Avvocato responsabile se sconsiglia l’impugnazione sulla base di presupposti errati?

Articolo del 12/12/2025

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L’avvocato può essere chiamato a rispondere di responsabilità professionale se sconsiglia al cliente di proporre impugnazione sulla base di una valutazione giuridica sbagliata?

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con l’ordinanza n. 30392 del 18 novembre 2025, torna sul tema del giudizio prognostico in materia di responsabilità forense e chiarisce quando il consiglio di non impugnare può diventare fonte di risarcimento del danno.


Il caso: fidarsi del legale e rinunciare all’appello

La vicenda nasce da una lunga controversia sul risarcimento del danno per l’indebita occupazione e trasformazione irreversibile di un fondo da parte del Comune di Tortolì.

Alcuni punti chiave:

  • un soggetto aveva agito contro il Comune come cessionario del credito originariamente vantato dal proprietario del fondo;

  • nel giudizio era intervenuta anche Tizia, insieme alle sorelle, quale erede del proprietario, per rivendicare il diritto al risarcimento;

  • il Tribunale di Lanusei accoglieva la domanda del cessionario e rigettava le pretese delle sorelle;

  • due sorelle proponevano appello e, con le sentenze nn. 51/2012 e 338/2014, ottenevano il riconoscimento di una quota del conguaglio e dell’indennità di occupazione, oltre alle spese;

  • Tizia, invece, seguendo il consiglio della propria avvocata , decideva di non impugnare la sentenza di primo grado, confidando – per come le era stato rappresentato – di poter beneficiare comunque degli effetti favorevoli dell’appello proposto dalle sorelle, in quanto ritenuta litisconsorte necessario;

  • in realtà, non avendo proposto appello, nei confronti di Tizia si è formato il giudicato sulla sentenza di primo grado sfavorevole;

  • la cliente ha poi agito contro il cessionario, ottenendo una condanna che però è rimasta infruttuosa per incapienza del debitore;

  • a quel punto Tizia ha citato in giudizio la propria avvocata, chiedendone la condanna per responsabilità professionale: se avesse proposto appello, sostiene, avrebbe potuto ottenere direttamente dal Comune il medesimo vantaggio economico riconosciuto alle sorelle.

Il Tribunale ha riconosciuto l’inadempimento professionale, ma ha escluso il nesso causale con il danno. La Corte d’Appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, pur ribadendo il profilo di colpa del legale, ha ritenuto che il pregiudizio economico non derivasse dalla mancata impugnazione della sentenza di Lanusei, bensì dal mancato ricorso per cassazione contro le sentenze d’appello nn. 51/2012 e 338/2014, che la Corte territoriale ha erroneamente qualificato come pronunce rese a contraddittorio non integro.

Da qui il ricorso per Cassazione di Tizia.


Le regole richiamate: diligenza qualificata e nesso causale

La Corte riparte dai principi ormai consolidati in tema di responsabilità professionale dell’avvocato.

  1. Diligenza professionale qualificata

L’avvocato è tenuto a una diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c.: non deve garantire il risultato, ma deve offrire una valutazione tecnica corretta e ragionevole delle norme e degli indirizzi giurisprudenziali applicabili al caso.

Il difensore risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1223 c.c. se, a causa di un errore tecnico colpevole, il cliente subisce un danno patrimoniale.

  1. Giudizio prognostico ex ante

La sussistenza della colpa professionale e del nesso causale si valuta ex ante: il giudice deve porsi nel momento in cui il consiglio è stato reso, svolgendo un giudizio controfattuale sull’utilità dell’azione omessa (in questo caso, l’impugnazione).

Secondo la Cassazione (fra le altre Cass. 24/10/2017, n. 25112; Cass. 30/04/2018, n. 10320; Cass. 11/11/2024, n. 28903; Cass. 19/01/2024, n. 2109; Cass. 06/09/2024, n. 24007; Cass. 14/11/2022, n. 33466; Cass. 27/07/2024, n. 21045), il giudizio prognostico è tipicamente giudizio di merito, quindi tendenzialmente insindacabile in sede di legittimità, salvo che si fondi su un presupposto giuridico manifestamente errato.

  1. Criterio del “più probabile che non”

Sul piano causale, si applica il criterio civilistico del “più probabile che non”:

  • se l’azione omessa (qui: l’appello) avrebbe avuto una ragionevole probabilità di successo, l’omissione può essere considerata causa del danno;

  • il cliente non deve dimostrare con certezza che l’impugnazione sarebbe stata accolta, ma che era probabile, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale del momento, ottenere un risultato economicamente più favorevole.

  1. Contumacia, contraddittorio e litisconsorzio necessario

La Corte richiama infine i principi su vocatio in ius e contraddittorio: la lesione del contraddittorio presuppone la mancata o irregolare citazione della parte.

Se la parte è stata ritualmente citata e poi rimane contumace, il contraddittorio è integro e non vi è spazio per un’ipotetica integrazione del contraddittorio (cfr. Cass. 24/08/1998, n. 8356; Cass. 14/01/1982, n. 238; Cass. 18/09/2007, n. 19347).

Questo punto è decisivo per comprendere l’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello.


La decisione della Corte

La Corte di Cassazione rileva innanzitutto che sia il Tribunale sia la Corte d’Appello avevano già riconosciuto un inadempimento professionale della legale: il consiglio di non impugnare la sentenza del Tribunale di Lanusei si è rivelato errato perché fondato sull’idea – infondata – che Tizia, in quanto litisconsorte necessario, avrebbe automaticamente beneficiato degli effetti favorevoli delle impugnazioni proposte dalle sorelle.

