Corte Costituzionale, Sentenza n.17 del 15/02/2024

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Giudizio costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - In genere -Ricorso - Requisiti nel conflitto promosso dall'autorità giudiziaria sull'insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari nell'esercizio delle funzioni - Necessità, nel rispetto del principio di completezza e autosufficienza dell'atto introduttivo, che sia riprodotto il contenuto delle dichiarazioni rese, specificamente riferibili a ciascun parlamentare, ai fini della verifica del nesso funzionale (nel caso di specie: inammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Tribunale di Salerno, sez. prima civ., nei confronti della Camera dei deputati, in riferimento alle deliberazioni con le quali è stata affermata l'insindacabilità delle dichiarazioni rese da due deputati, per le quali pende giudizio civile per risarcimento dei danni). (Classif. 114001)

Nei conflitti di attribuzione proposti dall’autorità giudiziaria in ordine alla corretta applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost. da parte della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, il ricorso deve identificare con sufficiente grado di precisione il contenuto delle dichiarazioni ritenute diffamatorie rese extra moenia al fine di raffrontarlo con quello di eventuali atti tipici della funzione parlamentare. (Precedenti: S. 59/2018 - mass. 39944; S. 4/2015 - mass. 38217; S. 55/2014 - mass. 37788; S. 282/2011 - mass. 35888; S. 31/2009 - mass. 33155; S. 330/2008 - mass. 32829; S. 247/2007 - mass. 31491; S. 52/2007 - mass. 31045).Nei conflitti di attribuzione proposti dall’autorità giudiziaria in ordine alla corretta applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost. da parte della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, le espressioni del parlamentare ritenute diffamatorie devono essere riportate nel ricorso in modo esatto ed obiettivo o, al limite, in atti ad esso allegati che il ricorrente espressamente richiami, non potendo essere tratti autonomamente dalla Corte costituzionale dagli atti del procedimento. In particolare, non è consentita la loro sostituzione con una libera rielaborazione ad opera dell’autorità giudiziaria ricorrente, realizzandosi altrimenti una impropria sovrapposizione tra l’oggettiva rilevanza delle opinioni espresse dal deputato e l’interpretazione soggettiva che ne è stata data, che interferisce con l’accertamento del nesso funzionale tra le frasi pronunciate e gli eventuali atti parlamentari tipici di cui le frasi stesse potrebbero essere la divulgazione esterna. (Precedenti: S. 320/2013 - mass. 37574; S. 282/2011 - mass. 35888; S. 31/2009 - mass. 33155; S. 368/2007 - mass. 31783; S. 305/2007 - mass. 31621; S. 247/2007 - mass. 31491; S. 246/2007 - mass. 31490; S. 236/2007 - mass. 31450; O. 402/2006 - mass. 30824; S. 383/2006 - mass. 30782; S. 336/2006 - mass. 30710; O. 129/2005 - mass. 29298; S. 104/2005 - mass. 29264; S. 79/2005 - mass. 29232).Nei conflitti di attribuzione proposti dall’autorità giudiziaria in ordine alla corretta applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost. da parte della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, il ricorso deve descrivere le specifiche dichiarazioni attribuibili a ciascun parlamentare, le quali, anche se rese in unico contesto, mantengono una loro autonomia ai fini della verifica dell’esistenza del nesso funzionale. (Precedenti: S. 223/2009 - mass. 33599; S. 291/2007 - mass. 31583; S. 267/2005 - mass. 29515; S. 87/2002 - mass. 26856).(Nel caso di specie, è dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Tribunale di Salerno, sez. prima civ., nei confronti della Camera dei deputati in riferimento alle deliberazioni del 27 luglio 2022, con le quali è stata affermata l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., delle dichiarazioni rese da due deputati, per le quali pende giudizio civile per risarcimento dei danni. Il ricorso con cui è stato promosso il conflitto non risponde ai canoni di completezza ed autosufficienza richiesti, in quanto il ricorrente non solo non ha riferito quali siano le espressioni ritenute diffamatorie, limitandosi a sintetizzarne liberamente il senso complessivo, ma non ha neppure descritto le specifiche dichiarazioni attribuibili a ciascun parlamentare, così impedendo la verifica dell’esistenza del nesso funzionale con atti tipici della funzione parlamentare).

