Responsabilità professionale, condotta omissiva, regola del "più probabile che non", applicabilità

Corte appello Milano, Sentenza del 21/03/2022

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Responsabilità professionale, condotta omissiva, regola del "più probabile che non", applicabilità

Nell'accertamento del nesso di causalità in materia di responsabilità civile è da applicarsi la regola della preponderanza del «più probabile che non» e tale criterio deve ritenersi applicabile anche nei casi di responsabilità professionale per condotta omissiva (fattispecie relativa alla responsabilità professionale per negligenza di due avvocati in relazione alla mancata chiamata al procedimento di mediazione di omissis, parte processuale e litisconsorte necessario in un giudizio di accertamento della proprietà di una porzione condominiale).

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Corte di appello di Milano, sentenza del 21.3.2022, n. 936 

…omissis…

L'appello principale è fondato, mentre l'appello incidentale non può trovare accoglimento.
Rileva la Corte come i motivi siano logicamente connessi e quindi possano essere congiuntamente valutati.
Giova premettere una sintesi della decisione del Tribunale, utile alla valutazione dei motivi di appello proposti dalle parti. 
Richiamato lo svolgimento dei fatti efficacemente esposto dal giudice di prime cure, questa Corte rileva che il Tribunale ha ravvisato la sussistenza dell'errore professionale dei convenuti per non aver provveduto a convocare alla mediazione obbligatoria omissis, litisconsorte necessario nel giudizio promosso per l'accertamento della proprietà del sottotetto sovrastante l'appartamento della omissis, parte citata nello stesso atto di citazione predisposto dagli avvocati, escludendo invece la responsabilità professionale con riferimento alla mancata dichiarazione di rinuncia agli atti udienza di precisazione delle conclusioni.
Tuttavia ha solo parzialmente accolto la domanda di risarcimento, con riferimento al solo danno derivato dalla condanna alla rifusione delle spese processuali in favore dei convenuti che si erano costituiti senza proporre domande riconvenzionali, ossia omissis ed omissis, per euro 9.000,00 nonché omissis per euro 8.000,00, per un totale di euro 17.000,00; ha inoltre condannato i convenuti oltre alla restituzione del compenso versato dall'attrice a loro favore quali difensori per l'importo di euro 4.318,30.
Il giudice di prime cure, infatti, con una sentenza molto articolata sui diversi giudizi prognostici in relazione ai profili dedotti nella causa promossa in primo grado, alle diverse posizioni processuali dei convenuti ed alla sussistenza di un concorso di colpa ex art. 1227 c.c., ha accertato il difetto di nesso causale fra la responsabilità in ordine all'omessa convocazione per mediazione e la condanna al pagamento delle spese processuali nei confronti delle parti costituite che avevano proposto domande riconvenzionali. Ha inoltre escluso il nesso causale fra l'omissione dei professionisti e la condanna ex art. 96 c.p.c. a favore di tutte le parti convenute, sia quelle che avevano proposto domanda riconvenzionale che quelle che si erano costituite puramente e semplicemente.
Ha quindi condannato gli avvocati convenuti al pagamento della minor somma di euro 21.318,00, ed ha accolto la domanda di manleva formulata dall'avvocato omissis nei confronti di omissis, rigettando quella proposta dall'avvocato omissis.
omissis, come illustrato, contesta la statuizione della sentenza con cinque motivi d'appello.
Con il primo motivo, che in realtà contiene due censure, lamenta l'errata valutazione in ordine alla sussistenza dell'obbligo anche in capo ai convenuti - che avevano proposto domande riconvenzionali - di promuovere la mediazione obbligatoria, nonché l'errato giudizio prognostico sull'esito dell'eventuale appello avverso la sentenza n. 4497/2017 con riferimento alle spese processuali del giudizio.
Con il secondo motivo deduce l'errore nella determinazione del danno riconosciuto al solo importo capitale per le spese processuali corrisposte ai convenuti omissis senza gli accessori di legge; con il terzo motivo deduce l'errata valutazione in ordine all'assenza di nesso causale fra l'omissione dei professionisti e la condanna alla sanzione ex art. 96 c.p.c..
Con il quarto motivo deduce l'errata valutazione in relazione alla necessità dello svolgimento di un giudizio prognostico sul probabile esito favorevole dell'azione giudiziale promossa per il riconoscimento della proprietà della porzione di sottotetto sovrastante il proprio appartamento ed infine col quinto motivo deduce l'errata valutazione del giudice sul concorso di colpa della signora omissis nella causazione del danno ex art. 1227 c.c..
