Marchi d'impresa, rischio di confusione, rischio di associazione tra il segno e il marchio d'impresa

Corte di Giustizia UE, Sentenza n.C-425/98 del 22/06/2000

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Marchi d'impresa, rischio di confusione, rischio di associazione tra il segno e il marchio d'impresa

L'art. 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa non può essere interpretato nel senso che,

- quando un marchio possiede un carattere distintivo particolare, intrinsecamente, oppure grazie alla notorietà di cui gode presso il pubblico, e

- senza il consenso del titolare del marchio, un terzo usa, nel commercio, per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio è registrato, un segno che assomiglia a tal punto al marchio da far sorgere la possibilità di associarlo a quest'ultimo,

il diritto esclusivo del titolare del marchio consente a questi di vietare al terzo tale uso del segno qualora il carattere distintivo del marchio sia tale da non escludere che la detta associazione possa creare confusione.

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SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

22 giugno 2000

«Direttiva 89/104/CEE - Art. 5, n. 1, lett. b) - Marchi d'impresa - Rischio di confusione - Rischio di associazione tra il segno e il marchio d'impresa»

Nel procedimento C-425/98,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi, nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Marca Mode CV

e

Adidas AG,

Adidas Benelux BV,

domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b) della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU L 40, pag. 1),

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta dai signori J.C. Moitinho de Almeida, presidente di sezione, C. Gulmann (relatore), J.-P. Puissochet, G. Hirsch e signora F. Macken, giudici,

avvocato generale: F.G. Jacobs


cancelliere: H. von Holstein, cancelliere aggiunto

viste le osservazioni scritte presentate:

-    per la Marca Mode CV, dagli avv.ti O.W. Brouwer, D.W.F. Verkade e D.J.G. Visser, del foro di Amsterdam, e dall'avv. P. Wytinck, del foro di Bruxelles;

-    per la Adidas AG e la Adidas Benelux BV, dall'avv. C. Gielen, del foro di Amsterdam;

-    per il governo olandese, dal signor M.A. Fierstra, capo del servizio diritto comunitario presso il Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente;

-    per il governo del Regno Unito, dalla signora M. Ewing, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente;

-    per la Commissione delle Comunità europee, dalla signora K. Banks e dal signor P. Van Nuffel, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali della Marca Mode CV, rappresentata dagli avv.ti D.J.G. Visser e C.R.A. Swaak, del foro di Amsterdam, della Adidas AG e della Adidas Benelux BV, rappresentate dall'avv. S.A. Klos, del foro di Amsterdam, e della Commissione, rappresentata dal signor H.M.H. Speyart, membro del servizio giuridico, in qualità di agente, all'udienza del 24 novembre 1999,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 27 gennaio 2000,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1. Con sentenza 6 novembre 1998, pervenuta in cancelleria il 26 novembre 1998, lo Hoge Raad dei Paesi Bassi ha proposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), una questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).

2. Tale questione è sorta nell'ambito di una controversia tra la Marca Mode CV (in prosieguo: la «Marca Mode»), con sede in Amsterdam (Paesi Bassi), da un lato, e la Adidas AG, con sede in Herzogenaurach (Germania), e la Adidas Benelux BV, con sede in Etten-Leur (Paesi Bassi), dall'altro, in merito ad un marchio figurativo registrato dalla Adidas AG presso l'ufficio marchi del Benelux, marchio che è d'altra parte oggetto di una licenza esclusiva per il Benelux concessa dalla Adidas AG alla Adidas Benelux BV.

Il contesto giuridico

3. L'art. 5 della direttiva relativo ai diritti conferiti dal marchio d'impresa, prevede, al n. 1, lett. b), che:

«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a) (...)

b) un segno che, a motivo dell'identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell'identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa».

4. La maggior parte delle versioni linguistiche della direttiva utilizzano in tale disposizione, la nozione di «rischio» o «pericolo» di confusione o di associazione. Le versioni olandese e svedese utilizzano il concetto di possibilità di confusione e di rischio d'associazione, mentre la versione inglese impiega la nozione di «probabilità» di confusione o di associazione.

5. L'art. 5, n. 2, della direttiva recita:

«Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l'uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».

6. L'art. 13 A, punto 1, lett. b) della legge uniforme del Benelux sui marchi, diretto a trasporre nella normativa del Benelux l'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva, prevede:

«Fatta salva l'eventuale applicazione del diritto comune in materia di responsabilità civile, il diritto esclusivo sul marchio permette al titolare di opporsi a:

(...)

b) qualsiasi uso commerciale che venga fatto del marchio d'impresa o di un segno simile per i prodotti per i quali il marchio stesso è stato registrato ovvero per prodotti simili, allorché esista, per il pubblico, un rischio di associazione tra il segno ed il marchio d'impresa».

La controversia nella causa principale

7. Il marchio figurativo registrato dall'Adidas AG presso l'ufficio dei marchi del Benelux è costituito da tre strisce parallele. Esso riguarda in particolare abbigliamento sportivo ed articoli connessi allo sport.

8. La Marca Mode ha messo in vendita, nel suo stabilimento di Breda (Paesi Bassi), una collezione di indumenti sportivi alcuni dei quali recavano sui lati, in tutta la loro lunghezza, due strisce parallele. Tali indumenti erano bianchi a strisce nere oppure neri a strisce bianche.

9. La Marca Mode ha anche messo in commercio una polo bianca e arancione recante nel mezzo della parte anteriore, per tutta la lunghezza, tre strisce parallele e verticali nere, munite sul lato esterno di un sottile orlo bianco e interrotte, nella parte anteriore, da un medaglione con l'immagine di un gatto e recante l'iscrizione «TIM».

10. Il 26 giugno 1996, la Adidas AG e la Adidas Benelux BV (in prosieguo denominate congiuntamente «Adidas»), hanno convenuto in giudizio la Marca Mode con procedimento sommario dinanzi al presidente del Rechtbank di Breda. Affermando che la Marca Mode violava il suo marchio figurativo costituito da tre strisce, la Adidas ha chiesto che in futuro venisse vietato a tale ditta l'uso nel Benelux dei segni costituiti da tre o due strisce.

11. Il giudice del procedimento sommario ha concesso il provvedimento richiesto per sette indumenti e per la polo recante l'iscrizione «TIM».

12. Il Gerechtshof di s-Hertogenbosch ha confermato tale ordinanza.

13. La Marca Mode ha proposto allora ricorso per cassazione contro la sentenza del Gerechtshof dinanzi allo Hoge Raad dei Paesi Bassi.

14. Dinanzi a tale giudice la ricorrente ha contestato al giudice di appello il fatto di aver male applicato l'art. 13 A, punto 1, lett. b), della legge uniforme del Benelux sui marchi d'impresa, fondando la sua decisione sul solo accertamento dell'esistenza di un rischio di associazione da parte del pubblico interessato tra i segni contestati e il marchio registrato. Facendo valere la sentenza 11 novembre 1997, causa C-251/95, SABEL, (Racc. pag. I-6191), essa sostiene che, in conformità dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva, il Gerechtshof, per motivare la sua decisione, avrebbe dovuto accertare l'esistenza di un rischio di confusione.

15. Lo Hoge Raad ritiene che, alla luce della sentenza SABEL, ed in particolare dei punti 18, 22 e 24 di quest'ultima, potrebbe essere giustificato concludere che, se determinate circostanze, come il carattere distintivo particolare che possiede il marchio, intrinsecamente o grazie alla notorietà di cui gode presso il pubblico, devono condurre ad ammettere che non sia escluso il rischio di confusione, l'accertamento del rischio di associazione potrebbe allora essere sufficiente a giustificare un divieto dell'uso dei segni controversi.

16. Secondo lo Hoge Raad, una tale interpretazione permetterebbe, per quanto riguarda i marchi notori, di conciliare l'art. 5, n. 1, lett. b), e l'art. 5, n. 2 della direttiva il quale ultimo autorizza gli Stati membri ad accordare ai marchi notori una tutela per i prodotti e servizi non simili «se l'uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi». La prospettata interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva offrirebbe ai marchi notori anche una tutela contro l'eventualità che venga tratto profitto dal loro potere distintivo particolare o che venga arrecato pregiudizio agli stessi nel caso in cui siano utilizzati per prodotti o servizi identici o simili.

17. Il giudice a quo conclude che, se l'interpretazione da esso data alla citata sentenza SABEL fosse esatta, il motivo fatto valere dalla Marca Mode non potrebbe comportare la cassazione della sentenza del Gerechtshof. Esso rileva che tale sentenza ha accertato, oltre all'esistenza di una possibilità di associazione tra il segno della Marca Mode e il marchio Adidas, la notorietà di cui quest'ultimo gode. Ora, a suo parere, tenuto conto di quest'ultimo elemento, non si può escludere che la possibilità di un'associazione possa suscitare confusione. Di conseguenza, i fatti accertati potrebbero giustificare l'accoglimento della domanda inibitoria presentata dall'Adidas.

18. Alla luce di tali osservazioni, lo Hoge Raad dei Paesi Bassi ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 debba essere interpretato nel senso che,

a)    quando un marchio possiede un carattere distintivo particolare, intrinsecamente o grazie alla notorietà di cui gode presso il pubblico, e

b)    quando un terzo, senza il consenso del titolare del marchio, usa nel commercio, per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio è stato registrato, un segno che assomiglia al marchio a tal punto da far sorgere la possibilità di associarlo a quest'ultimo,

il diritto esclusivo del titolare del marchio consenta a questi di vietare al terzo tale uso del segno, qualora il carattere distintivo del marchio sia tale da non escludere che la detta associazione possa creare confusione».

19. Con la stessa sentenza, lo Hoge Raad ha anche sottoposto svariate questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia del Benelux. Secondo le informazioni fornite dalla Marca Mode, tale giudice, con ordinanza 18 gennaio 1999, ha sospeso l'esame delle questioni sottopostegli fino a che la Corte non si sia a sua volta pronunciata.

Sulla questione pregiudiziale

20. L'Adidas chiede che la Corte si pronunci sull'interpretazione dell'art. 5, n. 2, della direttiva.

21. Occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, nell'ambito della ripartizione delle funzioni giurisdizionali fra i giudici nazionali e la Corte, ripartizione effettuata dall'art. 177 del Trattato, il giudice nazionale, che è l'unico ad avere conoscenza diretta dei fatti della causa come pure delle argomentazioni delle parti, e che dovrà assumersi la responsabilità dell'emananda pronunzia, è nella situazione più idonea per valutare, con piena cognizione di causa, la pertinenza delle questioni di diritto sollevate dalla causa di cui è investito e la necessità di una pronuncia pregiudiziale per poter emettere la sentenza. Ciononostante, in caso di questioni eventualmente formulate in modo improprio, spetta alla Corte di giustizia estrarre dal complesso degli elementi forniti dal giudice nazionale, e in particolare dalla motivazione del provvedimento di rinvio, gli elementi di diritto comunitario che richiedono l'interpretazione , tenuto conto dell'oggetto della controversia (v. in particolare sentenza 29 novembre 1978, causa 83/78, Pigs Marketing Board, Racc. pag. 2347, punti 25 e 26).

22. Nella presente causa, emerge dalla sentenza di rinvio che lo Hoge Raad chiede solo un'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva e che la soluzione della controversia nella causa principale dipende dalla questione se il Gerechtshof abbia correttamente considerato che ricorresse la condizione dell'esistenza di un «rischio di confusione comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio d'impresa», prevista da tale disposizione comunitaria.

23. D'altra parte, non risulta dalla sentenza di rinvio che l'Adidas abbia fatto valere nella causa principale che l'uso immotivato dei segni controversi consentisse di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio figurativo da essa registrato o che recasse pregiudizio agli stessi, condizione alla quale è subordinata l'eventuale applicazione della disposizione di trasposizione dell'art. 5, n. 2, della direttiva. Lo Hoge Raad considera quest'ultimo articolo, non perché la controversia riguardi concretamente lo specifico pregiudizio al marchio da esso previsto, ma per sostenere che l'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva caldeggiata nella sentenza di rinvio garantirebbe una certa coerenza tra le situazioni disciplinate da queste due disposizioni.

