
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 186 del 16 dicembre 2025, ha dichiarato la legittimità dell’impianto della legge toscana sul turismo, riconoscendo ampi margini di intervento regionale e comunale nella regolazione delle attività ricettive e delle locazioni turistiche brevi.
La Consulta ha escluso violazioni della libertà d’impresa, del diritto di proprietà e dell’ordinamento civile, valorizzando le finalità di governo del territorio, sostenibilità urbana e contrasto agli effetti dell’overtourism.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in via principale, gli artt. 22, comma 6; 41, commi 3 e 4; 42-45; 59 e 144 della legge regionale, sostenendo – a seconda dei casi – la violazione degli artt. 3, 41, 42 e 117 Cost. (con riferimento anche all’“ordinamento civile” e alla tutela dei beni culturali).
La Corte ha deciso sulle disposizioni indicate, riservando a separata pronuncia ulteriori questioni proposte con lo stesso ricorso.
L’art. 22, comma 6, consente agli alberghi di associare nella gestione unità immobiliari residenziali nella loro disponibilità, ubicate entro 200 metri, per aumentare la capacità ricettiva entro il 40%, prevedendo tuttavia che il comune possa stabilire una percentuale inferiore.
La Corte ha giudicato non fondate le censure riferite agli artt. 3 e 41 Cost.
Sul piano della ragionevolezza, la Consulta ha ritenuto coerente che, a fronte di una regola regionale “di flessibilità” pensata per ampliare l’offerta alberghiera anche in contesti urbanisticamente vincolati, resti salva la possibilità per il singolo comune di temperare l’espansione tenendo conto delle esigenze del proprio territorio. La funzione comunale di governo del territorio, per sua natura, implica un’ampia discrezionalità, pur nel rispetto dei principi generali (ragionevolezza e imparzialità).
Quanto alla libertà di iniziativa economica, la Corte sottolinea che la limitazione è di portata modesta: la norma regionale introduce una possibilità “in deroga” e la facoltà comunale incide proprio su tale ampliamento. In ogni caso, la compressione è giustificabile come bilanciamento con interessi di utilità sociale connessi alla regolazione degli insediamenti e dell’offerta ricettiva sul territorio.
L’art. 41, comma 3, prevede che l’attività extra-alberghiera sia consentita solo in immobili con destinazione urbanistica turistico-ricettiva, escludendo quelli a destinazione residenziale.
La Corte:
ha dichiarato non fondata la questione riferita all’art. 3 Cost. (irragionevolezza);
ha dichiarato inammissibili le questioni riferite agli artt. 41 e 42 Cost. per insufficienza di motivazione del ricorso.
Nel merito del parametro dell’art. 3, la Consulta chiarisce il punto chiave: la qualifica “civile abitazione” riguarda il profilo edilizio-strutturale dell’immobile, mentre la destinazione d’uso urbanistica è collegata al profilo gestionale. Se l’immobile è utilizzato in modo stabile e organizzato come struttura ricettiva (anche perché la legge regionale, per le strutture “classificate”, impone la gestione imprenditoriale), non è irragionevole richiedere il passaggio alla destinazione turistico-ricettiva.
L’art. 144, comma 3, differisce l’applicazione dell’art. 41, comma 3, al 1° luglio 2026.
La Corte ha dichiarato non fondata la censura ex art. 3 Cost.: la disposizione non crea categorie diverse di proprietari, ma concede a tutti un periodo per mantenere la destinazione residenziale fino alla data indicata, imponendo a tutti il passaggio alla destinazione turistico-ricettiva dal 1° luglio 2026, se si intende proseguire l’attività extra-alberghiera.
L’art. 41, comma 4, impedisce che, nello stesso edificio, l’attività di affittacamere/B&B/residenza d’epoca svolta dallo stesso soggetto in più strutture superi comunque i limiti di camere e capacità ricettiva previsti per la singola struttura.
La Corte:
ha dichiarato inammissibili le questioni riferite agli artt. 3 e 42 Cost. (censure non adeguatamente motivate);
ha dichiarato non fondata la questione riferita all’art. 41 Cost.
Nel merito, la Consulta riconosce che la Regione, nell’esercizio della competenza sul turismo, può individuare tipologie ricettive con una connotazione “familiare” e fissare limiti dimensionali, scegliendo anche soluzioni rigorose per evitare elusioni tramite frazionamenti organizzativi nello stesso edificio.
