
La Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza dell'11 novembre 2025 (causa C-19/23), ha confermato la validità della Direttiva (UE) 2022/2041 sui salari minimi adeguati, accogliendo solo in parte il ricorso della Danimarca, che ne chiedeva l'annullamento integrale.
Sono state infatti dichiarate nulle le disposizioni che imponevano criteri obbligatori di calcolo e la clausola di non regresso, considerate una ingerenza diretta nelle competenze nazionali in materia di retribuzioni.
Può l'Unione europea intervenire nella disciplina dei salari minimi senza violare la competenza nazionale degli Stati membri in materia di retribuzioni?
La questione è stata sollevata dal ricorso della Danimarca, sostenuta dalla Svezia, che ha chiesto l'annullamento totale della Direttiva (UE) 2022/2041 sui salari minimi adeguati. Secondo il Paese nordico, la direttiva avrebbe travalicato le competenze dell'Unione interferendo direttamente con la determinazione delle retribuzioni e con il diritto di associazione sindacale.
L'articolo 153, paragrafo 5, TFUE esclude espressamente la competenza dell'Unione europea in materia di retribuzioni e di diritto di associazione. Tuttavia, la stessa disposizione consente interventi dell'Unione a sostegno delle condizioni di lavoro e della protezione dei lavoratori, purché non si arrivi a determinare direttamente i salari.
La Direttiva (UE) 2022/2041 mira a promuovere salari minimi adeguati e a rafforzare la contrattazione collettiva, lasciando libertà agli Stati membri di scegliere se introdurre un salario minimo legale o affidarsi esclusivamente alla contrattazione tra le parti sociali.
La Corte ha chiarito che l'esclusione di competenza dell'Unione non si estende a tutte le questioni che abbiano un qualsiasi nesso con le retribuzioni. Ciò che è vietato è l'ingerenza diretta nella determinazione dei salari, non l'adozione di misure che possano indirettamente incidere su di essi nell'ambito delle politiche sociali e occupazionali.
Nel caso concreto, la Corte ha individuato una violazione delle competenze nazionali solo in due disposizioni:
quella che imponeva agli Stati membri di adottare criteri obbligatori (come potere d'acquisto, costo della vita e produttività) per la fissazione e l'aggiornamento dei salari minimi legali;
quella che vietava di ridurre i salari minimi nei sistemi con indicizzazione automatica (la cosiddetta clausola di non regresso).
Per il resto, la Corte ha riconosciuto la legittimità dell'intervento europeo, sottolineando che la direttiva non obbliga gli Stati ad adottare un salario minimo legale né incide sulla libertà sindacale o sull'autonomia contrattuale.
La sentenza conferma la validità della direttiva, ribadendo che l'Unione può fissare obiettivi sociali comuni senza sostituirsi agli Stati membri nella determinazione delle retribuzioni.
Restano salve le competenze nazionali, che potranno definire liberamente i criteri di adeguamento dei salari minimi. Per l'Italia, dove il salario minimo non è previsto per legge ma affidato alla contrattazione collettiva, la decisione non comporta obblighi diretti ma rafforza il principio di tutela dei lavoratori attraverso strumenti contrattuali.
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
11 novembre 2025 (*)
Indice
I. Contesto normativo
A. Trattato FUE
B. Direttiva impugnata
II. Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte
III. Sul ricorso
A. Sulle conclusioni presentate in via principale, dirette all’annullamento della direttiva impugnata
1. Sul primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE e su uno sviamento dei poteri conferiti dai Trattati al legislatore dell’Unione
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
1) Sulla finalità e sul contenuto della direttiva impugnata
2) Sulla prima parte del primo motivo, vertente su una violazione dell’esclusione di competenza relativa alle «retribuzioni»
i) Articolo 4 della direttiva impugnata
ii) Articolo 5 della direttiva impugnata
iii) Articolo 6 della direttiva impugnata
3) Sulla seconda parte del primo motivo, vertente su una violazione dell’esclusione di competenza relativa al «diritto di associazione»
2. Sul secondo motivo, vertente sull’impossibilità di adottare la direttiva impugnata sul fondamento dell’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
B. Sulle conclusioni presentate in subordine, dirette all’annullamento dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), e/o dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata
IV. Sulle spese
« Ricorso di annullamento – Direttiva (UE) 2022/2041 – Salari minimi adeguati nell’Unione europea – Articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE – Articolo 153, paragrafo 2, lettera b), TFUE – Rispetto delle competenze conferite all’Unione dai Trattati – Articolo 153, paragrafo 5, TFUE – Esclusioni di competenza – “Retribuzioni” e “diritto di associazione” – Ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima e nel diritto di associazione – Annullamento parziale – Articolo 5, paragrafo 1, in parte, paragrafi 2 e 3 in fine »
Nella causa C-19/23,
avente ad oggetto il ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, proposto il 18 gennaio 2023,
Regno di Danimarca, rappresentato inizialmente da M. Jespersen, J.F. Kronborg e C.A.-S. Maertens, successivamente da M. Jespersen, C.A.-S. Maertens e A. Skovsø Clausen, in qualità di agenti,
ricorrente,
sostenuto da:
Regno di Svezia, rappresentato inizialmente da H. Eklinder, H. Shev e O. Simonsson, successivamente da H. Eklinder e O. Simonsson, in qualità di agenti,
interveniente,
contro
Parlamento europeo, rappresentato da W.D. Kuzmienko, U. Spliid, A. Tamás e L. Visaggio, in qualità di agenti,
convenuto,
sostenuto da:
Repubblica federale di Germania, rappresentata inizialmente da J. Möller e A. Hoesch, in qualità di agenti, successivamente da J. Möller, in qualità di agente;
Repubblica ellenica, rappresentata da V. Baroutas e M. Tassopoulou, in qualità di agenti;
Regno di Spagna, rappresentato da A. Gavela Llopis, in qualità di agente;
Repubblica francese, rappresentata inizialmente da R. Bénard, J.-L. Carré, B. Fodda e T. Lechevallier, successivamente da B. Fodda e T. Lechevallier, in qualità di agenti;
Granducato di Lussemburgo, rappresentato da A. Germeaux e T. Schell, in qualità di agenti, assistiti da V. Verdanet, avocate;
Commissione europea, rappresentata inizialmente da B.-R. Killmann e C. Vang, in qualità di agenti, successivamente da B.-R. Killmann, in qualità di agente,
intervenienti,
Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente da A.F. Jensen, A. Norberg e S. Scarpa Ferraglio, successivamente da A. Norberg e S. Scarpa Ferraglio, in qualità di agenti,
convenuto,
sostenuto da:
Regno del Belgio, rappresentato inizialmente da C. Pochet, A. Van Baelen e L. Van den Broeck, in qualità di agenti, successivamente da C. Pochet, in qualità di agente;
Repubblica federale di Germania, rappresentata inizialmente da J. Möller e A. Hoesch, in qualità di agenti, successivamente da J. Möller, in qualità di agente;
Repubblica ellenica, rappresentata da V. Baroutas e M. Tassopoulou, in qualità di agenti;
Regno di Spagna, rappresentato da A. Gavela Llopis, in qualità di agente;
Repubblica francese, rappresentata inizialmente da R. Bénard, J.-L. Carré, B. Fodda e T. Lechevallier, successivamente da B. Fodda e T. Lechevallier, in qualità di agenti;
Granducato di Lussemburgo, rappresentato da A. Germeaux e T. Schell, in qualità di agenti, assistiti da V. Verdanet, avocate;
Repubblica portoghese, rappresentata da C. Alves, P. Barros da Costa, P. Estevão, S. Leite, A. Pimenta e M. Sousa, in qualità di agenti;
Commissione europea, rappresentata inizialmente da B.-R. Killmann e C. Vang, in qualità di agenti, successivamente da B.-R. Killmann, in qualità di agente,
intervenienti,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, T. von Danwitz, vicepresidente, F. Biltgen (relatore), K. Jürimäe, C. Lycourgos, I. Jarukaitis, I. Ziemele, J. Passer e O. Spineanu-Matei, presidenti di sezione, S. Rodin, E. Regan, A. Kumin, N. Jääskinen, M. Gavalec e Z. Csehi, giudici,
avvocato generale: N. Emiliou
cancelliere: M. Krausenboeck, amministratrice
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 settembre 2024,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 gennaio 2025,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il suo ricorso, il Regno di Danimarca chiede alla Corte, in via principale, l’annullamento integrale della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea (GU 2022, L 275, pag. 33; in prosieguo: la «direttiva impugnata») e, in subordine, l’annullamento dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), e/o dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata.
I. Contesto normativo
A. Trattato FUE
2 Il titolo X della parte terza del trattato FUE, intitolato «Politica sociale», comprende gli articoli da 151 a 161 TFUE.
3 A termini dell’articolo 151 TFUE:
«L’Unione [europea] e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 [(in prosieguo: la “Carta dei diritti sociali”)], hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione.
A tal fine, l’Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell’economia dell’Unione.
Essi ritengono che una tale evoluzione risulterà sia dal funzionamento del mercato interno, che favorirà l’armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste dai trattati e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative».
4 L’articolo 152, primo comma, TFUE così dispone:
«L’Unione riconosce e promuove il ruolo delle parti sociali al suo livello, tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali. Essa facilita il dialogo tra tali parti, nel rispetto della loro autonomia».
5 L’articolo 153 TFUE prevede:
«1. Per conseguire gli obiettivi previsti all’articolo 151, l’Unione sostiene e completa l’azione degli Stati membri nei seguenti settori:
(...)
b) condizioni di lavoro;
(...)
f) rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la cogestione, fatto salvo il paragrafo 5;
(...)
2. A tal fine il Parlamento europeo e il Consiglio [dell’Unione europea]:
(...)
b) possono adottare nei settori di cui al paragrafo 1, lettere da a) a i), mediante direttive, le prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro. Tali direttive evitano di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese.
Il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria previa consultazione del Comitato economico e sociale [europeo (CESE)] e del Comitato [europeo] delle regioni [(CdR)].
Nei settori di cui al paragrafo 1, lettere c), d), f) e g), il Consiglio delibera secondo una procedura legislativa speciale, all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo e di detti Comitati.
(...)
5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle retribuzioni, al diritto di associazione, al diritto di sciopero né al diritto di serrata».
6 L’articolo 156 TFUE è così formulato:
«Per conseguire gli obiettivi dell’articolo 151 e fatte salve le altre disposizioni dei trattati, la Commissione [europea] incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri e facilita il coordinamento della loro azione in tutti i settori della politica sociale contemplati dal presente capo, in particolare per le materie riguardanti:
(...)
– il diritto di associazione e la contrattazione collettiva tra datori di lavoro e lavoratori.
(...)».
B. Direttiva impugnata
7 La direttiva impugnata è stata adottata sul fondamento dell’articolo 153, paragrafo 2, lettera b), TFUE, in combinato disposto con l’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE.
8 I considerando 3, 7, 8, 12, 16, 18, 19, 22, 24, 25, 28 e 29 di tale direttiva recitano:
«(3) L’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (...) [(in prosieguo: la “Carta”)] sancisce il diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose. (...)
(...)
(7) Migliori condizioni di vita e di lavoro, anche attraverso salari minimi adeguati ed equi, apportano vantaggi ai lavoratori e alle imprese dell’Unione, come pure alla società e all’economia in generale, e sono un presupposto fondamentale per conseguire una crescita equa, inclusiva e sostenibile. Colmare le grandi differenze nella copertura e nell’adeguatezza della tutela garantita dal salario minimo contribuisce a migliorare l’equità del mercato del lavoro dell’Unione, a prevenire e ridurre le disuguaglianze retributive e sociali e a promuovere il progresso economico e sociale e la convergenza verso l’alto. (...)
