L’avvocato può accettare assegni post-datati?

Articolo del 17/09/2025

Un avvocato può accettare assegni post-datati come pagamento del compenso professionale?

La risposta arriva dal Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 47 del 27 febbraio 2025, che ha confermato la sanzione disciplinare inflitta a un legale del Foro di Roma per aver ricevuto più assegni post-datati e averli persino utilizzati come titoli esecutivi contro una ex clienti.

La normativa

La legge sull'assegno (R.D. n. 1736/1933) stabilisce che l'assegno bancario è un titolo di pagamento a vista, non posticipabile.

Sul piano deontologico, gli artt. 9, 10, 16 e 29 del Codice deontologico forense richiedono al professionista probità, dignità e decoro, nonché il rispetto delle regole fiscali.

L'accettazione di assegni irregolari può integrare anche una violazione tributaria, legata all'imposta di bollo, con rischio di evasione.

La decisione del Consiglio

Nel caso concreto, il legale aveva incassato ingenti somme senza emettere regolari fatture e aveva preteso il pagamento mediante assegni con data successiva alla revoca del mandato.

Due di questi titoli furono poi azionati in via esecutiva contro la cliente. Il CNF ha ritenuto tale condotta contraria ai principi di correttezza nei rapporti patrimoniali, lesiva del decoro dell'avvocatura e idonea a creare un vulnus all'immagine della categoria. La circostanza che l'assistita avesse acconsentito non è stata ritenuta scriminante.

Il Consiglio Nazionale Forense ha confermato la sospensione dell'avvocato, ribadendo che l'uso di assegni post-datati per il pagamento dei compensi è inammissibile, perché viola sia la legge che i doveri deontologici.

Conclusione

La lezione per la professione è chiara: la gestione trasparente e regolare dei pagamenti è parte integrante dell'etica forense.

Meglio rinunciare a scorciatoie commerciali che, seppur diffuse in altri contesti, rischiano di trasformarsi in una vera e propria trappola disciplinare.

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R.G. N.  477/23

RD n.  47/25

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

SENTENZA

sul ricorso presentato il 12 dicembre 2023 dall’avv. [RICORRENTE] del Foro di Foggia, difeso dall’avv. [OMISSIS] del Foro di Roma, avverso la decisione emessa in data 3 ottobre-16 novembre 2023 dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Roma, notificata il 17 novembre 2023, con la quale è stata applicata la sanzione della sospensione per un anno dall’esercizio della professione;

Il ricorrente, avv. [RICORRENTE] è comparso; è presente il suo difensore avv. [OMISSIS];

Per il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, regolarmente citato, nessuno è presente;

Il Consigliere relatore avv. Giovanni Berti Arnoaldi Veli svolge la relazione;

Inteso il P.G., il quale ha concluso per l’accoglimento limitatamente al capo A, quindi conclude per il parziale accoglimento con riduzione della sanzione a mesi sei di sospensione;

Inteso il difensore del ricorrente, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso, in via principale, con proscioglimento e in via subordinata per l’applicazione di una sanzione meno afflittiva.

FATTO

Il procedimento trae origine da esposto presentato dalla sig.ra [AAA], che riferiva:

  1. di avere conferito mandato all’incolpato di promuovere 18 azioni giudiziarie, per le quali il legale aveva predisposto i relativi atti introduttivi (allegandone 17 all’esposto, tutti con procura a margine), e di rappresentarla in una procedura di mediazione (la relativa istanza è anch’essa allegata all’esposto), versandogli la somma complessiva di € 41.000,00 con assegni e bonifici;
  2. di avere emesso e consegnato all’incolpato, su sua richiesta, ulteriori 4 assegni, post-datati, dell’importo complessivo di € 42.000,00;
  3. che a fronte dei versamenti di cui sopra non aveva ricevuto dall’incolpato alcuna fattura, ma solo tre “documenti contabili” di dubbia regolarità, tanto che ella aveva presentato “denunzia-querela alla Guardia di Finanza” (allegata all’esposto);
  4. che, non ricevendo notizie dall’incolpato sullo stato delle cause, da un accesso diretto alle cancellerie dei Tribunali di Roma e Civitavecchia aveva appreso che solamente 5 delle 17/18 cause erano state promosse e che tutte avevano avuto esito negativo;
  5. che, fra queste, l’incolpato aveva promosso un giudizio innanzi al T.A.R. di Roma contro la madre dell’esponente, dopo la morte di questa e contro la volontà dell’esponente;
  6. di avere ricevuto la notifica di un atto di precetto da parte dell’incolpato per l’importo di € 12.000,00, pari alla somma di due degli assegni post-datati;
  7. che l’incolpato non le aveva restituito documentazione a più riprese richiesta per iscritto.Il 3 ottobre 2022 il Consiglio di Disciplina di Roma deliberava l’apertura del procedimento disciplinare con i seguenti capi d’incolpazione:

“1. Per non aver iscritto a ruolo n. 12 giudizi per i quali aveva avuto espressa procura alle liti, così violando gli artt. 9 - comma I -, 10, 12, 26 - Comma III - del codice deontologico forense. Fatti commessi in Roma nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2018;

  1. Per aver svolto, in relazione ai giudizi aventi RG 63293/13 e 62405/2018 ed iscritti presso il Tribunale Civile di Roma, il proprio mandato senza rispettare i principi di diligenza e competenza, così violando gli artt. 9 - comma I -, 10, 26 - comma III -, del codice deontologico forense.

Fatti commessi in Roma in data 13.09.2018 e 12.10.2018, data dei ricorsi per manutenzione nel possesso;

  1. Per aver richiesto l'emissione e comunque per aver ricevuto n. 5 assegni post datati (€ 6.000,00 del 06.04.2019 n. 3764082250-06 Unicredit, € 6.000,00 del 12.04.2019 n. 3764082249-05 - Unicredit; € 12.000,00 del 18.04.2020 n. 3768098571-03, Unicredit; € 19.000,00 del 02.01.2021 n. 3768098572-04 Unicredit; € 6.000,00 del 02.01.2022 n. 3768098573-05 Unicredit), e così violando gli artt. 9 - comma I -, 16 - comma I -, del codice deontologico forense.

Fatto commesso in Roma a fine 2018/inizio 2019;

  1. Per aver incassato l'importo di € 33.000,00 e, precisamente, € 12.000,00 con assegno in data 19.09.2018; € 2.000,00 con assegno in data 19.09.2018; € 3.500,00 con assegno in data 28.11.2018; € 5.500,00 con assegno in data 28.11.2018; € 10.000,00 con bonifico bancario in data 20.09.2019 e quindi: i) senza emettere fattura, così violando gli artt. 9 - comma I -, 16 - comma I -, e 29 - comma III -, del codice deontologico forense. Fatti commessi in Roma alle date dei singoli pagamenti e ii) richiedendo una somma sproporzionata alla luce dell'effettivo mandato espletato, così violando l'art. 29 - commi I e IV - del codice deontologico forense.

Fatti commessi in Roma alle date dei singoli pagamenti.

  1. Per non aver restituito tutta la documentazione a suo tempo avuta dalla Sig.ra [AAA] malgrado la revoca del mandato e l'espressa richiesta di restituzione della documentazione effettuata con telegramma del 17.04.2019 e poi con lettera racc. AR del 29.5.2019 e così violando l'art. 33 - comma I - del codice deontologico forense.

Illecito permanente.

  1. Per aver promosso atto di precetto su n. 2 assegni Unicredit n. 3764082250-06 di € 6.000,00 del 06.04.2019 e n. 3764082249-05 di € 6.000,00 del 12.04.2019, nei confronti della sig.ra [AAA], asserendo di essere creditore della somma di € 12.000,00 per compensi professionali, malgrado il plurimo mancato adempimento al mandato e malgrado avesse garantito di restituire alla [AAA] anche gli assegni suindicati, cosi violando gli artt. 63 - Comma I e 64 - comma I del codice deontologico forense.

Fatto commesso in Roma in data 31.05.2019, data dell'atto di precetto.

  1. Per aver usato espressioni violente ed offensive in danno della sig.ra [AAA] e della sua accompagnatrice e così violando gli artt. 9 - comma I e 63 - comma 1 del codice deontologico forense.

Fatto commesso in Roma nel mese di aprile 2019".

All’udienza dibattimentale, in assenza della esponente, pur ritualmente citata, l’incolpato si difendeva nel merito ricostruendo i rapporti con la cliente e, in particolare, sostenendo di averla assistita in controversie di rilevante valore, a fronte delle quali aveva ricevuto l’importo complessivo di € 29.500,00, compreso l’importo di € 10.000,00 che si dichiarava disponibile a restituire perché ricevuto per una causa che non era stato possibile promuovere per sopraggiunta morte della parte (della quale l’esponente era tutrice); di avere emesso una fattura per € 9.000,00; di avere ricevuto due assegni post-datati per i quali, non avendo potuto incassarli, aveva notificato atto di precetto alla esponente (la quale aveva poi promosso giudizio di opposizione al precetto, vittoriosamente); di essere in possesso, fra la documentazione richiesta in restituzione, solamente della copia della pubblicazione del testamento; di non avere intrapreso i giudizi di cui in contestazione su indicazione verbale della stessa esponente; che i due procedimenti penali promossi nei suoi confronti erano stati archiviati e che la Guardia di Finanza, a seguito dell’esposto presentato dalla ex cliente, non aveva adottato alcun provvedimento.

All’esito della discussione, il Consiglio di Disciplina riteneva non raggiunta la prova – e dunque non sussistente la responsabilità dell’incolpato – per gli addebiti di cui ai capi d’incolpazione n. 2, 5 e 7 e riteneva invece sussistente la responsabilità dell’incolpato per i rimanenti addebiti.

In particolare:

  • con riferimento al capo 1 (mancata promozione di 12 dei 17 giudizi per i quali aveva ricevuto mandato), il Consiglio di Disciplina riteneva indimostrata l’esistenza di un accordo verbale con la cliente, risultando invece che l’incolpato aveva ricevuto 17 procure;
  • con riferimento al capo 3 (richiesta di emissione e ricezione di assegni post-datati), il Consiglio di Disciplina riteneva sussistente la responsabilità dell’incolpato in quanto lo stesso aveva ammesso di avere ricevuto gli assegni;
  • con riferimento al capo 4 (mancata emissione dei documenti fiscali in relazione alle somme ricevute e richiesta di compensi eccessivi), il Consiglio di Disciplina riteneva provata la responsabilità dell’incolpato in virtù del fatto che egli aveva ammesso di avere ricevuto le somme e di avere emesso fattura solamente per una minima parte della somma incassata, oltre tutto a fronte di cinque giudizi conclusi tutti con esito non favorevole (uno con esito negativo, uno con dichiarazione di non luogo a provvedere, uno  dichiarato improcedibile e due abbandonati a seguito di rilevata incompetenza territoriale);
  • con riferimento al capo 6 (notifica di atto di precetto alla cliente per la riscossione di due degli assegni post-datati, nonostante l’inadempimento professionale), il Consiglio di Disciplina riteneva raggiunta la prova della responsabilità dell’incolpato risultando in atti l’atto di precetto, notificato alla cliente sulla base di assegni post-datati e nonostante il plurimo inadempimento del mandato professionale.

Quanto alla sanzione, il Consiglio di Disciplina – operando una valutazione complessiva delle condotte e ravvisata l’esistenza di gravi precedenti disciplinari confermati dal Consiglio Nazionale Forense (una sospensione di quattro mesi ed altra di due anni e sei mesi), la gravità dei fatti contestati ed il pregiudizio arrecato alla cliente ed all’immagine della professione forense – riteneva congrua la sanzione aggravata della sospensione dalla professione per un anno.

Avverso la decisione del Consiglio di Disciplina l’incolpato proponeva, con un primo difensore, ricorso. Il ricorso non è articolato in motivi ma contiene una generale contestazione della decisione nel merito, in relazione ai capi d’incolpazione per i quali l’incolpato è stato ritenuto responsabile.

In via preliminare, l’incolpato chiedeva la riunione del presente procedimento con quelli “portanti R.R. nn. 153/20 e 156/20” pendenti dinanzi al Consiglio di Disciplina di Roma. Nel merito, l’incolpato lamentava vizio di motivazione sotto il profilo dell’asserita mancanza di prova in relazione agli addebiti. In particolare:

  • con riferimento al capo 1 (mancato adempimento del mandato e mancata instaurazione dei giudizi), eccepiva che il Consiglio di Disciplina avrebbe errato nel ritenere non esistente l’accordo verbale con la cliente in ordine alla rinuncia all’instaurazione dei giudizi, in quanto l’esistenza dell’accordo, affermata dall’incolpato, non era stata smentita dall’esponente, che non si era presentata al dibattimento seppure citata. Inoltre, secondo la difesa dell’incolpato, il Consiglio di Disciplina avrebbe dovuto considerare che, dal momento che all’atto della revoca del mandato l’esponente aveva già conseguito il risultato di essere riconosciuta quale unica erede della madre, il mandato professionale all’incolpato poteva ritenersi già pienamente adempiuto senza la necessità di instaurare i giudizi di cui in contestazione, giacchè la questione ereditaria era l’oggetto principale del mandato; a tale unica questione si riferirebbero infatti, secondo l’incolpato, i compensi ricevuti;
  • con riferimento al capo 3 (richiesta e ricezione di assegni post-datati), sosteneva che l’emissione e la consegna degli assegni sarebbe avvenuta su richiesta della stessa cliente, evidenziando che nessuno degli assegni era stato incassato e che anzi egli aveva messo a disposizione della ex cliente, dopo la revoca del mandato, gli assegni; inoltre, produceva raccomandata a.r. inviata il 27 novembre 2023 (dunque successivamente alla notifica della decisione impugnata) alla ex cliente, alla quale erano allegati tre degli assegni post-datati, in restituzione;
  • con riferimento al capo 4 (mancata emissione delle fatture e richiesta di compensi sproporzionati), rappresentava una diversa valutazione della prova documentale, a suo dire non correttamente apprezzata dal Consiglio di Disciplina: secondo l’incolpato, risulterebbe dalla documentazione che egli aveva ricevuto € 19.500,00 dall’esponente ed € 10.000,00 dalla sig.ra Domenica Stangoni e che per tali somme effettivamente incassate egli aveva emesso le relative fatture, richiamando sia quelle allegate dalla stessa sig.ra [AAA] al suo esposto sia la documentazione dallo stesso depositata nel corso del procedimento disciplinare ed allegata nuovamente al ricorso innanzi a questo Consiglio sub documenti 7 e 9; contestava inoltre che la somma incassata fosse sproporzionata, poiché relativa a questione del valore di svariati milioni di euro. Allo stesso modo, riteneva che il Consiglio di Disciplina non aveva correttamente valutato il contenuto dell’ordinanza di archiviazione del procedimento R.G.N.R. 20615/2019, che confermerebbe la diversa ricostruzione dei fatti fornita dal ricorrente;
  • con riferimento al capo 6 (notifica dell’atto di precetto per prestazioni non eseguite), forniva una prospettazione dei fatti diversa da quella operata dal Consiglio di Disciplina. Secondo l’incolpato, infatti, l’atto di precetto non sarebbe stato notificato sulla base degli assegni postdatati ma su assegni diversi, relativi al mandato espletato, ed il precetto si sarebbe reso necessario in quanto, una volta posti all’incasso i due assegni, gli stessi erano risultati stornati su richiesta del correntista prima della loro scadenza.

In conclusione, l’incolpato dichiarava di avere agito con correttezza lungo tutto il corso dei rapporti con la esponente, come risulterebbe dal contenuto dell’ordinanza con la quale il G.I.P. del Tribunale di Roma aveva archiviato il procedimento penale R.G.N.R. 33884/2019. In forza di quanto sopra, l’incolpato concludeva chiedendo “la revoca della sanzione disciplinare” ovvero, in subordine, “l’applicazione di minor sanzione”.

Il 13 gennaio 2025, in prossimità dell’udienza, perveniva memoria di costituzione di nuovo difensore, il quale insisteva per l’accoglimento del ricorso proponendo due motivi nuovi e relativi alla nullità degli addebiti di cui ai capi 1 e 6 per difetto di specificità dei fatti contestati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, va osservato che non possono essere presi in esame i motivi di impugnazione dedotti nella memoria di costituzione di nuovo difensore, ulteriori e diversi rispetto ai motivi contenuti nel ricorso.

I motivi dedotti nella memoria non possono essere considerati una sorta di “motivi aggiunti” ai motivi originali, dal momento che, “secondo un principio di diritto di carattere generale – che trova applicazione anche nel procedimento disciplinare dinanzi al C.N.F. a carico degli avvocati, retto dai principi del codice di procedura civile – la proposizione del ricorso determina la consumazione del diritto di impugnazione, con la conseguenza che con la successiva memoria illustrativa, che ha solo la funzione di chiarire le ragioni esposte a sostegno dei motivi tempestivamente esposti nel ricorso, non possono proporsi, per la prima volta, motivi nuovi non dedotti nell’atto di impugnazione” (sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 156/2022; conformi: n. 135/2022, 102/2022, 4/2022 e 196/2021).

Sempre in via preliminare, va rigettata la richiesta di riunione del presente procedimento ad altri procedimenti disciplinari, di là da qualsiasi valutazione sulla eventuale ricorrenza dei requisiti di connessione soggettiva e oggettiva, trattandosi di istanza in tutta evidenza inammissibile, avendo ad oggetto procedimenti radicati innanzi a differenti autorità ed aventi natura diversa (amministrativa quelli innanzi al Consiglio di Disciplina, giurisdizionale quello innanzi al Consiglio Nazionale Forense), per giunta pendenti in gradi di giudizio diversi.

Venendo al merito, il ricorrente censura il fatto che la decisione impugnata sarebbe viziata da errori di interpretazione e valutazione commessi dal Consiglio di Disciplina, il quale si sarebbe affidato esclusivamente a quanto dichiarato nell’esposto.

Va innanzitutto rilevato che nel procedimento innanzi al Consiglio di Disciplina opera il principio del libero convincimento del giudice disciplinare, il quale gode di ampio potere discrezionale nel valutare la conferenza e la rilevanza delle prove, con la conseguenza che la decisione assunta in base agli atti acquisiti deve ritenersi legittima quando risulti coerente con le risultanze, istruttorie e documentali, acquisite al procedimento.

In particolare si richiamano i seguenti principi, che condensano l’orientamento consolidato della giurisprudenza:

  • “l’attività istruttoria espletata dal consiglio territoriale deve ritenersi correttamente motivata allorquando la valutazione disciplinare sia avvenuta non già solo esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dell’esponente o di altro soggetto portatore di un interesse personale nella vicenda, ma altresì dall’analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti, che rappresentano certamente il criterio logico-giuridico inequivocabilmente a favore della completezza e definitività della istruttoria” (sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 161/2023);
  • “anche in tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il giudice non ha l’obbligo di confutare esplicitamente le tesi non accolte né di effettuare una particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, essendo sufficiente a soddisfare l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo; in altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse” (sentenze del Consiglio Nazionale Forense n.

157/2023 e della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 6277/2019);

  • “l’omesso esame di elementi istruttori (nella specie, peraltro, escluso) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c. qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 31108/2017).

Riaffermati tali principi, non si ravvisano, nella decisione impugnata, vizi tali da rendere la motivazione incoerente o illogica. Essa, al contrario, appare coerente alle risultanze probatorie, come emerse per via documentale.

In forza di tali principi, non acquisisce rilevanza il fatto che la esponente non sia stata sentita in dibattimento a conferma del contenuto del proprio esposto, dal momento che la decisione non si è basata esclusivamente sulle sue dichiarazioni, ma anche sull’ampia documentazione acquisita al procedimento, sia allegata dalla esponente sia prodotta dall’incolpato.

Si aggiunge che l’incolpato, in apertura dell’udienza dibattimentale innanzi al Consiglio di Disciplina, aveva dichiarato di non opporsi – ed anzi di espressamente prestare consenso – all’acquisizione dell’esposto, con i relativi allegati. E nemmeno è possibile attribuire alla mancata comparizione dell’esponente a detta udienza quella valenza di sostanziale “prova contraria” che la difesa dell’incolpato vorrebbe attribuire alla circostanza, poiché l’assenza dell’esponente non risulta essere stata conseguenza di una scelta consapevole di sottrarsi all’audizione, ma semplicemente l’effetto del fatto che l’invito a comparire inviatole dal Consiglio di Disciplina non era andato a buon fine ed il plico era tornato al mittente “in quanto [destinatario] risultante sconosciuto”.

In ogni caso, con riferimento al fatto di cui al capo 1 d’incolpazione (non avere promosso i giudizi), si osserva che la circostanza è documentata: all’esposto sono allegati ben 17 atti introduttivi di cause varie, tutti recanti a margine la procura ad litem firmata ed autenticata, delle quali solamente 5 sono state effettivamente promosse (peraltro tutte con esito sfavorevole).

L’incolpato si difende adducendo che sarebbe intervenuto accordo con la cliente per non promuovere i giudizi, ma la circostanza – della quale peraltro non vi è alcuna prova – non spiega per quale motivo solamente alcuni dei procedimenti vennero promossi ed altri (la maggior parte) no.

La motivazione del presunto accordo con la cliente sulla non necessità di promuovere i giudizi siederebbe, secondo l’incolpato, sul fatto che la stessa “aveva ormai conseguito lo scopo per il quale aveva contattato esso incolpato, vale a dire quello di risultare erede presso i pubblici uffici al fine di vendere i beni ereditari” (così a verbale dell’udienza dibattimentale in primo grado). Tuttavia, l’accettazione espressa dell’eredità venne trascritta in Conservatoria, in favore della cliente, l’11 ottobre 2018, come risulta dal successivo atto di vendita depositato dallo stesso incolpato, cosicchè la circostanza confligge con il fatto che ben otto degli atti introduttivi recano data successiva alla suddetta trascrizione, contraddicendo la tesi difensiva.

Si aggiunge che il fatto “è sconfessato anche dagli audio allegati da ultimo dall’esponente nei quali inizialmente l’avv. [RICORRENTE] prova a sostenere di aver iscritto tutti i giudizi per poi trovarsi impreparato dinanzi all’obiezione della [AAA] di aver appreso direttamente in cancelleria dell’esistenza di soli n. 5 giudizi” (verbale a conclusione della fase istruttoria, del 3 ottobre 2022).

Con riguardo al capo 3 (avere accettato assegni post-datati), il fatto emerge chiaro ed inequivocabile, nonostante alcune “incongruenze” e “ritrattazioni” dell’incolpato nel corso dell’istruttoria, delle quali la decisione impugnata dà fondato conto.

Nella memoria difensiva del 5 giugno 2019, infatti, egli ha negato di avere ricevuto assegni post-datati, che poi nella audizione del 15 novembre 2021 ammette di avere ricevuto, come ammette di averli ancora in sue mani nella audizione del 21 giugno 2022. Il fatto ha poi trovato piena confessione mediante la produzione, in allegato al ricorso d’impugnazione della decisione, della raccomandata a.r. che l’incolpato ha inviato il 27 novembre 2023 (dunque successivamente alla notifica della decisione impugnata) alla ex cliente, con la quale le ha restituito tre degli assegni post-datati di cui in contestazione. E che si tratti di assegni post-datati è indubbio, dal momento che essi recano tutti data successiva a quella di revoca del mandato.

La circostanza di avere accettato più assegni post-datati, due dei quali poi anche utilizzati quali titoli esecutivi nei confronti della ex cliente, è condotta contraria agli elementari e fondamentali doveri di probità, dignità e decoro dell’avvocato, anche in relazione al fatto che, così facendo, il legale si è reso colpevole di violazione tributaria per evasione dell’imposta di bollo (per contrarietà alla disciplina della legge sull’assegno, r.d. n. 1736/1933), esponendo l’intera categoria professionale di appartenenza ad offuscamento d’immagine.

Anche le condotte di cui al capo 4 d’incolpazione (non avere emesso le fatture ed avere richiesto compensi sproporzionati) risultano provate.

L’incolpato ha riconosciuto di avere incassato € 29.500,00, a fronte dei quali sostiene di avere emesso le “regolari fatture” contraddistinte ai numeri 73, 74 e 75 del 2018, denominate “parcelle”.

Di là dal fatto che la numerazione delle parcelle è irregolare (la n. 73 risulta emessa in data successiva alle n. 74 e 75, circostanza che l’incolpato addebita ad un refuso), nella prima e nella terza non sono conteggiate né i.v.a. né c.p.a. e si fa un generico riferimento a “spese vive” che non vengono esposte, cosicchè esse appaiono documenti contabili irregolari che non consegnano la prova della avvenuta, effettiva e regolare, emissione delle fatture.

Lo stesso incolpato, nella propria memoria difensiva del 5 giugno 2019, aveva specificato, con riferimento alla parcella n. 73/2018, che la stessa aveva natura di nota pro forma cui “seguirà fattura”, anche se nella audizione del 21 giugno 2022 egli aveva poi dichiarato che anche tale precisazione doveva intendersi frutto di errore.

Tuttavia, dalla stessa documentazione prodotta dall’incolpato si rileva che, quando egli ha voluto emettere fattura, ha in tale modo correttamente nominato il relativo documento fiscale (si veda la fattura n. 17/2019), regolarmente conteggiando ed esponendo anche i.v.a. e c.p.a.

Tali elementi non consentono quindi di concludere con certezza per la regolare emissione delle fatture, né a tale fine soccorrono le dichiarazioni rese dall’incolpato nel verbale di sommarie informazioni rese alla Guardia di Finanza il 3 ottobre 2019, che naturalmente non formano prova trattandosi di mere pro se declarationes.

