Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5553 del 26 giugno 2025, affronta, in chiave interpretativa innovativa, il tema della regolarità fiscale quale causa di esclusione automatica nelle procedure di evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 94, comma 6, del d.lgs. n. 36/2023, chiarendo il concetto di “violazione definitivamente accertata” anche alla luce delle modifiche intervenute nella disciplina dell’autotutela tributaria.
La pronuncia si pone come leading case nell’interpretazione del concetto di definitività delle violazioni tributarie ai fini dell’esclusione automatica dalle procedure di gara e si distingue per un’attenta ricostruzione del quadro normativo e per l’adesione ai più recenti orientamenti giurisprudenziali evolutivi.
Il nucleo interpretativo: la definitività della violazione fiscale
La questione centrale risolta dalla sentenza è la corretta interpretazione dell’espressione “violazioni gravi definitivamente accertate” di cui all’art. 94, comma 6, del Codice dei contratti. Secondo il Consiglio di Stato, una violazione può considerarsi definitivamente accertata solo laddove sia intervenuta una sentenza passata in giudicato o un atto amministrativo non più soggetto a impugnazione.
La vicenda
Nel caso di specie, la mandataria del RTI, aveva ricevuto una cartella esattoriale da € 27.268,82 il 23 gennaio 2024 e aveva tempestivamente proposto istanza di autotutela il 9 febbraio 2024, rigettata il 16 febbraio. Tuttavia, prima della scadenza del termine per impugnare tale rigetto (sessanta giorni), l’intero debito era stato estinto mediante pignoramento presso terzi da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Il debito, dunque, era stato integralmente saldato in data anteriore all’aggiudicazione (23 aprile 2024).
Il Consiglio ha quindi escluso che si fosse in presenza di una “violazione definitivamente accertata”, facendo leva sul fatto che l’impugnazione dell’autotutela, nelle more, era ancora esperibile, e che l’estinzione del debito era avvenuta prima dello spirare del termine utile per proporla.
Il rilievo della riforma della giustizia tributaria
La pronuncia recepisce le innovazioni introdotte dai d.lgs. n. 219/2023 e n. 220/2023 in materia di giustizia tributaria e disciplina dell’autotutela, che hanno incluso tra gli atti impugnabili anche i dinieghi (espressi o taciti) delle istanze di autotutela (art. 19, comma 1, lett. g-bis e g-ter, d.lgs. n. 546/1992). Tale modifica ha segnato un’evoluzione importante nel rapporto tra diritto tributario e diritto amministrativo, rendendo l’autotutela un presidio non più solo amministrativo, ma anche suscettibile di sindacato giurisdizionale. In questa prospettiva, la decisione del Consiglio si pone in linea con un’interpretazione “funzionale” del concetto di definitività: non rileva tanto l’esistenza formale di un debito, quanto il fatto che esso sia non più contestabile.
Il principio di regolarità “dinamica” e l’effetto della sanatoria
Il Consiglio di Stato valorizza inoltre un principio di “regolarità fiscale dinamica”, secondo cui rileva lo stato effettivo del debitore alla data dell’aggiudicazione, non quello pregresso. In questo senso, la sentenza ribadisce un orientamento consolidato per cui i requisiti di partecipazione devono sussistere per tutta la durata della procedura (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 8/2015 e n. 7/2024). La regolarizzazione intervenuta in corso di gara – purché prima dell’aggiudicazione – sana ex tunc la posizione dell’operatore economico. Il pagamento del debito, anche tramite pignoramento presso terzi, è quindi idoneo a ripristinare la regolarità fiscale e a impedire l’esclusione.
La questione di costituzionalità assorbita
Interessante, sebbene assorbita, è la questione di costituzionalità dell’art. 94, comma 6, del Codice appalti, prospettata dagli appellanti in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui non consente una valutazione di proporzionalità tra entità del debito e valore dell’appalto. La censura rinviava all’ordinanza n. 7518/2024 del Consiglio di Stato che aveva sollevato analoga questione in riferimento all’art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016. Pur non affrontando nel merito tale profilo, la decisione lascia trasparire una linea interpretativa che privilegia soluzioni non rigide, fondate su una verifica concreta dello stato fiscale dell’impresa, evitando automatismi irragionevoli.
I motivi di primo grado riproposti: soccorso istruttorio e prova del requisito professionale
La sentenza ha altresì respinto i motivi assorbiti dal TAR, riproposti in appello dalla società seconda classificata, relativi: alla presunta carenza del requisito di capacità tecnico-professionale in capo alla mandante Coculo Terenzio e Figli; alla contestazione circa l’utilizzabilità del soccorso istruttorio dopo l’aggiudicazione.
Il Consiglio ribadisce che: il soccorso istruttorio è ammesso anche post aggiudicazione (cfr. Cons. St., Sez. V, n. 8685/2022 e n. 1540/2021); il requisito dichiarato era effettivamente posseduto e comprovato con documentazione integrata nei termini. La pronuncia si muove quindi nel solco della giurisprudenza favorevole alla massima partecipazione e alla valorizzazione della sostanza rispetto alla forma.
Conclusioni
La sentenza del Consiglio di Stato offre un’interpretazione sistematica, attuale e conforme al principio del favor partecipationis in materia di contratti pubblici, chiarendo in modo determinante i contorni del requisito della regolarità fiscale. Essa rappresenta un importante punto di riferimento in ordine: all’effettiva nozione di “definitività” della violazione tributaria; al valore giuridico dell’autotutela tributaria alla luce delle recenti riforme; all’interpretazione “evolutiva” delle cause escludenti, in chiave non formalistica.
In definitiva, la pronuncia si segnala per la capacità di conciliare rigore procedurale, tutela della legalità fiscale e salvaguardia della concorrenza, collocandosi tra le decisioni di rilievo nella transizione verso l’applicazione del nuovo Codice dei contratti pubblici.
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