, ancorché non eccepiti dalla difesa erariale, nè riscontrati dal giudice di prime cure: come sunteggiato in narrativa, il decreto presidenziale n. 541 del 9 settembre 2025 ha, infatti, rilevato ex officio ai sensi dell’art. 72-bis cod. proc. amm. il possibile difetto di legittimazione ad agire dell’appellata F.A.R.E. – aspetto sostanzialmente superato in virtù dei depositi documentali esaminati sub 1 - e la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di primo grado.
5.1. – Con riguardo a tale ultimo profilo, la sopravvenuta integrazione del contraddittorio a favore dell’Associazione Italiana Confindustria Alberghi (qui di seguito, A.I.C.A.) e la Federazione delle Associazioni Italiane Alberghi e Turismo (qui di seguito, Federalberghi) ha fatto emergere nitidamente la posizione di controinteresse dell’intero settore della recettività alberghiera, che si connota per la presenza, al desk della reception, di una risorsa lavorativa dedicata all’identificazione di ciascun cliente, quale condizione necessaria per l’accesso alla camera. Il contenuto dettagliato della circolare e i motivi di ricorso contro di essa sviluppati da F.A.R.E. rendono evidente che l’impugnativa è stata proposta nella piena consapevolezza che vi sono altri operatori che, invece, seguono abitualmente le indicazioni della circolare: ne costituisce plastica testimonianza la formulazione del secondo motivo di ricorso ove l’Associazione ricorrente in primo grado giunge financo a denunciare la “violazione dei principi di uguaglianza, concorrenza e non discriminazione, nonché di libertà di iniziativa economica privata” poiché la Circolare inciderebbe pregiudizievolmente sul sistema delle locazioni brevi “comportando una pesantissima contrazione degli affari ad illegittimo vantaggio delle strutture alberghiere”.
5.2. – Conseguentemente, non può dubitarsi della circostanza che sia A.I.C.A. sia Federalberghi - in qualità di associazioni di categoria rappresentative degli operatori alberghieri – ricoprissero la veste di controinteressate necessarie tanto nel giudizio di primo grado quanto nel presente giudizio di impugnazione essendo portatrici di un interesse diretto e qualificato alla conservazione degli effetti scaturenti dal provvedimento oggetto di gravame – effetti che si risolvono, preme ribadirlo, nella mera conferma in via interpretativa della cogenza e della portata degli obblighi di cui all’art. 109 T.U.L.P.S..
Ciò varrebbe a configurare una ulteriore causa di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata notifica ad almeno un controinteressato ex art. 41, co. 2 cod. proc. amm. - non potendo rivestire tale posizione né la Prefettura di Roma (che non ha personalità giuridica autonoma in quanto afferente al Dicastero), né la signora Francesca Orietti, in quanto titolare di una struttura extralberghiera, quindi cointeressata.
6. – Anche il secondo motivo di appello è fondato.
6.1. – Non può, infatti, essere condiviso il percorso esegetico tracciato dal giudice di prime cure circa l’evoluzione normativa e la portata degli obblighi rivenienti dall’art. 109 T.U.L.P.S.
Invero, la trama normativa ha mantenuto saldamente costanti una serie di ancoraggi che postulano in via logicamente necessaria l’identificazione de visu degli ospiti delle strutture ricettive: da un lato, la verifica che gli ospiti siano muniti di “carta d'identità o di altro documento idoneo ad attestarne l'identità secondo le norme vigenti” quale condizione esclusiva per l’accesso al servizio alloggiativo (comma 1), estesa quoad effectum, nell’ipotesi di stranieri extracomunitari, all’esibizione del passaporto o di altro documento che sia considerato ad esso equivalente in forza di accordi internazionali, purché munito della fotografia del titolare; dall’altro, la comunicazione da parte dei gestori mediante mezzi informatici o telematici o fax delle generalità delle persone alloggiate “entro le ventiquattr’ore successive all’arrivo, e comunque entro le sei ore successive all'arrivo nel caso di soggiorni non superiori alle ventiquattro ore” (comma 3).