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SENTENZA N. 17

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle deliberazioni della Camera dei deputati del 27 luglio 2022, che approvano le proposte della Giunta per le autorizzazioni (doc. IV-quater, numeri 3 e 4), promosso dal Tribunale ordinario di Salerno, sezione prima civile, con ricorso notificato il 24 luglio 2023, depositato in cancelleria il 24 luglio 2023, iscritto al n. 2 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31, prima serie speciale, dell’anno 2023, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2024 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

udito l’avvocato Marco Cerase per la Camera dei deputati;

deliberato nella camera di consiglio del 10 gennaio 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 24 luglio 2023 (reg. confl. pot. n. 2 del 2023), il Tribunale ordinario di Salerno, sezione prima civile, promuove conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alle deliberazioni del 27 luglio 2022, con le quali la Camera dei deputati, approvando le proposte della Giunta per le autorizzazioni (doc. IV-quater, numeri 3 e 4), ha affermato che le dichiarazioni dell’on. Giorgio Mulè e dell’on. Roberto Occhiuto, per le quali è in corso un giudizio civile presso il predetto Tribunale, costituiscono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

1.1.- Il Tribunale di Salerno riferisce di essere investito di una richiesta di risarcimento di danni non patrimoniali avanzata da M. M., all’epoca dei fatti Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale ordinario di Cosenza, per le dichiarazioni asseritamente diffamatorie rese dai due deputati.

Nell’ambito di una conferenza stampa – convocata in data 13 maggio 2019 presso la sala stampa della Camera dei deputati al «dichiarato scopo», precisa nel proprio atto il ricorrente, di «reagire ad un complotto ordito nei confronti del sindaco di Cosenza Occhiuto Mario», fratello dell’on. Roberto Occhiuto – l’on. Mulè e l’on. Occhiuto avrebbero parlato, «tra l’altro», di «“mala giustizia”» e di «“metodi scorretti”», in tal modo «insinuando il sospetto che M. M. avesse agito sotto le direttive del senatore Morra, al fine di ottenere prestigiosi incarichi dalla Commissione Antimafia».

1.2.- Nel corso del giudizio, i due parlamentari hanno richiesto il rigetto della domanda risarcitoria, in ragione dell’insindacabilità delle proprie opinioni ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.

Il Tribunale di Salerno riferisce di aver «sostanzialmente» rigettato tale richiesta, «pur in mancanza di un espresso provvedimento in tal senso», con l’ordinanza del 13 gennaio 2022 con la quale ha disposto la prosecuzione della fase istruttoria (è citata, sul valore di rigetto implicito dell’istanza in caso di silenzio, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 5 dicembre 2014, n. 25739).

Il ricorrente lamenta che, successivamente, con «delibera» del 27 luglio 2022, come da «nota» fatta pervenire al Tribunale dal suo Presidente, la Camera dei deputati ha deliberato nel senso che le dichiarazioni in relazione alle quali è in corso il giudizio sono da ritenersi insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.

Secondo il Tribunale ricorrente, sarebbe dunque «evidente il contrasto tra quanto deliberato dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere ed il contenuto sostanziale della [propria] ordinanza», «dovendosi anzitutto stabilire […] se sussiste nesso eziologico tra le dichiarazioni rese e la funzione parlamentare svolta».

Di qui la conclusione per cui «esiste un conflitto, la cui risoluzione non può che spettare alla Corte Costituzionale», alla quale è in definitiva chiesto di dichiarare l’ammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), «con tutte le conseguenze di legge».

2.- Con ordinanza n. 154 del 2023, questa Corte ha ritenuto sussistenti i presupposti soggettivi e oggettivi del conflitto e lo ha dichiarato ammissibile, in camera di consiglio e senza contraddittorio, ai sensi dell’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953.