24. Pertanto, al fine di fornire una soluzione utile al giudice nazionale, non occorre esaminare la questione dell'interpretazione dell'art. 5, n. 2, della direttiva.

25. Riguardo alla questione proposta dallo Hoge Raad, occorre rilevare che l'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva permette al titolare di un marchio, a talune condizioni, di vietare ai terzi l'uso di un segno il quale possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

26. Termini sostanzialmente identici sono utilizzati all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva, che indica i motivi per i quali un marchio d'impresa può essere escluso dalla registrazione o, se è stato registrato, può essere dichiarato nullo.

27. L'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva è stato oggetto di interpretazione da parte della Corte, in particolare nella citata sentenza SABEL.

28. Pertanto, tale interpretazione deve valere anche per l'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva.

29. Secondo lo Hoge Raad, la giurisprudenza della Corte non esclude che un rischio di confusione tra il marchio ed il segno possa essere presunto qualora il marchio possieda un carattere distintivo particolare, segnatamente a causa della sua notorietà, e qualora il segno utilizzato dai terzi per prodotti identici o simili assomigli a tal punto al marchio da far sorgere la possibilità di associarlo a quest'ultimo.

30. Con la sua questione, lo Hoge Raad cerca di sapere se l'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva debba essere interpretato nel senso che, in tali circostanze, il titolare del marchio può vietare ad un terzo l'uso del segno quando il carattere distintivo del marchio è tale che non sia escluso che l'associazione, operata dal pubblico tra il segno e il marchio, possa suscitare confusione.

31. Facendo riferimento alla citata sentenza SABEL, la Marca Mode, i governi olandese e del Regno Unito, nonché la Commissione, sostengono che la tutela accordata in forza dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva, come quella prevista dall'art. 4, n. 1, lett. b),della stessa direttiva, è sempre subordinata alla prova positiva di un rischio di confusione. Essi ritengono che, anche per i marchi notori, non sia sufficiente, in presenza di un semplice rischio di associazione, che un rischio di confusione non sia escluso.

32. Basandosi in particolare sul punto 24 della citata sentenza SABEL, l'Adidas afferma al contrario che, riguardo ai marchi notori, il rischio di associazione è sufficiente a giustificare un divieto qualora un rischio di confusione non sia escluso. In altri termini, per quel che riguarda tali marchi, il rischio di associazione condurrebbe a supporre un rischio di confusione.

33. A tal proposito, occorre anzitutto rilevare che, anche in circostanze specifiche come quelle descritte dallo Hoge Raad nella sua sentenza di rinvio, un rischio di confusione non può essere presunto.

34. Infatti, l'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva è destinato ad applicarsi solo se, a motivo dell'identità o della somiglianza dei marchi di impresa e dei prodotti o servizi designati, si «possa dar adito un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa». Da tale formulazione deriva che la nozione di rischio di associazione non è alternativa alla nozione di rischio di confusione, bensì serve a precisarne la portata. I termini stessi di tale disposizione escludono quindi che essa possa trovare applicazione se non sussiste nel pubblico un rischio di confusione [v. a proposito dell'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva, la citata sentenza SABEL, punto 18]. La tutela di un marchio registrato dipende così, ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva, dall'esistenza di un rischio di confusione [v. a proposito dell'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva, la sentenza 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc. pag. I-5507, punto 18].

35. Tale interpretazione trova conforto anche nel decimo 'considerando' della direttiva, dal quale emerge che «il rischio di confusione (...) costituisce la condizione specifica della tutela» (sentenza SABEL, citata, punto 19).

36. Essa non è contraddetta dall'art. 5, n. 2, della direttiva, che introduce, in favore dei marchi notori, una tutela per la cui attuazione non è richiesta l'esistenza di un rischio di confusione. Infatti, tale disposizione si applica a situazioni nelle quali la condizione specifica della tutela è costituita da un uso immotivato del segno controverso che consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio oppure arreca pregiudizio agli stessi.