(8) Se fissati a livelli adeguati, i salari minimi, quali previsti dal diritto nazionale o da contratti collettivi, proteggono il reddito dei lavoratori, in particolare dei lavoratori svantaggiati, e contribuiscono a garantire una vita dignitosa, in linea con gli obiettivi perseguiti dalla convenzione n. 131 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) del 1970 sulla fissazione del salario minimo. I salari minimi che garantiscono un tenore di vita dignitoso, e rispettano quindi una soglia di dignità, possono contribuire a ridurre la povertà a livello nazionale e a sostenere la domanda interna e il potere d’acquisto, a rafforzare gli incentivi al lavoro, a ridurre le disuguaglianze salariali, il divario retributivo di genere e la povertà lavorativa e a limitare il calo del reddito nei periodi di contrazioni economiche.
(...)
(12) Sebbene la tutela garantita dal salario minimo esista in tutti gli Stati membri, in alcuni di essi questa deriva da disposizioni legislative o amministrative e da contratti collettivi, mentre in altri viene fornita esclusivamente mediante contratti collettivi. È opportuno rispettare le diverse tradizioni nazionali degli Stati membri.
(...)
(16) Sebbene una solida contrattazione collettiva, in particolare a livello settoriale o intersettoriale, contribuisca ad assicurare una tutela garantita dal salario minimo adeguata, negli ultimi decenni le strutture tradizionali di contrattazione collettiva si sono indebolite (...). Inoltre, la contrattazione collettiva a livello settoriale e intersettoriale ha subito pressioni in alcuni Stati membri all’indomani della crisi finanziaria del 2008. Tuttavia, la contrattazione collettiva a livello settoriale e intersettoriale è un fattore essenziale per conseguire una tutela garantita dai salari minimi e deve pertanto essere promossa e rafforzata.
(...)
(18) Al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nonché la convergenza sociale verso l’alto nell’Unione, la presente direttiva stabilisce prescrizioni minime a livello dell’Unione, fissa obblighi procedurali per l’adeguatezza dei salari minimi legali e potenzia l’accesso effettivo dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo sotto forma di salario minimo legale, laddove esista, o se prevista nei contratti collettivi quali definiti ai fini della presente direttiva. La presente direttiva promuove anche la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari.
(19) Conformemente all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, la presente direttiva non intende armonizzare il livello dei salari minimi nell’Unione, né istituire un meccanismo uniforme per la determinazione dei salari minimi. Essa non interferisce con la libertà degli Stati membri di fissare salari minimi legali o di promuovere l’accesso alla tutela garantita dal salario minimo prevista da contratti collettivi, in linea con il diritto e la prassi nazionale e con le specificità di ciascuno Stato membro e nel pieno rispetto delle competenze nazionali e del diritto delle parti sociali di concludere accordi. La presente direttiva non impone, e non dovrebbe essere interpretata come se imponesse, agli Stati membri nei quali la formazione dei salari sia fornita esclusivamente mediante contratti collettivi, l’obbligo di introdurre un salario minimo legale né di dichiarare i contratti collettivi universalmente applicabili. Inoltre, la presente direttiva non stabilisce il livello delle retribuzioni, che rientra nel diritto delle parti sociali di concludere accordi a livello nazionale e nella competenza degli Stati membri.
(...)
(22) Il buon funzionamento della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari è uno strumento importante attraverso il quale garantire che i lavoratori siano tutelati da salari minimi adeguati che garantiscano quindi un tenore di vita dignitoso. Negli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali, la contrattazione collettiva sostiene l’andamento generale dei salari e contribuisce quindi a migliorare l’adeguatezza dei salari minimi, così come le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori. Negli Stati membri in cui la tutela garantita dal salario minimo è prevista esclusivamente mediante la contrattazione collettiva, il livello dei salari minimi e la percentuale dei lavoratori tutelati sono determinati direttamente dal funzionamento del sistema di contrattazione collettiva e dalla copertura della contrattazione collettiva. Una contrattazione collettiva solida e ben funzionante, unita a un’elevata copertura dei contratti collettivi settoriali o intersettoriali, rafforza l’adeguatezza e la copertura dei salari minimi.
(...)
(24) In un contesto di diminuzione della copertura della contrattazione collettiva è essenziale che gli Stati membri promuovano la contrattazione collettiva, agevolino l’esercizio del diritto di contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e rafforzino in tal modo la determinazione dei salari prevista dai contratti collettivi al fine di migliorare la tutela garantita dal salario minimo dei lavoratori. Gli Stati membri hanno ratificato la convenzione n. 87 dell’OIL (...) sulla libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale[, adottata a San Francisco il 9 luglio 1948,] e la convenzione n. 98 dell’OIL (...) sul diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva[, adottata a Ginevra il 1° luglio 1949]. Il diritto di contrattazione collettiva è riconosciuto ai sensi di tali convenzioni dell’OIL, della convenzione n. 151 dell’OIL (...) sui rapporti di lavoro (servizi pubblici) [adottata a Ginevra il 27 giugno 1978,] e della convenzione n. 154 dell’OIL (...) sulla contrattazione collettiva[, adottata a Ginevra il 19 giugno 1981], nonché dalla convenzione [europea] per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950,] e dalla [Carta sociale europea]. Gli articoli 12 e 28 della Carta garantiscono, rispettivamente, la libertà di riunione e di associazione e il diritto di negoziazione e di azione collettiva. Secondo il suo preambolo, la Carta riafferma tali diritti quali risultano, in particolare, dalla convenzione [europea] per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalle carte sociali adottate dall’Unione e dal Consiglio d’Europa. Gli Stati membri dovrebbero adottare, se del caso e in conformità delle legislazioni e prassi nazionali, misure volte a promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari. Tali misure potrebbero comprendere, tra l’altro, misure volte ad agevolare l’accesso dei rappresentanti sindacali ai lavoratori.
(25) Gli Stati membri caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere una piccola percentuale di lavoratori a basso salario e salari minimi elevati. (...) Ciascuno Stato membro con una copertura della contrattazione collettiva inferiore a una soglia dell’80°% dovrebbe fornire un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva e istituire un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva al fine di aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva. Al fine di rispettare l’autonomia delle parti sociali, che include il loro diritto alla contrattazione collettiva ed esclude qualsiasi obbligo di concludere contratti collettivi, la soglia dell’80% della copertura della contrattazione collettiva dovrebbe essere interpretata solo come un indicatore che fa scattare l’obbligo di elaborare un piano d’azione.
(...) I tassi di copertura della contrattazione collettiva degli Stati membri variano considerevolmente a causa di una serie di fattori, tra cui la tradizione e la prassi nazionali nonché il contesto storico. Tali aspetti dovrebbero essere presi in considerazione nell’analisi dei progressi conseguiti verso una maggiore copertura della contrattazione collettiva, in particolare per quanto riguarda il piano d’azione previsto dalla presente direttiva.
(...)
(28) I salari minimi sono considerati adeguati se sono equi rispetto alla distribuzione salariale dello Stato membro pertinente e se consentono un tenore di vita dignitoso ai lavoratori sulla base di un rapporto di lavoro a tempo pieno. L’adeguatezza dei salari minimi legali è determinata e valutata da ciascuno Stato membro tenendo conto delle proprie condizioni socioeconomiche nazionali, comprese la crescita dell’occupazione, la competitività e gli sviluppi regionali e settoriali. Ai fini di tale determinazione, gli Stati membri dovrebbero tenere conto del potere d’acquisto, dei livelli e degli sviluppi della produttività nazionale a lungo termine, nonché del livello dei salari, della loro distribuzione e della loro crescita.
(...)
(29) Fatta salva la competenza degli Stati membri di fissare il salario minimo legale e di consentire variazioni e trattenute, è importante evitare che le variazioni e le trattenute siano ampiamente utilizzate, in quanto rischiano di incidere negativamente sull’adeguatezza dei salari minimi. (...)».
9 La direttiva impugnata consta di quattro capi. Il capo I di tale direttiva, intitolato «Disposizioni generali», è costituito dagli articoli da 1 a 4. Il capo II della suddetta direttiva, intitolato «Salari minimi legali», contiene gli articoli da 5 a 8. Il capo III della medesima direttiva, intitolato «Disposizioni orizzontali», contiene gli articoli da 9 a 13. Il capo IV della direttiva impugnata, intitolato «Disposizioni finali», è costituito dagli articoli da 14 a 19.
10 L’articolo 1 della direttiva impugnata, intitolato «Oggetto e ambito di applicazione», ai paragrafi da 1 a 4 prevede quanto segue:
«1. Al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto e alla riduzione delle disuguaglianze retributive, la presente direttiva istituisce un quadro per:
a) l’adeguatezza dei salari minimi legali al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose;
b) la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari;
c) il miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo ove previsto dal diritto nazionale e/o da contratti collettivi.
2. La presente direttiva fa salvo il pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali, nonché il loro diritto a negoziare e concludere contratti collettivi.
3. Conformemente all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, la presente direttiva fa salva la competenza degli Stati membri di fissare il livello dei salari minimi, nonché la scelta degli Stati membri di fissare salari minimi legali, di promuovere l’accesso alla tutela garantita dal salario minimo prevista nei contratti collettivi o entrambi.
4. L’applicazione della presente direttiva è pienamente conforme al diritto di contrattazione collettiva. Nessuna disposizione della presente direttiva può essere interpretata in modo tale da imporre a qualsiasi Stato membro:
a) l’obbligo di introdurre un salario minimo legale, laddove la formazione dei salari sia garantita esclusivamente mediante contratti collettivi, o
b) l’obbligo di dichiarare un contratto collettivo universalmente applicabile».
11 L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», prevede che essa «si applica ai lavoratori dell’Unione che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo conto della giurisprudenza della [Corte]».
12 L’articolo 3 della suddetta direttiva, intitolato «Definizioni», è così formulato:
«Ai fini della presente direttiva si applicano le definizioni seguenti:
1) “salario minimo”: la retribuzione minima stabilita per legge o da contratti collettivi che un datore di lavoro, anche nel settore pubblico, è tenuto a pagare ai lavoratori per il lavoro svolto durante un dato periodo;
2) “salario minimo legale”: un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti, ad esclusione dei salari minimi determinati da contratti collettivi che sono stati dichiarati universalmente applicabili senza alcun margine discrezionale quanto al contenuto delle disposizioni applicabili da parte dell’autorità dichiarante;
3) “contrattazione collettiva”: l’insieme delle negoziazioni che avvengono conformemente al diritto e alle prassi nazionali di ciascuno Stato membro tra un datore di lavoro, un gruppo di datori di lavoro o una o più organizzazioni di datori di lavoro, da un lato, e uno o più sindacati, dall’altro, per determinare le condizioni di lavoro e di impiego;
4) “contratto collettivo”: un accordo scritto relativo alle disposizioni in materia di condizioni di lavoro e di occupazione concluso dalle parti sociali aventi la capacità di negoziare per conto rispettivamente dei lavoratori e dei datori di lavoro, conformemente al diritto e alla prassi nazionale, compresi gli accordi collettivi che sono stati dichiarati universalmente applicabili;
5) “copertura della contrattazione collettiva”: la percentuale di lavoratori a livello nazionale cui si applica un contratto collettivo, calcolata come rapporto tra il numero di lavoratori coperti da contratti collettivi e il numero di lavoratori le cui condizioni di lavoro possono essere disciplinate da contratti collettivi conformemente al diritto e alle prassi nazionali».
13 L’articolo 4 della medesima direttiva, intitolato «Promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari», prevede quanto segue:
«1. Al fine di aumentare la copertura della contrattazione collettiva e facilitare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, gli Stati membri, con la partecipazione delle parti sociali e conformemente al diritto e alle prassi nazionali:
(...)
c) adottano, se del caso, misure volte a tutelare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e a proteggere i lavoratori e i rappresentanti sindacali da atti che li discriminino nel loro impiego per il fatto di partecipare o di voler partecipare alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari;
d) al fine di promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, adottano misure, se del caso, per proteggere i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro che partecipano o intendono partecipare alla contrattazione collettiva da qualsiasi atto di interferenza reciproca o di interferenza da parte di agenti o membri della controparte nella loro istituzione, nel loro funzionamento o nella loro amministrazione.
2. Inoltre, ogni Stato membro, qualora il tasso di copertura della contrattazione collettiva sia inferiore a una soglia dell’80%, prevede un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime. Tale Stato membro definisce altresì un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva. Lo Stato membro definisce tale piano d’azione previa consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime o, a seguito di una richiesta congiunta delle parti sociali, come da esse concordato. Il piano d’azione stabilisce un calendario chiaro e misure concrete per aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva, nel pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali. Lo Stato membro riesamina il suo piano d’azione periodicamente, e lo aggiorna se necessario. Qualora lo Stato membro aggiorni il suo piano d’azione, ciò avviene previa consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime o, a seguito di una richiesta congiunta delle parti sociali, come da esse concordato. In ogni caso, tale piano d’azione è sottoposto a riesame almeno ogni cinque anni. Il piano d’azione e gli eventuali aggiornamenti sono resi pubblici e notificati alla Commissione».
14 L’articolo 5 della direttiva impugnata, intitolato «Procedura per la determinazione di salari minimi legali adeguati», è così formulato:
«1. Gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali istituiscono le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali. Tale determinazione e aggiornamento sono basati su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza, al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l’alto e ridurre il divario retributivo di genere. Gli Stati membri definiscono tali criteri conformemente alle rispettive prassi nazionali, nel pertinente diritto nazionale, nelle decisioni degli organi competenti o in accordi tripartiti. I criteri sono definiti in modo chiaro. Gli Stati membri possono decidere il peso relativo di tali criteri, compresi gli elementi di cui al paragrafo 2, tenendo conto delle rispettive condizioni socioeconomiche nazionali.
2. I criteri nazionali di cui al paragrafo 1 comprendono almeno gli elementi seguenti:
a) il potere d’acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita;
b) il livello generale dei salari e la loro distribuzione;
c) il tasso di crescita dei salari;
d) i livelli e l’andamento nazionali a lungo termine della produttività.
3. Fatti salvi gli obblighi stabiliti al presente articolo, gli Stati membri possono inoltre ricorrere a un meccanismo automatico di adeguamento dell’indicizzazione dei salari minimi legali, basato su criteri appropriati e conformemente al diritto e alle prassi nazionali, a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale.
4. Gli Stati membri utilizzano valori di riferimento indicativi per orientare la loro valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali. A tal fine, possono utilizzare valori di riferimento indicativi comunemente utilizzati a livello internazionale, quali il 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio, e/o valori di riferimento indicativi utilizzati a livello nazionale.
5. Gli Stati membri garantiscono che i salari minimi legali siano aggiornati periodicamente e tempestivamente […] almeno ogni due anni o, per gli Stati membri che ricorrono a un meccanismo di indicizzazione automatica di cui al paragrafo 3, almeno ogni quattro anni.
6. Ogni Stato membro designa o istituisce uno o più organi consultivi per fornire consulenza alle autorità competenti sulle questioni relative ai salari minimi legali e consente il funzionamento operativo di tali organi».
15 Ai sensi dell’articolo 6 di tale direttiva, intitolato «Variazioni e trattenute»:
«1. Qualora autorizzino salari minimi legali diversi per specifici gruppi di lavoratori o consentano trattenute che riducono la retribuzione versata portandola a un livello inferiore a quello del salario minimo legale pertinente, gli Stati membri provvedono affinché tali variazioni e trattenute rispettino i principi di non discriminazione e di proporzionalità, il quale comprende il perseguimento di un obiettivo legittimo.
2. Nulla nella presente direttiva deve essere interpretato in modo tale da imporre agli Stati membri l’obbligo di introdurre variazioni dei salari minimi legali o trattenute sugli stessi».
16 Gli articoli 7 e 8 di detta direttiva sono intitolati, rispettivamente, «Coinvolgimento delle parti sociali nella determinazione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali» e «Accesso effettivo dei lavoratori ai salari minimi legali».
17 Gli articoli da 9 a 11 della medesima direttiva sono intitolati, rispettivamente, «Appalti pubblici», «Monitoraggio e raccolta dei dati» e «Informazioni sulla tutela garantita dal salario minimo».
18 L’articolo 12 della direttiva impugnata, intitolato «Diritto di ricorso e protezione da trattamento o conseguenze sfavorevoli», così dispone:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché, fatte salve le forme specifiche di ricorso e risoluzione delle controversie previste, ove applicabile, dai contratti collettivi, i lavoratori, compresi quelli il cui rapporto di lavoro è terminato, abbiano accesso a una risoluzione efficace, tempestiva e imparziale delle controversie e sia loro garantito il diritto di ricorso in caso di violazione del diritto relativo ai salari minimi legali o alla tutela garantita dal salario minimo, laddove tali diritti siano previsti dal diritto nazionale o dai contratti collettivi.
2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie a proteggere i lavoratori e i loro rappresentanti, compresi quelli che sono membri o rappresentanti dei sindacati, da qualsiasi trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro o da qualsiasi conseguenza sfavorevole derivante da un reclamo rivolto al datore di lavoro o da una procedura promossa al fine di ottenere il rispetto in caso di violazione dei diritti relativi alla tutela garantita dal salario minimo, laddove tali diritti siano previsti dal diritto nazionale o dai contratti collettivi».
19 L’articolo 13 di tale direttiva, intitolato «Sanzioni», prevede:
«Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione dei diritti e degli obblighi rientranti nell’ambito di applicazione della presente direttiva, nella misura in cui tali diritti e obblighi siano previsti dal diritto nazionale o dai contratti collettivi. Negli Stati membri senza salari minimi legali, tali norme possono contenere o limitarsi a un riferimento alla compensazione e/o alle penalità contrattuali previste, se del caso, dalle norme sull’applicazione dei contratti collettivi. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive».
20 L’articolo 16 di detta direttiva, intitolato «Non regresso e disposizioni più favorevoli», al paragrafo 1 così dispone:
«La presente direttiva non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione già offerto ai lavoratori negli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la riduzione o l’abolizione dei salari minimi».
II. Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte
21 Il Regno di Danimarca chiede che la Corte voglia:
– annullare la direttiva impugnata;
– in subordine, annullare l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), e/o l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata, e
– condannare il Parlamento e il Consiglio alle spese.
22 Il Parlamento chiede che la Corte voglia:
– respingere il ricorso e
– condannare il Regno di Danimarca alle spese.
23 Il Consiglio chiede che la Corte voglia:
– respingere le conclusioni presentate in via principale in quanto infondate;
– respingere le conclusioni presentate in subordine in quanto irricevibili o, in subordine, in quanto infondate, e
– condannare il Regno di Danimarca alle spese.
24 Con decisioni del presidente della Corte del 26 aprile e del 25 maggio 2023, rispettivamente, il Regno del Belgio e la Repubblica portoghese sono stati ammessi a intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio.
25 Con decisioni del presidente della Corte dell’8 e del 26 maggio, del 5 e del 7 giugno 2023, rispettivamente, la Commissione, il Regno di Spagna, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, il Granducato di Lussemburgo e la Repubblica francese sono stati ammessi a intervenire a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio.
26 Con decisione del presidente della Corte del 26 maggio 2023, il Regno di Svezia è stato ammesso a intervenire a sostegno delle conclusioni del Regno di Danimarca.
III. Sul ricorso
27 Con il suo ricorso, il Regno di Danimarca, sostenuto dal Regno di Svezia, chiede, in via principale, l’annullamento integrale della direttiva impugnata e, in subordine, l’annullamento dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), e/o dell’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva.
28 A sostegno delle sue conclusioni presentate in via principale, il Regno di Danimarca deduce due motivi vertenti, il primo, sulla violazione dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE e su uno sviamento dei poteri conferiti dai Trattati al legislatore dell’Unione e, il secondo, sull’impossibilità di adottare la direttiva impugnata sul fondamento dell’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE, poiché tale direttiva persegue più obiettivi diversi.
29 A sostegno delle sue conclusioni presentate in subordine, il Regno di Danimarca deduce un motivo unico, vertente sul fatto che, adottando l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva impugnata, il Parlamento e il Consiglio hanno violato il principio di attribuzione e hanno agito in violazione dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
A. Sulle conclusioni presentate in via principale, dirette all’annullamento della direttiva impugnata
1. Sul primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE e su uno sviamento dei poteri conferiti dai Trattati al legislatore dell’Unione
a) Argomenti delle parti
30 Nella prima parte del suo primo motivo, il Regno di Danimarca sostiene che la direttiva impugnata, alla luce del suo oggetto, del quadro da essa stabilito e dei suoi effetti, considerati congiuntamente, comporta un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno degli Stati membri, in violazione dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE e della ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri prevista da tale articolo.
31 Anzitutto, la direttiva impugnata avrebbe ad oggetto la retribuzione minima. Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte, la retribuzione minima costituirebbe il fulcro dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE. Inoltre, conformemente al quadro stabilito da tale direttiva, gli Stati membri dovrebbero attuare diverse procedure e adottare diverse misure aventi lo scopo esplicito di produrre effetti sul livello minimo delle retribuzioni all’interno dell’Unione e di garantirne così l’adeguatezza. Infine, detta direttiva mirerebbe manifestamente a produrre effetti sul livello delle retribuzioni negli Stati membri, portando ad un aumento di tale livello.
32 Diverse disposizioni confermerebbero tale analisi.
33 Risulterebbe, infatti, dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva impugnata che quest’ultima ha lo scopo di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori. Orbene, ciò presupporrebbe che le disposizioni di tale direttiva producano un effetto sul livello delle retribuzioni negli Stati membri e comportino il loro aumento, il che coinciderebbe anche con l’intenzione della Commissione. Il quadro previsto da tale disposizione per garantire tale effetto comporterebbe, da un lato, misure volte ad aumentare la copertura della contrattazione collettiva, previste all’articolo 4 di detta direttiva, e, dall’altro, misure volte a garantire la determinazione di salari minimi legali adeguati, previste agli articoli 5 e 6 della stessa.
34 In primo luogo, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva impugnata prevedrebbe sia misure simili a «dichiarazioni programmatiche», sia l’adozione di misure da parte degli Stati membri.
35 Inoltre, l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata imporrebbe agli Stati membri nei quali il tasso di copertura della contrattazione collettiva è inferiore a una soglia dell’80% di prevedere un quadro che offra condizioni tali da favorire lo svolgimento della contrattazione collettiva, per legge o mediante un accordo con le parti sociali, nonché un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva. Tale quadro di «condizioni favorevoli» alla contrattazione collettiva dovrebbe essere giuridicamente vincolante nello Stato membro, come minimo per le parti interessate.
36 Nell’ipotesi in cui il tasso di copertura della contrattazione collettiva scenda al di sotto della soglia dell’80% in uno Stato membro, ciò potrebbe incidere sul quadro giuridico attualmente applicabile alle parti sociali per lo svolgimento della contrattazione collettiva, in particolare in materia di retribuzioni. Gli Stati membri nei quali il tasso di copertura della contrattazione collettiva è inferiore a tale soglia dovrebbero adottare misure e stabilire un piano d’azione volto a promuovere efficacemente la contrattazione collettiva. Tali Stati membri sarebbero così chiamati a intromettersi in settori che, come in Danimarca, rientrano nella competenza delle parti sociali.
37 L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata comporterebbe quindi un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione in ciò che si collocherebbe «al centro stesso del modello danese», conformemente al quale spetterebbe esclusivamente alle parti sociali negoziare e determinare in piena autonomia il livello delle retribuzioni.
38 In secondo luogo, l’articolo 5 della direttiva impugnata, che istituisce una procedura per la determinazione di salari minimi legali adeguati, implicherebbe, di fatto, un’ingerenza del diritto dell’Unione nella fissazione delle retribuzioni all’interno degli Stati membri, indipendentemente dal carattere impreciso di ciò a cui corrisponde l’«adeguatezza» dei salari minimi legali per consentire di raggiungere un «tenore di vita dignitoso» e anche se tale articolo non fissa un livello specifico al di sotto del quale un salario minimo legale può essere considerato inadeguato.
39 Conformemente all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva impugnata, gli Stati membri dovrebbero istituire le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali, sulla base di criteri giuridicamente vincolanti, tra cui quelli enunciati al paragrafo 2, lettere da a) a d), di tale articolo. Orbene, alla luce dell’ampiezza di tali elementi, l’articolo 5 di detta direttiva potrebbe non lasciare agli Stati membri una reale libertà per stabilire criteri supplementari, e ciò sebbene essi siano liberi di decidere il peso relativo dei criteri così enunciati. In ogni caso, il fatto che gli Stati membri siano tenuti a includere i criteri stabiliti all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva al momento della determinazione e dell’aggiornamento dei salari minimi legali comporterebbe un’ingerenza del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno degli Stati membri. Tale analisi sarebbe corroborata, inoltre, dall’articolo 5, paragrafo 3, della medesima direttiva, che vieterebbe l’applicazione di un meccanismo automatico di indicizzazione comportante «una diminuzione del salario minimo legale», e dall’articolo 5, paragrafo 5, della stessa, in forza del quale i salari minimi legali dovrebbero essere periodicamente e tempestivamente aggiornati, a seconda dei casi, almeno ogni due o quattro anni.
40 Ne conseguirebbe che l’articolo 5 della direttiva impugnata impone, di fatto, l’applicazione di criteri minimi nonché il ricorso a valori di riferimento indicativi che si ricollegano direttamente ai salari minimi legali negli Stati membri e che mirano direttamente a produrre un effetto al rialzo sul livello di tali salari.
41 In terzo luogo, l’articolo 6 della direttiva impugnata limiterebbe, alla luce del suo contenuto, la facoltà degli Stati membri di prevedere variazioni e trattenute applicabili ai salari minimi legali, il che dimostrerebbe una seria limitazione dell’autonomia degli Stati membri in materia di determinazione dei salari minimi legali e, pertanto, un’incidenza diretta sulla determinazione delle retribuzioni. Gli Stati membri che hanno istituito salari minimi legali e che intendono autorizzare salari minimi legali diversi per specifici gruppi di lavoratori dovrebbero, infatti, rispettare il principio di proporzionalità e giustificare tale differenziazione con un «obiettivo legittimo».
42 Di conseguenza, il quadro complessivo istituito agli articoli da 4 a 6 della direttiva impugnata presenterebbe un nesso diretto e immediato con la retribuzione, in violazione dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
43 Il Regno di Danimarca sostiene altresì che la giurisprudenza della Corte relativa all’interpretazione dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE non è determinante ai fini della valutazione della questione se la direttiva impugnata comporti un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno degli Stati membri.
44 Nella seconda parte del suo primo motivo, il Regno di Danimarca sostiene che la direttiva impugnata disciplina settori rientranti nella nozione di «diritto di associazione» e viola quindi l’esclusione di competenza relativa al diritto di associazione contenuta nell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
45 Il Regno di Danimarca sostiene che l’articolo 153, paragrafo 5, TFUE ha lo scopo di preservare l’autonomia convenzionale delle parti sociali da eventuali ingerenze. Misure che hanno un nesso con il diritto di associazione potrebbero, pertanto, essere adottate ai sensi dell’articolo 153, paragrafo 1, TFUE solo nei limiti in cui il diritto nazionale che disciplina tale diritto non sia direttamente interessato. Tenuto conto del significato attribuito alla nozione di «diritto di associazione» di cui a detto articolo 153, paragrafo 5, dalla Carta dei diritti sociali, in particolare, tale nozione dovrebbe essere intesa come riferita al diritto di ciascun lavoratore e di ciascun datore di lavoro di aderire a un’organizzazione o a un sindacato, o di non aderirvi, e di partecipare liberamente alla contrattazione collettiva.
46 In tal senso, il Regno di Danimarca considera che, poiché l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva impugnata impone agli Stati membri di adottare misure per proteggere i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro partecipanti alla contrattazione collettiva da qualsiasi interferenza nella loro istituzione, nel loro funzionamento o nella loro amministrazione, tale disposizione comporta un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nel «diritto di associazione», in violazione dell’esclusione di competenza ad esso relativa e che figura all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
47 Inoltre, il Regno di Danimarca sostiene che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata incide anche sul contesto giuridico dell’affiliazione a un sindacato o a un’organizzazione e, di conseguenza, interessa il fulcro stesso del diritto di associazione nel quale operano le parti sociali danesi. Infatti, affinché possa dispiegare un qualsiasi effetto, l’obbligo previsto da tale disposizione dovrebbe necessariamente avere per obiettivo che un maggior numero di lavoratori siano coperti da una convenzione aderendo a un’organizzazione sindacale.
48 Il Parlamento, il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri che intervengono a sostegno delle conclusioni delle istituzioni convenute asseriscono, dal canto loro, per quanto riguarda la prima parte del primo motivo, che la direttiva impugnata, il cui unico obiettivo è quello di migliorare le condizioni di lavoro mediante misure riguardanti l’adeguatezza e la promozione dei salari minimi nonché la promozione della contrattazione collettiva in materia di determinazione dei salari, poteva essere adottata nel pieno rispetto dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
49 La direttiva impugnata definirebbe unicamente, attraverso requisiti minimi a livello dell’Unione, obblighi procedurali relativi alla determinazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali e promuoverebbe la contrattazione ai fini della determinazione di tali salari. Tale direttiva prevedrebbe così obblighi procedurali di mezzi, e non obblighi di risultato, nel pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali e dei diversi sistemi di determinazione delle retribuzioni negli Stati membri. Pertanto, detta direttiva non prescriverebbe livelli o componenti specifici di retribuzione che gli Stati membri sarebbero tenuti a garantire in modo armonizzato e, di conseguenza, essa non sarebbe in grado di determinare direttamente le retribuzioni nell’Unione.
50 Per quanto attiene alla seconda parte del primo motivo, il Parlamento, il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri che intervengono a sostegno delle conclusioni delle istituzioni convenute adducono che, sebbene il diritto di associazione sia una condizione preliminare al diritto di contrattazione collettiva, questi due diritti sono tuttavia distinti.
51 Nel caso di specie, la direttiva impugnata, e, in particolare, l’articolo 4, non detterebbe alcuna norma in materia di diritto di associazione. Tale direttiva si limiterebbe a stabilire un quadro al fine di facilitare l’esercizio del diritto di contrattazione collettiva, senza imporre obblighi per quanto riguarda l’adesione a sindacati o ad associazioni né per quanto concerne l’uscita da tali sindacati o associazioni o il loro scioglimento. Essa non imporrebbe neppure una qualsivoglia condizione quanto al funzionamento di detti sindacati o associazioni, né comporterebbe ingerenze nei loro confronti.
b) Giudizio della Corte
52 Conformemente al principio di attribuzione enunciato all’articolo 4, paragrafo 1, e all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti e qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri.
53 Adottando la direttiva impugnata, il legislatore dell’Unione si è basato sul combinato disposto dell’articolo 153, paragrafo 2, lettera b), e dell’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE, che abilitano il Parlamento e il Consiglio ad adottare, mediante direttive, prescrizioni minime nel settore delle «condizioni di lavoro».
54 Tuttavia, ai sensi dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, le disposizioni di tale articolo «non si applicano alle retribuzioni, al diritto di associazione, al diritto di sciopero né al diritto di serrata». Le disposizioni dei paragrafi da 1 a 4 di tale articolo non possono quindi essere utilizzate come fondamento giuridico al fine di aggirare l’espressa esclusione di qualsiasi competenza sancita all’articolo 153, paragrafo 5 (v., per analogia, sentenza del 5 ottobre 2000, Germania/Parlamento e Consiglio, C-376/98, EU:C:2000: 544, punto 79).
55 Pertanto, occorre verificare se, adottando la direttiva impugnata sul fondamento delle disposizioni dell’articolo 153, paragrafi 1 e 2, TFUE, il legislatore dell’Unione abbia violato le esclusioni di competenza relative alle «retribuzioni» e al «diritto di associazione» enunciate al paragrafo 5 di tale articolo e, pertanto, se abbia violato le competenze conferite all’Unione dai Trattati.
56 A tale riguardo, occorre tenere conto della giurisprudenza costante secondo la quale la scelta della base giuridica di un atto dell’Unione deve fondarsi su elementi oggettivi che possano essere sottoposti a sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano la finalità e il contenuto di tale atto (sentenze del 12 novembre 1996, Regno Unito/Consiglio, C-84/94, EU:C:1996:431, punto 25, e dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio, C-620/18, EU:C:2020:1001, punto 38). Infatti, è alla luce di questi elementi oggettivi che occorre esaminare se un atto dell’Unione rientri, in tutto o in parte, in un’esclusione di competenza dell’Unione prevista dai Trattati.
1) Sulla finalità e sul contenuto della direttiva impugnata
57 In primo luogo, per quanto riguarda la finalità della direttiva impugnata, come risulta dall’articolo 1, paragrafo 1, essa è volta a migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto e alla riduzione delle disuguaglianze retributive.
58 Il considerando 7 di tale direttiva indica, a tale proposito che «[m]igliori condizioni di vita e di lavoro, anche attraverso salari minimi adeguati ed equi, apportano vantaggi ai lavoratori e alle imprese dell’Unione, come pure alla società e all’economia in generale, e sono un presupposto fondamentale per conseguire una crescita equa, inclusiva e sostenibile». Tale considerando precisa inoltre che «[c]olmare le grandi differenze nella copertura e nell’adeguatezza della tutela garantita dal salario minimo contribuisce a migliorare l’equità del mercato del lavoro dell’Unione, a prevenire e ridurre le disuguaglianze retributive e sociali e a promuovere il progresso economico e sociale e la convergenza verso l’alto». Il considerando 8 di detta direttiva aggiunge che, «[s]e fissati a livelli adeguati, i salari minimi, quali previsti dal diritto nazionale o da contratti collettivi, proteggono il reddito dei lavoratori, in particolare dei lavoratori svantaggiati, e contribuiscono a garantire una vita dignitosa».
59 In secondo luogo, per quanto riguarda il contenuto della direttiva impugnata, quest’ultima consta di 19 articoli. Gli articoli 1 e 2 di tale direttiva ne definiscono, rispettivamente, l’oggetto e l’ambito di applicazione, mentre l’articolo 3 di detta direttiva fornisce una definizione armonizzata delle nozioni di «salario minimo», di «salario minimo legale», di «contrattazione collettiva», di «contratto collettivo» e di «copertura della contrattazione collettiva».
60 Al fine di conseguire le finalità esposte ai punti 57 e 58 della presente sentenza, la direttiva impugnata, conformemente all’articolo 1, paragrafo 1, letto alla luce del considerando 18, stabilisce un quadro articolato su tre assi principali, indicati alle lettere da a) a c) di tale disposizione. Il primo asse concerne l’adeguatezza dei salari minimi legali al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose. Il secondo asse riguarda la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari. Infine, il terzo asse attiene al miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo ove previsto dal diritto nazionale e/o da contratti collettivi.
61 Per quanto riguarda il primo asse, l’articolo 5 della direttiva impugnata prescrive, al paragrafo 1, agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali di istituire le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento di tali salari che devono basarsi su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza e prevede, al paragrafo 2, criteri che devono obbligatoriamente essere presi in considerazione dagli Stati membri a tal fine. L’articolo 5, paragrafo 3, di tale direttiva conferma espressamente la facoltà degli Stati membri di ricorrere a un meccanismo automatico di adeguamento dell’indicizzazione dei salari minimi legali, fatti salvi gli obblighi e la condizione ivi enunciati. Inoltre, l’articolo 5, paragrafo 4, di detta direttiva prevede che la valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali debba essere orientata mediante valori di riferimento indicativi. Peraltro, i paragrafi 5 e 6 dell’articolo 5 della medesima direttiva riguardano, rispettivamente, la frequenza degli aggiornamenti dei salari minimi legali e la designazione o l’istituzione di organi consultivi per fornire consulenza alle autorità competenti sulle questioni relative ai salari minimi legali.