3.- In data 7 settembre 2023, si è costituita in giudizio la Camera dei deputati chiedendo che sia dichiarata l’inammissibilità o, comunque sia, la non fondatezza del promosso conflitto.

3.1.- La resistente richiama le frasi oggetto della doglianza in sede civile, espresse dall’on. Occhiuto nella conferenza presso la sala stampa della Camera dei deputati e trasmessa sulla web-tv della medesima, e precisa che secondo l’attrice il loro contenuto, asseritamente diffamatorio, è pienamente condiviso dall’on. Mulè, che aveva introdotto detta conferenza stampa.

La difesa della Camera rileva che la Giunta per le autorizzazioni ha deliberato che le dichiarazioni per cui è causa presso il Tribunale di Salerno sono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, in quanto sulla vicenda il 25 giugno 2019 era stata pubblicata un’interpellanza urgente (n. 2-00433), firmata dall’on. Occhiuto e, in data 4 luglio 2019, sottoscritta anche dall’on. Mulè: interpellanza che l’on. Occhiuto avrebbe preannunciato durante la conferenza stampa.

La Giunta, peraltro, aveva accertato, per il tramite dei competenti uffici della Camera, che l’atto ispettivo era stato presentato tramite l’applicazione informatica il 12 maggio 2019 – dunque il giorno antecedente la conferenza stampa – ed era stato pubblicato solo il successivo 25 giugno «dopo il vaglio di ammissibilità svolto – come sempre avviene per gli atti del sindacato ispettivo – dal Presidente della Camera».

In ragione della circostanza per cui i contenuti dell’interpellanza sono stati sostanzialmente riprodotti nella conferenza stampa, la Giunta ha proposto all’Assemblea di dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse dagli onorevoli Occhiuto e Mulè, come poi è effettivamente avvenuto con le deliberazioni oggetto del conflitto.

3.2.- Tutto ciò premesso, la difesa della Camera dei deputati ritiene il promosso conflitto «inammissibile per un ventaglio di motivi».

3.2.1.- Il ricorrente, innanzitutto, non avrebbe sufficientemente esposto le ragioni del conflitto, come invece richiesto dall’art. 26 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il quale non prevede più che l’esposizione delle ragioni del conflitto sia «sommaria».

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, sarebbe consolidata nel senso che, in conflitti concernenti l’applicabilità dell’art. 68, primo comma, Cost., l’autorità giudiziaria «ha l’onere – in ossequio al principio di completezza e di autosufficienza del ricorso – di riportare “compiutamente”, “puntualmente” ed “in modo esatto ed obiettivo”, le dichiarazioni asseritamente offensive addebitate al parlamentare», perché solo così è possibile verificare la sussistenza o meno del cosiddetto nesso funzionale. Sarebbe stato ripetutamente affermato, altresì, che alla mancata puntuale riproduzione delle dichiarazioni del parlamentare non si può sopperire guardando agli atti del procedimento, «in quanto è nel solo atto introduttivo e negli eventuali documenti a esso allegati che devono essere rinvenuti gli elementi identificativi della causa petendi e del petitum del conflitto».

Il Tribunale di Salerno, invece, non avrebbe compiutamente menzionato le dichiarazioni dei deputati asseritamente diffamatorie all’origine del giudizio civile, essendosi limitato ad attribuire ai deputati due soli sintagmi («mala giustizia» e «metodi scorretti») e per il resto avendo sintetizzato «con parole proprie (ma in maniera, invero, assai lacunosa) quale sarebbe stato il contenuto diffamatorio».

Di qui l’inammissibilità del conflitto, tanto più che questa Corte avrebbe più volte precisato che «non è consentita la sostituzione delle espressioni ritenute offensive con una libera rielaborazione a opera dell’autorità giudiziaria ricorrente», in quanto in tal modo l’interpretazione soggettiva delle opinioni espresse dal parlamentare «interferisce con l’accertamento del nesso funzionale tra le frasi pronunciate e gli eventuali atti parlamentari tipici, di cui le frasi stesse potrebbero essere la divulgazione esterna».

