Affitti brevi – Turismo – Regione Toscana – Limiti comunali – Gestione imprenditoriale – Overtourism – Corte costituzionale

Corte Costituzionale, Sentenza n.186 del 16/12/2025

Pubblicato il

Turismo – Governo del territorio – Competenze regionali – Ordinamento civile (limiti) – Libertà di iniziativa economica – Diritto di proprietà – Funzione sociale – Alberghi – Unità immobiliari residenziali – Potere regolatorio comunale – Strutture ricettive extra-alberghiere – Destinazione d’uso – Gestione imprenditoriale – Limiti dimensionali – Locazioni turistiche brevi – Regime autorizzatorio – Overtourism – Residenzialità

La legge della Regione Toscana 31 dicembre 2024, n. 61 (Testo unico del turismo) non viola gli artt. 3, 41, 42 e 117, secondo comma, lett. l) e s), Cost. nella parte in cui:

a) consente agli alberghi di associare alla gestione unità immobiliari residenziali entro una percentuale massima, attribuendo ai comuni il potere di fissare limiti inferiori in ragione delle esigenze territoriali;

b) subordina l’esercizio delle strutture ricettive extra-alberghiere con caratteristiche della civile abitazione alla destinazione urbanistica turistico-ricettiva e alla gestione in forma imprenditoriale;

c) introduce limiti dimensionali per le strutture extra-alberghiere al fine di evitare elusioni della disciplina delle singole tipologie ricettive;

d) attribuisce ai comuni ad alta densità turistica e ai capoluoghi di provincia il potere di individuare zone o aree e di assoggettare le locazioni turistiche brevi a criteri, limiti e a un regime amministrativo autorizzatorio.

Tali disposizioni attengono alle modalità di esercizio delle attività turistiche e alla regolazione amministrativa dell’uso del territorio, perseguono finalità di interesse pubblico – tra cui la tutela della residenzialità e il contenimento dell’overtourism – e non incidono sulla disciplina civilistica dei contratti né sul contenuto essenziale del diritto di proprietà.

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SENTENZA N. 186

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 22, comma 6, 41, commi 3 e 4, da 42 a 45, 59 e 144, della legge della Regione Toscana 31 dicembre 2024, n. 61 (Testo unico del turismo), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 10 marzo 2025, depositato in cancelleria in pari data, iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 2025 il Giudice relatore Giovanni Pitruzzella;

uditi gli avvocati dello Stato Maria Gabriella Mangia e Giorgio Santini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Andrea Pertici per la Regione Toscana;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato – con il ricorso iscritto al n. 14 reg. ric. del 2025 – diverse disposizioni della legge della Regione Toscana 31 dicembre 2024, n. 61 (Testo unico del turismo), fra le quali l’art. 22, comma 6; gli artt. 41, commi 3 e 4; 42; 43; 44; 45 e 144; nonché l’art. 59.

La prima disposizione impugnata è l’art. 22, comma 6, che stabilisce quanto segue: «Gli alberghi possono associare nella gestione, in aumento della propria capacità ricettiva e nei limiti del 40 per cento della medesima, salvo che il comune non stabilisca una percentuale inferiore, unità immobiliari residenziali nella loro disponibilità, ubicate entro duecento metri, misurati nel più breve percorso pedonale possibile, dalla struttura medesima, purché sia garantita l’unitarietà della gestione, l’utilizzo dei servizi della struttura alberghiera e gli standard qualitativi e di sicurezza analoghi al livello di classificazione dell’albergo. Ferma restando la possibilità di mantenere i requisiti strutturali e igienico-sanitari previsti per le case di civile abitazione, l’utilizzo delle unità immobiliari per le attività di cui al presente comma è consentito previo mutamento, ai fini urbanistici, della destinazione d’uso da residenziale a turistico-ricettiva».

Secondo il ricorrente, tale norma violerebbe, in primo luogo, i principi di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’art. 3 della Costituzione, «dal momento che il potere comunale di stabilire una percentuale inferiore al 40 per cento della capacità ricettiva non è riferito ad alcun criterio di commisurazione predeterminato per legge e può, quindi, dare luogo ad applicazioni arbitrarie e immotivate».

Inoltre, sarebbe lesa «la libertà d’impresa degli albergatori», tutelata dall’art. 41 Cost., rispetto alla quale sarebbe funzionale la possibilità di incrementare la capacità ricettiva dell’azienda. Tale libertà sarebbe esposta al «rischio di limitazioni territoriali non giustificate da reali ragioni di interesse pubblico»; i comuni potrebbero anche azzerare la possibilità di aumento della capacità ricettiva.

Il ricorrente ricorda che le limitazioni della libertà d’iniziativa economica sono soggette alla regola della riserva di legge. Rileva, inoltre, che quella libertà è soggetta a bilanciamento con l’utilità sociale, ma che l’individuazione di questa non dev’essere arbitraria. Il potere attribuito ai comuni rappresenterebbe una «misura palesemente incongrua», tale da determinare un forte condizionamento delle scelte imprenditoriali.

2.– Con il secondo motivo di ricorso sono impugnati gli artt. 41, commi 3 e 4; 42; 43; 44; 45 e 144 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, che dettano disposizioni in materia di strutture ricettive extra-alberghiere con le caratteristiche della civile abitazione.

2.1.– L’art. 41, comma 1 (non impugnato), dispone che «[s]ono strutture ricettive extra-alberghiere con le caratteristiche edilizie della civile abitazione: a) affittacamere; b) bed and breakfast; c) case e appartamenti per vacanze; d) residenze d’epoca».

Il comma 3 stabilisce che «[l]’esercizio delle attività di cui al presente articolo è consentito esclusivamente in immobili e unità immobiliari aventi, ai fini urbanistici, destinazione d’uso turistico-ricettiva», con esclusione di quelli aventi destinazione d’uso residenziale.

L’art. 41, comma 3, sarebbe manifestamente illogico e incoerente con le caratteristiche fondamentali della ricettività extra-alberghiera. Infatti, se le strutture ricettive si qualificano per il fatto di avere «le caratteristiche della civile abitazione», non si comprenderebbe per quale obiettiva ragione di interesse pubblico esse non possano avere una destinazione residenziale dal punto di vista urbanistico. Tale norma violerebbe il principio di ragionevolezza e lederebbe l’esercizio del diritto di proprietà; inoltre, essa non risponderebbe ad esigenze imperative di interesse generale che possono giustificare restrizioni alla libertà di impresa.

È poi impugnata la norma transitoria di cui all’art. 144, comma 3, in base alla quale «[l]e disposizioni di cui all’articolo 41, comma 3, si applicano a far data dal 1° luglio 2026. Fino a tale data le abitazioni utilizzate per le attività di cui al medesimo articolo 41 possono avere, ai fini urbanistici, sia destinazione d’uso residenziale sia turistico-ricettiva».

Tale norma transitoria determinerebbe un’irragionevole discriminazione «tra i proprietari che, alla data di entrata in vigore dell’art. 41, comma 3 (31 luglio 2026), esercitavano» le attività extra-alberghiere con destinazione d’uso sia residenziale sia turistico-ricettiva, «che possono continuare a farlo in conformità alla legislazione urbanistica previgente, e coloro i quali intendono per la prima volta avvalersi di tale facoltà in epoca successiva, ai quali è preclusa».

2.2.– L’art. 41, comma 4, statuisce che «[l]’attività di affittacamere, o di bed and breakfast, o di residenza d’epoca svolta da uno stesso soggetto, o da società controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile riferibili al medesimo, in più strutture ricettive nell’ambito del medesimo edificio non può comunque superare il numero di camere e la capacità ricettiva di una singola struttura».

Tale norma violerebbe il principio di ragionevolezza e lederebbe il diritto di proprietà e la libertà di iniziativa economica, in quanto precluderebbe «alla ricettività svolta in forma imprenditoriale la possibilità di trovare l’assetto organizzativo e dimensionale ritenuto più confacente alla produzione di ricchezza».

2.3.– Gli artt. 42, 43, 44 e 45 disciplinano, rispettivamente, gli affittacamere, i bed and breakfast, le case e appartamenti per vacanze e le residenze d’epoca. Tutte tali disposizioni prescrivono che la gestione avvenga unicamente «in forma imprenditoriale».

Tali norme violerebbero la competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, di cui agli artt. 42, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera l), Cost. La scelta di non consentire sul territorio toscano l’esercizio in forma non imprenditoriale delle attività sopra indicate limiterebbe «fortemente la possibilità per i (soli) proprietari di immobili della regione di godere appieno del proprio diritto dominicale, concedendone il godimento a terzi per finalità turistiche». Il contenuto del diritto di proprietà rientrerebbe pacificamente nella materia dell’ordinamento civile, posto che l’art. 832 del codice civile stabilisce che «[i]l proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico». Le norme impugnate non potrebbero essere giustificate alla luce dell’art. 42, secondo comma, Cost. e dell’art. 832 cod. civ., che fanno riferimento a limiti al diritto di proprietà, perché l’obbligo della gestione in forma imprenditoriale darebbe luogo a «una restrizione legale non collegata né ad una peculiarità del territorio toscano rispetto al resto della Repubblica, né ad esigenze di pubblico interesse». Si tratterebbe, invece, di un vincolo sproporzionato e irragionevole.

La situazione sarebbe aggravata dalla irragionevole discriminazione operata in sede di disposizioni transitorie, tra i proprietari che, alla data di entrata in vigore della legge, esercitavano dette attività in forma non imprenditoriale, che possono continuare a farlo in conformità alla legislazione previgente, e coloro i quali intendono per la prima volta avvalersi di tale facoltà dominicale in epoca successiva, ai quali sarebbe preclusa.

Complessivamente, gli artt. 41, commi 3 e 4, 42, 43, 44, 45 e 144 violerebbero gli artt. 3, 41, 42, 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 832 cod. civ.

3.– Con il terzo motivo di ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 59 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024.