6.2. – Orbene, entrambi gli adempimenti presuppongono che il gestore verifichi la corrispondenza delle generalità delle persone alloggiate con quelle attestate nei documenti di identità quantomeno con riguardo alla fotografia effigiata nel documento, come desumibile dalla formula di chiusura recata dal comma 2 che apre anche agli altri documenti che siano considerati equivalenti in forza di accordi internazionali “purchè muniti della fotografia del titolare”. Tale verifica – che ben può essere compendiata efficacemente nella formula di sintesi “documento idoneo ad attestar[n]e l'identità secondo le norme vigenti” - non può che essere effettuata de visu in quanto il gestore deve accertare – e successivamente comunicare alla Questura territorialmente competente – la presenza nella struttura ricettiva in una certa data della persona compiutamente identificata nelle sue generalità non potendo ritenere satisfattiva la prassi del cd “check in da remoto” attenzionata nella Circolare, quanto alle garanzie di riscontro circa luogo, tempo e corrispondenza visiva tra titolare del documento di identità e ospite della struttura.
6.3. – Diversamente da quanto opinato dal primo giudice, tale passaggio – ossia la verifica che gli ospiti siano muniti di “carta d'identità o di altro documento idoneo ad attestarne l'identità secondo le norme vigenti” - non è mai stato soppresso dall’intervento novellistico di semplificazione recato dalla legge n. 135 del 2001, la cui incidenza è invero rimasta circoscritta alle sole modalità di comunicazione delle generalità degli ospiti, espletabile non più con dichiarazione sottoscritta, ma con moduli telematici compilati dallo stesso gestore (v. art. 40 d.l. n. 201/2011).
Per scrupolo di completezza, non sfugge al Collegio che, a rigor di logica, la identificazione de visu al centro delle contestazioni non si esaurisce giocoforza nella verifica analogica in presenza da parte del titolare atteso che, attraverso le nuove tecnologie dell’informazione, essa potrebbe essere effettuata mediante appositi dispositivi di videocollegamento predisposti dal gestore all’ingresso della struttura purché idonei ad accertare, hic et nunc, l’effettiva corrispondenza tra ospite e titolare del documento di identità, esibito o trasmesso con altro canale telematico all’atto dell’accesso alla struttura (es. spioncino digitale o QR code che faccia un fermo immagine). Senonché, la circolare non tocca questi aspetti, né per converso li esclude categoricamente, limitandosi a censurare le procedure più estreme di check in remoto con cui i gestori acquisiscono semplicemente i documenti di identità degli ospiti senza alcun controllo visivo e trasmettono agli stessi codici di apertura automatizzata delle porte o di key box poste all’ingresso, vanificando in tal modo la ratio securitaria sottesa all’identificazione de visu e alla successiva comunicazione all’Autorità locale di pubblica sicurezza previsti dall’art. 109 T.U.L.P.S..
6.4. – In adesione alle censure di parte appellante, il Collegio osserva che la sentenza di prime cure appare meritevole di riforma anche laddove ha ravvisato la violazione del principio di proporzionalità e l’eccesso di potere collegato ad una carenza di istruttoria.
Appare fin troppo fragile l’argomento svolto in prime cure secondo cui l’obbligo di identificazione de visu risulterebbe sproporzionato perché inidoneo allo scopo – potendo qualunque ospite consentire l’accesso nell’alloggio a terzi soggetti non identificati. Pur non potendosi sventare del tutto tale eventualità, non v’è chi non veda la chiara valenza ostativa e deterrente della previsione normativa la quale, in ogni caso, espone il prestanome malintenzionato al possibile rintracciamento da parte delle forze dell’ordine per gli eventuali approfondimenti investigativi nell’ambito dei compiti di istituto di cui all’art. 1 T.U.L.P.S..
6.4.1. – Del pari, la ritenuta carenza istruttoria per mancata allegazione di dati a comprova dell’elevato livello di allerta e delle delicate esigenze da fronteggiare in considerazione della congiuntura internazionale, contrassegnata da innumerevoli teatri bellici e azioni terroristiche, si scontra con l’evidenza del fatto notorio, che non abbisogna di precipui apporti istruttori nella sede procedimentale al pari dell’attività istruttoria processuale che può prescindere dagli elementi di prova allorquando a fondamento delle decisioni vengono poste le nozioni che rientrano nella comune esperienza ex art. 115 c.p.c..