62 Gli articoli da 6 a 8 della direttiva impugnata riguardano, rispettivamente, le variazioni e le trattenute sui salari minimi legali, il coinvolgimento delle parti sociali nella determinazione e nell’aggiornamento di tali salari e l’accesso effettivo dei lavoratori a detti salari.
63 Per quanto riguarda il secondo asse, da un lato, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva impugnata, al fine di aumentare la copertura della contrattazione collettiva e facilitare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, prevede in particolare che gli Stati membri adottino, se del caso, le misure di cui alle lettere c) e d) per tutelare i lavoratori e i rappresentanti sindacali, nonché i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro quando partecipano o desiderano partecipare alla contrattazione collettiva.
64 Dall’altro lato, l’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva impone agli Stati membri in cui il tasso di copertura della contrattazione collettiva è inferiore a una soglia dell’80% di prevedere un quadro per promuovere la contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime, e di definire un piano d’azione a tal fine, che stabilisca un calendario chiaro e misure concrete per aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva e che sia riesaminato periodicamente e, se necessario, aggiornato. Dai considerando 16 e 22 di detta direttiva risulta che il legislatore dell’Unione si è basato, a tale riguardo, sul postulato secondo cui esiste una correlazione tra un tasso elevato di copertura della contrattazione collettiva e l’adeguatezza dei salari minimi.
65 Per quanto attiene al terzo asse, gli articoli da 9 a 13 della medesima direttiva prevedono disposizioni orizzontali riguardanti gli appalti pubblici, il monitoraggio e la raccolta di dati, le informazioni sulla tutela garantita dal salario minimo, il diritto di ricorso e la protezione da trattamento o conseguenze sfavorevoli nonché il regime delle sanzioni.
66 In tali circostanze, da un esame della finalità e del contenuto della direttiva impugnata risulta che quest’ultima ha stabilito, in particolare, un quadro per la determinazione di salari minimi adeguati al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione. Tale direttiva rientra pertanto, prima facie, in una o più materie elencate all’articolo 153, paragrafo 1, TFUE, tra le quali figurano le «condizioni di lavoro» di cui alla lettera b) di tale disposizione, riferendosi nel contempo alla materia delle «retribuzioni», il che potrebbe rientrare nell’esclusione di competenza prevista all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE relativa alle «retribuzioni».
2) Sulla prima parte del primo motivo, vertente su una violazione dell’esclusione di competenza relativa alle «retribuzioni»
67 Alla luce dell’analisi esposta ai punti da 52 a 56 della presente sentenza, occorre ricordare che la Corte ha ripetutamente dichiarato che l’eccezione relativa alle «retribuzioni» contemplata dall’articolo 153, paragrafo 5, TFUE trova la sua ragion d’essere nel fatto che la determinazione delle retribuzioni rientra nell’autonomia contrattuale delle parti sociali a livello nazionale nonché nella competenza degli Stati membri in materia. Ciò posto, è stato giudicato appropriato, allo stato attuale del diritto dell’Unione, escludere la determinazione del livello delle retribuzioni da un’armonizzazione in base agli articoli 151 TFUE e seguenti (v., in tal senso, sentenze del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, C-307/05, EU:C:2007:509, punti 40 e 46, nonché del 7 luglio 2022, Coca-Cola European Partners Deutschland, C-257/21 e C-258/21, EU:C:2022:529, punto 47).
68 Di conseguenza, tale esclusione di competenza deve essere intesa in modo da comprendere le misure che, come l’uniformazione di tutti o parte degli elementi costitutivi dei salari e/o del loro livello negli Stati membri o ancora l’instaurazione di un salario minimo a livello dell’Unione, comporterebbero una diretta ingerenza del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima Essa non può, tuttavia, essere estesa a ogni questione avente un qualsiasi nesso con la retribuzione, a pena di svuotare taluni settori contemplati dall’articolo 153, paragrafo 1, TFUE di gran parte dei loro contenuti (sentenze del 15 aprile 2008, Impact, C-268/06, EU:C:2008:223, punti 124 e 125, e del 24 febbraio 2022, Glavna direktsia «Pozharna bezopasnost i zashtita na naselenieto», C-262/20, EU:C:2022:117, punto 30).
69 Indubbiamente, come sottolineato dal Regno di Danimarca e dal Regno di Svezia, nelle cause che hanno dato origine alle sentenze citate al punto precedente, la Corte era stata chiamata a esaminare la delimitazione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri nei settori di cui all’articolo 153 TFUE per quanto riguardava atti che non si riferivano alla materia delle retribuzioni, ma che disciplinavano altre condizioni di lavoro o, ancora, che avevano un altro oggetto e le cui disposizioni potevano avere talune ripercussioni o effetti sulla determinazione delle retribuzioni. Ciò non toglie che, in tali sentenze, la Corte abbia interpretato la portata dell’esclusione relativa alle «retribuzioni» prevista al paragrafo 5 di tale articolo in termini generali, senza soffermarsi sul nesso più o meno stretto con la materia delle retribuzioni degli atti di cui si chiedeva l’interpretazione.
70 Pertanto, tenuto conto dei requisiti di certezza del diritto, di chiarezza e di continuità nell’applicazione dei criteri che disciplinano la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri, il criterio dell’«ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima», riportato al punto 68 della presente sentenza, deve orientare l’esame del rispetto dell’esclusione di competenza relativa alle «retribuzioni» prevista all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, indipendentemente dal nesso più o meno stretto dell’atto di cui trattasi con la materia delle «retribuzioni». Ciò significa che la competenza dell’Unione non può essere considerata automaticamente esclusa quando tale atto si riferisce a detta materia.
71 Inoltre, la capacità del legislatore dell’Unione di realizzare gli obiettivi della politica sociale, quali enunciati all’articolo 151, primo comma, TFUE, e, più in generale, di concretizzare la dimensione sociale dell’integrazione all’interno dell’Unione sarebbe fortemente compromessa se a tale legislatore fosse impedito di adottare misure aventi, in pratica, effetti o ripercussioni positivi sul livello delle retribuzioni, anche se agisse, a tal fine, nel pieno rispetto della diversità delle prassi nazionali degli Stati membri e dell’autonomia delle parti sociali, conformemente all’articolo 151, secondo comma, TFUE e all’articolo 152, primo comma, TFUE.
72 Tale constatazione si impone, a maggior ragione, per quanto concerne le «condizioni di lavoro», le quali figurano tra le materie nelle quali l’articolo 153, paragrafo 1, TFUE conferisce all’Unione una competenza a sostenere e completare l’azione degli Stati membri e la cui portata coincide, in parte, con l’ambito dell’eccezione relativa alle «retribuzioni» enunciata all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, per il fatto che la retribuzione costituisce parte integrante delle condizioni di lavoro (v., in tal senso, sentenze dell’11 novembre 2004, Delahaye, C-425/02, EU:C:2004:706, punto 33, e del 22 dicembre 2010, Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, C-444/09 e C-456/09, EU:C:2010:819, punto 58).
73 Peraltro, la circostanza dedotta dal Parlamento, secondo la quale il legislatore dell’Unione è già stato chiamato ad adottare altri atti riguardanti le retribuzioni sul fondamento delle basi giuridiche di cui all’articolo 153 TFUE, è irrilevante per la questione se la direttiva impugnata potesse essere validamente adottata sul fondamento di una base giuridica contenuta in tale articolo, senza violare l’esclusione di competenza relativa alle «retribuzioni» prevista al paragrafo 5 di quest’ultimo. Secondo la giurisprudenza, la determinazione della base giuridica di un atto deve infatti essere effettuata in considerazione del suo scopo e del suo contenuto, e non alla luce della base giuridica che è stata accolta per l’adozione di altri atti dell’Unione che presentano, eventualmente, caratteristiche simili (v., in tal senso, sentenze del 28 giugno 1994, Parlamento/Consiglio, C-187/93, EU:C:1994:265, punto 28, e del 12 febbraio 2015, Parlamento/Consiglio, C-48/14, EU:C:2015:91, punto 30).
74 In tali circostanze, anche se dall’esame effettuato ai punti da 57 a 66 della presente sentenza risulta che la direttiva impugnata si riferisce alla materia delle retribuzioni e può incidere sul loro livello, queste sole circostanze non possono automaticamente comportare la conclusione che, adottando tale direttiva, il legislatore dell’Unione abbia violato l’esclusione di competenza relativa alle «retribuzioni» prevista all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
75 Occorre ancora verificare, a tal fine, se gli articoli da 4 a 6 della direttiva impugnata, sui quali si concentrano essenzialmente le critiche del Regno di Danimarca e del Regno di Svezia, comportino un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
i) Articolo 4 della direttiva impugnata
76 Come sostenuto dal Regno di Danimarca e dal Regno di Svezia, l’articolo 4 della direttiva impugnata prevede talune prescrizioni formulate in parte in termini generali, e in parte nel senso che è richiesta l’adozione di misure concrete da prendere, allo scopo di promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari. Tale articolo impone, più in particolare, al paragrafo 2, che gli Stati membri in cui il tasso di copertura della contrattazione collettiva è inferiore a una soglia dell’80% prevedano un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per «legge» a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un «accordo» con queste ultime. Tali Stati membri devono altresì definire un «piano d’azione» che stabilisca un calendario chiaro e «misure concrete» per aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva, che essi devono riesaminare periodicamente, rendere pubblico e notificare alla Commissione. Occorre inoltre precisare che le nozioni di «contrattazione collettiva», di «contratto collettivo» e di «copertura della contrattazione collettiva» di cui a tale disposizione sono oggetto di definizioni armonizzate all’articolo 3, punti da 3 a 5, di tale direttiva.
77 Sebbene l’articolo 4 della direttiva impugnata introduca in tal modo una certa forma di intervento statale nelle modalità di contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, da ciò non consegue tuttavia che le sue disposizioni comportino un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
78 Da un lato, tale articolo 4 non interferisce con la scelta degli Stati membri relativamente al modello di determinazione delle retribuzioni, ossia per via legislativa o mediante contrattazione collettiva, o tramite una combinazione di entrambe. Il considerando 12 della direttiva impugnata precisa peraltro che «[è] opportuno rispettare le diverse tradizioni nazionali degli Stati membri».
79 Dall’altro lato, detto articolo 4 non disciplina il contenuto né prescrive il risultato della contrattazione collettiva. Come sostenuto dal Parlamento e dal Consiglio, le diverse misure previste dal medesimo articolo 4 non impongono agli Stati membri obblighi di risultato, bensì, tutt’al più, obblighi di mezzi. In tal senso, l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata stabilisce che gli Stati membri debbano non già raggiungere la soglia dell’80% di copertura della contrattazione collettiva contemplata da tale disposizione, bensì prevedere un «quadro» di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva e definire un «piano d’azione» per promuoverla. Tale disposizione deve, inoltre, essere letta alla luce del considerando 25 della direttiva impugnata, il quale precisa, a tal fine, che «la soglia dell’80% della copertura della contrattazione collettiva dovrebbe essere interpretata solo come un indicatore che fa scattare l’obbligo di elaborare un piano d’azione» e che, in sede di analisi dei progressi compiuti verso una maggiore copertura della contrattazione collettiva, in particolare per quanto riguarda il piano d’azione previsto da tale direttiva, occorre tenere conto del fatto che «[i] tassi di copertura della contrattazione collettiva degli Stati membri variano considerevolmente a causa di una serie di fattori, tra cui la tradizione e la prassi nazionali nonché il contesto storico».
80 Il mancato raggiungimento da parte di uno Stato membro del tasso di copertura della contrattazione collettiva dell’80% previsto dall’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva non integra quindi, di per sé, la violazione di un obbligo incombente a tale Stato membro.