Tale disposizione ha ad oggetto «Criteri e limiti per lo svolgimento dell’attività di locazione turistica breve». In base al comma 1, «[i] comuni a più alta densità turistica, […] e comunque tutti i comuni capoluogo di provincia, possono, con proprio regolamento, individuare zone o aree in cui definire criteri e limiti specifici per lo svolgimento, per finalità turistiche, delle attività di locazione breve di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 […] esercitate anche in forma imprenditoriale».

Il comma 2 dispone quanto segue: «I criteri e i limiti di cui al comma 1, nel rispetto dei principi di stretta necessità, proporzionalità e non discriminazione, sono individuati al fine di perseguire la corretta fruizione turistica del patrimonio storico, artistico e culturale, la preservazione del tessuto sociale, nonché di garantire un’offerta sufficiente ed economicamente accessibile di alloggi destinati alla locazione a lungo termine. Tali criteri, in riferimento alla zona o area interessata, sono definiti tenendo conto, in particolare: a) del rapporto tra il numero di posti letto nelle unità immobiliari ad uso abitativo oggetto di locazione breve e la popolazione residente; b) della distribuzione e della capacità ricettiva delle strutture ricettive alberghiere ed extraalberghiere; c) delle caratteristiche del tessuto urbano; d) della necessità di tutelare, anche con riferimento alla sostenibilità ambientale, il valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico; e) della necessità di garantire che il servizio di accoglienza sia effettuato con elevati standard qualitativi; f) di ogni altro elemento utile ai fini della valutazione dell’ impatto, diretto o indiretto, della diffusione delle locazioni brevi sulla disponibilità di alloggi a prezzo accessibile e sulla residenzialità, anche in termini qualitativi».

In base al comma 3, i criteri in questione «possono consistere, in particolare: a) nella limitazione, per determinate zone omogenee, dello svolgimento dell’attività di locazione breve; b) nell’ individuazione di uno specifico rapporto che deve sussistere fra superficie dell’immobile e numero di ospiti ammessi; c) nella definizione di requisiti e standard di qualità che gli immobili adibiti a locazione breve devono possedere con riferimento, in particolare, all’accessibilità degli spazi, agli standard igienico-sanitari, al decoro degli ambienti, nonché alla presenza di servizi di connettività».

Il comma 4 stabilisce che, nei comuni «dotati del regolamento di cui al comma 1, l’esercizio dell’attività di locazione breve, per le zone o aree interessate, è subordinato al rilascio al locatore di un’autorizzazione di durata quinquennale per ciascuna unità immobiliare che si intende locare», e che «[i]l comune può stabilire un limite massimo di autorizzazioni per determinate zone omogenee».

In base al comma 7, i comuni, «nell’ambito del regolamento di cui al comma 1, stabiliscono disposizioni transitorie volte ad assicurare un’attuazione graduale dei criteri e dei limiti previsti dal presente articolo. Tali disposizioni, in fase di prima attuazione del regolamento, escludono dall’applicazione dei medesimi limiti, per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, gli immobili e le unità immobiliari già destinati, nel corso dell’anno 2024, all’attività di locazione breve, in conformità alla normativa vigente».

L’art. 59 sarebbe lesivo innanzitutto della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile in quanto, «in disparte la descrizione dei presupposti per l’introduzione a livello locale di un simile penetrante regime amministrativo per l’esercizio dell’attività di locazione breve, finisce per consentire limitazioni su base micro-territoriale dei diritti dominicali dei proprietari immobiliari».

Inoltre, l’art. 59 si farebbe «illegittimamente interprete di interessi pubblici che l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. riserva all’esclusiva potestà legislativa statale», come risulterebbe dal riferimento alla «corretta fruizione turistica del patrimonio storico, artistico e culturale».

Ancora, la stessa potestà normativa secondaria comunale (che sarebbe ascrivibile alla materia del governo del territorio) non sarebbe prevista come principio fondamentale della materia in alcuna legge statale di settore: né il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), né il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», né il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), consentirebbero in alcun modo ai comuni di intervenire sullo specifico fenomeno delle locazioni brevi ad uso turistico.

Infine, la disposizione impugnata sarebbe «anche gravemente contraddittoria» perché indica quali finalità quella di perseguire «la preservazione del tessuto sociale» e «di garantire un’offerta sufficiente ed economicamente accessibile di alloggi destinati alla locazione a lungo termine» (art. 59, comma 2), ma poi predisporrebbe mezzi non coerenti con gli obiettivi dichiarati, dato che gli elementi enunciati nelle lettere b)c)d) ed e) dello stesso comma 2 non avrebbero alcuna attinenza con il tema della disponibilità di un numero adeguato di alloggi a prezzo accessibile.

Dunque, l’art. 59 violerebbe gli artt. 3, 117, secondo comma, lettere l) e s), Cost., in relazione all’art. 832 cod. civ.

4.– La Regione Toscana si è costituita in giudizio con atto depositato il 17 aprile 2025.

4.1.– In relazione all’art. 22, comma 6, della legge regionale impugnata, la resistente rileva come norme volte a porre limiti ad un ampliamento della ricettività degli alberghi su unità immobiliari residenziali nella loro disponibilità «possano rispondere alla tutela dell’utilità sociale e dell’ambiente», richiamati dall’art. 41, secondo comma, Cost. Infatti, l’attività di ricezione turistica avrebbe «un impatto sulla convivenza sociale all’interno della città» e «un impatto ambientale accresciuto (in termini di rifiuti, utilizzo di risorse idriche e di energia, immissioni di prodotti chimici nelle acque, ecc.)».

La Regione osserva che l’art. 8 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024 attribuisce ai comuni le funzioni amministrative in materia di strutture ricettive e che non si tratterebbe del primo caso in cui è rimessa ai comuni la determinazione della misura in cui si può svolgere l’attività ricettiva; viene menzionato l’art. 37-bis del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91, che riconosce al Comune di Venezia la possibilità di fissare «i limiti massimi e i presupposti per la destinazione degli immobili residenziali ad attività di locazione breve».

Inoltre, si rileva che la discrezionalità amministrativa non può mai sfociare in arbitrio: nell’attuazione dell’art. 22, comma 6, i comuni dovranno bilanciare «gli interessi dei proprietari degli immobili su cui svolgere la ricettività a poter utilizzare gli stessi nel modo più remunerativo possibile con quelli di altri proprietari di immobili a non essere del tutto avvolti da una “città-albergo”». Secondo la resistente, una percentuale minore di ampliamento della capacità ricettiva potrebbe essere collegata, ad esempio, alla differente vocazione turistica del comune o alla forte presenza di alberghi, mentre la suddetta riduzione della percentuale non potrebbe conseguire «alla mera volontà di penalizzare gli albergatori in assenza di ragionevoli motivi». La ragionevolezza della scelta comunale sarebbe sindacabile di fronte al giudice amministrativo.

Il legislatore regionale avrebbe tenuto conto della grande varietà dei comuni toscani, a fronte della quale sarebbe stato irragionevole non prevedere alcuna flessibilità. I comuni dovrebbero fissare la misura di ampliamento con atto amministrativo generale, rivolto a tutti gli alberghi.

4.2.– In relazione agli artt. 41, commi 3 e 4; 42; 43; 44; 45 e 144 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, la resistente osserva che tali norme sarebbero riconducibili alla materia del turismo e non a quella dell’ordinamento civile. Esse non limiterebbero la possibilità per i proprietari di immobili di godere appieno del proprio diritto dominicale, ma riguarderebbero le «modalità di esercizio dell’attività turistico-ricettiva, in relazione ai limiti dimensionali e alla forma imprenditoriale della stessa», a ciò collegandosi l’ulteriore aspetto della destinazione d’uso degli immobili, riconducibile al governo del territorio.

La Regione ricorda la sentenza di questa Corte n. 94 del 2024, che ha fatto salva una norma legislativa della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, contestata nella parte in cui fissa in centottanta giorni annui la durata massima della locazione degli alloggi a uso turistico. È richiamata anche la sentenza di questa Corte n. 80 del 2012, che ha dichiarato costituzionalmente illegittime diverse disposizioni del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio). In tale decisione, questa Corte avrebbe individuato, «quale titolo competenziale per gli interventi legislativi in materia di strutture ricettive sia alberghiere […] sia extra-alberghiere, ivi compresa la eventuale previsione dell’obbligo di gestione in forma imprenditoriale delle stesse, la materia “turismo”, di competenza legislativa residuale delle Regioni».

Le norme impugnate sarebbero volte a governare l’evoluzione del sistema economico, che vede, soprattutto in Toscana, «un’irrefrenabile proliferazione di attività turistico-ricettive», con conseguenze negative sul mercato degli affitti residenziali e ricadute a danno degli studenti nelle città universitarie.

La Regione sottolinea che i proprietari potranno continuare a svolgere attività di ricezione turistica (che non è assoggettata a divieti), semplicemente con una più corretta e ordinata regolamentazione.

Quanto alla necessità di gestire le strutture extra-alberghiere in forma imprenditoriale, si tratterebbe di «una scelta di razionalizzazione», che, peraltro, non escluderebbe del tutto la forma non imprenditoriale, quando le attività siano esercitate nell’abitazione ove il gestore ha sia la residenza che il domicilio. La Regione ricorda l’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96, che prevedeva un regolamento per la definizione dei «criteri in base ai quali l’attività di locazione di cui al comma 1 del presente articolo si presume svolta in forma imprenditoriale». Tale norma indicherebbe «un’esigenza […] di evitare che un’attività certamente in costante crescita, produttiva di redditi significativi, generalmente dotata di un’organizzazione rimarchevole, si sottragga alla forma imprenditoriale, con conseguenze rilevanti dal punto di vista dell’IVA […]» e della concorrenza con gli alberghi.