Gli artt. 42-45 impongono che affittacamere, B&B, case e appartamenti per vacanze e residenze d’epoca “classificati” siano gestiti in forma imprenditoriale.
La Corte ha dichiarato non fondate le questioni sollevate:
con riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. l) Cost. (ordinamento civile);
con riferimento all’art. 42 Cost. (proprietà).
Da un lato, la Consulta ribadisce che si tratta di regole che attengono alle modalità di esercizio e ai requisiti per “entrare” nel circuito delle strutture ricettive classificate: non è una disciplina dei contratti o dei loro effetti, né una definizione autonoma di imprenditorialità, ma il rinvio al concetto già presente nell’ordinamento.
Dall’altro lato, la Corte affronta il profilo della proprietà: l’obbligo comporta adempimenti tipici dell’attività d’impresa (ad es. iscrizione e partita IVA) e incide sulle scelte del proprietario, ma l’ingerenza è ritenuta giustificata e proporzionata alla funzione sociale perseguita. La sentenza valorizza espressamente, tra gli obiettivi, anche il contenimento degli effetti dell’overtourism (riduzione dell’offerta di alloggi a lungo termine, pressione sui canoni, trasformazioni urbanistiche di interi quartieri e ricadute sui servizi locali), oltre alla qualificazione dell’offerta e alla parità competitiva tra operatori.
Resta inoltre ferma, nel quadro regionale, la possibilità di locazioni turistiche anche non imprenditoriali, con regole diverse (salvi i limiti comunali previsti per le locazioni brevi).
Il cuore della decisione, per impatto pratico, riguarda l’art. 59.
La norma consente ai comuni ad alta densità turistica e ai capoluoghi di:
individuare zone o aree;
definire criteri e limiti (necessità, proporzionalità, non discriminazione), anche in funzione di residenzialità, sostenibilità e fruizione del patrimonio;
subordinare l’attività, nelle zone interessate, a un’autorizzazione quinquennale per unità immobiliare, con possibile fissazione di un tetto massimo di autorizzazioni.
La Corte ha dichiarato non fondate le censure relative agli artt. 3 e 117, secondo comma, lett. l) e s) Cost.
La Consulta chiarisce che l’art. 59 detta una disciplina amministrativa che incide prevalentemente su turismo e governo del territorio: riguarda un’attività economica con ricadute sull’assetto urbano e introduce, dove previsto, un regime autorizzatorio. Non è quindi una disciplina dell’“attività negoziale e dei suoi effetti” (che ricadrebbe nell’ordinamento civile), ma una regolazione esterna e preventiva, tipica del diritto amministrativo.
Quanto alla tutela dei beni culturali, il riferimento alla “corretta fruizione turistica” del patrimonio è letto nel quadro delle competenze regionali (anche in chiave di valorizzazione), e non come esercizio “sostitutivo” della tutela riservata allo Stato.
Infine, la Corte esclude la denunciata contraddittorietà interna: i criteri elencati al comma 2 sono coerenti con le finalità complessive (tessuto sociale, residenzialità, fruizione e sostenibilità) e non soltanto con l’obiettivo dell’offerta di alloggi a lungo termine.
La sentenza n. 186/2025 conferma che:
è costituzionalmente legittimo attribuire ai comuni un margine di modulazione dell’espansione alberghiera “assistita” da unità residenziali;
la Toscana può richiedere, per le strutture extra-alberghiere “classificate” e gestite stabilmente, coerenza tra uso effettivo e destinazione urbanistica;
la Regione può pretendere la gestione imprenditoriale per specifiche tipologie ricettive, in funzione di qualità dell’offerta e di contenimento delle esternalità dell’overtourism;
i comuni, in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge regionale, possono adottare regolamenti con limiti micro-territoriali e anche un titolo autorizzatorio per le locazioni brevi, con misure graduali e salvaguardie transitorie.
In definitiva, la Consulta consolida l’impianto del Testo unico del turismo toscano nella parte dedicata al governo degli affitti brevi e delle attività ricettive, chiarendo che si tratta di una disciplina amministrativa e territoriale, non di una regolazione dei rapporti civili, e riconoscendo a Regioni e comuni un ruolo centrale nel bilanciamento tra mercato, residenzialità e interesse pubblico.
Documenti correlati: