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Dipendente pubblico licenziato e reintegrato: la buonuscita incide sul risarcimento?

Corte Costituzionale, Sentenza n.144 del 07/10/2025

Nel pubblico impiego la determinazione dell’indennità risarcitoria spettante al dipendente illegittimamente licenziato e poi reintegrato non dipende dall’emolumento di fine rapporto (TFR o IPS).

Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 144 del 7 ottobre 2025, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 2, terzo periodo, del T.U sul pubblico impiego (Dlgs n. 165 del 2021).

Il riferimento al TFR previsto dall’art. 63, comma 2, del d.lgs. 165/2001 ha valore puramente astratto e uniforme, volto ad armonizzare il sistema delle tutele tra pubblico e privato.

La questione

La domanda al centro della vicenda era chiara: per calcolare il risarcimento spettante a un dipendente pubblico illegittimamente licenziato si deve tener conto del tipo di trattamento di fine rapporto?

Il dubbio nasceva perché un dipendente, rimasto nel regime dell’indennità premio di servizio (IPS) anziché passare al TFR, aveva ricevuto un risarcimento più basso in base al diverso parametro retributivo. Il Tribunale di Trento, giudice rimettente, riteneva che ciò violasse gli articoli 3, 36 e 97 della Costituzione, creando una disparità di trattamento e riducendo l’effettività della tutela reintegratoria.

Le norme richiamate

La Corte ha esaminato l’art. 63, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (Testo unico sul pubblico impiego), come modificato dal d.lgs. 75/2017, che prevede la liquidazione dell’indennità risarcitoria "commisurata all’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR".

La disposizione si inserisce nel quadro delle tutele contro il licenziamento illegittimo nel pubblico impiego contrattualizzato, coordinate con quelle previste dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e dalle riforme del 2012 e 2015 (Leggi Fornero e Jobs Act), allo scopo di assicurare omogeneità con il settore privato.

La decisione della Corte

La Consulta ha chiarito che il richiamo al TFR nell’art. 63 TUPI non riguarda il regime previdenziale del lavoratore, ma rappresenta un parametro legale di riferimento per la determinazione dell’indennità risarcitoria dovuta in caso di illegittimo licenziamento.

Pertanto, il fatto che un dipendente sia rimasto nel regime dell’IPS non incide sulla misura del risarcimento, che deve essere calcolato con criteri uniformi per tutti i lavoratori pubblici.

In tal modo, la Corte ha escluso ogni possibile compensazione o riduzione dell’indennità risarcitoria in relazione alla buonuscita percepita, ribadendo la distinzione funzionale tra risarcimento e indennità di fine servizio.

Le conseguenze

La sentenza produce effetti pratici immediati:

  • per le pubbliche amministrazioni, viene esclusa ogni facoltà di compensare o ridurre il risarcimento con il TFS/TFR maturato durante il periodo di estromissione;

  • per i lavoratori reintegrati, viene confermato il diritto a un risarcimento pieno, indipendente dal trattamento di fine rapporto, così da ristabilire l’equilibrio economico leso dal recesso illegittimo.

La decisione si inserisce nella linea della giurisprudenza costituzionale volta a garantire parità di trattamento tra pubblico e privato e a preservare la funzione riparatoria della reintegrazione, che deve rimanere effettiva anche sotto il profilo economico.

Conclusione

In sintesi, il riferimento al TFR nel calcolo del risarcimento previsto dall’art. 63 TUPI ha valore uniformante e astratto, non legato al regime individuale del lavoratore.

La buonuscita resta un istituto autonomo e distinto: non si tocca il TFS, non si tocca il TFR.

Il messaggio della Consulta è chiaro: il danno da licenziamento illegittimo va risarcito per intero, senza decurtazioni, perché la tutela reintegratoria non può essere svuotata della sua effettività economica.

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SENTENZA N. 144

ANNO 2025

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 2, secondo periodo (recte: terzo periodo), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), come modificato dall’art. 21, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» promosso dal Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra S. T. e Azienda provinciale per i servizi sanitari per la Provincia autonoma di Trento, con ordinanza del 9 gennaio 2025, iscritta al n. 13 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Visti l’atto di costituzione di S. T. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nell’udienza pubblica dell’8 luglio 2025 la Giudice relatrice Antonella Sciarrone Alibrandi;

uditi gli avvocati Salvatore Florio e Vincenzo Ferrante per S. T., nonché l’avvocato dello Stato Pietro Garofoli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 10 luglio 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 9 gennaio 2025 (iscritta al n. 13 reg. ord. 2025), il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 2, secondo periodo (recte: terzo periodo), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), come modificato dall’art. 21, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z ), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche».