Con riferimento all’art. 41, comma 3, la Regione sottolinea l’importanza della corretta destinazione d’uso a fini urbanistici, richiamando alcune pronunce della Corte di cassazione, secondo le quali le dotazioni infrastrutturali del territorio sarebbero collegate alle diverse destinazioni di zona. Dunque, l’erronea qualificazione della destinazione d’uso rispetto alla funzione effettivamente svolta dal bene altererebbe l’organizzazione del territorio comunale, vanificando il senso stesso della pianificazione. La necessità del passaggio alla destinazione turistico-ricettiva di cui all’art. 23-ter, lettera a-bis), del d.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe coerente con l’effettivo utilizzo del bene e sarebbe confermata da quanto previsto dal già citato art. 37-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito.

Quanto all’art. 41, comma 4, la Regione rileva come tale norma intenda «evitare l’aggiramento del limite della capacita' ricettiva della singola struttura, con conseguente gravoso impatto sociale e ambientale». Essa non atterrebbe al diritto di proprietà, ma all’esercizio dell’attività ricettiva extra-alberghiera e, quindi, rientrerebbe nella materia del turismo.

In relazione all’art. 144, la Regione innanzi tutto solleva dubbi sull’ammissibilità della censura, «in quanto la norma e' individuata nel suo complesso, pur essendo composta da quattro commi ciascuno dei quali ha un contenuto autonomo». La Regione rileva poi che la motivazione del ricorso menziona espressamente solo l’art. 144, comma 3 (che detta una norma transitoria in relazione alla destinazione d’uso turistica), mentre contiene un riferimento solo implicito all’art. 144, comma 1 (che detta una norma transitoria in relazione alla gestione in forma imprenditoriale). Sarebbe dunque mal definito l’oggetto della censura, con una «contraddizione evidente» tra l’impugnazione dell’intero articolo e il riferimento delle censure soltanto a due dei suoi commi.

Nel merito, l’art. 144, comma 3, sarebbe del tutto ragionevole, essendo volto a dare un congruo tempo ai proprietari per valutare se procedere al mutamento di destinazione d’uso e ai comuni per gestire le pratiche. Comunque, la norma non realizzerebbe nessuna discriminazione: per tutti i proprietari sarebbe prevista, a decorrere dal 1° luglio 2026, la necessaria destinazione d’uso turistico-ricettiva.

Una differenza tra chi già eserciti l’attività ricettiva al momento di entrata in vigore della legge e chi la avvii successivamente sarebbe invece prevista dall’art. 144, comma 1, in quanto chi ha già intrapreso l’attività può continuare a farlo anche in forma non imprenditoriale. Tale differenziazione sarebbe frutto di una scelta compiuta in modo ragionevole dal legislatore regionale toscano nell’esercizio della sua competenza legislativa in materia di turismo. Infatti, esso avrebbe protetto il legittimo affidamento maturato da coloro che già svolgevano l’attività ricettiva in forma non imprenditoriale.

4.3.– Infine, in relazione all’art. 59, la Regione rileva che tale norma riguarda la materia del turismo e non l’ordinamento civile, che, «se arrivasse ad estendersi a ogni aspetto dell’utilizzo dei beni, e in particolare alle attività che sugli stessi si svolgono, finirebbe per privare pressoché totalmente le Regioni della propria competenza legislativa». Secondo la resistente, questa Corte avrebbe chiarito che, in materia di locazioni turistiche, «afferisce alla materia ordinamento civile – dunque alla competenza legislativa esclusiva statale – la regolamentazione dell’attività negoziale e dei suoi effetti, mentre ricade nella materia turismo – dunque nella competenza legislativa residuale regionale – la disciplina degli aspetti turistici collegati a detta attività».

Nel caso dell’art. 59, l’individuazione di zone in cui definire criteri per lo svolgimento, per finalità turistiche, delle attività di locazione breve non si tradurrebbe in una regolamentazione dell’attività negoziale e dei suoi effetti, «e ciò per la semplice ma dirimente ragione che la prima attività normativa logicamente precede la seconda, incidendo solo indirettamente ed eventualmente sull’autonomia negoziale». In altri termini, l’apposizione di vincoli all’autonomia negoziale non sempre implicherebbe una disciplina dell’attività negoziale, anche perché «diversamente opinando si finirebbe, a titolo esemplificativo, per attrarre alla materia ordinamento civile l’intera legislazione urbanistica e edilizia».

Sarebbe non fondata anche la censura relativa alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.: il riferimento al «patrimonio storico, artistico e culturale» (art. 59, comma 2) sarebbe strettamente legato alla sua «fruizione turistica», e cioè all’ambito di competenza legislativa regionale. Semmai, la fruizione turistica di quel patrimonio potrebbe avere elementi di connessione con la materia concorrente della «valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali».

La modalità con la quale si prevede di intervenire, cioè attraverso un regolamento, sarebbe essenzialmente quello della pianificazione urbanistica, potendo le regioni dettare norme di dettaglio nella materia «governo del territorio».

Gli obiettivi indicati nel primo periodo del comma 2 sarebbero «idonei ad imporre limitazioni rispetto alle modalità di svolgimento di una determinata attività (turistico-ricettiva)», così come ragionevoli sarebbero gli elementi indicati nelle lettere da a) a f) dello stesso comma 2.

5.– In data 18 aprile 2025, le associazioni Host + Host, Myguestfriend – ospitalità responsabile e Confedilizia – Confederazione italiana della proprietà edilizia hanno depositato opinioni scritte ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Tali opinioni sono state ammesse con decreto presidenziale dell’11 luglio 2025.

6.– Il 17 settembre 2025 sia il Presidente del Consiglio dei ministri che la Regione Toscana hanno depositato memorie integrative, ribadendo gli argomenti a sostegno delle proprie richieste.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna – con il ricorso iscritto al n. 14 reg. ricorsi del 2025 – diverse disposizioni della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, recante il testo unico del turismo. Riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il medesimo ricorso, vengono ora esaminate quelle relative agli artt. 22, comma 6; 41, commi 3 e 4; 42; 43; 44; 45 e 144; nonché all’art. 59.

Le norme impugnate riguardano gli alberghi (art. 22, comma 6), le strutture ricettive extra-alberghiere con le caratteristiche della civile abitazione (artt. 41, commi 3 e 4; 42; 43; 44; 45 e 144) e le locazioni turistiche (art. 59). Il contenuto di tali disposizioni sarà illustrato di seguito, esaminando le singole censure.

2.– Le questioni promosse con riguardo all’art. 22, comma 6, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024 non sono fondate.

L’art. 22, comma 2, della stessa legge regionale dispone che «[n]egli alberghi e' consentita la presenza di unita' abitative, costituite da uno o più locali e dotate di servizio autonomo di cucina e locale bagno riservato, nel limite di una capacita' ricettiva non superiore al 40 per cento di quella complessiva dell’esercizio».

L’impugnato art. 22, comma 6, stabilisce che «[g]li alberghi possono associare nella gestione, in aumento della propria capacità ricettiva e nei limiti del 40 per cento della medesima, salvo che il comune non stabilisca una percentuale inferiore, unità immobiliari residenziali nella loro disponibilità, ubicate entro duecento metri […]». Come emerge dal preambolo della legge impugnata e dai lavori preparatori, tale norma ha lo scopo di far rientrare nella gestione alberghiera (con conseguente miglioramento dei servizi) immobili residenziali già destinati a finalità turistica. Essa mira a consentire un margine di flessibilità nell’offerta alberghiera, aumentando, entro limiti definiti, la capacita' ricettiva, in presenza di prescrizioni urbanistiche che non consentirebbero ampliamenti.

La disposizione è contestata solo nella parte in cui conferisce ai comuni il potere di ridurre tale possibilità, fissando una percentuale inferiore di aumento della capacità ricettiva. Questo potere comunale è stato previsto a seguito di un emendamento presentato in sede di II commissione consiliare il 4 dicembre 2024. Nella relazione illustrativa di esso si osserva che la modifica mira a conferire al comune la possibilità di tener conto «dei diversi contesti territoriali».

2.1.– In primo luogo, il ricorrente ritiene che la norma in esame violi i principi di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’art. 3 Cost., perché non detterebbe criteri idonei a limitare il potere comunale di fissare una percentuale inferiore di aumento della capacità ricettiva.

In via preliminare, è opportuno ricordare che, nel quadro della competenza legislativa regionale sugli insediamenti ricettivi (da ultimo, sul vincolo alberghiero, sentenza n. 143 del 2025), la previsione dell’inserimento degli alberghi nel territorio comunale spetta ai comuni, in sede di “zonizzazione funzionale” ai sensi dell’art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica). Tale potere è stato confermato dall’art. 8 della legge 17 maggio 1983, n. 217 (Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica), in seguito abrogata. I comuni sono poi competenti in relazione all’esercizio delle strutture ricettive. L’art. 8, comma 1, della legge impugnata stabilisce che «[s]ono attribuite ai comuni le funzioni amministrative in materia di: […] b) strutture ricettive, inclusa la classificazione», e l’art. 48, comma 1, della stessa legge prevede che «[l]’esercizio delle strutture ricettive […] e' soggetto a SCIA» ai sensi dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), «da presentare, esclusivamente in via telematica, allo sportello unico per le attività produttive (SUAP) competente per territorio». Tale disciplina è coerente con quella statale, risultante dall’art. 17 del d.lgs. n. 79 del 2011, dall’art. 13, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 (Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo), convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2014, n. 106, e dal decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222, recante «Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», che, fra l’altro, individua i procedimenti soggetti a SCIA (si veda il punto 75 della Tabella A dell’Allegato).

La ratio dell’art. 22, comma 6, è consentire un aumento dell’offerta alberghiera, anche in deroga alle previsioni adottate dai singoli comuni in relazione agli insediamenti alberghieri. Tenuto conto di ciò, la norma impugnata – che dà ai comuni la possibilità di diminuire la percentuale di aumento della capacità ricettiva – non risulta manifestamente irragionevole. Al contrario, essa completa in modo armonico la previsione di base: se questa garantisce un margine di flessibilità a livello regionale nella gestione alberghiera, la norma impugnata fa salva la possibilità per il singolo comune di temperare l’espansione delle attività alberghiere, tenendo conto delle esigenze del proprio territorio (variabili, ad esempio, in base ai posti letto in albergo già esistenti o all’opportunità di mantenere alloggi turistici non alberghieri).

In definitiva, la norma impugnata conferma la generale funzione comunale di regolare gli insediamenti sul proprio territorio, funzione che non richiede specifici criteri-guida nella legge, essendo caratterizzata da elevata discrezionalità (ad esempio, Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 4 novembre 2024, n. 8718; sezione quarta, sentenza 25 settembre 2024, n. 7790; sezione sesta, sentenza 21 luglio 2023, n. 7147), fermo restando il necessario rispetto dei generali principi di ragionevolezza e imparzialità.

2.2.– Anche la questione promossa in riferimento all’art. 41 Cost. non è fondata.

Gli argomenti spesi dal ricorrente riecheggiano quelli appena esaminati, pur nella diversità del parametro: la libertà di iniziativa economica degli albergatori sarebbe esposta al «rischio di limitazioni territoriali non giustificate da reali ragioni di interesse pubblico»; l’assenza, nell’art. 22, comma 6, di criteri volti a guidare il potere limitativo comunale renderebbe «arbitraria» l’individuazione dell’utilità sociale di cui all’art. 41, secondo comma, Cost.

In primo luogo, occorre sottolineare che la limitazione denunciata dal ricorrente risulta di modesta portata. In base allo stesso art. 22, comma 2, della legge impugnata, in Toscana gli alberghi possono, in generale, comprendere unita' abitative, costituite da uno o più locali e dotate di servizio autonomo di cucina, nel limite di una capacita' ricettiva non superiore al 40 per cento di quella complessiva dell’esercizio. L’art. 22, comma 6, consente un ampliamento di capacità ricettiva rispetto a quanto originariamente previsto nel titolo abilitativo, a prescindere dalle norme urbanistiche comunali. La norma impugnata, dunque, conferisce ai comuni la possibilità di limitare un aumento della capacità ricettiva previsto in via derogatoria. Inoltre, anche qualora un comune adottasse disposizioni limitative, gli alberghi potrebbero utilizzare l’unità residenziale in loro possesso a scopo turistico, come struttura ricettiva extra-alberghiera.

Ciò precisato, la limitazione contemplata dalla norma impugnata può essere giustificata ai sensi dell’art. 41, secondo comma, Cost., in quanto volta a perseguire un’utilità sociale, consistente nella possibilità di adeguare l’espansione della ricettività alberghiera alle effettive esigenze del territorio comunale. L’assenza di criteri-guida nell’art. 22, comma 6, non risulta costituzionalmente illegittima per le ragioni già esposte nel punto 2.1., cioè per l’ampia discrezionalità che caratterizza la funzione regolatoria comunale. Ragionando diversamente, si dovrebbe dubitare anche della legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge n. 1150 del 1942, che prevede – senza dettare criteri-guida – il potere comunale di zonizzazione funzionale, idoneo a limitare l’iniziativa economica dei proprietari.

3.– Occorre ora esaminare le questioni relative alle disposizioni concernenti le «strutture ricettive extra-alberghiere con le caratteristiche della civile abitazione».

L’art. 41, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024 elenca tali strutture (si tratta degli affittacamere, dei bed and breakfast, delle case e appartamenti per vacanze e delle residenze d’epoca) e detta alcune disposizioni comuni.

Quella posta dal comma 3 stabilisce che «[l]’esercizio delle attività di cui al presente articolo e' consentito esclusivamente in immobili e unita' immobiliari aventi, ai fini urbanistici, destinazione d’uso turistico-ricettiva», con esclusione di quelli aventi destinazione d’uso residenziale. Tale norma rappresenta una novità, in quanto si orienta in senso opposto all’art. 54, comma 2, della previgente legge della Regione Toscana 20 dicembre 2016, n. 86 (Testo unico del sistema turistico regionale). Dal punto 8 del preambolo della legge regionale impugnata si evince la ratio della nuova norma: essa è volta a rendere la destinazione d’uso dell’immobile coerente con la sua gestione imprenditoriale (prevista dagli articoli da 42 a 45 della legge impugnata, come si vedrà).

3.1.– La prima censura sollevata in relazione all’art. 41, comma 3, per violazione dell’art. 3 Cost., non è fondata.

Secondo il ricorrente, l’art. 41, comma 3, sarebbe illogico e incoerente perché, se le strutture ricettive in questione si qualificano (nella stessa legge impugnata) per il fatto di avere «le caratteristiche della civile abitazione», non si comprenderebbe per quale ragione esse non possano avere una destinazione residenziale dal punto di vista urbanistico. In sostanza, il ricorrente censura l’art. 41, comma 3, per irragionevolezza intrinseca.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il principio di ragionevolezza è leso quando si accerti l’esistenza di una contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la norma espressa dalla disposizione censurata (ex multis, sentenza n. 223 del 2022).

L’art. 41, comma 3, impone la destinazione d’uso turistico-ricettiva per tutti gli immobili, aventi le caratteristiche della civile abitazione, adibiti ad esercizio di attività ricettiva extra-alberghiera. Gli articoli da 42 a 45 della stessa legge reg. Toscana n. 61 del 2024 definiscono le singole strutture e per tutte prescrivono la gestione in forma imprenditoriale.

Come si vedrà (punto 6.2.), l’obbligo di gestione in forma imprenditoriale implica diverse conseguenze: la prima, intrinseca al concetto di imprenditore (art. 2082 cod. civ.), è la necessaria professionalità dell’attività, ovvero la sua stabilità.

Se un immobile è utilizzato in modo stabile ed organizzato come struttura ricettiva extra-alberghiera, la previsione della destinazione d’uso turistico-ricettiva non può essere considerata incoerente o irragionevole. Occorre infatti distinguere il profilo strutturale-edilizio del bene (che ha «le caratteristiche della civile abitazione») dal profilo gestionale, cioè dal suo stabile utilizzo a fini di attività ricettiva. L’obbligo di destinazione d’uso turistico-ricettiva non contraddice «le caratteristiche della civile abitazione» perché è appunto collegato al profilo gestionale (in tal senso, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 27 luglio 2022, n. 6609, e 3 agosto 2022, n. 6824) e al fatto che la destinazione residenziale e quella turistico-ricettiva rappresentano due categorie funzionali autonome dal punto di vista urbanistico (art. 23-ter del d.P.R. n. 380 del 2001 e art. 99 della legge della Regione Toscana 10 novembre 2014, n. 65, recante «Norme per il governo del territorio»; si veda anche Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 12 settembre-19 novembre 2024, n. 42369).

La non irragionevolezza del collegamento tra stabile attività ricettiva e mutamento di destinazione d’uso emerge anche dalla legislazione statale: in base all’art. 37-bis, comma 1, del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, il Comune di Venezia può «stabilire, con specifiche disposizioni regolamentari, che lo svolgimento dell’attività di cui alla lettera a) [locazione breve] per una durata superiore a centoventi giorni, anche non consecutivi, in ciascun anno solare sia subordinato al mutamento della destinazione d’uso e della categoria funzionale dell’immobile».

3.2.– Le altre questioni promosse, per violazione degli artt. 41 e 42 Cost., sono inammissibili per insufficienza della motivazione.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in termini rigorosi nei giudizi proposti in via principale, nei quali il ricorrente ha l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali denuncia la violazione, ma anche di suffragare le ragioni del dedotto contrasto con argomentazioni chiare, complete e sufficientemente articolate»; il ricorrente deve proporre «una motivazione che non sia meramente assertiva ma contenga una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, con il sostegno di una sintetica argomentazione di merito» (sentenza n. 126 del 2025).

Con riferimento all’art. 42 Cost., il ricorso si limita ad affermare che l’art. 41, comma 3, «lede l’esercizio del diritto dominicale», senza alcuna argomentazione: dunque, in tal caso la motivazione è totalmente assente.

Con riferimento all’art. 41 Cost., il ricorso osserva che la norma impugnata «non risponde ad esigenze imperative di interesse generale che possono giustificare restrizioni alla libertà di organizzazione e svolgimento dell’attività di impresa». La motivazione risulta insufficiente perché il ricorrente non esamina per nulla la possibile «utilità sociale» derivante dall’adeguamento della destinazione urbanistica al reale utilizzo del bene.

4.– L’art. 41, comma 3, appena esaminato, è accompagnato da una norma transitoria, dettata dall’art. 144, comma 3, della stessa legge reg. Toscana n. 61 del 2024: «[l]e disposizioni di cui all’articolo 41, comma 3, si applicano a far data dal 1° luglio 2026. Fino a tale data le abitazioni utilizzate per le attività di cui al medesimo articolo 41 possono avere, ai fini urbanistici, sia destinazione d’uso residenziale sia turistico-ricettiva».

In sostanza, l’operatività dell’obbligo posto dall’art. 41, comma 3, viene differita al 1° luglio 2026: fino a tale data si può mantenere la destinazione residenziale dell’immobile, seppur utilizzato come struttura ricettiva extra-alberghiera.

L’art. 144, comma 3, è contestato per violazione dell’art. 3 Cost.

4.1.– In primo luogo, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Toscana. Essa ritiene carente l’individuazione dell’oggetto della censura e ravvisa una contraddittorietà tra l’impugnazione dell’intera disposizione e lo svolgimento di censure in riferimento a solo due dei quattro commi (i commi sono poi diventati cinque a seguito delle modifiche introdotte dalla legge della Regione Toscana 6 giugno 2025, n. 28, recante «Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2025»).

L’eccezione non è fondata.

L’epigrafe del motivo numero 2 e le conclusioni (dello stesso motivo e del ricorso) menzionano l’art. 144 nel suo complesso, ma è chiaro che il ricorso non riguarda i commi due e quattro, dei quali non si occupa affatto.