Con l'appello incidentale, i professionisti censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistenti l'errore professionale ed il nesso di causa con riferimento ai convenuti che non avevano proposto domande riconvenzionali, liquidando oltretutto nei loro confronti il risarcimento dei danni in misura superiore al dovuto, dal momento che la causa aveva valore determinabile e non si sono svolte alcune fasi processuali. Censurano inoltre la sentenza per non aver adeguatamente valutato la condotta non improntata a lealtà processuale dei convenuti omissis ed omissis, che avrebbero dovuto informare tempestivamente parte attrice dell'omessa convocazione di omissis alla mediazione. Lamentano inoltre che il Tribunale non abbia adeguatamente valutato impossibilità ad adempiere la prestazione ex art. 1218 c.c. dal momento che l'atto di trasferimento dal contumace omissis della nuda proprietà ad un soggetto estraneo al processo e dell'usufrutto in favore di omissis era avvenuto in corso di causa e all'udienza, tenutasi immediatamente dopo il trasferimento, quest'ultima, che si era costituita chiedendo la propria estromissione dal giudizio in quanto non proprietaria di alcun immobile, non comunicava al giudice la vicenda traslativa; inoltre non veniva eccepita dalle controparti l'omessa convocazione innanzi all'organo di mediazione della signora omissis, circostanza che avrebbe consentito un'integrazione in sede di mediazione.
Insistono, con il terzo motivo, nei profili di dedotta collusione delle controparti ai danni dell'attrice nel giudizio presupposto, già sollevati nella comparsa conclusionale di primo grado e non esaminati dal Tribunale poiché ritenuti inconferenti in quanto attinenti a profili di deontologia professionale. A tal fine hanno depositato i documenti che preliminarmente sono stati ritenuti inammissibili da questa Corte.
Vengono preliminarmente esaminate le censure sollevate con l'appello principale, che devono essere valutate secondo il loro ordine logico e non di proposizione, e sono tutte fondate.
In primo luogo si osserva che anche a giudizio di questa Corte sussiste l'omissione colpevole dei professionisti per non aver effettuato la chiamata in mediazione della parte omissis, dagli stessi individuata come litisconsorte necessario nel proprio atto di citazione, soggetto formalmente parte del giudizio e non estromesso, secondo oltretutto una precisa indicazione del giudice di quella causa che infatti ha pronunciato una sentenza in rito di improcedibilità della domanda, con piena sussistenza del nesso causale fra omissione e danno, rappresentato dalle spese legali oggetto dei capi di condanna a carico dell'attrice soccombente.
E' del tutto infondato, pertanto, il primo motivo di appello incidentale, che verrà successivamente esaminato nei profili inerenti la quantificazione delle spese.
Osserva la Corte che il Tribunale, dopo aver accertato l'errore professionale dei convenuti, al fine di valutare la sussistenza del danno e del nesso di causalità fra l'omissione e il danno, pur avendo correttamente citato un passo motivazionale della sentenza n. 25112/2017 della Suprema Corte, vi si è poi discostato, effettuando un giudizio prognostico sull'esito del giudizio di merito promosso dalla omissis, che nel caso di specie non era richiesto.
Appare opportuno, pertanto, riportare testualmente la motivazione della citata sentenza, che recita “Questa Corte ha ripetutamente affermato che, nell'accertamento del nesso causale in materia di responsabilità civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", a differenza che nel processo penale, ove vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio"  … Tale criterio va tenuto fermo anche nei casi di responsabilità professionale per condotta omissiva (qual è quello in esame): il giudice, accertata l'omissione di un'attività invece dovuta in base alle regole della professione praticata, nonché l'esistenza di un danno che probabilmente ne e la conseguenza, può ritenere, in assenza di fattori alternativi, che tale omissione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno. Occorre, tuttavia, distinguere fra l'omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l'evento dannoso, dall'omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio. In entrambi i casi possono ricorrere gli estremi per la responsabilità civile, ma nella prima ipotesi l'evento dannoso si è effettivamente verificato, quale conseguenza dell'omissione; nell'altra, il danno (che, se patrimoniale, sarebbe da lucro cessante) deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si realmente verificato e non può essere empiricamente accertato”.

Rileva questa Corte che con l'azione di responsabilità promossa, la signora omissis ha chiesto il risarcimento di un danno effettivamente già verificatosi, rappresentato dall'ammontare delle spese legali nonché della condanna ex art. 96 c.p.c., che la stessa fondatamente asserisce essere conseguenza immediata e diretta della negligenza professionale degli avvocati, ipotesi rientrante nella prima fattispecie esaminata dalla Corte nel passo motivazionale sopra riportato, e, per comodità di lettura, sottolineato dall'estensore.
Deve quindi rilevarsi che la valutazione operata dal Tribunale relativa al giudizio prognostico inerente la domanda di accertamento della proprietà del sottotetto appare del tutto fuorviante, in quanto non necessaria nell'ipotesi di specie. In altri termini, l'attrice non ha chiesto il ristoro di danni conseguenti all'esito del giudizio volto all'accertamento della proprietà in suo favore del locale sottotetto e che gli avvocati hanno omesso di incardinare correttamente, che è quindi meramente ipotetico ed avrebbe dovuto costituire “oggetto di un accertamento prognostico nel quale il tema dell'evento di danno e quello del nesso di causalità risultano inevitabilmente connessi sul piano della causalità materiale (i.e. della relazione etiologica condotta/evento)” (Cass. cit).
Nell'ipotesi in esame è stata accertata la responsabilità professionale degli avvocati nei termini indicati dalla sentenza impugnata, che deve sul punto essere confermata, ossia la mancata chiamata al procedimento di mediazione di omissis, parte processuale e litisconsorte necessario in un giudizio di accertamento della proprietà di una porzione condominiale. Tale omissione, come già sopra affermato, ha determinato la pronuncia di improcedibilità della domanda con la condanna dell'attrice al pagamento delle spese legali in favore di tutti i convenuti costituiti, oltre alla condanna ex art. 96 c.p.c. in favore delle medesime parti convenute in considerazione della “perdurante inerzia della parte onerata” proprio all'adempimento per il quale il giudice aveva concesso numerosi rinvii, ossia l'espletamento della mediazione obbligatoria.
Il danno di cui l'attrice chiede quindi in questa sede il risarcimento è un danno già verificato, in quanto consiste nell'ammontare di tutte le spese legali nonché della maggiorazione ex art. 96 c.p.c., cui la stessa è stata condannata in conseguenza dell'omissione dei professionisti che la assistevano.
L'unico profilo da valutare, a giudizio della Corte, atteso che è stato comunque oggetto di doglianza sia nei motivi di appello principale che in quelli di appello incidentale, è il profilo del concorso di colpa della danneggiata ex articolo 1227, per avere volontariamente deciso di non proporre impugnazione avverso la sentenza che l'aveva condannata al pagamento delle suddette spese.
Ritiene questo Collegio che non sussista alcun profilo di concorso di colpa, indicato dalle parti odierne appellate ed appellanti incidentali nella volontà di omissis di non proporre appello avverso la pronuncia di condanna.
Infatti, diversamente valutando la fattispecie rispetto alle considerazioni del Tribunale, l'appello non avrebbe avuto probabilità di accoglimento, nemmeno parziale, quindi non vi sarebbe stata una riduzione o compensazione delle spese processuali fra le parti, o una riforma del capo di condanna ex art. 96 c.p.c., dal momento che le statuizioni contenute nella sentenza n. 4497/2017 sono conformi a diritto.
In primo luogo, rileva questa Corte come non sia condivisibile il metodo utilizzato dal Tribunale per effettuare la valutazione ex art. 1227 c.c., dal momento che il giudice di prime cure ha fondato il proprio convincimento sulla bozza dell'atto di appello predisposta dai professionisti convenuti - e da questi prodotta in giudizio - pacificamente non condiviso dalla cliente e quindi mai depositato.
Infatti, a giudizio di questo Collegio, la valutazione deve essere effettuata sulla base della correttezza della decisione del Tribunale con riferimento ai principi di diritto applicati, sia pure, ovviamente, tenendo conto delle osservazioni critiche svolte dai convenuti, odierni appellati.
L'art. 5 del decreto legislativo 28/2010 prevede, per quel che qui interessa, che “1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, omissis, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto omissis. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale omissis. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.  omissis 2-bis. Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo”.
Ritiene questa Corte che la norma preveda l'obbligo di mediazione unicamente a carico della parte attrice, ossia di quella che promuove il giudizio, e non sia suscettibile di un'applicazione analogica o estensiva che vada oltre il chiaro dettato della sua formulazione, dal momento che prevede una condizione di procedibilità giudiziale della domanda, ossia una limitazione al diritto di agire.
