Un avvocato può accettare assegni post-datati come pagamento del compenso professionale?
La risposta arriva dal Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 47 del 27 febbraio 2025, che ha confermato la sanzione disciplinare inflitta a un legale del Foro di Roma per aver ricevuto più assegni post-datati e averli persino utilizzati come titoli esecutivi contro una ex clienti.
La legge sull'assegno (R.D. n. 1736/1933) stabilisce che l'assegno bancario è un titolo di pagamento a vista, non posticipabile.
Sul piano deontologico, gli artt. 9, 10, 16 e 29 del Codice deontologico forense richiedono al professionista probità, dignità e decoro, nonché il rispetto delle regole fiscali.
L'accettazione di assegni irregolari può integrare anche una violazione tributaria, legata all'imposta di bollo, con rischio di evasione.
Nel caso concreto, il legale aveva incassato ingenti somme senza emettere regolari fatture e aveva preteso il pagamento mediante assegni con data successiva alla revoca del mandato.
Due di questi titoli furono poi azionati in via esecutiva contro la cliente. Il CNF ha ritenuto tale condotta contraria ai principi di correttezza nei rapporti patrimoniali, lesiva del decoro dell'avvocatura e idonea a creare un vulnus all'immagine della categoria. La circostanza che l'assistita avesse acconsentito non è stata ritenuta scriminante.
Il Consiglio Nazionale Forense ha confermato la sospensione dell'avvocato, ribadendo che l'uso di assegni post-datati per il pagamento dei compensi è inammissibile, perché viola sia la legge che i doveri deontologici.
La lezione per la professione è chiara: la gestione trasparente e regolare dei pagamenti è parte integrante dell'etica forense.
Meglio rinunciare a scorciatoie commerciali che, seppur diffuse in altri contesti, rischiano di trasformarsi in una vera e propria trappola disciplinare.
R.G. N. 477/23
RD n. 47/25
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SENTENZA
sul ricorso presentato il 12 dicembre 2023 dall’avv. [RICORRENTE] del Foro di Foggia, difeso dall’avv. [OMISSIS] del Foro di Roma, avverso la decisione emessa in data 3 ottobre-16 novembre 2023 dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Roma, notificata il 17 novembre 2023, con la quale è stata applicata la sanzione della sospensione per un anno dall’esercizio della professione;
Il ricorrente, avv. [RICORRENTE] è comparso; è presente il suo difensore avv. [OMISSIS];
Per il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, regolarmente citato, nessuno è presente;
Il Consigliere relatore avv. Giovanni Berti Arnoaldi Veli svolge la relazione;
Inteso il P.G., il quale ha concluso per l’accoglimento limitatamente al capo A, quindi conclude per il parziale accoglimento con riduzione della sanzione a mesi sei di sospensione;
Inteso il difensore del ricorrente, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso, in via principale, con proscioglimento e in via subordinata per l’applicazione di una sanzione meno afflittiva.
FATTO
Il procedimento trae origine da esposto presentato dalla sig.ra [AAA], che riferiva:
“1. Per non aver iscritto a ruolo n. 12 giudizi per i quali aveva avuto espressa procura alle liti, così violando gli artt. 9 - comma I -, 10, 12, 26 - Comma III - del codice deontologico forense. Fatti commessi in Roma nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2018;
Fatti commessi in Roma in data 13.09.2018 e 12.10.2018, data dei ricorsi per manutenzione nel possesso;
Fatto commesso in Roma a fine 2018/inizio 2019;
Fatti commessi in Roma alle date dei singoli pagamenti.
Illecito permanente.
Fatto commesso in Roma in data 31.05.2019, data dell'atto di precetto.
Fatto commesso in Roma nel mese di aprile 2019".
