
La Cassazione interviene sul tema dell’affido super esclusivo, ribadendo che si tratta di una misura di extrema ratio, utilizzabile solo a fronte di un rigoroso accertamento di condotte gravemente pregiudizievoli del genitore non affidatario e di una motivazione puntuale sulla sua corrispondenza all’interesse preminente del minore. Nel caso di un minore affetto da disturbo dello spettro autistico, la Corte censura la decisione di merito per motivazione apparente, fondata sulla sola idoneità del genitore affidatario, senza una reale valutazione dell’impatto traumatico dello sradicamento repentino dall’ambiente di vita e dalla figura genitoriale di riferimento.
Quando è legittimo disporre un affido super esclusivo, escludendo il genitore non affidatario anche dalle decisioni di maggiore interesse per il figlio, e quali limiti incontra tale misura in presenza di un minore vulnerabile?
La risposta è fornita dalla Cassazione, sez. I civile, con l'ordinanza n. 32058 del 10 dicembre 2025, che cassa con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Milano per difetto di motivazione in ordine all’interesse del minore.
Il giudizio trae origine dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i genitori di un minore undicenne affetto da disturbo dello spettro autistico. Il Tribunale di Busto Arsizio aveva disposto l’affidamento super esclusivo al padre, con collocamento presso di lui e limitazione delle frequentazioni materne, valorizzando una serie di condotte ostruzionistiche attribuite alla madre: ostacoli alle scelte scolastiche, negazione della patologia del figlio, interruzione di visite mediche, mancata collaborazione con servizi sociali, CTU ed educatori.
La Corte d’Appello di Milano, dopo un decreto provvisorio di segno opposto – che manteneva il collocamento presso la madre e l’affido all’ente locale, in linea con le indicazioni di CTU e servizi sociali – confermava in via definitiva l’affido super esclusivo al padre, ritenendo fallito il tentativo transitorio per la persistente indisponibilità materna alla collaborazione.
La madre ricorreva in Cassazione, denunciando, tra l’altro, l’assenza di una reale valutazione degli effetti sul minore del drastico mutamento di collocamento, soprattutto alla luce della sua condizione di fragilità.
La Corte richiama il quadro normativo e giurisprudenziale in materia di affidamento:
il principio di bigenitorialità di cui all’art. 337-ter c.c., quale regola generale;
l’affido esclusivo ex art. 337-quater c.c., ammesso quando l’affido condiviso risulti contrario all’interesse del minore;
l’affido super esclusivo, istituto di creazione giurisprudenziale, che comporta una limitazione particolarmente incisiva della responsabilità genitoriale, assimilabile alle misure conformative e ablative degli artt. 330 e 333 c.c..
Per quest’ultima ipotesi è richiesto un quid pluris: la prova di condotte gravemente pregiudizievoli, causalmente rilevanti e tali da rendere radicalmente contraria all’interesse del minore anche la partecipazione del genitore non affidatario alle decisioni di maggiore rilievo.
La Cassazione ribadisce inoltre che la violazione del diritto alla bigenitorialità non impone automaticamente l’allontanamento del minore dal genitore collocatario, dovendosi sempre verificare se tale rimedio non comporti un trauma, anche irreparabile, per lo sviluppo psicofisico del figlio.
Nel caso esaminato, la Suprema Corte ritiene infondate le censure relative al mancato ascolto del minore, trattandosi di soggetto infradodicenne per il quale non era stata avanzata una specifica richiesta di audizione.
Accoglie invece le doglianze sulla motivazione della decisione di affido. Pur riconoscendo che la Corte d’Appello aveva dato conto della persistente indisponibilità materna a collaborare con i servizi e con il padre, la Cassazione rileva che il giudice di merito:
si è limitato a valorizzare l’idoneità del padre e la sua disponibilità di tempo;
non ha spiegato perché un affido super esclusivo, con collocamento presso il padre, rappresentasse concretamente la soluzione più conforme all’interesse del minore;
non ha valutato l’impatto dello sradicamento netto e repentino dall’ambiente domestico e dalla figura materna, che fino ad allora aveva costituito il principale riferimento affettivo e di cura;
ha disatteso, senza adeguata giustificazione, le indicazioni della CTU e dei servizi territoriali, che avevano ritenuto disfunzionale un simile mutamento per l’equilibrio psicofisico del minore autistico.
La motivazione, fondata su affermazioni generiche, è quindi qualificata come apparente, in quanto non consente di ricostruire il percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito.
La Cassazione cassa la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, ribadendo che:
l’affido super esclusivo è uno strumento residuale, da utilizzare con estrema cautela;
il giudice deve fornire una motivazione rigorosa e non stereotipata sulla sua corrispondenza all’interesse preminente del minore;
in presenza di minori con disabilità o fragilità, è imprescindibile una valutazione approfondita delle conseguenze concrete di un allontanamento drastico dall’ambiente di vita e dalla figura genitoriale di riferimento.
La pronuncia in esame ci ricorda che l’ostruzionismo genitoriale può giustificare misure incisive, ma non basta, da solo, a legittimare un super affido se manca una dimostrazione chiara e motivata che quella scelta sia davvero la meno dannosa per il minore.
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