37. L'Adidas non può utilmente riferirsi al punto 24 della citata sentenza SABEL.

38. In tale punto, la Corte ha rilevato che il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore, aggiungendo poi che non può quindi essere escluso che la somiglianza concettuale derivante dal fatto che due marchi utilizzino immagini concordanti nel loro contenuto semantico possa creare rischio di confusione nel caso in cui il marchio anteriore possieda un carattere distintivo particolare, sia intrinsecamente, sia grazie alla notorietà di cui gode presso il pubblico.

39. La Corte ha così sottolineato che il carattere distintivo particolare del marchio anteriore può aumentare il rischio di confusione e che, in presenza di una somiglianza concettuale del marchio e del segno, può contribuire a far sorgere un tale rischio. La formulazione negativa, «non può quindi essere escluso», di cui al punto 24 della citata sentenza SABEL, mette semplicemente in rilievo la possibilità che un rischio nasca dalla congiunzione dei due fattori esaminati. Essa non implica in alcun modo una presunzione di rischio di confusione che risulti dall'esistenza di un rischio di associazione in senso stretto. Con una tale formula, la Corte ha implicitamente rinviato alla valutazione delle prove che il giudice nazionale deve svolgere in ciascuna causa dinanzi ad esso pendente. Essa non lo ha dispensato dallo svolgere il necessario accertamento positivo dell'esistenza di un rischio di confusione, il quale costituisce l'oggetto della prova da apportare.

40. A questo proposito occorre ricordare che il rischio di confusione deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie. (sentenza SABEL, citata, punto 22). La valutazione globale implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione (sentenza Canon , citata, punto 17). Per esempio, può essere accertato un rischio di confusione, nonostante il minor grado di somiglianza tra i prodotti o servizi designati, allorché la somiglianza dei marchi è grande e grande è il carattere distintivo del marchio anteriore, in particolare la sua notorietà (sentenza Canon, citata, punto 19).

41. La notorietà di un marchio, una volta dimostrata, è quindi un elemento che, tra gli altri, può rivestire una sicura importanza. In questo senso, si può osservare che i marchi che hanno un elevato carattere distintivo, in particolare a motivo della loro notorietà, godono di una tutela più ampia rispetto ai marchi il cui carattere distintivo è inferiore (sentenza Canon, citata, punto 18). Tuttavia, la notorietà di un marchio non permette di presumere l'esistenza di un rischio di confusione per il solo fatto dell'esistenza di un rischio di associazione in senso stretto.

42. Occorre pertanto risolvere la questione pregiudiziale dichiarando che l'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva non può essere interpretato nel senso che,

- quando un marchio possiede un carattere distintivo particolare, intrinsecamente, oppure grazie alla notorietà di cui gode presso il pubblico, e

- senza il consenso del titolare del marchio un terzo usa, nel commercio, per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio è registrato, un segno che assomiglia a tal punto al marchio da far sorgere la possibilità di associarlo a quest'ultimo,

il diritto esclusivo del titolare del marchio consente a questi di vietare al terzo tale uso del segno qualora il carattere distintivo del marchio sia tale da non escludere che la detta associazione possa creare confusione.

Sulle spese

43. Le spese sostenute dai governi olandese e del Regno Unito, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Sesta Sezione),

pronunciandosi sulla questione sottopostale dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi con sentenza 6 novembre 1998, dichiara:

L'art. 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa non può essere interpretato nel senso che,

- quando un marchio possiede un carattere distintivo particolare, intrinsecamente, oppure grazie alla notorietà di cui gode presso il pubblico, e

- senza il consenso del titolare del marchio, un terzo usa, nel commercio, per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio è registrato, un segno che assomiglia a tal punto al marchio da far sorgere la possibilità di associarlo a quest'ultimo,

il diritto esclusivo del titolare del marchio consente a questi di vietare al terzo tale uso del segno qualora il carattere distintivo del marchio sia tale da non escludere che la detta associazione possa creare confusione.

Moitinho de Almeida
Gulmann
Puissochet

Hirsch

Macken

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 22 giugno 2000.


Il cancelliere

Il presidente della Sesta Sezione

R. Grass

J.C. Moitinho de Almeida


* Lingua processuale: l'olandese.

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