All’udienza dibattimentale, in assenza della esponente, pur ritualmente citata, l’incolpato si difendeva nel merito ricostruendo i rapporti con la cliente e, in particolare, sostenendo di averla assistita in controversie di rilevante valore, a fronte delle quali aveva ricevuto l’importo complessivo di € 29.500,00, compreso l’importo di € 10.000,00 che si dichiarava disponibile a restituire perché ricevuto per una causa che non era stato possibile promuovere per sopraggiunta morte della parte (della quale l’esponente era tutrice); di avere emesso una fattura per € 9.000,00; di avere ricevuto due assegni post-datati per i quali, non avendo potuto incassarli, aveva notificato atto di precetto alla esponente (la quale aveva poi promosso giudizio di opposizione al precetto, vittoriosamente); di essere in possesso, fra la documentazione richiesta in restituzione, solamente della copia della pubblicazione del testamento; di non avere intrapreso i giudizi di cui in contestazione su indicazione verbale della stessa esponente; che i due procedimenti penali promossi nei suoi confronti erano stati archiviati e che la Guardia di Finanza, a seguito dell’esposto presentato dalla ex cliente, non aveva adottato alcun provvedimento.
All’esito della discussione, il Consiglio di Disciplina riteneva non raggiunta la prova – e dunque non sussistente la responsabilità dell’incolpato – per gli addebiti di cui ai capi d’incolpazione n. 2, 5 e 7 e riteneva invece sussistente la responsabilità dell’incolpato per i rimanenti addebiti.
In particolare:
Quanto alla sanzione, il Consiglio di Disciplina – operando una valutazione complessiva delle condotte e ravvisata l’esistenza di gravi precedenti disciplinari confermati dal Consiglio Nazionale Forense (una sospensione di quattro mesi ed altra di due anni e sei mesi), la gravità dei fatti contestati ed il pregiudizio arrecato alla cliente ed all’immagine della professione forense – riteneva congrua la sanzione aggravata della sospensione dalla professione per un anno.
Avverso la decisione del Consiglio di Disciplina l’incolpato proponeva, con un primo difensore, ricorso. Il ricorso non è articolato in motivi ma contiene una generale contestazione della decisione nel merito, in relazione ai capi d’incolpazione per i quali l’incolpato è stato ritenuto responsabile.
In via preliminare, l’incolpato chiedeva la riunione del presente procedimento con quelli “portanti R.R. nn. 153/20 e 156/20” pendenti dinanzi al Consiglio di Disciplina di Roma. Nel merito, l’incolpato lamentava vizio di motivazione sotto il profilo dell’asserita mancanza di prova in relazione agli addebiti. In particolare:
In conclusione, l’incolpato dichiarava di avere agito con correttezza lungo tutto il corso dei rapporti con la esponente, come risulterebbe dal contenuto dell’ordinanza con la quale il G.I.P. del Tribunale di Roma aveva archiviato il procedimento penale R.G.N.R. 33884/2019. In forza di quanto sopra, l’incolpato concludeva chiedendo “la revoca della sanzione disciplinare” ovvero, in subordine, “l’applicazione di minor sanzione”.
Il 13 gennaio 2025, in prossimità dell’udienza, perveniva memoria di costituzione di nuovo difensore, il quale insisteva per l’accoglimento del ricorso proponendo due motivi nuovi e relativi alla nullità degli addebiti di cui ai capi 1 e 6 per difetto di specificità dei fatti contestati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare, va osservato che non possono essere presi in esame i motivi di impugnazione dedotti nella memoria di costituzione di nuovo difensore, ulteriori e diversi rispetto ai motivi contenuti nel ricorso.
I motivi dedotti nella memoria non possono essere considerati una sorta di “motivi aggiunti” ai motivi originali, dal momento che, “secondo un principio di diritto di carattere generale – che trova applicazione anche nel procedimento disciplinare dinanzi al C.N.F. a carico degli avvocati, retto dai principi del codice di procedura civile – la proposizione del ricorso determina la consumazione del diritto di impugnazione, con la conseguenza che con la successiva memoria illustrativa, che ha solo la funzione di chiarire le ragioni esposte a sostegno dei motivi tempestivamente esposti nel ricorso, non possono proporsi, per la prima volta, motivi nuovi non dedotti nell’atto di impugnazione” (sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 156/2022; conformi: n. 135/2022, 102/2022, 4/2022 e 196/2021).
Sempre in via preliminare, va rigettata la richiesta di riunione del presente procedimento ad altri procedimenti disciplinari, di là da qualsiasi valutazione sulla eventuale ricorrenza dei requisiti di connessione soggettiva e oggettiva, trattandosi di istanza in tutta evidenza inammissibile, avendo ad oggetto procedimenti radicati innanzi a differenti autorità ed aventi natura diversa (amministrativa quelli innanzi al Consiglio di Disciplina, giurisdizionale quello innanzi al Consiglio Nazionale Forense), per giunta pendenti in gradi di giudizio diversi.
Venendo al merito, il ricorrente censura il fatto che la decisione impugnata sarebbe viziata da errori di interpretazione e valutazione commessi dal Consiglio di Disciplina, il quale si sarebbe affidato esclusivamente a quanto dichiarato nell’esposto.
Va innanzitutto rilevato che nel procedimento innanzi al Consiglio di Disciplina opera il principio del libero convincimento del giudice disciplinare, il quale gode di ampio potere discrezionale nel valutare la conferenza e la rilevanza delle prove, con la conseguenza che la decisione assunta in base agli atti acquisiti deve ritenersi legittima quando risulti coerente con le risultanze, istruttorie e documentali, acquisite al procedimento.
In particolare si richiamano i seguenti principi, che condensano l’orientamento consolidato della giurisprudenza:
157/2023 e della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 6277/2019);
Riaffermati tali principi, non si ravvisano, nella decisione impugnata, vizi tali da rendere la motivazione incoerente o illogica. Essa, al contrario, appare coerente alle risultanze probatorie, come emerse per via documentale.
In forza di tali principi, non acquisisce rilevanza il fatto che la esponente non sia stata sentita in dibattimento a conferma del contenuto del proprio esposto, dal momento che la decisione non si è basata esclusivamente sulle sue dichiarazioni, ma anche sull’ampia documentazione acquisita al procedimento, sia allegata dalla esponente sia prodotta dall’incolpato.
Si aggiunge che l’incolpato, in apertura dell’udienza dibattimentale innanzi al Consiglio di Disciplina, aveva dichiarato di non opporsi – ed anzi di espressamente prestare consenso – all’acquisizione dell’esposto, con i relativi allegati. E nemmeno è possibile attribuire alla mancata comparizione dell’esponente a detta udienza quella valenza di sostanziale “prova contraria” che la difesa dell’incolpato vorrebbe attribuire alla circostanza, poiché l’assenza dell’esponente non risulta essere stata conseguenza di una scelta consapevole di sottrarsi all’audizione, ma semplicemente l’effetto del fatto che l’invito a comparire inviatole dal Consiglio di Disciplina non era andato a buon fine ed il plico era tornato al mittente “in quanto [destinatario] risultante sconosciuto”.
In ogni caso, con riferimento al fatto di cui al capo 1 d’incolpazione (non avere promosso i giudizi), si osserva che la circostanza è documentata: all’esposto sono allegati ben 17 atti introduttivi di cause varie, tutti recanti a margine la procura ad litem firmata ed autenticata, delle quali solamente 5 sono state effettivamente promosse (peraltro tutte con esito sfavorevole).
L’incolpato si difende adducendo che sarebbe intervenuto accordo con la cliente per non promuovere i giudizi, ma la circostanza – della quale peraltro non vi è alcuna prova – non spiega per quale motivo solamente alcuni dei procedimenti vennero promossi ed altri (la maggior parte) no.
La motivazione del presunto accordo con la cliente sulla non necessità di promuovere i giudizi siederebbe, secondo l’incolpato, sul fatto che la stessa “aveva ormai conseguito lo scopo per il quale aveva contattato esso incolpato, vale a dire quello di risultare erede presso i pubblici uffici al fine di vendere i beni ereditari” (così a verbale dell’udienza dibattimentale in primo grado). Tuttavia, l’accettazione espressa dell’eredità venne trascritta in Conservatoria, in favore della cliente, l’11 ottobre 2018, come risulta dal successivo atto di vendita depositato dallo stesso incolpato, cosicchè la circostanza confligge con il fatto che ben otto degli atti introduttivi recano data successiva alla suddetta trascrizione, contraddicendo la tesi difensiva.
Si aggiunge che il fatto “è sconfessato anche dagli audio allegati da ultimo dall’esponente nei quali inizialmente l’avv. [RICORRENTE] prova a sostenere di aver iscritto tutti i giudizi per poi trovarsi impreparato dinanzi all’obiezione della [AAA] di aver appreso direttamente in cancelleria dell’esistenza di soli n. 5 giudizi” (verbale a conclusione della fase istruttoria, del 3 ottobre 2022).
Con riguardo al capo 3 (avere accettato assegni post-datati), il fatto emerge chiaro ed inequivocabile, nonostante alcune “incongruenze” e “ritrattazioni” dell’incolpato nel corso dell’istruttoria, delle quali la decisione impugnata dà fondato conto.
Nella memoria difensiva del 5 giugno 2019, infatti, egli ha negato di avere ricevuto assegni post-datati, che poi nella audizione del 15 novembre 2021 ammette di avere ricevuto, come ammette di averli ancora in sue mani nella audizione del 21 giugno 2022. Il fatto ha poi trovato piena confessione mediante la produzione, in allegato al ricorso d’impugnazione della decisione, della raccomandata a.r. che l’incolpato ha inviato il 27 novembre 2023 (dunque successivamente alla notifica della decisione impugnata) alla ex cliente, con la quale le ha restituito tre degli assegni post-datati di cui in contestazione. E che si tratti di assegni post-datati è indubbio, dal momento che essi recano tutti data successiva a quella di revoca del mandato.
La circostanza di avere accettato più assegni post-datati, due dei quali poi anche utilizzati quali titoli esecutivi nei confronti della ex cliente, è condotta contraria agli elementari e fondamentali doveri di probità, dignità e decoro dell’avvocato, anche in relazione al fatto che, così facendo, il legale si è reso colpevole di violazione tributaria per evasione dell’imposta di bollo (per contrarietà alla disciplina della legge sull’assegno, r.d. n. 1736/1933), esponendo l’intera categoria professionale di appartenenza ad offuscamento d’immagine.
Anche le condotte di cui al capo 4 d’incolpazione (non avere emesso le fatture ed avere richiesto compensi sproporzionati) risultano provate.
L’incolpato ha riconosciuto di avere incassato € 29.500,00, a fronte dei quali sostiene di avere emesso le “regolari fatture” contraddistinte ai numeri 73, 74 e 75 del 2018, denominate “parcelle”.
Di là dal fatto che la numerazione delle parcelle è irregolare (la n. 73 risulta emessa in data successiva alle n. 74 e 75, circostanza che l’incolpato addebita ad un refuso), nella prima e nella terza non sono conteggiate né i.v.a. né c.p.a. e si fa un generico riferimento a “spese vive” che non vengono esposte, cosicchè esse appaiono documenti contabili irregolari che non consegnano la prova della avvenuta, effettiva e regolare, emissione delle fatture.
Lo stesso incolpato, nella propria memoria difensiva del 5 giugno 2019, aveva specificato, con riferimento alla parcella n. 73/2018, che la stessa aveva natura di nota pro forma cui “seguirà fattura”, anche se nella audizione del 21 giugno 2022 egli aveva poi dichiarato che anche tale precisazione doveva intendersi frutto di errore.
Tuttavia, dalla stessa documentazione prodotta dall’incolpato si rileva che, quando egli ha voluto emettere fattura, ha in tale modo correttamente nominato il relativo documento fiscale (si veda la fattura n. 17/2019), regolarmente conteggiando ed esponendo anche i.v.a. e c.p.a.
Tali elementi non consentono quindi di concludere con certezza per la regolare emissione delle fatture, né a tale fine soccorrono le dichiarazioni rese dall’incolpato nel verbale di sommarie informazioni rese alla Guardia di Finanza il 3 ottobre 2019, che naturalmente non formano prova trattandosi di mere pro se declarationes.