Il ricorso, invece, compie un riferimento implicito all’art. 144, comma 1: dopo aver censurato gli articoli da 42 a 45 (che impongono la gestione delle strutture extra-alberghiere in forma imprenditoriale), il ricorrente rileva che la situazione sarebbe «aggravata» dall’irragionevole discriminazione introdotta dalla norma transitoria, contenuta nell’art. 144, comma 1. Tale passaggio del ricorso, però, è inidoneo a tradursi in un’autonoma questione di legittimità costituzionale. Interpretando l’atto di impugnazione alla luce della delibera del Consiglio dei ministri (ad esempio, sentenza n. 147 del 2022), è da ritenere che il riferimento implicito alla norma transitoria di cui all’art. 144, comma 1, abbia solo lo scopo di rafforzare la censura relativa agli articoli da 42 a 45, non quello di impugnare l’art. 144, comma 1.

In definitiva, benché il ricorso richiami l’art. 144 nel suo complesso, l’unica disposizione chiaramente menzionata è l’art. 144, comma 3, in conformità con il contenuto della delibera del Consiglio dei ministri. Dunque, nonostante qualche ambiguità, l’oggetto dell’impugnazione relativa all’art. 144 risulta sufficientemente precisato e si risolve nel comma 3. La memoria depositata dal Presidente del Consiglio dei ministri il 17 settembre 2025 conferma che è contestato solo il comma 3 dell’art. 144.

4.2.– Nel merito, la questione non è fondata.

L’art. 144, comma 3, è censurato in quanto determinerebbe un’«irragionevole discriminazione» tra i proprietari che, alla data di entrata in vigore dell’art. 41, comma 3 (cioè, il 1° luglio 2026), «esercitavano le attività extra-alberghiere con destinazione d’uso residenziale […], che possono continuare a farlo», e «coloro i quali intendono per la prima volta avvalersi di tale facoltà in epoca successiva, ai quali è preclusa».

In realtà, l’art. 144, comma 3, non distingue affatto tra diverse categorie di proprietari, ma a tutti consente di mantenere la destinazione d’uso residenziale fino al 1° luglio 2026 e a tutti impone di passare alla destinazione turistico-ricettiva da tale data, qualora l’immobile avente le caratteristiche della civile abitazione sia utilizzato come struttura ricettiva extra-alberghiera. Si tratta di una norma che mira a consentire la definizione delle pratiche di mutamento di destinazione e, prima ancora, a lasciare ai proprietari un margine di tempo per valutare se procedere alla modifica di destinazione o rinunciare all’attività ricettiva extra-alberghiera imprenditoriale.

5.– L’art. 41, comma 4, stabilisce che «[l]’attività di affittacamere, o di bed and breakfast, o di residenza d’epoca svolta da uno stesso soggetto […] in più strutture ricettive nell’ambito del medesimo edificio non può comunque superare il numero di camere e la capacita' ricettiva di una singola struttura».

Tale disposizione fa riferimento ai successivi artt. 42, 43 e 45, che, riguardo (rispettivamente) agli affittacamere, ai bed and breakfast e alle residenze d’epoca, fissano limiti dimensionali, riferiti al numero di camere e di posti letto.

Il preambolo della legge regionale impugnata identifica la ratio dell’art. 41, comma 4, in un’esigenza di «coerenza con il dimensionamento di tali tipologie di strutture, contenuto rispetto alle strutture alberghiere» (punto 8).

Anche l’art. 41, comma 4, è accompagnato da una norma transitoria, dettata dall’art. 144, comma 2, e formulata nei seguenti termini: «[f]ino alla data del 31 dicembre 2025, coloro che gestiscono in forma imprenditoriale due esercizi di affittacamere e/o bed and breakfast nell’ambito del medesimo edificio alla data di entrata in vigore della presente legge possono continuare ad esercitare tale attività nel rispetto di quanto previsto dalle previgenti disposizioni della l.r. 86/2016». L’inciso «[f]ino alla data del 31 dicembre 2025» è stato aggiunto dall’art. 2 della legge della Regione Toscana 17 gennaio 2025, n. 7 (Disposizioni correttive in materia di rifugi escursionistici e di affittacamere e bed and breakfast. Modifiche alla l.r. 61/2024), autonomamente impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Nella previgente legge reg. Toscana n. 86 del 2016, con riferimento agli affittacamere e ai bed and breakfast, gli artt. 55, comma 3, e 56, comma 3, prevedevano che uno stesso soggetto non potesse gestire più di due esercizi nell’ambito dello stesso edificio.

L’art. 41, comma 4, è impugnato per violazione degli artt. 3, 41 e 42 Cost.

5.1.– Le questioni promosse in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost. sono inammissibili per difetto di motivazione: infatti, la violazione del principio di ragionevolezza e del diritto di proprietà è solo affermata, senza alcun argomento a supporto.

Invece, la motivazione relativa al contrasto con l’art. 41 Cost., pur essendo molto succinta, raggiunge la soglia di ammissibilità.

5.2.– Nel merito, la questione promossa in riferimento all’art. 41 Cost. non è fondata.

Secondo il ricorrente, l’art. 41, comma 4, comprimerebbe la liberta' di iniziativa economica in quanto «preclude alla ricettività svolta in forma imprenditoriale la possibilità di trovare l’assetto organizzativo e dimensionale ritenuto più confacente alla produzione di ricchezza».

In primo luogo, occorre rilevare che il ricorrente non contesta i limiti dimensionali relativi alle singole strutture, posti dagli artt. 42, 43 e 45, ma solo l’impossibilità di superare tali limiti tramite la gestione di più strutture ricettive nello stesso edificio. In effetti, la classificazione e la disciplina delle strutture ricettive rientrano nella competenza legislativa regionale in materia di turismo. La sentenza n. 80 del 2012 di questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, fra gli altri, degli artt. 8, 9 e 12 del d.lgs. n. 79 del 2011, dedicati alle strutture ricettive alberghiere, paralberghiere ed extralberghiere, in quanto determinavano un «accentramento di funzioni legislative spettanti in via ordinaria alle Regioni, in virtù della loro competenza legislativa residuale in materia di turismo» (punto 6.6. del Considerato in diritto; si vedano anche i punti 6.5. e 6.9.).

La Regione Toscana ha, dunque, previsto diverse tipologie di strutture ricettive, che rispecchiano la varietà degli operatori e le differenti esigenze degli utenti. Alcune strutture (affittacamere e bed and breakfast) sono caratterizzate da una dimensione “familiare”, alla quale sono connaturati limiti dimensionali, come risulta anche dalle previgenti norme statali: si vedano l’abrogato art. 6, nono comma, della legge n. 217 del 1983 e gli artt. 9, comma 8, e 12, comma 3, del d.lgs. n. 79 del 2011.

Ciò premesso, rientra nella discrezionalità del legislatore regionale la scelta del modo in cui evitare possibili elusioni delle singole norme che fissano i limiti dimensionali delle diverse strutture. Come visto, la legge reg. Toscana n. 86 del 2016 consentiva un margine di flessibilità, ammettendo che uno stesso soggetto potesse gestire non più di due affittacamere o bed and breakfast nello stesso edificio. L’art. 41, comma 4, della legge impugnata, invece, ha adottato un approccio più rigoroso, imponendo che il soggetto gestore di più strutture nello stesso edificio rispetti i limiti dimensionali della singola struttura.

In tal modo, l’art. 41, comma 4, si salda con i successivi artt. 42, 43 e 45, perseguendo l’utilità sociale posta alla base della limitata configurazione dimensionale degli affittacamere, dei bed and breakfast e delle residenze d’epoca. La limitazione delle scelte imprenditoriali è dunque giustificata alla luce dell’art. 41, secondo comma, Cost., in quanto la norma impugnata mira ad evitare aggiramenti dei limiti previsti al fine di garantire un’offerta diversificata di strutture ricettive.

6.– Gli articoli da 42 a 45 della legge regionale impugnata disciplinano le quattro strutture ricettive turistiche extra-alberghiere con le caratteristiche della civile abitazione, elencate nell’art. 41. Per tutte queste strutture (affittacamere, bed and breakfast, case e appartamenti per vacanze e residenze d’epoca) le disposizioni in esame dispongono la gestione «in forma imprenditoriale».

Anche le norme in questione sono accompagnate da una disciplina transitoria. Tenendo conto del fatto che, in base alla legge reg. Toscana n. 86 del 2016, l’attività di affittacamere e di bed and breakfast poteva essere svolta anche in forma non imprenditoriale, l’art. 144, comma 1, della legge impugnata dispone che «[c]oloro che esercitano l’attività di affittacamere e di bed and breakfast in forma non imprenditoriale alla data di entrata in vigore della presente legge possono continuare ad esercitare l’attività nel rispetto di quanto previsto dalle previgenti disposizioni di cui, rispettivamente, all’articolo 55, comma 4 e all’articolo 56, comma 4 della l.r. 86/2016».

Il ricorrente contesta l’obbligo della gestione in forma imprenditoriale, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), e dell’art. 42 Cost.

6.1.– La questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. non è fondata.

Secondo il ricorrente, l’obbligo di gestione in forma imprenditoriale limiterebbe «fortemente la possibilità per i (soli) proprietari di immobili della regione di godere appieno del proprio diritto dominicale, concedendone il godimento a terzi per finalità turistiche», e il contenuto del diritto di proprietà rientrerebbe pacificamente nella materia dell’ordinamento civile (viene richiamato l’art. 832 cod. civ.). Dal canto suo, la Regione afferma di aver esercitato la propria competenza legislativa piena in materia di turismo.