1.1.– La predetta disposizione è censurata per contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione nella parte in cui dispone, «alla luce di un’interpretazione necessariamente sistematica», che l’indennità risarcitoria, spettante al lavoratore alle dipendenze di una pubblica amministrazione illegittimamente licenziato, assoggettato al regime dell’indennità premio di servizio (IPS) di cui alla legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), sia commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo della predetta indennità, «anziché all’ultima retribuzione comprendente tutti i compensi aventi carattere continuativo che si ricolleghino alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento, ad esclusione di quelli eventuali e di cui non sia certa la percezione, nonché di quelli aventi normalmente carattere occasionale o eccezionale».

1.2.– Il rimettente rappresenta di dover decidere il ricorso proposto da S. T., dirigente medico, avverso la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso, comminatagli in data 19 ottobre 2021 dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento, datrice di lavoro. Espone, in particolare, di aver disposto, sulla base dell’accertata illegittimità del recesso, la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro con sentenza non definitiva, del 14 settembre 2023, e di dover ora procedere alla liquidazione dell’indennità risarcitoria in favore del lavoratore, essendo controversa tra le parti l’individuazione del parametro di riferimento per il relativo calcolo.

Secondo il ricorrente, infatti, tale parametro sarebbe rappresentato dalla «ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto», come testualmente prescritto dall’art. 63, comma 2, terzo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001, da determinarsi sulla base dell’art. 1, comma 2, dell’Allegato 4 al Contratto collettivo provinciale di lavoro del personale dell’area della dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario provinciale per il quadriennio giuridico 2002/2005 – bienni economici 2002-2003 e 2004-2005, sottoscritto il 25 settembre 2006. Per l’effetto, l’indennità in questione risulterebbe di ammontare pari a euro 276.485,31, calcolata sulla base di una retribuzione media mensile pari a euro 14.454,22.

L’Azienda provinciale convenuta, invece, nega l’applicabilità della norma del contratto collettivo invocata dal lavoratore, in quanto riferibile al solo personale che abbia aderito al fondo pensione Laborfonds e che si trovi, per l’effetto, in regime di trattamento di fine rapporto (TFR), mentre il ricorrente, non aderente a detto fondo, risulta soggetto al regime dell’IPS. Pertanto, per l’Azienda, troverebbero applicazione l’art. 2, commi 6 e 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) e l’art. 4, comma 1, dell’accordo quadro nazionale del 29 luglio 1999 in materia di trattamento di fine rapporto e di previdenza complementare per i dipendenti pubblici. Di conseguenza, l’indennità spettante al ricorrente ammonterebbe a euro 162.677,32, determinata sulla base di una retribuzione mensile pari a euro 9.477,88.

1.3.– Ciò posto, per il rimettente, nessuna delle due tesi può essere seguita, presupponendo entrambe l’assoggettamento del lavoratore al regime del TFR disciplinato dall’art. 2120 del codice civile, al quale il ricorrente risulta invece estraneo, per la sua mancata adesione al fondo Laborfonds, che la contrattazione collettiva provinciale prevede come condizione necessaria per la cessazione del regime dell’IPS.

1.4.– Per il giudice a quo si pone quindi «una delicata questione di diritto», ossia se l’indennità risarcitoria di cui all’art. 63, comma 2, terzo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001, spettante al dipendente pubblico illegittimamente licenziato, in regime di indennità premio di servizio, poi reintegrato nel posto di lavoro in forza di una pronuncia giudiziale (come avvenuto nel caso di specie), «debba essere commisurata all’“ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto”, come prescrive letteralmente la norma, o piuttosto, occorra considerarsi che il lavoratore licenziato stava maturando l’indennità di fine servizio comunque denominata». Evidenzia ancora il rimettente come le tesi sostenute dalle parti, pur pervenendo a conclusioni contrastanti, «propendono entrambe per la prima delle due soluzioni», mediante norme però «inconferenti» rispetto alla situazione del ricorrente, perché riservate ai dipendenti pubblici che abbiano richiesto la trasformazione dell’IPS in TFR e dunque riferite a «emolumenti che mai il ricorrente percepirà alla cessazione del rapporto di lavoro».