81 Occorre aggiungere che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata è formulato in modo da garantire pienamente l’autonomia delle parti sociali. Conformemente a tale disposizione, gli Stati membri che rientrano nel suo ambito di applicazione sono tenuti a coinvolgere le parti sociali nella definizione del quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva contemplate da detta disposizione, indipendentemente dal fatto che tale «quadro» sia adottato per legge o mediante un accordo, nonché nella definizione, nell’aggiornamento e nel riesame del piano d’azione ivi previsto. Analogamente, l’articolo 1 di tale direttiva prevede, al paragrafo 2, che essa «fa salvo il pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali, nonché il loro diritto a negoziare e concludere contratti collettivi» e, al paragrafo 4, che «[l]’applicazione della [detta] direttiva è pienamente conforme al diritto di contrattazione collettiva».
82 Tale articolo 4 dev’essere letto in combinato disposto con il considerando 19 della direttiva impugnata, il quale precisa che tale direttiva non interferisce con la libertà degli Stati membri, in particolare, di promuovere l’accesso alla tutela garantita dal salario minimo prevista da contratti collettivi, «in linea con il diritto e la prassi nazionale e con le specificità di ciascuno Stato membro e nel pieno rispetto delle competenze nazionali e del diritto delle parti sociali di concludere accordi».
83 Ne consegue che detto articolo 4 rispetta l’ampio margine di discrezionalità di cui godono le parti sociali nell’ambito della contrattazione e della conclusione dei contratti collettivi.
84 Inoltre, l’articolo 4 della direttiva impugnata dev’essere letto alla luce dell’articolo 152 TFUE, che è stato introdotto dal Trattato di Lisbona e che sancisce espressamente, al primo comma, il rispetto dell’autonomia delle parti sociali. Pertanto, l’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva non può essere interpretato nel senso che obbliga gli Stati membri a imporre l’adesione di un maggior numero di lavoratori a un’organizzazione sindacale. Come ricorda espressamente l’articolo 1, paragrafo 4, di detta direttiva, esso non può neppure essere interpretato in modo tale da imporre agli Stati membri di dichiarare un contratto collettivo universalmente applicabile.
85 In considerazione di quanto precede, si deve concludere che l’articolo 4 della direttiva impugnata non comporta alcuna ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
ii) Articolo 5 della direttiva impugnata
86 Occorre sottolineare, anzitutto, che l’articolo 5 della direttiva impugnata, intitolato «Procedura per la determinazione di salari minimi legali adeguati», si applica, come risulta dal paragrafo 1, agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali. L’articolo 1, paragrafo 4, lettera a), di tale direttiva, letto alla luce del considerando 19 di quest’ultima, prevede, a tale proposito, che nessuna disposizione di detta direttiva può essere interpretata in modo tale da imporre a qualsiasi Stato membro nel quale la formazione dei salari sia fornita esclusivamente mediante contratti collettivi, l’obbligo di introdurre un salario minimo legale. Pertanto, come ammettono il Regno di Danimarca e il Regno di Svezia, l’articolo 5 della medesima direttiva rispetta la competenza degli Stati membri di scegliere il modello di determinazione dei salari.
87 Occorre tuttavia verificare se le disposizioni specifiche di tale articolo 5 comportino un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza citata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
88 Per quanto riguarda, in primo luogo, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva impugnata, tale disposizione impone, alla prima e alla seconda frase, agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali di istituire «le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali». Inoltre, tali procedure devono basarsi su criteri, definiti «in modo chiaro», «stabiliti per contribuire [all’]adeguatezza [dei salari minimi legali], al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l’alto e ridurre il divario retributivo di genere».
89 Tuttavia, come correttamente sostenuto dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Repubblica francese dinanzi alla Corte, né l’articolo 5 della direttiva impugnata né nessun’altra disposizione di quest’ultima definiscono la nozione di «adeguatezza» dei salari minimi legali. Al contrario, tenuto conto delle ampie formulazioni da esso utilizzate, l’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva lascia un ampio margine di discrezionalità agli Stati membri per definire tale nozione e per determinarne l’esatta portata. L’adeguatezza dei salari minimi legali costituisce, tutt’al più, un valore indicativo verso il quale gli Stati membri dovrebbero tendere nella determinazione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali. Tale interpretazione è corroborata sia dalla terza frase dell’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva, che rinvia, ai fini della definizione dei criteri di cui alla seconda frase di tale disposizione, alle prassi nazionali degli Stati membri, alle decisioni dei loro organi competenti e ad accordi tripartiti, sia dalla quinta frase di quest’ultima, che consente agli Stati membri di decidere il peso relativo di tali criteri, tenendo conto delle loro condizioni socioeconomiche nazionali.
90 Pertanto, tenuto conto del rinvio espresso operato da detta disposizione in particolare alle prassi nazionali definite nei diritti nazionali, la nozione di «adeguatezza» dei salari minimi legali non può essere considerata una nozione autonoma del diritto dell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2024, CU e ND (Assistenza sociale – Discriminazione indiretta), C-112/22 e C-223/22, EU:C:2024:636, punto 35 e giurisprudenza citata], conclusione sulla quale anche il Parlamento e il Consiglio concordano.
91 Inoltre, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva impugnata disciplina la «procedura» per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali, imponendo agli Stati membri interessati di istituire procedure basate su criteri che essi devono elaborare a livello nazionale in modo da contribuire all’adeguatezza di tali salari nonché al loro aggiornamento, e di cui possono decidere il peso relativo. Formulata in termini generali e basata su un approccio procedurale, tale disposizione non conferisce quindi un diritto a un salario minimo legale adeguato ai lavoratori, né un diritto all’aggiornamento di detti salari, propri del diritto dell’Unione. Una siffatta lettura di tale disposizione è suffragata dagli articoli 12 e 13 di tale direttiva che, per quanto riguarda il primo, subordina l’accesso ai mezzi di ricorso da esso previsti, in caso di violazione del «diritto relativo ai salari minimi legali o alla tutela garantita dal salario minimo», all’esistenza di tali diritti nel diritto nazionale o nei contratti collettivi e, per quanto riguarda il secondo, impone agli Stati membri di stabilire le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione «dei diritti e degli obblighi rientranti nell’ambito di applicazione della [detta] direttiva», «nella misura in cui tali diritti e obblighi siano previsti dal diritto nazionale o dai contratti collettivi».
92 In tali circostanze, si deve concludere che l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva impugnata non comporta un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
93 Occorre aggiungere che, tenuto conto dell’esclusione di competenza relativa alle «retribuzioni» enunciata all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, un diritto a salari minimi legali «adeguati» o «equi», proprio del diritto dell’Unione, non può neppure essere dedotto da una lettura combinata dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva impugnata e dell’articolo 31, paragrafo 1, della Carta. Infatti, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 2, la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione né modifica le competenze e i compiti definiti nei Trattati.
94 Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva impugnata, esso elenca, alle lettere da a) a d), quattro elementi, ossia, rispettivamente, «il potere d’acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita», «il livello generale dei salari e la loro distribuzione», «il tasso di crescita dei salari» e «i livelli e l’andamento nazionali a lungo termine della produttività», che i criteri nazionali di cui al paragrafo 1 di tale articolo devono almeno comprendere.
95 Certamente, come dimostra la locuzione «almeno» utilizzata in tale articolo 5, paragrafo 2, tale elenco non è esaustivo, in quanto gli Stati membri sono liberi di aggiungervi altri elementi. Inoltre, come ricordato al punto 89 della presente sentenza, dalla terza frase dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva impugnata risulta che gli Stati membri definiscono i criteri nazionali di cui a tale seconda disposizione conformemente, in particolare, alle rispettive prassi nazionali, e dalla quinta frase del medesimo paragrafo emerge che gli Stati membri possono altresì decidere il peso relativo dei diversi criteri nazionali, compresi gli elementi di cui a detto articolo 5, paragrafo 2. Inoltre, sono le condizioni socioeconomiche esistenti in ciascuno Stato membro a fungere da punto di riferimento per tali diversi criteri nazionali. Resta il fatto che, come correttamente sostenuto dal Regno di Danimarca, lo stesso articolo 5, paragrafo 2, impone agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali di provvedere affinché detti criteri comprendano, almeno, i quattro elementi ivi elencati. Orbene, imponendo l’utilizzo di tali elementi nelle procedure di determinazione e di aggiornamento dei salari minimi legali, il legislatore dell’Unione ha stabilito un requisito vertente sugli elementi costitutivi di tali salari, il che ha un’incidenza diretta sul livello di detti salari, e ciò, contrariamente a quanto indicato nell’ultima frase del paragrafo 1 dell’articolo 5 della direttiva impugnata, indipendentemente dalla pertinenza di detti elementi a livello nazionale tenuto conto delle condizioni socioeconomiche esistenti negli Stati membri.
96 Di conseguenza, l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva impugnata comporta un’armonizzazione di una parte degli elementi costitutivi di detti salari e, pertanto, un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
97 Per quanto concerne, in terzo luogo, l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva impugnata, sebbene tale disposizione si limiti a consentire agli Stati membri di ricorrere a un meccanismo automatico di indicizzazione dei salari minimi legali e operi un rinvio al diritto nazionale e alle prassi nazionali per quanto concerne i criteri appropriati sui quali tale meccanismo deve basarsi, essa subordina tuttavia, nella sua ultima parte di frase, l’utilizzo, da parte degli Stati membri, di un meccanismo automatico di indicizzazione alla «condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale».
98 Ne consegue che detta disposizione, nei limiti in cui impone una clausola di non regresso del livello dei salari minimi legali agli Stati membri che utilizzano un meccanismo automatico di indicizzazione di tali salari, comporta, come correttamente sostenuto dal Regno di Danimarca, un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
99 Per quanto attiene, in quarto luogo, all’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva impugnata, esso prevede che gli Stati membri possano utilizzare, per orientare la loro valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali, «valori di riferimento indicativi» comunemente utilizzati a livello internazionale, quali la soglia del 60% del salario lordo mediano e/o valori di riferimento indicativi utilizzati a livello nazionale. Orbene, come sostenuto, in sostanza, dalla Repubblica federale di Germania, tali valori di riferimento indicativi si distinguono dagli elementi che devono obbligatoriamente essere presi in considerazione come criterio nelle procedure di determinazione e di aggiornamento dei salari minimi legali nazionali, previsti all’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, in quanto essi costituiscono semplici parametri di riferimento ai fini della valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali, tra i quali gli Stati membri possono, per giunta, scegliere liberamente. Gli Stati membri possono quindi utilizzare valori di riferimento indicativi utilizzati a livello nazionale o valori di riferimento indicativi utilizzati a livello internazionale o una combinazione di entrambi. Di conseguenza, l’articolo 5, paragrafo 4, di detta direttiva non prescrive elementi obbligatori per quanto riguarda i livelli dei salari minimi legali né armonizza in tutto o in parte gli elementi costitutivi di tali salari, cosicché non comporta alcuna ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
100 In quinto luogo, l’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva impugnata impone agli Stati membri di aggiornare periodicamente e tempestivamente i salari minimi legali, e almeno ogni due anni o, per gli Stati membri che utilizzano un meccanismo automatico di indicizzazione, almeno ogni quattro anni, mentre l’articolo 5, paragrafo 6, di tale direttiva impone loro di istituire uno o più organi consultivi per fornire consulenza alle autorità competenti sulle questioni relative ai salari minimi legali. Orbene, tali paragrafi si limitano a prevedere le modalità procedurali della determinazione e dell’aggiornamento dei salari minimi legali, senza prescrivere elementi obbligatori, quanto al merito, per gli Stati membri, per quanto concerne il livello dei salari minimi legali, né armonizzare in tutto o in parte gli elementi costitutivi di tali salari minimi legali. Pertanto, contrariamente a quanto sostiene il Regno di Danimarca, tale articolo 5, paragrafi 5 e 6, non comporta un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
101 Da quanto precede risulta che l’articolo 5 della direttiva impugnata comporta, al paragrafo 2 e alla parte di frase «a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale», contenuta nel paragrafo 3, un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza e, pertanto, viola l’esclusione relativa alle «retribuzioni», prevista all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
iii) Articolo 6 della direttiva impugnata
102 L’articolo 6 della direttiva impugnata, intitolato «Variazioni e trattenute», prevede, al paragrafo 1, che gli Stati membri, qualora autorizzino salari minimi legali diversi per specifici gruppi di lavoratori o consentano trattenute che riducono la retribuzione versata portandola a un livello inferiore a quello del salario minimo legale pertinente, devono provvedere al rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità, ivi compreso quello del perseguimento di un obiettivo legittimo. Il paragrafo 2 di tale articolo 6 aggiunge che nessuna disposizione di tale direttiva può essere interpretata in modo tale da imporre agli Stati membri l’obbligo di introdurre variazioni dei salari minimi legali o trattenute sugli stessi. Tali disposizioni devono essere lette alla luce del considerando 29 di detta direttiva, il quale enuncia che occorre evitare che tali variazioni e ritenute siano «ampiamente utilizzate», in quanto rischiano di incidere negativamente sull’adeguatezza dei salari minimi legali.