Questa Corte si è già pronunciata su “casi di confine” tra la materia del turismo e quella dell’ordinamento civile (sentenze n. 94 del 2024, n. 84 del 2019, n. 1 del 2016, n. 80 del 2012 e n. 369 del 2008). In particolare, la sentenza n. 80 del 2012 ha giudicato una disciplina (contenuta nell’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 2011, che definiva le strutture ricettive extra-alberghiere, soffermandosi anche sul carattere imprenditoriale o non della gestione) sostanzialmente corrispondente, per oggetto, a quella di cui agli articoli da 42 a 45 della legge regionale impugnata. La disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima da questa Corte, che ha riconosciuto la competenza regionale sul punto, affermando che il legislatore delegato, prevedendo «una classificazione ed una disciplina delle strutture ricettive extralberghiere […] ha operato un accentramento statale di funzioni spettanti in via ordinaria alle Regioni, in base alla loro competenza legislativa residuale in materia di turismo» (punto 6.9. del Considerato in diritto).

Tale assunto può essere qui confermato. Dal punto di vista oggettivo le norme censurate, che sanciscono l’obbligo di gestione in forma imprenditoriale, risultano estranee all’ordinamento civile e sono riconducibili alla materia del turismo, spettante alla competenza legislativa piena regionale ex art. 117, quarto comma, Cost. (tra le altre, sentenze n. 130 del 2024 e n. 123 del 2022).

Esse disciplinano le quattro strutture ricettive extra-alberghiere con le caratteristiche della civile abitazione, fissando i requisiti attinenti alla capacità ricettiva, alla collocazione “immobiliare” della struttura, ai servizi forniti e, appunto, alla forma di gestione. Chi vuole gestire un’attività ricettiva deve rispettare questi requisiti se vuole “entrare” nel sistema regionale del turismo, cioè in una delle quattro classificazioni previste (affittacamere, bed and breakfast, case e appartamenti per vacanze, residenze d’epoca).

L’obbligo di gestione in forma imprenditoriale, dunque, rappresenta una condizione che attiene alle modalità di esercizio della struttura ricettiva, il cui rispetto è necessario per poter gestire una struttura “classificata”. Le norme impugnate sono estranee all’ordinamento civile perché non definiscono quando l’attività ricettiva deve ritenersi svolta in modo imprenditoriale, ma richiamano il concetto di «forma imprenditoriale» risultante dalle disposizioni statali. Inoltre, non incidono sulla regolazione dell’attività negoziale e dei suoi effetti: se le strutture ricettive di cui alle norme impugnate vengono gestite in forma non imprenditoriale, non è prevista nessuna conseguenza civilistica.

Anche dal punto vista finalistico, la previsione dell’obbligo di gestione in forma imprenditoriale non intende regolare i rapporti tra i privati, ma circoscrivere gli operatori turistici sottoposti alla governance del turismo. Essa, dunque, riguarda l’attività amministrativa regionale di promozione e vigilanza sul turismo.

Quanto all’argomento speso dal ricorrente, il fatto che una norma implichi una compressione del diritto di proprietà non la attrae di per sé nell’orbita del diritto civile. È ben noto che la limitazione dell’autonomia negoziale deriva in molti casi dalla regolazione amministrativa delle attività economiche, stabilita nell’interesse pubblico: per restare al settore del turismo, si può ricordare che nella competenza legislativa regionale in materia di turismo e di governo del territorio rientra la disciplina del vincolo alberghiero (sentenza n. 143 del 2025). In generale, questa Corte ha riconosciuto che «il legislatore regionale ben può conformare anche le facoltà spettanti ai privati» (sentenza n. 175 del 2019), compreso il contenuto del diritto di proprietà (sentenza n. 190 del 2001). Del resto, la limitazione dei diritti dei proprietari rappresenta un riflesso intrinseco alla disciplina urbanistica.

In conclusione, le norme in esame fissano uno standard organizzativo da rispettare, al fine dell’ingresso nel circuito delle strutture ricettive classificate.

6.2.– La questione promossa in riferimento all’art. 42 Cost. non è fondata.

Secondo il ricorrente, la scelta di non consentire la gestione non imprenditoriale delle strutture ricettive extra-alberghiere priverebbe i proprietari, «in modo del tutto sproporzionato e irragionevole», della possibilità di ricavare un reddito dal loro bene.

In realtà, il ricorrente non tiene conto del fatto che l’obbligo posto dagli articoli da 42 a 45 non priva in assoluto i proprietari (che non vogliano assoggettarsi ad esso) della possibilità di locare l’immobile a fini turistici, essendo prevista dalla disciplina nazionale e regionale la locazione turistica in forma non imprenditoriale (art. 60 della legge regionale impugnata), salvi i limiti introdotti dai comuni ex art. 59, autonomamente impugnato (punto 7).

Ciò premesso, occorre precisare che l’obbligo di gestione in forma imprenditoriale comporta essenzialmente tre conseguenze: a) l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese; b) l’obbligo di apertura di una partita IVA; c) l’applicazione delle regole sulla tassazione del reddito d’impresa, in luogo di quelle sulla tassazione del reddito fondiario.

Dunque, le norme impugnate determinano un’ingerenza nelle libere scelte dei proprietari, seppur minore di quella paventata nel ricorso. Occorre dunque verificare la possibilità di giustificare le norme in esame ai sensi dell’art. 42, secondo comma, Cost., che consente di limitare la proprietà «allo scopo di assicurarne la funzione sociale».

Dal punto 8 del preambolo della legge reg. Toscana n. 61 del 2024 emerge che la previsione della gestione in forma imprenditoriale delle strutture ricettive extra-alberghiere ha il «fine di qualificare l’offerta di ospitalità da parte» di tali strutture. Dai lavori preparatori si ricavano anche l’obiettivo di includere nel sistema regionale del turismo solo le imprese turistiche e quello di assoggettare le strutture ricettive alle stesse regole (si vedano la relazione illustrativa della proposta di legge e il resoconto della seduta del Consiglio regionale del 20 dicembre 2024).

Oltre a ciò, le norme impugnate perseguono la finalità di limitare la proliferazione delle strutture ricettive extra-alberghiere. È noto, infatti, che il cosiddetto home sharing, diffusosi grazie alla creazione di piattaforme on line, da un lato rappresenta un’occasione di integrazione del reddito per numerose famiglie, ma dall’altro ha concorso a determinare fenomeni di overtourism in diverse città, che hanno prodotto “esternalità” negative. In primo luogo, si è prodotta una contrazione degli alloggi disponibili per lavoratori e studenti fuori sede, con conseguente effetto inflazionistico sul costo degli alloggi stessi. Inoltre, l’overtourism può determinare «la trasformazione urbanistica di interi quartieri e centri, con ricadute di rilievo anche sulla gestione dei servizi pubblici locali» (sentenza n. 94 del 2024).

Lo scopo di limitare questi effetti è stato espressamente considerato meritevole dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, in un giudizio relativo alla disciplina urbanistica francese che impone un’autorizzazione preventiva comunale per il mutamento di destinazione d’uso e l’esercizio di attività di locazione dietro corrispettivo di locali ammobiliati ad una clientela di passaggio: «una normativa nazionale che, per motivi diretti a garantire un’offerta sufficiente di alloggi destinati alla locazione a lungo termine economicamente accessibili, assoggetta talune attività di locazione dietro corrispettivo di locali ammobiliati […] ad un regime di autorizzazione preventiva applicabile in determinati comuni in cui la tensione sui canoni di locazione e' particolarmente elevata, e' giustificata da un motivo imperativo di interesse generale relativo alla lotta contro la scarsità di alloggi destinati alla locazione e proporzionata all’obiettivo perseguito, dato che quest’ultimo non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia» (grande sezione, sentenza 22 settembre 2020, cause riunite C-724/18 e C-727/18, Cali Apartments, punto 75).

Anche il regolamento (UE) 2024/1028 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024, relativo alla raccolta e alla condivisione dei dati riguardanti i servizi di locazione di alloggi a breve termine e che modifica il regolamento (UE) 2018/1724, dà atto dei problemi causati dagli short-term rentals e delle politiche pubbliche volte a contenerli: numeri 1 e 4 del considerando e art. 2, paragrafo 2.

Ancora, dalla sentenza del Tribunale costituzionale spagnolo n. 64 del 13 marzo 2025, avente ad oggetto il decreto-legge del Governo della Catalogna n. 3 del 2023, risulta che la limitazione della destinazione ad uso turistico di «immobili che sono stati classificati dalla pianificazione urbanistica come abitazioni abituali è una misura necessaria per evitare danni all’ambiente urbano, in particolare per proteggere il modello di città previsto dalla pianificazione urbanistica» (punto 5 della motivazione).

Peraltro, già nel 1975 il Tribunale costituzionale federale tedesco ha respinto le questioni sollevate, per lesione del diritto di proprietà, con riferimento ad una legge che prevedeva la possibilità di stabilire che, «nei comuni in cui è particolarmente messo a repentaglio l’accesso della popolazione agli alloggi a condizioni adeguate, lo spazio abitativo può essere adibito a scopi diversi da quello abitativo solo previa autorizzazione dell’autorità designata dal governo del Land» (ordinanza del BVerfG del 4 febbraio 1975, 2 BvL 5/74).

In definitiva, nella materia in esame la correzione dei “fallimenti del mercato” rientra fra le opzioni legittimamente adottabili dal legislatore. Meritevole risulta anche l’altro scopo perseguito dalle norme impugnate, cioè far rientrare nel sistema regionale del turismo (con i connessi obblighi e vantaggi: si veda il punto 7) solo le strutture “professionali”, a vantaggio degli utenti e della par condicio tra operatori.

Accertata la funzione sociale delle norme impugnate, occorre verificare che esse non siano affette da illogicità o sproporzione rispetto all’obiettivo prefissato (sentenze n. 143 del 2025, n. 119 e n. 5 del 2023). La previsione dell’obbligo di gestione in forma imprenditoriale è idonea a superare tale test: da un lato, come visto, le finalità perseguite (in particolare, quella di limitare gli effetti dell’overtourism) appaiono di particolare rilievo, tanto che il citato regolamento (UE) n. 2024/1028 mira a supportare le amministrazioni nazionali nell’elaborazione di politiche pubbliche del turismo volte a limitare la diffusione delle locazioni “brevi”, pur considerate “servizi” liberalizzati ai sensi della direttiva n. 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (si veda la menzionata sentenza CGUE, grande sezione, Cali Apartments, punto 34); dall’altro, le norme impugnate si inseriscono – come detto – in un quadro che contempla anche le locazioni turistiche non imprenditoriali, con conseguente possibilità per il proprietario di sottrarsi all’obbligo in questione, pur affittando il proprio immobile a fini turistici.