1.5.– In ragione di ciò, il giudice a quo esclude di poter interpretare in senso letterale la disposizione censurata poiché la stessa si riferirebbe ad un emolumento che in nessun caso potrebbe trovare applicazione al rapporto di lavoro per cui è causa. Conseguentemente, egli ritiene di dover interpretare l’art. 63 più volte citato secondo «ragioni di ordine sistematico, non essendo l’interpretazione letterale sufficiente ad individuare, in modo chiaro ed univoco, il significato e la connessa portata precettiva della norma». Ne segue, per il rimettente, che l’indennità risarcitoria di cui alla suddetta disposizione dovrebbe essere commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo dello specifico emolumento in concreto spettante (TFR o IPS). E ciò poiché «il legislatore, al fine del computo dell’indennità risarcitoria dei danni cagionati dal licenziamento illegittimo, ha sempre considerato lo stato di fatto e diritto in cui si trovava il rapporto di lavoro tra le parti nel periodo immediatamente precedente l’intimazione del licenziamento».

1.6.– Secondo il rimettente, infatti, appare «più probabile» che il legislatore, allorquando ha novellato l’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, «sia stato condizionato» dalla scelta già compiuta nell’ambito del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183) – che si riferisce al calcolo del TFR – «rispetto all’eventualità che abbia considerato la compresenza», tra i pubblici dipendenti, di aventi diritto al TFR e di aventi diritto all’IPS e «abbia consapevolmente scelto di attribuire» a questi ultimi «una tutela risarcitoria commisurata a un emolumento che […] non avrebbero mai ricevuto».

1.7.– Ad avviso del Tribunale, ciò determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori, a seconda che siano assoggettati al regime del TFR, basato su una nozione di retribuzione onnicomprensiva, oppure a quello dell’IPS, basato sul carattere tassativo e predeterminato per legge degli emolumenti ivi rientranti: ai secondi spetterebbe una tutela risarcitoria inferiore, in quanto calcolata su una base retributiva più limitata, pur a fronte del medesimo danno cagionato dal licenziamento illegittimo. Evidenzia infatti il giudice a quo che la retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR ex art. 2120 cod. civ. include una pluralità di emolumenti che, sebbene percepiti in modo fisso e continuativo dal lavoratore, non potrebbero considerarsi ai fini del calcolo dell’IPS, il quale, secondo il diritto vivente, ricomprende solo le voci del «trattamento fondamentale» della retribuzione ex art. 93, comma 1, CCPL area dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario provinciale (sono richiamate, a tal fine, numerose pronunce della Corte di cassazione, a cominciare da sezioni unite civili, sentenza 29 aprile 1997, n. 3673).

1.8.– Alla luce di tale differenza – risultante anche dai conteggi eseguiti dalle parti nel giudizio principale –, l’idoneità dell’indennità risarcitoria ad assolvere la propria funzione, consistente nel riconoscere al lavoratore, illegittimamente licenziato, «quanto avrebbe percepito se, in mancanza del licenziamento, avesse continuato a lavorare e in seguito se, dopo l’annullamento di questo, fosse stato riassunto in esecuzione dell’ordine di reintegrazione imposto dal giudice», sarebbe gravemente compromessa qualora liquidata sulla base dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo dell’IPS (il Tribunale rimettente richiama al riguardo giurisprudenza costituzionale e di legittimità).

1.9.– Conclusivamente, per il giudice a quo – che ravvisa la rilevanza della questione nella circostanza che «il giudizio in corso non [possa] essere definito indipendentemente dalla soluzione» della stessa – il riconoscimento, ad un lavoratore pubblico illegittimamente licenziato, soggetto al regime di IPS, di una tutela risarcitoria «di gran lunga inferiore», rispetto a quella spettante al lavoratore pubblico, parimenti licenziato, in regime di TFR, contrasterebbe con il principio di eguaglianza ex art. 3, primo comma, Cost., «atteso che la diversità di tutela non dipende dalla differente entità dei danni risarcibili subìti per effetto del licenziamento illegittimo».

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio chiedendo che questa Corte dichiari inammissibile, o comunque non fondata, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Trento.

2.1.– In primo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia come il rimettente si sia discostato dall’interpretazione letterale della disposizione censurata e abbia invece ritenuto necessaria un’interpretazione «di ordine sistematico» della stessa, da cui ha fatto poi conseguire il sospetto di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost. Tale prospettazione, dunque, renderebbe manifestamente inammissibile la questione, in base alla giurisprudenza costituzionale sul dovere di interpretazione conforme della legge da parte del giudice.

2.2.– La questione sarebbe comunque non fondata.

Per l’Avvocatura, il dato testuale dell’art. 63, comma 2, terzo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001 sarebbe «chiaro e non discriminatorio» nel disporre che il giudice, al fine di liquidare l’indennità risarcitoria, debba considerare «l’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto», ben potendo detta indennità – di natura forfettaria e senza necessità di prova da parte del lavoratore – avere quale parametro esclusivamente quello indicato dalla disposizione per il calcolo «in astratto» del TFR.

Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva come sia solo l’interpretazione logico-sistematica, avallata dal giudice a quo – ma in contrasto con il dato testuale – a determinare la paventata discriminazione tra lavoratori; da ciò deriverebbe l’impossibilità di assumere l’IPS quale parametro per liquidare l’indennità risarcitoria, essendo ciò escluso dalla stessa lettera della norma. Detta indennità, inoltre, non avrebbe alcuna natura retributiva, come sostenuto dal rimettente, bensì risarcitoria, per la cui quantificazione il legislatore, pur sempre nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di adeguatezza, è libero di esercitare la propria discrezionalità.

3.– Si è costituito in giudizio anche S. T., chiedendo a questa Corte, in particolare, «una pronunzia che assicuri che il pregiudizio da lui sofferto […] dovrà riconoscersi come commisurato alla retribuzione effettivamente perduta, […] dunque, includente tutti gli elementi pagati con continuità in dipendenza dal rapporto di lavoro ed utili ai fini del TFR, di cui all’art. 2120 c.c., […] solo detratto quanto percepito dal ricorrente da altra occupazione».

3.1.– Per la parte, detto risultato potrebbe essere raggiunto sia con una pronuncia di accoglimento, nei termini prospettati dal Tribunale di Trento, sia, per il caso di rigetto, con una pronuncia interpretativa che riconosca che l’indennità in esame deve essere parametrata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

3.2.– Dopo aver ricostruito l’evoluzione della disciplina relativa al licenziamento dei dipendenti pubblici nonché quella dei vari trattamenti di quiescenza, la parte ha evidenziato come l’opzione per l’applicazione di un regime piuttosto che un altro (TFR o IPS) risponda al principio di libertà di adesione alla previdenza complementare e non possa rilevare in ordine alla misura del danno in caso licenziamento illegittimo. Diversa sarebbe inoltre la finalità dei trattamenti di quiescenza, corrisposti quando il rapporto di lavoro si è definitivamente estinto, da quella della reintegra e del risarcimento del danno a fronte di un recesso illegittimo, volti invece a ricostituire quel rapporto, posticipando la percezione del trattamento di quiescenza. Inoltre, con la ricostituzione del rapporto, il lavoratore avrebbe ancora la possibilità di optare per l’applicazione del TFR ai sensi dell’art. 59, comma 56, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), in ragione del differimento al 31 dicembre 2025 del relativo termine di decadenza, come disposto dal Contratto collettivo nazionale quadro sottoscritto il 3 agosto 2021 per la proroga del termine dell’art. 2, comma 3, dell’AQN 29 luglio 1999 in materia di trattamento di fine rapporto e di previdenza complementare per i dipendenti pubblici.

4.– In prossimità dell’udienza, sia la parte sia l’Avvocatura hanno depositato memorie illustrative.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di Trento, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 2, terzo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dall’art. 21, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 75 del 2017, in riferimento al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nella parte in cui dispone, «alla luce di un’interpretazione necessariamente sistematica», che l’indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo, spettante al lavoratore alle dipendenze di una pubblica amministrazione, assoggettato al regime dell’indennità premio di servizio di cui alla legge n. 152 del 1968, sia commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo della predetta indennità, «anziché all’ultima retribuzione comprendente tutti i compensi aventi carattere continuativo che si ricolleghino alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento, ad esclusione di quelli eventuali e di cui non sia certa la percezione, nonché di quelli aventi normalmente carattere occasionale o eccezionale».