La Camera dei deputati rileva, inoltre, come la lacuna dell’atto introduttivo del giudizio, per un verso, impedisce «il pieno dispiegarsi» della propria difesa, in quanto non si conosce il thema decidendum del conflitto; per un altro, non consente al giudice dei conflitti di valutare se effettivamente sussista il nesso funzionale tra le frasi oggetto del giudizio civile e gli atti parlamentari dei quali esse potrebbero essere divulgative.

Il Tribunale di Salerno, d’altra parte, non avrebbe neppure indicato i parametri costituzionali che reputa violati, limitandosi a constatare che vi è stata una diversa valutazione, tra esso giudice e la Camera dei deputati, in ordine alla sussistenza del requisito dell’insindacabilità ex art. 68, primo comma, Cost.

3.2.2.- La Camera resistente ritiene inammissibile il conflitto anche perché manca «una chiara richiesta di spettanza del potere e di annullamento delle delibere parlamentari»: ciò che questa Corte porrebbe a fondamento dell’ammissibilità del conflitto sin dalla sentenza n. 363 del 2001, ampiamente citata dalla difesa.

3.2.3.- La resistente rileva, poi, che le deliberazioni che hanno affermato l’insindacabilità delle opinioni dell’on. Occhiuto e dell’on. Mulè sono due e che, pertanto, ciascuna di esse, secondo quanto affermato nella sentenza n. 223 del 2009, «avrebbe dovuto essere investita di specifiche doglianze, ben individuate e loro riferibili». Il Tribunale di Salerno, che non si è attenuto a tale principio, nel dispositivo si è addirittura riferito a una sola deliberazione.

3.3.- Nel merito, che la difesa della Camera dei deputati affronta «[p]er mero scrupolo difensivo», il conflitto sarebbe ad ogni modo non fondato.

3.3.1.- Per quel che riguarda l’on. Occhiuto, la resistente osserva che egli, già il giorno antecedente la conferenza stampa, «aveva immesso nel sistema informatico della Camera dei deputati l’atto che sarebbe diventato l’interpellanza urgente n. 2-00433», pubblicata il 25 giugno 2019. Questa Corte ha riconosciuto che la presentazione dell’atto parlamentare è atto di funzione, a prescindere dalla sua pubblicazione (è richiamata la sentenza n. 379 del 2003).

Quanto ai contenuti di tale interpellanza, ampiamente e testualmente richiamati nell’atto di costituzione, essi sarebbero volti, al pari delle dichiarazioni in conferenza stampa, a censurare «il comportamento – ritenuto discutibile – di un magistrato, il quale aveva con solerzia dato seguito alle denunzie del senatore Nicola Morra e poi era divenuta consulente della Commissione d’inchiesta parlamentare sulle mafie, presieduta dal medesimo Morra». Vi sarebbe, dunque, quell’identità di contenuto sufficiente a fondare, secondo la giurisprudenza costituzionale, l’esistenza del nesso funzionale.

3.3.2.- Analoghe considerazioni varrebbero per quel che riguarda l’on. Mulè, «il quale ha in tutto e per tutto partecipato all’iter realizzativo dell’interpellanza parlamentare n. 2-00433»: egli, infatti, ha partecipato alla conferenza stampa che detta interpellanza annunciava, ha aggiunto la propria firma all’interpellanza in data 4 luglio 2019 e l’ha illustrata in aula il giorno successivo (con parole ampiamente riportate anche nell’atto difensivo).