103 Occorre rilevare, a tale riguardo, che l’articolo 6 della direttiva impugnata lascia gli Stati membri liberi di introdurre o meno variazioni o trattenute sui salari minimi legali che riducono la retribuzione versata portandola a un livello inferiore a quello del salario minimo legale pertinente. Per il resto, l’articolo 6 della direttiva impugnata, che si limita ad esigere che gli Stati membri rispettino i principi di non discriminazione e di proporzionalità qualora autorizzino salari minimi legali diversi per specifici gruppi di lavoratori o consentano trattenute che riducono la retribuzione versata portandola a un livello inferiore a quello del salario minimo legale pertinente, non comporta alcuna ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
104 Di conseguenza, occorre accogliere la prima parte del primo motivo nella misura in cui riguarda l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva impugnata e, di conseguenza, la parte di frase «compresi gli elementi di cui al paragrafo 2», contenuta nella quinta frase dell’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva, nonché la parte di frase «a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale», contenuta nell’articolo 5, paragrafo 3, di detta direttiva. La prima parte del primo motivo dev’essere respinta quanto al resto.
3) Sulla seconda parte del primo motivo, vertente su una violazione dell’esclusione di competenza relativa al «diritto di associazione»
105 L’articolo 153, paragrafo 5, TFUE prevede che le disposizioni di tale articolo non si applichino, in particolare, al «diritto di associazione».
106 Sebbene la nozione di «diritto di associazione» di cui a tale articolo 153, paragrafo 5, non sia definita nel Trattato FUE, secondo una giurisprudenza costante, nell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, occorre tener conto non soltanto dei termini in cui essa è formulata e degli obiettivi che essa persegue, ma anche del suo contesto e dell’insieme delle disposizioni del diritto dell’Unione, dato che anche la genesi di tale disposizione può offrire elementi pertinenti per la sua interpretazione [v., in tal senso, sentenze del 10 dicembre 2018, Wightman e a., C-621/18, EU:C:2018:999, punto 47 e giurisprudenza citata, e del 19 novembre 2024, Commissione/Repubblica ceca (Eleggibilità e qualità di membro di un partito politico), C-808/21, EU:C:2024:962, punto 91].
107 Occorre rilevare, a tale proposito, che l’articolo 153, paragrafo 5, TFUE sottrae quattro materie, ossia le «retribuzioni», il «diritto di associazione», il «diritto di sciopero» e il diritto di «serrata», alle competenze in materia di politica sociale conferite all’Unione ai sensi dei paragrafi da 1 a 4 di tale articolo, materie che, come precisato dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni, sono tutte connesse, quantomeno parzialmente, a prerogative delle parti sociali. Occorre aggiungere che, nel settore particolare della politica sociale, la promozione del ruolo delle parti sociali e l’agevolazione del dialogo tra queste ultime, nel rispetto della loro autonomia, rientrano tra le finalità del titolo X della parte terza del Trattato FUE, come risulta dall’articolo 152, primo comma, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 2 settembre 2021, EPSU/Commissione, C-928/19 P, EU:C:2021:656, punti 60 e 61). È lecito dedurne che l’esclusione relativa al «diritto di associazione», al pari dell’esclusione relativa alle «retribuzioni», ha principalmente lo scopo di preservare l’autonomia delle parti sociali su scala nazionale (v., per analogia, sentenze del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, C-307/05, EU:C:2007:509, punto 40, e del 7 luglio 2022, Coca-Cola European Partners Deutschland, C-257/21 e C-258/21, EU:C:2022:529, punto 47).
108 Per quanto riguarda il rapporto tra il diritto di partecipare liberamente alla contrattazione collettiva e il «diritto di associazione», di cui all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, il primo non è, di certo, esplicitamente menzionato tra le materie nelle quali l’articolo 153 TFUE conferisce una competenza di armonizzazione all’Unione al fine di realizzare gli obiettivi contemplati dall’articolo 151 TFUE. Inoltre, come giustamente osservato dal Regno di Danimarca, esiste un nesso tra tali diritti, in quanto il diritto di associazione costituisce un presupposto per l’esercizio del diritto di contrattazione collettiva. Tuttavia, non se ne può dedurre che il diritto alla libera partecipazione alla contrattazione collettiva, in quanto elemento insito nel «diritto di associazione», sia escluso, a tale titolo, dalle competenze dell’Unione conformemente all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
109 Anzitutto, l’articolo 153, paragrafo 1, lettera f), TFUE conferisce espressamente al legislatore dell’Unione la competenza ad adottare misure riguardanti la «rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la cogestione». Orbene, la formulazione di tale disposizione le attribuisce una portata sufficientemente ampia per ricomprendere misure che disciplinano il diritto di contrattazione collettiva, nonostante l’esclusione relativa al diritto di associazione formulata all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
110 Inoltre, dalla giustapposizione delle nozioni del «diritto sindacale» e della «contrattazione collettiva tra datori di lavoro e lavoratori» al settimo trattino dell’articolo 156, primo comma, TFUE si può dedurre che, ai fini di tale articolo, e, più in generale, delle disposizioni del titolo X della parte terza del Trattato FUE, gli autori dei Trattati hanno inteso operare una distinzione tra le materie coperte da ciascuna di queste due nozioni.
111 Infine, la Carta dei diritti sociali e la Carta sociale europea, in quanto strumenti espressamente menzionati all’articolo 151, primo comma, TFUE, nonché la Carta, trattano separatamente il diritto di associazione e il diritto di contrattazione collettiva.
112 Per quanto riguarda, più in particolare, la Carta, da un lato, il diritto di associazione, previsto all’articolo 12 di quest’ultima, rinvia in particolare al «diritto di ogni persona di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi». Tale diritto comprende anche il diritto di non costituire un’organizzazione, compreso un sindacato, e di non aderirvi. Esso contempla anche, a tale titolo, la possibilità, per un’associazione, di svolgere le proprie attività e di funzionare senza ingerenza statale ingiustificata [v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 2006, Werhof, C-499/04, EU:C:2006:168, punto 33, e del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza associativa), C-78/18, EU:C:2020:476, punto 113].
113 Dall’altro lato, il diritto di contrattazione collettiva, previsto all’articolo 28 della Carta, comprende, in particolare, il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro, o delle loro rispettive organizzazioni, «di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati».
114 A tale riguardo, è certamente vero che, come asserito dal Regno di Danimarca, la deroga prevista all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE trae origine dall’articolo 2, paragrafo 6, dell’Accordo sulla politica sociale concluso tra gli Stati membri della Comunità europea ad eccezione del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (GU 1992, C 191, pag. 91), allegato al protocollo (n. 14) sulla politica sociale allegato al Trattato CE, e precede quindi l’adozione della Carta. Tuttavia, la tesi del Regno di Danimarca secondo la quale gli autori dei Trattati hanno inteso sottrarre alle competenze dell’Unione, all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, la questione della libera partecipazione alla contrattazione collettiva, in quanto elemento insito nel diritto di associazione, non trova sostegno, non solo nella Carta, ma neppure nelle disposizioni della Carta sociale europea e della Carta dei diritti sociali, che sono invece anteriori all’adozione dell’Accordo sulla politica sociale. Infatti, anche la Carta sociale europea e la Carta dei diritti sociali trattano il diritto di associazione e il diritto di contrattazione collettiva come diritti distinti, ossia, per quanto riguarda la prima, agli articoli 5 e 6 e, per quanto riguarda la seconda, agli articoli 11 e 12.
115 Pertanto, la nozione di «diritto di associazione» di cui all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE dev’essere interpretata nel senso che essa rinvia alla libertà dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire o sciogliere organizzazioni, compresi i sindacati, o di aderirvi o meno, senza tuttavia ricomprendere misure che disciplinano il diritto di contrattazione collettiva tra datori di lavoro e lavoratori.
116 Per quanto attiene al criterio giuridico applicabile all’esame del rispetto dell’esclusione relativa al «diritto di associazione» prevista all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, si deve considerare, al pari dell’avvocato generale al paragrafo 107 delle sue conclusioni, che l’esclusione di competenza relativa al «diritto di associazione», come definito al punto precedente della presente sentenza, non comprende qualsiasi misura che presenti un nesso con il diritto di associazione, ma soltanto le misure che comportano un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione in tale diritto o nel suo esercizio. Non rientrano invece in tale esclusione le misure che, pur presentando un nesso con il diritto di associazione, non disciplinano direttamente tale diritto, ma disciplinano il diritto di contrattazione collettiva.
117 Pertanto, contrariamente a quanto sostiene il Regno di Danimarca, la circostanza che l’articolo 4 della direttiva impugnata possa presentare un nesso con materie rientranti nel diritto di contrattazione collettiva non consente, di per sé, di concludere che il legislatore dell’Unione abbia agito in violazione dell’esclusione della competenza relativa al diritto di associazione prevista all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE. Occorre tuttavia verificare, a tal fine, se le disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), e dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata, più specificamente trattate dagli argomenti del Regno di Danimarca, comportino un’«ingerenza diretta» del diritto dell’Unione nel diritto di associazione.
118 In primo luogo, occorre rilevare, da un lato, sebbene gli argomenti del Regno di Danimarca non vertano specificamente su tale disposizione, che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva impugnata mira a tutelare l’esercizio del diritto di contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e a proteggere i lavoratori e i loro rappresentanti da atti che li discriminino nel loro impiego per il fatto di partecipare o di voler partecipare alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari. Tale disposizione non disciplina la libertà dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire o sciogliere organizzazioni, compresi i sindacati, o di aderirvi o meno, ma disciplina materie rientranti nel diritto di contrattazione collettiva.
119 Dall’altro lato, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva mira a proteggere i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro che partecipano o intendono partecipare alla contrattazione collettiva da qualsiasi atto di interferenza reciproca o di interferenza da parte di agenti o membri della controparte nella loro istituzione, nel loro funzionamento o nella loro amministrazione. Conformemente a tali disposizioni, gli Stati membri devono «[adottare], se del caso, misure» a tal fine. La tutela che tale disposizione mira a conferire contro gli atti di ingerenza riguarda l’«istituzione», il «funzionamento» e l’«amministrazione» dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro, materie rientranti nel diritto di associazione, sia nel suo aspetto positivo che in quello negativo, ossia il diritto di costituire organizzazioni, compresi i sindacati, e di organizzarle.
120 Orbene, il rispetto dell’esclusione di competenza relativa al «diritto di associazione», prevista all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, presuppone che né l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva impugnata né le misure adottate dagli Stati membri per garantire il recepimento, nel loro diritto interno, di tale disposizione, comportino un’ingerenza diretta nell’istituzione, nel funzionamento e nell’amministrazione delle associazioni.
121 A tale proposito, dal tenore letterale stesso dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva impugnata risulta che quest’ultimo, pur presentando un nesso con il diritto di associazione, mira a promuovere il diritto di libera partecipazione alla contrattazione collettiva.