1.1.– L’art. 63, comma 2, terzo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede, in particolare, che al dipendente pubblico illegittimamente licenziato sia riconosciuta, oltre alla tutela reintegratoria, «un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità».

1.2.– Il rimettente ha tuttavia escluso di poter interpretare in senso letterale la disposizione poiché la stessa, nel fare richiamo «all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto» si riferirebbe a un emolumento che non potrebbe trovare applicazione al rapporto di lavoro per cui è causa, in mancanza, da parte del lavoratore ricorrente, già dipendente pubblico alla data del 31 dicembre 1995, dell’esercizio dell’opzione per la previdenza complementare e dell’adesione al fondo pensione Laborfonds, previsto dalla contrattazione collettiva provinciale quale presupposto per la cessazione del regime di IPS in favore dell’applicazione del TFR ex art. 2120 cod. civ.

1.3.– Il giudice a quo ha quindi ritenuto di dover necessariamente interpretare l’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 secondo «ragioni di ordine sistematico», nel senso che il parametro di riferimento sarebbe da individuarsi in base al trattamento economico in concreto spettante al lavoratore al momento dell’interruzione del rapporto lavorativo: ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, qualora il lavoratore fosse assoggettato, al momento del recesso, al regime giuridico ex art. 2120 cod. civ., ovvero ultima retribuzione di riferimento per il calcolo dell’indennità premio di servizio, qualora questi fosse invece assoggettato al relativo regime.

1.4.– Tale alternativa determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, in quanto la base retributiva per il calcolo dell’IPS sarebbe più ristretta rispetto a quella di riferimento per il TFR, comportando per il lavoratore assoggettato al primo regime un’indennità risarcitoria di importo inferiore.

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della questione sollevata dal giudice del lavoro di Trento per violazione dell’obbligo di interpretazione conforme e richiesta di avallo interpretativo.

2.1.– L’eccezione non è fondata.

Come ormai da tempo costantemente affermato da questa Corte, infatti, «[a]i fini dell’ammissibilità della questione incidentale, è sufficiente che il rimettente abbia motivato […] sulle ragioni di impraticabilità dell’interpretazione adeguatrice, mentre se tali ragioni siano esatte o meno è profilo che attiene al merito (da ultimo, tra molte, sentenze n. 163, n. 105 e n. 6 del 2024)» (sentenza n. 23 del 2025).

2.1.1.– Nella specie, il Tribunale di Trento ha consapevolmente escluso la praticabilità dell’interpretazione letterale con argomentazioni non implausibili, assumendo conseguentemente che l’esegesi dallo stesso postulata fosse l’unica praticabile. La valutazione circa la condivisibilità o meno di tale esito interpretativo attiene poi alla successiva verifica di fondatezza della questione.

3.– Ai fini dell’esame del merito, questa Corte ritiene opportuna una breve ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in materia di tutela del dipendente pubblico contrattualizzato illegittimamente licenziato, così come delineatosi in seguito all’emanazione della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), nota come “legge Fornero”, sino a giungere all’intervento legislativo del 2017 che ha novellato il comma 2 dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, inserendo la previsione oggetto dell’odierna questione.

3.1.– Con le modifiche apportate dall’art. 1, comma 42, della legge n. 92 del 2012 all’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), volte alla tendenziale riduzione della tutela ripristinatoria in favore di una tutela puramente risarcitoria, in dottrina e in giurisprudenza si pose il problema se la nuova disciplina dei licenziamenti fosse applicabile, o meno, al pubblico impiego privatizzato. A generare incertezza era, in particolare, la previsione dell’art. 51, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale precisa che le disposizioni di cui alla legge n. 300 del 1970, «e successive modificazioni ed integrazioni», si applicano alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti.

3.1.1.– Dopo un primo orientamento giurisprudenziale favorevole (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 26 novembre 2015, n. 24157), basato sulla natura “mobile” del rinvio contenuto nel citato art. 51, comma 2, si affermò ben presto l’orientamento opposto che, allineandosi alla dottrina maggioritaria, ritenne applicabile l’art. 18 statuto lavoratori nella versione precedente alla “legge Fornero”, che prevede la reintegrazione nel posto di lavoro quale unico regime di tutela (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 9 giugno 2016, n. 11868).