La resistente osserva, allora, che vi sarebbe «un contesto sostanziale e temporale unitario». Ciò che è sostenuto, in particolare, alla luce della circostanza che questa Corte, nella sentenza n. 133 del 2018, avrebbe riconosciuto che l’insindacabilità ex art. 68, primo comma, Cost. potrebbe coprire anche dichiarazioni extra moenia «non necessariamente connesse ad atti parlamentari ma per le quali si ritenga nondimeno sussistente un evidente e qualificato nesso con l’esercizio della funzione parlamentare»: se così è, allora il nesso funzionale deve dirsi sussistente allorché le dichiarazioni siano rese, come nel caso di specie, «prima dell’apposizione della firma dell’atto ispettivo, ma nel corso di una conferenza stampa volta proprio a preannunciare e a divulgare il contenuto dell’atto medesimo», secondo peraltro il criterio di adeguatezza e proporzionalità di cui alla sentenza n. 221 del 2014.

Significativo, secondo la difesa della Camera, sarebbe poi il precedente di cui alla sentenza n. 219 del 2003. Allora, infatti, questa Corte rigettò un conflitto promosso dall’autorità giudiziaria nei confronti di una deliberazione d’insindacabilità del Senato della Repubblica riferita a una lettera di un capogruppo in Commissione antimafia al suo presidente: se è stato ritenuto insindacabile un atto atipico quale quello, a maggior ragione dovrebbe esserlo il preannuncio di un atto tipico.

La difesa della resistente conclude, infine, rilevando che l’on. Mulè ha solo introdotto la conferenza stampa, svolgendo «considerazioni introduttive e di carattere generale con cui censura il modo di operare di alcuni pubblici ufficiali, i quali svolgono delicate funzioni istituzionali», e non ha mai fatto il nome di M. M. Le frasi dell’on. Mulè, pertanto, sarebbero espressione del diritto di opinione e di critica di cui all’art. 21 Cost., per come ricostruito anche dalla giurisprudenza penale della Corte di cassazione.

4.- In prossimità dell’udienza, la Camera dei deputati ha depositato una memoria con la quale ha insistito per l’inammissibilità o la non fondatezza del ricorso, ribadendo gli argomenti già adoperati nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso in epigrafe, il Tribunale di Salerno, sezione prima civile, promuove conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alle deliberazioni del 27 luglio 2022, con le quali la Camera dei deputati, approvando le proposte della Giunta per le autorizzazioni (doc. IV-quater, numeri 3 e 4), ha affermato che le dichiarazioni dell’on. Giorgio Mulè e dell’on. Roberto Occhiuto, per le quali è in corso un giudizio civile presso il predetto Tribunale, costituiscono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.

1.1.- Il ricorrente riferisce che è chiamato a decidere su una richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali, asseritamente patiti dall’attrice, M. M., in ragione del carattere diffamatorio delle dichiarazioni che l’on. Mulè e l’on. Occhiuto hanno reso in una conferenza stampa convocata il 13 maggio 2019 presso la sala stampa della Camera dei deputati.

I due deputati, secondo quanto risulta dal ricorso e dalle proposte della Giunta per le autorizzazioni, avevano richiesto al Tribunale di Salerno di dichiarare improcedibile la domanda risarcitoria, ritenendo applicabile l’art. 68, primo comma, Cost. Il ricorrente afferma di avere implicitamente rigettato tale richiesta con l’ordinanza con la quale ha «disposto la prosecuzione della fase istruttoria»: a ciò, tuttavia, non è seguita la trasmissione della copia degli atti alla Camera dei deputati per consentirle di deliberare al riguardo, come invece impone l’art. 3, comma 4, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato). Successivamente, la Camera dei deputati, su istanza dei due parlamentari, ha affermato che le dichiarazioni per cui è pendente il giudizio civile costituiscono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari: di qui il promosso conflitto.

2.- In via preliminare, deve essere confermata l’ammissibilità del conflitto in relazione alla sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 154 del 2023, con la quale si è altresì precisato che restava «impregiudicata ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità».

Non c’è dubbio, infatti, che il Tribunale di Salerno sia legittimato a promuovere conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, trattandosi di organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene nell’esercizio delle funzioni attribuitegli. Altrettanto pacifica è la legittimazione passiva della Camera dei deputati, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la propria volontà in ordine all’applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost.