Né la prova della avvenuta fatturazione può ricavarsi – come vorrebbe la difesa dell’incolpato – dai due diversi provvedimenti di archiviazione emessi dal G.I.P. del Tribunale di Roma a seguito di altrettante querele presentate dalla esponente (procedimenti n. [OMISSIS]/2019 e [OMISSIS]/2019) i quali, pur non ritenendo sussistente il reato di truffa ipotizzato a carico dell’incolpato, nulla hanno detto rispetto alla fatturazione delle somme da questi incassate.

Riguardo alla circostanza dell’incasso, da parte dell’incolpato, di compensi eccessivi e sproporzionati, il menzionato provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Roma nel procedimento n. [OMISSIS]/2019 ha certificato l’avvenuta consegna di somme maggiori rispetto a quelle necessarie per gli incarichi conferiti, che peraltro nella maggior parte dei casi non sono stati nemmeno iniziati.

Si aggiunge che le ingenti somme incassate dall’incolpato appaiono effettivamente non solo sproporzionate, ma anche ingiustificate, tenuto conto, da una parte, del contenuto minimale e ripetitivo degli atti introduttivi dei cinque giudizi promossi e del loro esito totalmente sfavorevole e, dall’altra, dell’assenza di documentazione comprovante eventuale diversa ed ulteriore attività difensiva, sia giudiziale che stragiudiziale.

Con riferimento all’addebito di cui al capo d’incolpazione 6 (notifica dell’atto di precetto per prestazioni non eseguite) si osserva che non appare verosimile che, come sostiene l’incolpato, i due assegni in forza dei quali egli ha notificato l’atto di precetto non siano stati post-datati ma emessi a pagamento delle sue spettanze dopo la revoca del mandato, dal momento che la fattura n. 17/2019, che l’incolpato assume avere emesso a fronte del pagamento delle sue spettanze mediante i due assegni, reca data anteriore a quella portata dai due assegni.

In tale contesto, appare indicativa anche la circostanza che l’incolpato, una volta subita la causa di opposizione al precetto da parte della ex cliente, abbia, nella sostanza, rinunciato a difendersi, accettando così di subire sentenza di condanna, anche al rimborso delle spese di lite.

Va, infine, esaminato il trattamento sanzionatorio applicato, ancorché il ricorso non motivi adeguatamente la richiesta di riduzione della sanzione.

Gli addebiti del capo d’incolpazione 1 in parte (violazione degli artt. 9 co. 1, 10 e 12 c.d.f.) non prevedono una sanzione tipica e in parte (violazione dell’art. 26 co. 3 c.d.f.) prevedono la sanzione edittale della censura aggravabile fino alla sospensione non superiore a un anno.

Gli addebiti del capo d’incolpazione 3 (violazione degli artt. 9 co. 1 e 16 co. 1 c.d.f.) non prevedono una sanzione tipica.

Gli addebiti del capo d’incolpazione 4 in parte (violazione degli artt. 9 co. 1 e 16 co. 1 c.d.f.) non prevedono una sanzione tipica e in parte (violazione dell’art. 29 co. 1, 3 e 4 c.d.f.) prevedono la sanzione edittale della censura aggravabile fino alla sospensione non superiore a un anno.

Gli addebiti del capo d’incolpazione 6 (violazione degli artt. 9 e 10 c.d.f., come specificati nella decisione impugnata, che ha rettificato la erronea indicazione degli artt. 63 e 64 c.d.f. contenuta nel capo d’incolpazione) non prevedono una sanzione tipica.

Pertanto, valutato il complessivo quadro sanzionatorio applicabile alla molteplicità delle condotte violative di canoni deontologici, in relazione all’assenza di autonomo apparato sanzionatorio per la maggior parte delle stesse, e considerati i precedenti disciplinari dell’incolpato, la sanzione applicata dal Consiglio di Disciplina appare congrua e deve essere confermata.

P.Q.M.

visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37; il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso;

Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 23 gennaio 2025;

IL SEGRETARIO f.f.  

f.to Avv. Lucia Secchi Tarugi

IL PRESIDENTE f.f.           

f.to Avv. Francesco Napoli

 

Depositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense, oggi 27 febbraio 2025.

IL CONSIGLIERE SEGRETARIO

f.to  Avv. Giovanna Ollà

 

Copia conforme all’originale

IL CONSIGLIERE SEGRETARIO                

Avv. Giovanna Ollà

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