Il cuore del problema, quindi, non è la colpa del professionista (già ammessa), ma il nesso causale fra tale inadempimento e il danno lamentato.

La Corte d’Appello aveva ritenuto che:

  • la perdita del diritto di appellare la sentenza di Lanusei costituisse un mero evento pregiudizievole;

  • il vero danno fosse legato alla mancata impugnazione per difetto di integrità del contraddittorio delle sentenze d’appello nn. 51/2012 e 338/2014;

  • tale mancata impugnazione non fosse imputabile all’avvocata, che in quel momento non era più il legale della cliente.

Per arrivare a questa conclusione, però, la Corte territoriale ha commesso un errore giuridico decisivo:

  • ha ipotizzato un vizio di integrità del contraddittorio nei giudizi d’appello promossi dalle sorelle;

  • ha ritenuto che Tizia fosse rimasta estranea al grado d’appello per mancata evocazione in giudizio;

  • ha costruito il giudizio controfattuale sul presupposto che la cliente avrebbe potuto – e dovuto – proporre ricorso per cassazione per far valere quel vizio.

La Cassazione, invece, constata che dalle sentenze d’appello nn. 51/2012 e 338/2014 – prodotte in giudizio – risulta che Tizia è espressamente indicata come contumace.

Traduzione operativa:

  • la cliente è stata ritualmente citata nel giudizio d’appello;

  • ha acquisito la qualità di parte del processo;

  • ha scelto, sulla base del consiglio dell’avvocata, di non costituirsi;

  • il contraddittorio era quindi integro, e non vi era alcun vizio da far valere con ricorso per cassazione.

L’intero ragionamento della Corte d’Appello sul nesso causale è dunque fondato su un presupposto manifestamente errato: l’asserita mancata integrazione del contraddittorio.

A questo punto interviene il principio ricordato dalla Cassazione: il giudizio prognostico del giudice di merito non è sindacabile in Cassazione, salvo che si fondi, come in questo caso, su un errore di diritto evidente e assorbente.

Di conseguenza la Suprema Corte:

  • censura la ricostruzione della Corte territoriale sul contraddittorio;

  • afferma che il pregiudizio subito dalla cliente è direttamente collegato alla mancata impugnazione della sentenza del Tribunale di Lanusei;

  • rinvia alla Corte d’Appello, in diversa composizione, affinché svolga un nuovo giudizio controfattuale, questa volta partendo da presupposti giuridici corretti.

Il giudice del rinvio dovrà quindi chiedersi, in concreto, se per una professionista diligente, alla luce della normativa e della giurisprudenza allora vigenti, fosse più probabile che non ottenere, mediante appello, lo stesso vantaggio economico riconosciuto alle sorelle nei confronti del Comune.


Cosa ci portiamo a casa.

La pronuncia offre spunti pratici per chi svolge attività di consulenza e difesa, ricordando che la responsabilità professionale dell’avvocato si gioca spesso prima del processo.

  1. Consigliare di non impugnare è una scelta tecnica “sensibile”

Dire al cliente di non proporre appello non è mai una scelta neutra: si tratta di una vera e propria strategia processuale che può generare responsabilità quando poggia su presupposti giuridici errati, su una sottovalutazione delle probabilità di successo o su una rappresentazione incompleta delle alternative processuali.

  1. L’importanza del giudizio ex ante

Il ragionamento del difensore deve sempre essere costruito in termini di valutazione prognostica, chiedendosi quale sarebbe stata, per un professionista diligente, la scelta più ragionevole alla luce della normativa e della giurisprudenza allora disponibili. Documentare questo percorso logico aiuta anche a prevenire future contestazioni.

  1. Litisconsorzio necessario e rischio giudicato

In presenza di più parti coinvolte, l’ordinanza ribadisce che il litisconsorzio necessario non consente di affidarsi passivamente alle iniziative altrui: chi non impugna rischia di restare vincolato dal giudicato sfavorevole, anche se altri ottengono un esito migliore.

  1. Tutela effettiva e danno da perdita di chance

Una decisione errata può privare il cliente della possibilità di conseguire un risultato effettivamente utile, come ottenere una condanna nei confronti di un soggetto solvibile. La perdita di una chance concreta e ragionevole è un danno risarcibile.

In conclusione, l’ordinanza ricorda che l’avvocato non è il garante del risultato, ma è responsabile quando il cliente perde una possibilità reale di tutelare il proprio diritto perché la decisione di non impugnare si basa su valutazioni giuridiche sbagliate.

La pronuncia ricorda che la responsabilità professionale dell’avvocato si gioca spesso prima del processo, nella fase di consulenza e di scelta sulle impugnazioni.

Alcune indicazioni operative:

  • trattare il consiglio di non impugnare come una scelta tecnica ad alto impatto, da motivare e documentare;

  • verificare con attenzione gli effetti del giudicato sulla posizione del singolo cliente, specie in presenza di litisconsorzio necessario;

  • impostare sempre il ragionamento in chiave prognostica, chiedendosi: “Per un professionista diligente, era più probabile che non che l’impugnazione producesse un risultato migliore?”;

  • evitare di dare per scontate scorciatoie giuridiche (come l’idea che “se impugna qualcuno, poi gli effetti favorevoli valgono per tutti”).

In definitiva, il messaggio è chiaro: l’avvocato non è il garante della vittoria, ma è responsabile se il cliente perde una ragionevole chance di tutelare il proprio diritto perché il consiglio ricevuto si fonda su presupposti sbagliati.


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