Autotutela amministrativa: inammissibile il ricorso avverso il diniego di riesame

Articolo di Riccardo Renzi del 17/07/2025

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La richiesta di esercizio dell’autotutela da parte del privato non comporta un obbligo giuridico di provvedere in capo all’Amministrazione. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso giurisdizionale avverso il diniego, espresso o tacito, di riesame di atti ormai consolidati.

Lo ha stabilito la Sezione III del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5088 del 12 giugno 2025, ribadendo un principio consolidato nella giurisprudenza amministrativa.

Il Collegio chiarisce altresì la distinzione tra rettifica di errori materiali e autotutela decisoria, ribadendo l’esigenza di certezza giuridica e tutela dell’affidamento nei rapporti con la pubblica amministrazione, soprattutto in ambito di contratti pubblici.

La vicenda

La sentenza in esame trae origine dalla richiesta, avanzata da una società seconda classificata in una procedura ad evidenza pubblica, di rettifica della graduatoria di gara, in ragione di un asserito errore di calcolo commesso dalla Commissione. A distanza di sei mesi dall’aggiudicazione, la ditta interessata sollecitava l’Amministrazione a rivedere gli esiti, con l’intento di ottenere l’aggiudicazione e subentrare nel contratto già stipulato. L’Amministrazione ha rigettato l’istanza, richiamando l’intervenuto decorso dei termini di impugnazione e la necessità di tutelare l’affidamento del soggetto già aggiudicatario, oltre che l’interesse pubblico alla continuità del servizio, avviato da tempo a condizioni economiche più vantaggiose. Il TAR, tuttavia, accoglieva il ricorso e ordinava la rettifica della graduatoria, qualificando l’istanza come richiesta di correzione di errore materiale.

Il principio di incoercibilità dell’autotutela

Il Consiglio di Stato, riformando la sentenza di primo grado, ribadisce un consolidato principio di diritto amministrativo: «L'autotutela è espressione di un potere eminentemente discrezionale e non coercibile, non sussistendo alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi». La richiesta di rettifica, pur formalmente qualificata in tal modo, viene ricondotta sostanzialmente a un’istanza di annullamento d’ufficio, con finalità sostitutiva dell’aggiudicatario. Essa configura dunque un procedimento di secondo grado ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, non attivabile coattivamente dal privato, se non nei ristretti casi di autotutela doverosa previsti dalla legge. Il Collegio ha così escluso la possibilità di attivare i rimedi avverso il silenzio-inadempimento ai sensi dell’art. 117 c.p.a., richiamando il principio secondo cui: «Il potere di autotutela è incoercibile dall’esterno attraverso l’istituto del silenzio-inadempimento, salvo i casi normativamente stabiliti di autotutela doverosa o esigenze conclamate di giustizia».

L’esigenza di certezza e stabilità del provvedimento

Il provvedimento originario (l’aggiudicazione) non era stato tempestivamente impugnato, ed era ormai consolidato nell’ordinamento. Permettere l’accesso al giudice tramite lo strumento dell’autotutela avrebbe significato eludere i termini decadenziali per l’impugnazione e compromettere il principio di certezza dei rapporti giuridici: «La richiesta dell’esercizio dei poteri di autotutela non è, di per sé, in grado di generare un obbligo giuridico di provvedere».

Si conferma così l’inammissibilità di ricorsi volti a contestare il diniego, espresso o implicito, dell’Amministrazione a riesaminare atti ormai definitivi, salvo eccezioni espressamente previste.

Correzione di errori materiali vs autotutela decisoria

Il Consiglio di Stato opera una netta distinzione tra la correzione di errori materiali e l’esercizio del potere di autotutela decisoria. La prima è un’attività meramente ricognitiva e doverosa, che non implica riesame discrezionale del precedente assetto di interessi; la seconda, invece, comporta un riesame di merito con potenziale effetto demolitorio: «La rettifica si distingue profondamente dall’annullamento d’ufficio e dalla revoca, non avendo natura di vero e proprio provvedimento di riesame e non essendo assoggettata alla disciplina di cui agli artt. 21-nonies e 21-quinquies della legge n. 241/1990». Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha escluso la presenza di un mero errore materiale, rilevando che la domanda del privato implicava una rinnovata valutazione dell’attribuzione del punteggio e degli esiti della gara, e quindi un riesame sostanziale in via di autotutela.

L’autotutela nei contratti pubblici: natura e limiti

In materia di contratti pubblici, l’autotutela post-contrattuale è eccezionalmente doverosa nei casi tassativi previsti dall’ordinamento, come nelle ipotesi disciplinate dall’art. 122, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici), o dall’art. 88, comma 4-ter, del d.lgs. n. 159/2011 (codice antimafia). Al di fuori di tali ipotesi, la stazione appaltante conserva un potere discrezionale di ritiro, esercitabile alle condizioni previste dalla normativa generale sull’autotutela (art. 21-nonies l. n. 241/1990), che presuppone una ponderazione dell’interesse pubblico prevalente rispetto a quello del privato ormai sacrificato. Il concorrente non aggiudicatario che non abbia tempestivamente impugnato un atto lesivo non può essere rimesso surrettiziamente in termini mediante la richiesta di intervento in autotutela.

Conclusioni

La sentenza in esame si colloca nell’alveo di una giurisprudenza costante che tutela la certezza giuridica e i principi di economicità e buon andamento dell’azione amministrativa. Essa ribadisce che l’autotutela non è uno strumento rimediale alternativo al ricorso tempestivo, ma un potere residuale e discrezionale, volto a correggere o ritirare provvedimenti viziati solo in presenza di specifici presupposti di legge o di rilevanti esigenze di giustizia sostanziale.


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