La sentenza della Suprema Corte n. 830/2006, citata dalle parti appellate, non può costituire un principio applicabile anche al caso di specie, dal momento che la pronuncia prevede l'obbligo della mediazione obbligatoria anche a carico del convenuto che agisca in riconvenzione in materia di contratti agrari, secondo l'art. 46 della legge n. 203 del 1982 , che è legge speciale e diversa da quella che ha introdotto la mediazione obbligatoria per le controversie quali quelle oggetto della domanda in esame.
Pertanto, ritiene questa Corte, del tutto conforme ai principi di diritto è la decisione del Tribunale che ha dichiarato l'improcedibilità della domanda per omessa convocazione di tutte le parti convenute in mediazione obbligatoria, senza fare alcun riferimento alla circostanza che in giudizio fossero state proposte domande riconvenzionali subordinate in relazione alle quali non era stata proposta domanda di mediazione, dal momento che la norma non estende la condizione di procedibilità anche alle domande riconvenzionali. L'appello, quindi, sul punto non avrebbe avuto alcuna possibilità di accoglimento, al contrario di quanto sostenuto nella sentenza impugnata e nella prospettazione degli odierni appellanti incidentali, secondo i quali tale circostanza avrebbe potuto costituire un motivo di compensazione delle spese, quantomeno parziale, con parziale fondatezza dell'appello.
L'appello non avrebbe trovato accoglimento neppure con riferimento alla condanna ex art. 96 c.p.c., dal momento che la stessa è stata irrogata dal giudice secondo un'articolata motivazione sorretta da consolidati arresti giurisprudenziali, in considerazione della sussistenza di colpa grave, indubbiamente configurabile nell'omissione di convocazione in mediazione di una parte citata in giudizio quale litisconsorte necessario, integrante abuso del processo.
Ciò anche in considerazione, osserva la Corte, del lungo lasso di tempo intercorrente fra la notifica della citazione - luglio 2014, tra l'altro dichiarata nulla con ordinanza del 31 gennaio 2015 - e la declaratoria di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione, con assegnazione all'attrice del termine di 15 giorni per provvedervi, rimasta senza esito per l'omessa convocazione di una parte processuale.
Da quanto esposto consegue, a giudizio della Corte, la fondatezza della censura inerente l'erronea esclusione del risarcimento del danno, quale conseguenza immediata e diretta, consistente nelle spese processuali alle quali l'attrice è stata condannata nei confronti dei convenuti che avevano svolto domande riconvenzionali, ossia il condominio di viale omissis, omissis, per complessivi euro 17.000,00 per compensi oltre spese generali, IVA e CPA, nonché con riferimento agli importi di cui ai capi 6, 7, 8, 9 della sentenza numero 4497/2017, ossia degli importi della condanna ex art. 96 c.p.c.
E' fondato infine il secondo motivo d'appello, con cui omissis lamenta che il danno liquidato dal Tribunale sia stato determinato nei soli importi in linea capitale per i compensi professionali, sia quelli sostenuti dalle parti omissis ed omissis, che quelli corrisposti ai propri avvocati, odierni appellati. omissis.
Il danno ammonta pertanto all'importo complessivo di euro 66.610,08 a titolo di spese legali e condanna ex art. 96 c.p.c.; deve inoltre essere confermata la statuizione di condanna degli avvocati omissis in solido, alla restituzione dei compensi professionali pagati da omissis nella misura di 4.318,30 portate dalle fatture prodotte in atti. omissis

PQM

La Corte d'Appello, definitivamente pronunciando omissis: in accoglimento dell'appello ed in riforma del capo 1) dell'impugnata sentenza condanna omissis ed omissis al pagamento in solido fra loro ed in favore di omissis delle seguenti somme, così rideterminate per le ragioni espresse in parte motiva in complessivi € 66.610,08 di cui omissis; condanna omissis ed omissis al pagamento in solido fra loro ed in favore di omissis euro 4.318,30 a titolo restitutorio dei compensi professionali corrisposti da omissis; conferma la statuizione del riconoscimento degli interessi legali su tali importi “decorrenti dalle singole scadenze al saldo”; condanna omissis Italia s.p.a. a tenere indenne e manlevare omissis; condanna omissis ed omissis in solido fra loro alla refusione delle spese processuali del giudizio in favore di omissis così liquidate: omissis; condanna omissis Italia s.p.a. alla refusione delle spese processuali del grado in favore di omissis liquidate in omissis; conferma nel resto l'impugnata sentenza.
 

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