122 Pertanto, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva impugnata non interferisce con la competenza degli Stati membri ad adottare misure che disciplinano direttamente il diritto di associazione. Tale constatazione è corroborata dal fatto che, come risulta, da un lato, dal rinvio operato nel testo dell’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva al «diritto nazionale» e alle «prassi nazionali» e, dall’altro, dalla locuzione «se del caso» che compare alla lettera d), gli Stati membri non devono necessariamente adottare «misure» ai sensi di tale lettera d) e possono, in ogni caso, farlo solo nei limiti consentiti dal loro diritto e dalle loro prassi nazionali. Occorre altresì rilevare, al riguardo, che tali disposizioni non armonizzano il contenuto delle misure prescritte. Inoltre, come risulta dal punto 84 della presente sentenza, le disposizioni di tale articolo 4 devono essere interpretate alla luce dell’articolo 152, primo comma, TFUE, che sancisce espressamente, a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il rispetto dell’autonomia delle parti sociali.
123 Da quanto precede risulta che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva impugnata non comporta alcuna ingerenza diretta del diritto dell’Unione nel diritto di associazione.
124 In secondo luogo, per quanto riguarda il rispetto, da parte dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata, dell’esclusione relativa al diritto di associazione enunciata all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, il Regno di Danimarca sostiene che tale articolo 4, paragrafo 2, comporta anche un’ingerenza nel diritto di associazione all’interno dei sindacati, poiché l’obiettivo di aumentare il numero di lavoratori coperti da un contratto collettivo, previsto da tale disposizione, potrebbe essere raggiunto solo mediante un aumento del tasso di adesione dei lavoratori a organizzazioni sindacali.
125 Tale argomento non può tuttavia essere accolto. Infatti, come risulta dal punto 84 della presente sentenza, l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata non può essere interpretato nel senso che obbliga gli Stati membri a imporre l’adesione di un maggior numero di lavoratori a organizzazioni sindacali.
126 Ne consegue che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata non comporta alcuna ingerenza diretta del diritto dell’Unione nel diritto di associazione.
127 Di conseguenza, occorre respingere la seconda parte del primo motivo in quanto infondata.
128 In considerazione di quanto precede, occorre accogliere il primo motivo nella misura in cui riguarda l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva impugnata e, di conseguenza, la parte di frase «compresi gli elementi di cui al paragrafo 2», contenuta nella quinta frase dell’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva, nonché la parte di frase «a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale», contenuta nell’articolo 5, paragrafo 3, di detta direttiva; tale motivo dev’essere respinto quanto al resto.
2. Sul secondo motivo, vertente sull’impossibilità di adottare la direttiva impugnata sul fondamento dell’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE
a) Argomenti delle parti
129 Con il secondo motivo, il Regno di Danimarca, sostenuto dal Regno di Svezia, adduce che, anche supponendo che la direttiva impugnata non violi le esclusioni di competenza relative alle «retribuzioni» e al «diritto di associazione» previste all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, il Parlamento e il Consiglio non potevano validamente adottarla sul fondamento dell’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE, conformemente alla procedura decisionale prevista in tale settore dall’articolo 153, paragrafo 2, TFUE.
130 Infatti, la direttiva impugnata perseguirebbe due obiettivi di uguale importanza, nel senso che essa sarebbe volta non soltanto a disciplinare le «condizioni di lavoro» oggetto dell’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE, ma anche la «rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro», menzionata all’articolo 153, paragrafo 1, lettera f), TFUE. Orbene, ciascuna di tali basi giuridiche implicherebbe di seguire una procedura legislativa diversa e tali procedure sarebbero incompatibili. L’articolo 153, paragrafo 1, lettera f), TFUE richiederebbe l’unanimità in sede di Consiglio, a differenza dell’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE, che esigerebbe una maggioranza qualificata all’interno di quest’ultimo.
131 Il Parlamento e il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri che intervengono a sostegno delle conclusioni delle istituzioni convenute contestano l’argomento del Regno di Danimarca nell’ambito del secondo motivo.
b) Giudizio della Corte
132 Come ricordato al punto 56 della presente sentenza, secondo una giurisprudenza costante, la scelta della base giuridica di un atto dell’Unione deve fondarsi su elementi obiettivi che possono essere sottoposti a sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano lo scopo e il contenuto di tale atto. Se l’esame di un atto dell’Unione dimostra che esso persegue molteplici finalità o che possiede molteplici componenti, e se una di tali finalità o di tali componenti è identificabile come principale o preponderante mentre le altre sono solo accessorie o hanno una portata estremamente limitata, la base giuridica per l’adozione di tale atto dev’essere determinata conformemente a tale finalità o componente principale. Solo in via eccezionale un atto dell’Unione deve essere fondato al contempo su più basi giuridiche, segnatamente qualora esso persegua contemporaneamente più finalità oppure abbia più componenti legate tra loro in modo inscindibile, senza che una sia accessoria rispetto all’altra [v., in tal senso, sentenze del 19 luglio 2012, Parlamento/Consiglio (C-130/10, EU:C:2012:472, punti 43 e 44, e del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartico), (C-626/15 e C-659/16, EU:C:2018:925, punti 77 e 78).
133 Tuttavia, il ricorso a una duplice base giuridica è escluso quando le procedure previste per l’una e per l’altra di tali basi giuridiche siano tra loro incompatibili [sentenza dell’11 giugno 1991, Commissione/Consiglio, C-300/89, EU:C:1991:244, punto 21, e parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punto 78].
134 Per quanto riguarda i rispettivi ambiti di applicazione delle lettere b) e f) dell’articolo 153, paragrafo 1, TFUE, dalle considerazioni svolte ai punti 72 e 109 della presente sentenza risulta che, da un lato, l’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE, che riguarda le «condizioni di lavoro», può ricomprendere misure relative al miglioramento dell’adeguatezza dei salari minimi e, in tal modo, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nell’Unione e, dall’altro, l’articolo 153, paragrafo 1, lettera f), TFUE, che riguarda la «rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la cogestione», può comprendere misure relative alla promozione della contrattazione collettiva, purché le misure così adottate rispettino l’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
135 Sebbene, in ciascuno di questi due settori, il Parlamento e il Consiglio possano, conformemente all’articolo 153, paragrafo 2, lettera b), TFUE, adottare «prescrizioni minime», essi statuiscono, nel primo, secondo una procedura legislativa ordinaria, nella quale il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, e, nel secondo, secondo una procedura legislativa speciale, che richiede l’unanimità in sede di Consiglio.
136 Nel caso di specie, per quanto riguarda le disposizioni principali della direttiva impugnata contenute negli articoli da 4 a 8, anzitutto, l’articolo 4 prevede, come risulta dai punti 63 e 64 della presente sentenza, misure relative alla promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari. Tali misure possono certamente rientrare nel settore della «rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la cogestione», di cui all’articolo 153, paragrafo 1, lettera f), TFUE. Tuttavia, come osservato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 119 delle sue conclusioni, occorre tenere conto del nesso che tale direttiva stabilisce, all’articolo 1, paragrafo 1, letto alla luce dei considerando 16 e 22, tra la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e l’obiettivo principale di detta direttiva, che è quello di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione e, in particolare, l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori. In tale contesto, l’articolo 4 della medesima direttiva rappresenta solo un mezzo per conseguire l’obiettivo principale di quest’ultima, piuttosto che una finalità o componente autonoma e distinta della medesima. Pertanto, anche tale articolo 4 rientra nel settore delle «condizioni di lavoro» di cui all’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE. In ogni caso, detto articolo 4 costituisce, tutt’al più, una finalità o una componente distinta che si colloca nel settore della «rappresentanza e [della] difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro» puramente accessoria rispetto alla finalità o alla componente principale rientrante nel settore delle «condizioni di lavoro».
137 Dall’esame del primo motivo risulta inoltre che la direttiva impugnata contiene una disposizione e due parti di frasi sottratte alle competenze dell’Unione conformemente all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, ossia l’articolo 5, paragrafo 2, e, di conseguenza, la parte di frase «compresi gli elementi di cui al paragrafo 2», contenuta nella quinta frase dell’articolo 5, paragrafo 1, nonché la parte di frase «a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale», contenuta nell’articolo 5, paragrafo 3, di tale direttiva. Tale disposizione e queste due parti di frase esulano quindi dalle competenze legislative dell’Unione nelle materie contemplate all’articolo 153, paragrafo 1, lettere b) e f), TFUE.
138 Infine, le altre disposizioni dell’articolo 5 della direttiva impugnata nonché gli articoli da 6 a 8 di quest’ultima prevedono, come risulta dai punti 57 e 66 della presente sentenza, misure che istituiscono un quadro per la determinazione di salari minimi adeguati al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione. Tali disposizioni si ricollegano quindi al settore delle «condizioni di lavoro», di cui all’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE.
139 Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che, alla luce delle sue disposizioni principali costituite dagli articoli da 4 a 8, la direttiva impugnata rientra nel settore di competenza previsto all’articolo 153, paragrafo 1, lettera b), TFUE e non in quello previsto all’articolo 153, paragrafo 1, lettera f), TFUE.
140 In tali circostanze, occorre respingere il secondo motivo in quanto infondato.
141 In considerazione di quanto precede, le conclusioni presentate in via principale dal Regno di Danimarca sono parzialmente fondate, nella misura in cui sono dirette all’annullamento dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva impugnata e della parte di frase «a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale», contenuta nell’articolo 5, paragrafo 3, di tale direttiva, per il motivo che tali disposizioni rientrano nei settori sottratti alle competenze dell’Unione, conformemente all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE. L’annullamento di tale articolo 5, paragrafo 2, implica quello della parte di frase «compresi gli elementi di cui al paragrafo 2», contenuta nella quinta frase dell’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva.
B. Sulle conclusioni presentate in subordine, dirette all’annullamento dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), e/o dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata
142 Il motivo unico dedotto dal Regno di Danimarca a sostegno delle sue conclusioni presentate in subordine è diretto contro l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), e/o l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata ed è fondato sugli stessi argomenti dedotti a sostegno del primo motivo dedotto a sostegno delle conclusioni presentate in via principale. Poiché questi ultimi argomenti sono stati respinti nell’ambito della valutazione del primo motivo, anche tale motivo unico dev’essere respinto, in ogni caso, in quanto infondato, senza che sia necessario statuire sulla sua ricevibilità, e, pertanto, tali conclusioni presentate in subordine devono essere respinte.
143 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la parte di frase «compresi gli elementi di cui al paragrafo 2», contenuta nella quinta frase dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva impugnata, l’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva nonché la parte di frase «a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale», contenuta nell’articolo 5, paragrafo 3, della stessa devono essere annullati. Il ricorso è respinto quanto al resto.
IV. Sulle spese
144 Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.
145 Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, di tale regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, qualora ciò appaia giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, la Corte può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese della controparte.
146 Nel caso di specie, il Regno di Danimarca, rimasto parzialmente soccombente, dev’essere condannato a farsi carico dei due terzi delle spese sostenute dal Parlamento e dal Consiglio nonché dei due terzi delle proprie spese. Il Parlamento e il Consiglio devono essere condannati a farsi carico di un terzo delle spese del Regno di Danimarca e di un terzo delle proprie spese.
147 Conformemente all’articolo 140, paragrafo 1, di detto regolamento di procedura, il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, la Repubblica portoghese, il Regno di Svezia e la Commissione si faranno carico delle proprie spese sostenute in qualità di intervenienti.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:
1) La parte di frase «compresi gli elementi di cui al paragrafo 2», contenuta nella quinta frase dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea, l’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva nonché la parte di frase «a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale», contenuta nell’articolo 5, paragrafo 3, della stessa sono annullati.
2) Il ricorso è respinto quanto al resto.
3) Il Regno di Danimarca è condannato a farsi carico dei due terzi delle spese sostenute dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea nonché dei due terzi delle proprie spese.
4) Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea sono condannati a farsi carico di un terzo delle spese sostenute dal Regno di Danimarca e di un terzo delle proprie spese.
5) Il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, la Repubblica portoghese, il Regno di Svezia e la Commissione europea si fanno carico delle proprie spese.
Firme
* Lingua processuale: il danese.