Né la prova della avvenuta fatturazione può ricavarsi – come vorrebbe la difesa dell’incolpato – dai due diversi provvedimenti di archiviazione emessi dal G.I.P. del Tribunale di Roma a seguito di altrettante querele presentate dalla esponente (procedimenti n. [OMISSIS]/2019 e [OMISSIS]/2019) i quali, pur non ritenendo sussistente il reato di truffa ipotizzato a carico dell’incolpato, nulla hanno detto rispetto alla fatturazione delle somme da questi incassate.
Riguardo alla circostanza dell’incasso, da parte dell’incolpato, di compensi eccessivi e sproporzionati, il menzionato provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Roma nel procedimento n. [OMISSIS]/2019 ha certificato l’avvenuta consegna di somme maggiori rispetto a quelle necessarie per gli incarichi conferiti, che peraltro nella maggior parte dei casi non sono stati nemmeno iniziati.
Si aggiunge che le ingenti somme incassate dall’incolpato appaiono effettivamente non solo sproporzionate, ma anche ingiustificate, tenuto conto, da una parte, del contenuto minimale e ripetitivo degli atti introduttivi dei cinque giudizi promossi e del loro esito totalmente sfavorevole e, dall’altra, dell’assenza di documentazione comprovante eventuale diversa ed ulteriore attività difensiva, sia giudiziale che stragiudiziale.
Con riferimento all’addebito di cui al capo d’incolpazione 6 (notifica dell’atto di precetto per prestazioni non eseguite) si osserva che non appare verosimile che, come sostiene l’incolpato, i due assegni in forza dei quali egli ha notificato l’atto di precetto non siano stati post-datati ma emessi a pagamento delle sue spettanze dopo la revoca del mandato, dal momento che la fattura n. 17/2019, che l’incolpato assume avere emesso a fronte del pagamento delle sue spettanze mediante i due assegni, reca data anteriore a quella portata dai due assegni.
In tale contesto, appare indicativa anche la circostanza che l’incolpato, una volta subita la causa di opposizione al precetto da parte della ex cliente, abbia, nella sostanza, rinunciato a difendersi, accettando così di subire sentenza di condanna, anche al rimborso delle spese di lite.
Va, infine, esaminato il trattamento sanzionatorio applicato, ancorché il ricorso non motivi adeguatamente la richiesta di riduzione della sanzione.
Gli addebiti del capo d’incolpazione 1 in parte (violazione degli artt. 9 co. 1, 10 e 12 c.d.f.) non prevedono una sanzione tipica e in parte (violazione dell’art. 26 co. 3 c.d.f.) prevedono la sanzione edittale della censura aggravabile fino alla sospensione non superiore a un anno.
Gli addebiti del capo d’incolpazione 3 (violazione degli artt. 9 co. 1 e 16 co. 1 c.d.f.) non prevedono una sanzione tipica.
Gli addebiti del capo d’incolpazione 4 in parte (violazione degli artt. 9 co. 1 e 16 co. 1 c.d.f.) non prevedono una sanzione tipica e in parte (violazione dell’art. 29 co. 1, 3 e 4 c.d.f.) prevedono la sanzione edittale della censura aggravabile fino alla sospensione non superiore a un anno.
Gli addebiti del capo d’incolpazione 6 (violazione degli artt. 9 e 10 c.d.f., come specificati nella decisione impugnata, che ha rettificato la erronea indicazione degli artt. 63 e 64 c.d.f. contenuta nel capo d’incolpazione) non prevedono una sanzione tipica.
Pertanto, valutato il complessivo quadro sanzionatorio applicabile alla molteplicità delle condotte violative di canoni deontologici, in relazione all’assenza di autonomo apparato sanzionatorio per la maggior parte delle stesse, e considerati i precedenti disciplinari dell’incolpato, la sanzione applicata dal Consiglio di Disciplina appare congrua e deve essere confermata.
P.Q.M.
visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37; il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso;
Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 23 gennaio 2025;
IL SEGRETARIO f.f.
f.to Avv. Lucia Secchi Tarugi
IL PRESIDENTE f.f.
f.to Avv. Francesco Napoli
Depositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense, oggi 27 febbraio 2025.
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
f.to Avv. Giovanna Ollà
Copia conforme all’originale
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
Avv. Giovanna Ollà