3.1.2.– A seguito del ripensamento della Corte di cassazione, cui si è uniformata la successiva giurisprudenza di legittimità e di merito, per qualche anno l’ordinamento ha registrato la coesistenza di due regimi: i lavoratori pubblici contrattualizzati hanno continuato a beneficiare della tutela reintegratoria generalizzata ai sensi dell’art. 18 statuto lavoratori, nella versione anteriore alle modifiche apportate dalla “legge Fornero”; i dipendenti privati hanno usufruito, invece, delle tutele differenziate e gradate approntate dal medesimo art. 18, ma nel testo riformulato nel 2012.

3.2.– In questo quadro, è poi intervenuto il legislatore delegato che, in attuazione dei criteri di delega di cui all’art. 16, comma 2, lettere b) e c), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), ha modificato, attraverso l’art. 21 del d.lgs. n. 75 del 2017, il citato art. 63, comma 2, introducendo, nel terzo periodo, uno specifico meccanismo di tutela in caso di licenziamento illegittimo del dipendente pubblico.

3.2.1.– Come emerge dai lavori preparatori del d.lgs. n. 75 del 2017 relativi all’art. 21 – in particolare dalla relazione illustrativa e dal parere espresso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato del 21 aprile 2017, n. 916 – l’intento sotteso alla novella è stato quello di cristallizzare il principio di tutela reale, cui la giurisprudenza era già approdata, ponendo così fine all’annosa querelle sorta in merito al regime di tutela spettante al lavoratore pubblico in caso di licenziamento.

3.2.2.– La nuova norma prevede in particolare che «[i]l giudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, condanna l’amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali».

3.2.3.– Tale regime si differenzia, invero, tanto dalla cosiddetta “reintegrazione attenuata”, di cui ai vigenti art. 18, quarto comma, statuto lavoratori e art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015 (prevedendo un limite massimo di risarcimento, pari a ventiquattro mensilità, e non imponendo di detrarre anche l’aliunde percipiendum), quanto dalla cosiddetta “reintegrazione piena”, di cui all’art. 18, commi secondo e terzo, statuto lavoratori e all’art. 2 del d.lgs. n. 23 del 2015 (non prevedendo una misura minima di risarcimento, né la possibilità di optare per l’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità).

3.2.4.– Da più parti, in dottrina, si è quindi evidenziato come il legislatore del 2017 abbia disegnato un regime giuridico-sanzionatorio ad hoc per i lavoratori pubblici. Si tratta infatti di una «sanzione unica» (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 17 dicembre 2022, n. 37040), un “terzo modello” di tutela, che si applica per qualsiasi tipo di licenziamento illegittimo e per tutti i dipendenti pubblici contrattualizzati, compresi i dirigenti, rimanendo irrilevanti le dimensioni dell’amministrazione che procede al licenziamento.

4.– Tanto premesso sul regime di tutela del dipendente pubblico illegittimamente licenziato, è altresì opportuno, sempre ai fini dell’esame del merito della questione, illustrare sinteticamente gli istituti dell’IPS e del TFR che vengono qui in rilievo.

4.1.– Si tratta in ambedue i casi di somme di denaro spettanti al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

L’IPS, che rientra nel più generale istituto del trattamento di fine servizio (TFS), è un emolumento tipico del comparto pubblico, mentre il TFR riguarda il settore privato (e quello pubblico privatizzato alle condizioni che si vedranno infra); entrambi «si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella delicata fase dell’uscita dalla vita lavorativa attiva (sentenza n. 159 del 2019)» (sentenza n. 130 del 2023).

4.2.– Il primo è in particolare previsto per i lavoratori dipendenti degli enti locali, delle regioni e del Servizio sanitario nazionale. Esso è disciplinato dalla legge n. 152 del 1968 che, all’art. 11, fissa le modalità di determinazione della retribuzione contributiva, stabilendo, al quinto comma, che essa «è costituita dallo stipendio o salario comprensivo degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura, spettanti per legge o regolamento e formanti parte integrante ed essenziale dello stipendio stesso […]».

4.2.1.– La giurisprudenza di legittimità ha costantemente interpretato in senso restrittivo la nozione di retribuzione contributiva, ritenendo che l’indennità premio di servizio sia costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dal citato art. 11, la cui elencazione ha carattere tassativo e contiene la dizione «stipendio o salario» che richiede un’interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come componenti di tale voce, degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 29 aprile 1997, n. 3673; più di recente, sezione lavoro, sentenza 7 agosto 2024, n. 22368, che ha escluso per l’emolumento in esame la vigenza del principio di onnicomprensività, invece sancito per il TFR).