Sono fuori fuoco e scarsamente argomentati sia il profilo censorio che stigmatizza l’asserita disparità di trattamento con altri settori come il noleggio di autoveicoli, sottendendo parametri legislativi - da un lato, il ridetto art. 109 T.U.L.P.S., dall’altro l’art. 17 del D.L. n. 113/2018 - ben distinti e non assimilabili in ragione dell’evidente eterogeneità dei settori, sia l’asserito snaturamento del contratto di locazione, del tutto inconferente a mente dell’effetto di eterointegrazione contrattuale ex art. 1374 cod. civ. in forza di norme di legge imperative come l’art. 109 T.U.L.P.S..
6.4.2. – Non coglie, inoltre, nel segno la critica svolta in prime cure e riproposta in appello circa lo sviamento di potere e la violazione del principio di tipicità degli atti e provvedimenti amministrativi atteso che la circolare impugnata non costituisce l’esercizio del potere regolamentare di cui al comma 3 dell’art. 109 T.U.L.P.S., bensì rappresenta un atto di indirizzo interno recante indicazioni interpretative e applicative per i Prefetti e i Questori chiamati a dare uniforme applicazione alla disposizione di rango primario, la cui cogenza rimane immutata.
Parimenti, sconta un’insanabile fallacia la censura concernente la violazione dei principi di concorrenza e di non discriminazione visto che, nell’adombrare presunti effetti punitivi del sistema delle locazioni brevi a vantaggio del settore alberghiero, sottace la dirimente considerazione che i due settori sono pienamente omologati dalla disposizione in esame in virtù della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 19-bis, comma 1, d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, secondo cui l’art. 109 T.U.L.P.S. si interpreta nel senso che gli obblighi in esso previsti si applicano anche con riguardo ai locatori o sublocatori che locano immobili o parti di essi con contratti di durata inferiore a trenta giorni. Indi, a parità di obblighi per tutti i gestori di strutture ricettive, che si tratti del settore alberghiero o di quello extra-alberghiero, non si vede quale possa essere lo svantaggio concorrenziale o l’effetto discriminatorio.
6.4.3. – Deve essere recisamente respinta, altresì, la doglianza in ordine alla presunta violazione del principio di riserva di legge ex art. 25 Cost. perpetrata a causa dell’ampliamento dell’area di prensione punitiva di cui all’art. 17 T.U.L.P.S. – che sanziona penalmente le violazioni del testo unico non altrimenti punite: invero, si è già ampiamente argomentato circa la portata non innovativa della circolare impugnata, la quale si limita a ribadire la cogenza dell’obbligo di legge introdotto dalla disposizione del testo unico, lasciando impregiudicato il regime sanzionatorio che ne presidia l’effettività.
In limine, la deduzione sulla violazione e falsa applicazione della Direttiva 2006/123/CE e dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi risulta del tutto inconferente, atteso che tali principi unionali concernono i regimi autorizzativi per l’esercizio di un’attività di servizi, mentre nel caso di specie la Circolare non solo non prevede obblighi per l’accesso all’esercizio dei servizi ricettivi da parte dei titolari delle strutture, ma non introduce neppure nuovi obblighi relativi alle modalità di esercizio dei servizi stessi, i quali già erano soggetti – in virtù della norma primaria – all’onere di verificare l’identità degli ospiti.
7. – In conclusione, alla luce dei plurimi profili di fondatezza, l’appello del Ministero dell’interno deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere riformata la sentenza impugnata con integrale rigetto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
8. – La peculiarità della questione giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2025 con l’intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente
Giovanni Pescatore, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere
Luca Di Raimondo, Consigliere
Angelo Roberto Cerroni, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
Angelo Roberto Cerroni
IL PRESIDENTE
Rosanna De Nictolis
IL SEGRETARIO