Quanto ai presupposti oggettivi, l’inibizione a esercitare la funzione giurisdizionale, conseguente alle deliberazioni della Camera dei deputati, è idonea a cagionare, ove le dichiarazioni dei due deputati non fossero riconducibili a opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., la lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita al potere ricorrente. 

3.- Il conflitto è, tuttavia, inammissibile per l’assorbente ragione che si palesa in violazione del principio di completezza e di autosufficienza del ricorso, come d’altra parte eccepito dalla Camera dei deputati.

3.1.- La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha costantemente affermato che il ricorso deve «identificare con sufficiente grado di precisione il contenuto delle dichiarazioni asseritamente diffamatorie rese extra moenia al fine di raffrontarlo con quello di eventuali atti tipici della funzione parlamentare» (sentenza n. 59 del 2018; analogamente, tra le molte, sentenze n. 4 del 2015, n. 55 del 2014, n. 282 del 2011, n. 31 del 2009, n. 330 del 2008, n. 247 e n. 52 del 2007).

Le espressioni ritenute diffamatorie devono, dunque, essere riportate nel ricorso «in modo esatto ed obiettivo» (sentenza n. 31 del 2009) o, al limite, in atti ad esso allegati che il ricorrente espressamente richiami, non potendo questa Corte trarle autonomamente dagli atti del procedimento (sentenze n. 368 e n. 305 del 2007, n. 336 del 2006; ordinanze n. 402 del 2006, n. 129 e n. 104 del 2005). Inoltre, «non è consentita la sostituzione di quelle espressioni “con una libera rielaborazione ad opera dell’autorità giudiziaria ricorrente”, in quanto, così operando, si realizza una “impropria sovrapposizione tra l’oggettiva rilevanza delle opinioni espresse dal deputato […] e l’interpretazione soggettiva che ne è stata data, che interferisce con l’accertamento del nesso funzionale tra le frasi pronunciate […] e gli eventuali atti parlamentari tipici di cui le frasi stesse potrebbero essere la divulgazione esterna” (sentenza n. 79 del 2005; in senso conforme, anche la sentenza n. 383 del 2006)» (sentenza n. 320 del 2013; analogamente sentenze n. 282 del 2011, n. 247, n. 246 e n. 236 del 2007).

3.2.- Nel proprio ricorso il Tribunale di Salerno si è invece limitato ad affermare «che nel corso della conferenza – indetta con il dichiarato scopo di reagire ad un complotto ordito nei confronti del sindaco di Cosenza Occhiuto Mario, fratello dell’on. Roberto – gli onorevoli Mulè e Occhiuto parlavano, tra l’altro, di “mala giustizia” e di “metodi scorretti”, insinuando il sospetto che M. M. avesse agito sotto le direttive del senatore Morra, al fine di ottenere prestigiosi incarichi dalla Commissione Antimafia».

In tal modo, il ricorrente non ha riferito quali siano le espressioni ritenute diffamatorie per cui è pendente il giudizio civile, ma ne ha liberamente sintetizzato il senso complessivo, il che impedisce a questa Corte di compiere il necessario raffronto tra tali espressioni e l’interpellanza, cui si riferiscono le deliberazioni della Camera dei deputati, che l’on. Mulè e l’on. Occhiuto avrebbero esternamente divulgato.

Il Tribunale di Salerno, peraltro, con le richiamate parole non ha neppure soddisfatto l’esigenza, del pari segnalata dalla giurisprudenza di questa Corte, che nel ricorso siano descritte le specifiche dichiarazioni attribuibili a ciascun parlamentare, le quali, anche se rese in unico contesto, mantengono una loro autonomia, di modo che devono essere tenute separate ai fini della verifica dell’esistenza del nesso funzionale (sentenze n. 223 del 2009, n. 291 del 2007, n. 267 del 2005, n. 87 del 2002).

3.3.- Le richiamate lacune del ricorso determinano l’inammissibilità del conflitto di attribuzione promosso dal Tribunale di Salerno.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso, nei confronti della Camera dei deputati, dal Tribunale ordinario di Salerno, sezione prima civile, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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