4.3.– Il TFR è invece l’emolumento spettante al prestatore di lavoro in ogni caso di cessazione del rapporto lavorativo. In base all’art. 2120, secondo comma, cod. civ. «[s]alvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua […] comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale, e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese».

4.3.1.– Diversamente da quanto avviene per l’IPS, la nozione di retribuzione recepita dall’art. 2120 cod. civ. ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (tra le più recenti, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 settembre 2024, n. 24801 e ordinanza 22 maggio 2024, n. 14242), è ispirata al principio di onnicomprensività, nel senso che in detto calcolo vanno compresi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati all’effettività della prestazione, mentre ne vanno escluse solo quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro costituisce una mera occasione contingente per la relativa fruizione.

4.4.– Come noto, a seguito della riforma del sistema pensionistico dei dipendenti pubblici ad opera della legge n. 335 del 1995 e del progressivo processo di assimilazione del trattamento pubblicistico di fine servizio (cui, come detto, va ricondotta l’indennità di premio servizio) a quello privatistico del TFR, si assiste all’esistenza di un «duplice regime, di tipo pubblicistico per i dipendenti assunti prima del 2001, corrispondente al TFS, e di tipo privatistico per i dipendenti assunti a partire dal 1° gennaio di tale anno, costituito dal TFR» (sentenza n. 244 del 2020).

Il personale assunto prima di tale data rimane quindi in regime di TFS, ma con la facoltà di chiederne la trasformazione in TFR, esercitando l’opzione di cui all’art. 59, comma 56, della legge n. 449 del 1997 (entro il termine, più volte prorogato, ora fissato al 31 dicembre 2025 in base al CCNQ 3 agosto 2021).

4.4.1.– Al riguardo, questa Corte ha da ultimo «chiarito che “il fatto che alcuni dipendenti delle pubbliche amministrazioni godano del trattamento di fine servizio ed altri del trattamento di fine rapporto è conseguenza del transito del rapporto di lavoro da un regime di diritto pubblico ad un regime di diritto privato e della gradualità che, con specifico riguardo agli istituti in questione, il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto di imprimervi” (sentenza n. 244 del 2014). Spetta, infatti, all’apprezzamento discrezionale del legislatore, in coerenza con il generale canone di ragionevolezza, delimitare la sfera di applicazione delle normative che si succedono nel tempo, ne' contrasta di per se' con il principio di eguaglianza il trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie in momenti diversi nel tempo (sentenze n. 240 del 2019 e n. 104 del 2018)» (sentenza n. 73 del 2024).

5.– Tutto ciò premesso, la questione non è fondata.

5.1.– Il presupposto interpretativo da cui muove il giudice a quo – ossia la differenziazione della base retributiva rilevante per l’indennità risarcitoria in ragione dell’emolumento di fine rapporto spettante in concreto al lavoratore al momento del recesso – non può infatti condividersi.

5.1.1.– Come sopra visto, l’intento sotteso alla novella dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 è da individuarsi nell’armonizzazione della disciplina relativa al licenziamento del lavoratore pubblico contrattualizzato, così da assicurare, indistintamente, a tutto il personale dipendente, il medesimo meccanismo rimediale a fronte dell’illegittimo recesso da parte del datore di lavoro pubblico.

5.2.– La disposizione censurata, nel riferirsi al TFR, fornisce quindi un parametro “astratto” per la liquidazione di un’unica indennità risarcitoria, in aggiunta alla tutela reale prevista per il lavoratore illegittimamente estromesso.

5.3.– Si tratta di una misura risarcitoria di natura forfettaria, non abbisognando di prova in ordine alla quantificazione del danno da parte del lavoratore, che trova peraltro un limite massimo fissato in ventiquattro mensilità di retribuzione, con detrazione del solo aliunde perceptum.

In questo quadro, la mancata scelta del lavoratore di passare dal regime dell’IPS a quello del TFR, riguardando la fase fisiologica di chiusura del rapporto lavorativo, rimane sullo sfondo, senza assumere alcun rilievo ai fini della determinazione dell’indennità in questione, che attiene invece a una fase patologica del rapporto stesso.

6.– La questione è pertanto non fondata per erroneità del presupposto interpretativo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), come modificato dall’art. 21, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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