7.– Infine, occorre esaminare le questioni relative all’art. 59, concernente le locazioni turistiche brevi.

7.1.– È opportuna, preliminarmente, una breve ricostruzione del contesto normativo di riferimento.

Come già accennato, la legge regionale impugnata regola, nell’ambito del Titolo II, le strutture ricettive extra–alberghiere con le caratteristiche della civile abitazione e, nel Titolo III, le «Locazioni turistiche».

Nella disciplina statale, le locazioni turistiche compaiono, per la prima volta, nell’art. 1, comma 2, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), ma la distinzione tra esse e le strutture ricettive “classificate” viene introdotta (dopo un fugace cenno nell’art. 1, lettera f, del d.P.C.m. 13 settembre 2002, recante «Recepimento dell’accordo fra lo Stato, le regioni e le province autonome sui princìpi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico») dall’art. 13-quater, comma 4, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58. Tale distinzione è stata poi confermata dall’art. 13-ter del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, in favore degli enti territoriali, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 15 dicembre 2023, n. 191; dai commi 7 e 8 di tale disposizione risulta che le locazioni turistiche possono essere gestite anche in forma imprenditoriale.

Data la competenza regionale sulla classificazione delle strutture ricettive, il criterio distintivo tra strutture ricettive extra-alberghiere e locazioni turistiche non può essere individuato in generale, ma solo con riferimento ad una singola regione.

Esaminando la legge reg. Toscana n. 61 del 2024, risulta che le strutture ricettive extra-alberghiere sono inserite a pieno titolo nel sistema regionale del turismo, il che implica, da un lato, la necessità di rispettare determinati requisiti e la soggezione ad articolati poteri amministrativi, dall’altro lato la possibilità di beneficiare dei vantaggi offerti dallo stesso sistema regionale, cioè delle possibili provvidenze e dei «servizi offerti dal sistema pubblico di governance del turismo» (così la relazione illustrativa della proposta di legge). Le locazioni turistiche, invece, rientrano in un regime semi–privato, nel senso che: a) sono soggette ai requisiti strutturali igienico-sanitari e di sicurezza ma non ai requisiti stabiliti dalla legge e dal regolamento per le strutture ricettive (artt. 41, comma 2, e 58); b) quelle non imprenditoriali non sono soggette a SCIA ma solo alla comunicazione di cui all’art. 60; c) il titolare delle locazioni non imprenditoriali non deve avere alcun requisito soggettivo, quello delle locazioni imprenditoriali solo i requisiti di cui all’art. 61, comma 2; tutto ciò ferma restando la possibilità dei limiti di cui all’art. 59 (punto 7.1.).

Dato che l’art. 61 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024 prevede anche le locazioni turistiche imprenditoriali (in attuazione del sopra citato art. 13-ter, commi 7 e 8, del d.l. n. 145 del 2023, come convertito), la distinzione tra strutture ricettive extra-alberghiere e locazioni turistiche, in Toscana, consiste nella mancanza di servizi aggiuntivi nelle seconde: ciò risulta dall’art. 63 della legge impugnata, che contempla – a carico di chi effettua una locazione turistica – una sanzione amministrativa «nel caso in cui vengano forniti i servizi accessori o complementari propri delle strutture ricettive». Inoltre, gli articoli da 42 a 45, che disciplinano le strutture ricettive extra-alberghiere, prevedono per ognuna la possibilità di offrire servizi, variamente regolati.

7.2.– Ciò premesso, occorre rilevare che, in relazione alle locazioni turistiche, la legge regionale impugnata dedica alcune disposizioni alla generalità dei comuni toscani (artt. 58 e da 60 a 64) e, invece, rivolge la disciplina di cui all’art. 59 (Criteri e limiti per lo svolgimento dell’attività di locazione turistica breve) ai comuni ad alta densità turistica e ai comuni capoluogo di provincia.

Tali enti «possono, con proprio regolamento, individuare zone o aree in cui definire criteri e limiti specifici per lo svolgimento, per finalità turistiche, delle attività di locazione breve di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 […], esercitate anche in forma imprenditoriale» (comma 1).

Il comma 2 detta norme articolate volte a guidare il potere regolatorio dei comuni ed il comma 3 indica alcuni possibili criteri e limiti introducibili dagli stessi.

Il comma 4 dispone che, «[n]ei comuni dotati del regolamento di cui al comma 1, l’esercizio dell’attività di locazione breve, per le zone o aree interessate, e' subordinato al rilascio al locatore di un’autorizzazione di durata quinquennale per ciascuna unità immobiliare che si intende locare. Il comune può stabilire un limite massimo di autorizzazioni per determinate zone omogenee».

I commi 6 e 7 apportano due temperamenti alla disciplina limitativa delle locazioni turistiche brevi: da un lato, si precisa che «[r]esta consentita, senza previa autorizzazione, la locazione breve di una porzione dell’unita' immobiliare in cui il locatore ha la residenza, nonché di un singolo locale all’interno della medesima unita' immobiliare», dall’altro si introduce una disciplina transitoria volta a tutelare le situazioni pregresse.

In attuazione dell’art. 59, il Comune di Firenze ha approvato la deliberazione 5 maggio 2025, n. 27, recante il Regolamento per le locazioni turistiche brevi (attualmente oggetto di impugnazione davanti al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana).

È da segnalare che una norma analoga (riguardante, però, solo la città di Roma Capitale) è contenuta nell’art. 5, comma 3-ter, della legge della Regione Lazio 6 agosto 2007, n. 13, recante «Organizzazione del sistema turistico laziale. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo) e successive modifiche», aggiunto dall’art. 4, comma 1, lettera h), della legge della Regione Lazio 24 maggio 2022, n. 8, recante «Modifiche alla legge regionale 6 agosto 2007, n. 13 (Organizzazione del sistema turistico laziale. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 “Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo” e successive modifiche) e successive modifiche».

La particolare situazione del Comune di Venezia ha indotto ad intervenire anche il legislatore statale, con l’art. 37-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito. Esso dispone che, «[a]l fine di favorire l’incremento dell’offerta di alloggi in locazione per uso residenziale di lunga durata e la residenzialità nel centro storico nonché di tutelare il patrimonio storico-artistico e ambientale di rilevanza mondiale […], il comune di Venezia può: a) integrare i propri strumenti urbanistici con specifiche disposizioni regolamentari per definire, in modo differenziato per ambiti omogenei, con particolare riguardo al centro storico e alle isole della laguna veneziana, i limiti massimi e i presupposti per la destinazione degli immobili residenziali ad attività di locazione breve […]».

La questione della regolamentazione delle locazioni turistiche brevi è stata affrontata anche in via amministrativa, soprattutto nelle regioni comprendenti città che rappresentano forti poli di attrazione turistica. Il Comune di Venezia è intervenuto introducendo specifici limiti nel proprio regolamento edilizio, approvato con delibera del Consiglio comunale del 13 dicembre 2019, n. 70 (artt. 42 e 63). In relazione a tali norme, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, ha negato la loro attinenza all’ordinamento civile, riconducendole alla disciplina urbanistico-edilizia e sottolineando il fine di limitare gli effetti negativi del massiccio flusso turistico riguardante Venezia (sentenze 8 luglio 2023, n. 1022, e 27 dicembre 2022, n. 1961). Anche il Comune di Bologna è intervenuto con deliberazione dell’11 novembre 2024, modificando il proprio regolamento edilizio e adottando una variante al piano regolatore al fine di regolare le locazioni turistiche. In particolare, è stato introdotto il cosiddetto “alloggio minimo”, cioè il requisito della superficie minima di 50 mq per l’uso turistico degli immobili abitativi, nella città storica (al fine di garantire la disponibilità di piccoli alloggi per lavoratori e studenti fuori sede). Tali norme sono state impugnate davanti al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione seconda, che ha respinto il ricorso con la sentenza 31 marzo 2025, n. 308, rilevando che il fenomeno delle locazioni turistiche e' riconducibile anche al governo del territorio, sicche', «laddove e' funzionale alla ordinata pianificazione del territorio, la regolamentazione di questo fenomeno rientra nella potestà legislativa delle Regioni, e, a cascata, ricade nelle competenze amministrative assegnate dalla legge ai Comuni».

7.3.– Nel ricostruire il sistema costituzionale dello Stato regionale, occorre tener presente che un principio-guida è quello di sussidiarietà. Esso «esclude un modello astratto di attribuzione delle funzioni, ma richiede invece che sia scelto, per ogni specifica funzione, il livello territoriale più adeguato, in relazione alla natura della funzione, al contesto locale e anche a quello più generale in cui avviene la sua allocazione», considerando l’adeguatezza come corrispondenza «al modo migliore per realizzare i principi costituzionali» (sentenza n. 192 del 2024, punto 4.1. del Considerato in diritto). In relazione alla funzione legislativa, il principio di sussidiarietà non va inteso come strumento per vanificare il riparto costituzionale di competenze, ma come criterio interpretativo che può condurre a favorire le ragioni dell’unità o dell’autonomia: sotto il primo aspetto, la sentenza n. 192 del 2024 ha operato un’interpretazione sistematica dell’art. 116, terzo comma, Cost., utilizzando il principio di sussidiarietà per collegare l’autonomia differenziata al principio di unita', con l’effetto di circoscrivere i possibili conferimenti a specifiche funzioni; sotto il secondo aspetto, in taluni casi questa Corte ha ritenuto che una determinata disciplina fosse stata validamente adottata dalla regione anche in considerazione di una maggiore adeguatezza a realizzare i principi costituzionali nella situazione specificamente considerata (sentenze n. 185 e n. 16 del 2024).

Nella vicenda in esame, premesso che l’art. 59 non è riconducibile all’ordinamento civile né sotto il profilo oggettivo né sotto quello teleologico (si veda il successivo punto 7.4.), è opportuno rilevare che i problemi posti dalle locazioni turistiche brevi si concentrano in alcune zone del territorio e presentano diverse peculiarità in ognuna di esse. Il livello regionale e quello locale, dunque, sono in linea di massima più adeguati per adottare la disciplina amministrativa volta a conciliare gli interessi dei proprietari e degli utenti con quelli contrapposti (di tipo sociale ed urbanistico). In altri ordinamenti statali (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna), emerge un collegamento tra la disciplina delle locazioni turistiche ed il governo del territorio, con conseguente previsione di poteri regolatori e autorizzatori degli enti locali.

Anche il citato regolamento (UE) n. 2024/1028 menziona espressamente le norme – oltre che nazionali – «regionali o locali che disciplinano l’accesso ai servizi di locazione di alloggi a breve termine» (art. 2, paragrafo 2, lettera a). Il documento della Commissione UE Transition pathway for tourism: Taking stock of progress by 2023, del 2024, dà atto che «[t]he need of local authorities to have tools to monitor and regulate platform-based short-term rentals has grown alongside the intensifying discussions about overtourism in city centres» (punto 2.1.1.).

7.4.– Secondo il ricorrente, l’art. 59 violerebbe, in primo luogo, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbe la competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile, consentendo limitazioni dei diritti dei proprietari immobiliari.

La questione non è fondata.

Dal punto di vista oggettivo, l’art. 59 è riconducibile, in primo luogo, alla materia del turismo, in quanto prevede la possibilità di introdurre un regime amministrativo più rigoroso dell’ordinario per l’avvio e l’esercizio dell’attività di locazione turistica breve (comma 4, che contempla l’autorizzazione di durata quinquennale). Questa Corte ha già chiarito che la disciplina dei procedimenti amministrativi relativi alle attività turistiche rientra nella competenza legislativa regionale residuale (sentenza n. 80 del 2012, punto 6.13. del Considerato in diritto). In sostanza, la Regione Toscana ha dato autonomamente attuazione all’art. 9 della direttiva n. 2006/123/CE, sulla base dell’art. 117, quinto comma, Cost. e della citata sentenza della Corte di giustizia Cali Apartments.

La norma impugnata incide anche sul governo del territorio, perché prevede che i comuni possano regolare le destinazioni d’uso di specifiche zone del loro territorio.

In una prospettiva teleologica, l’art. 59 è riconducibile alla materia del turismo, del quale cerca di assicurare uno svolgimento “sostenibile”, e a quella del governo del territorio, perché lo scopo di «garantire un’offerta sufficiente ed economicamente accessibile di alloggi destinati alla locazione a lungo termine» (comma 2), oltre a soddisfare istanze sociali (di certo non estranee alla competenza legislativa regionale), si traduce in un razionale assetto del territorio, che anche nelle zone più “attrattive” deve conservare spazi destinati agli usi abitativi. Inoltre, dato lo scopo di «perseguire la corretta fruizione turistica del patrimonio storico, artistico e culturale» (art. 59, comma 2), la norma attiene anche alla «tutela […] dei beni culturali» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) e alla «valorizzazione dei beni culturali» (art. 117, terzo comma, Cost.).

È opportuno ricordare che questa Corte ha fatto salva, con la sentenza n. 94 del 2024, la norma di una legge valdostana concernente proprio le locazioni turistiche brevi, attestando che anche in relazione a queste «per il legislatore regionale è previsto uno spazio di intervento, che viene in rilievo con particolare riferimento all’ambito del turismo, nonché a quello del governo del territorio e dell’urbanistica». La Corte ha dunque escluso che, a differenza delle strutture ricettive extra-alberghiere, la disciplina delle locazioni turistiche brevi rientri nell’ordinamento civile. Infatti, già nella sentenza n. 84 del 2019 è stato affermato che «[l]’assunto di fondo da cui muove il ricorrente, secondo cui la disciplina delle case vacanze sia da ascrivere tout court alla competenza residuale in materia di turismo e quella delle locazioni turistiche all’ordinamento civile, non è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui gli aspetti turistici anche di queste ultime ricadono nella competenza residuale delle Regioni (sentenza n. 80 del 2012), mentre appartiene all’ordinamento civile la regolamentazione dell’attività negoziale e dei suoi effetti» (punto 4). Secondo la sentenza n. 94 del 2024, gli aspetti turistici «comprendono tutti gli adempimenti amministrativi, purché precedenti ed esterni al contratto in quanto tale».

Come visto, l’impostazione seguita da questa Corte trova riscontro sia a livello comparatistico sia nella giurisprudenza comune (punti 7.2. e 7.3.).

Il ricorrente censura la limitazione “localistica” del potere dispositivo dei proprietari. Alla stregua di quanto si è evidenziato (punto 6.1.), mentre spetta al diritto civile la regolazione diretta dell’autonomia negoziale dei privati, la limitazione indiretta di essa è effetto tipico di innumerevoli disposizioni di diritto amministrativo, che disciplinano e sottopongono a condizioni le attività private, per perseguire i diversi interessi pubblici (si veda, ad esempio, il d.lgs. n. 222 del 2016).

Se la limitazione del diritto dei proprietari di utilizzare l’immobile a fini di locazione turistica, in determinate zone di città caratterizzate da overtourism, rientrasse nella materia dell’ordinamento civile, la disciplina dovrebbe essere dettata direttamente dal legislatore statale: il che sarebbe chiaramente incongruo. Infatti, come visto nel punto 7.2., l’art. 37-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, ha previsto l’intervento regolamentare-urbanistico del Comune di Venezia al fine di fissare limiti massimi per la destinazione degli immobili residenziali alle locazioni turistiche brevi. Proprio il carattere localistico delle norme che limitano le locazioni turistiche conferma la loro estraneità all’ordinamento civile, la cui spettanza alla competenza legislativa esclusiva statale si fonda – oltre che sulla “vocazione” delle regioni (sentenza n. 7 del 1956) – sulla necessaria disciplina uniforme dei rapporti tra privati.

In definitiva, l’art. 59 detta una disciplina amministrativa che interseca in via prevalente le materie del governo del territorio e del turismo, in quanto prevede un potere regolatorio comunale – che riguarda un’attività economica di tipo turistico e si riflette sull’assetto del territorio – e istituisce un (possibile) regime amministrativo autorizzatorio.

I proprietari, da un lato, possono contestare i regolamenti adottati davanti al giudice amministrativo, dall’altro lato possono sfruttare il proprio bene in altri modi: o avviando una struttura ricettiva extra-alberghiera (in forma imprenditoriale) o rivolgendosi ad un’utenza non turistica. La destinazione di un immobile residenziale a locazione turistica non può essere considerata elemento essenziale del diritto di proprietà.

7.5.– Secondo il ricorrente, l’art. 59 violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto si farebbe «illegittimamente interprete di interessi pubblici» riservati all’esclusiva potestà legislativa statale in materia di tutela dei beni culturali.

La questione non è fondata.

In primo luogo, il fine di «perseguire la corretta fruizione turistica del patrimonio storico» (art. 59, comma 2) è riconducibile non solo alla tutela ma anche alla «valorizzazione dei beni culturali», rientrante nella competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.).

Inoltre, come visto (punto 7.4.), esaminando l’art. 59 in una prospettiva sia oggettiva che teleologica, le competenze regionali piene (turismo) o concorrenti (governo del territorio e valorizzazione dei beni culturali) risultano prevalenti rispetto alla tutela dei beni culturali.

Si può osservare anche che le regioni, nel momento in cui esercitano le competenze legislative ad esse assegnate dalla Costituzione, possono tener conto anche dell’esigenza di tutela dell’ambiente e dei beni culturali, dato che l’art. 9 Cost. attribuisce il compito di tutelare il «patrimonio storico e artistico della Nazione» alla «Repubblica», che comprende anche le regioni (art. 114, primo comma, Cost.). La competenza legislativa statale sarebbe violata se le regioni perseguissero il fine di tutela al di fuori dell’esercizio di una propria competenza o abbassando gli standard fissati dallo Stato.

7.6.– Infine, secondo il ricorrente, l’art. 59 violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto la norma impugnata sarebbe «anche gravemente contraddittoria», dato che gli elementi enunciati nelle lettere b)c)d) ed edel comma 2 non avrebbero alcuna attinenza con il tema della disponibilità di un numero adeguato di alloggi a prezzo accessibile.

La questione non è fondata.

L’art. 59, comma 2, indica tre finalità ai regolamenti comunali e prevede che i criteri limitativi tengano conto, in particolare, di una serie di elementi. Questi ultimi non risultano incoerenti rispetto alle tre finalità prefissate ai regolamenti. In particolare, le lettere a) e f) fanno riferimento ad elementi chiaramente collegati al tema della disponibilità degli alloggi e anche la lettera c) non appare ad esso estranea. Le lettere da a) a d) richiamano elementi connessi alle altre due finalità: «perseguire la corretta fruizione turistica del patrimonio storico, artistico e culturale, la preservazione del tessuto sociale».

La contraddittorietà denunciata dal ricorrente risulta, dunque, insussistente.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41, comma 3, della legge della Regione Toscana 31 dicembre 2024, n. 61 (Testo unico del turismo), promosse, in riferimento agli artt. 41 e 42 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41, comma 4, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 6, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41, comma 3, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41, comma 4, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 41 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli da 42 a 45 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promosse, in riferimento agli artt. 42 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 59 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promosse, in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lettere l) e s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 144, comma 3, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 ottobre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Giovanni PITRUZZELLA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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