Coltivazione domestica di cannabis, primo sì della Commissione

Articolo di Carlo Alberto Zaina del 24/06/2022

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È possibile coltivare delle piantine di cannabis a casa? E quante piantine si possono tenere per "uso personale"?
La risposta della giurisprudenza non è univoca ed è quindi necessario l'intervento del Legislatore.
A tal proposito la proposta di legge C. 2307 (Magi) ha ottenuto il 22 giugno scorso il primo via libera dalla commissione giustizia della Camera.
E per fare il punto della situazione Mister Lex interpella l'avv. Carlo Alberto Zaina.

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L’esito positivo della discussione della proposta di legge sull’autoproduzione di cannabis in Commissione giustizia della Camera potrebbe legittimare la speranza, che sia davvero la volta buona.

In realtà, diversamente da quanto taluni sostengono (e auspicano), siamo, purtroppo, ancora ben lontani dell’epilogo di un vero e proprio tormentone legislativo.

Anche – in presenza del licenziamento positivo del testo proposto – dovranno, comunque, seguire sia la fase della discussione nell’aula della Camera, sia, poi, ovviamente, in Senato l’esame del testo così licenziato.

Al di là del consueto populismo del centrodestra è, ahimè evidente che non tutte le forze politiche abbaino assunto posizioni chiare ed inequivoche in favore di un provvedimento legislativo di cui si sente una concreta necessità.

Nonostante le pastoie burocratiche e le tattiche partitocratiche, per fotografare la situazione del procedimento normativo in corso, si potrebbe rielaborare, con un minimo di realismo, una indubbiamente solenne citazione di Galileo, affermando “..eppur qualcosa si muove” 

Calandoci sul piano tecnico-giuridico, diciamo subito che il testo proposto, al netto di eventuali emendamenti, costituisce una discreta e realistica base in senso riformista.

Certamente, si tratta di un passo avanti ne lungo cammino da percorrere, anche se ogni entusiasmo mi pare fuori luogo.

Intanto, a mio avviso, appare importante la riformulazione del progetto di legge C 2307, laddove la coltivazione acquisisce quel ruolo di centralità e di traino all'interno dello stesso, che prima, invero, non  risultava avere.

La previsione dell’art. 1, che innova il sistema delle autorizzazioni – di cui all’art. 26 dpr 309/90 – introducendo il comma 1-bis, conferma la chiara volontà di depenalizzare la coltivazione domestica, a precise condizioni.

E’ palese il rilievo che il numero di piante coltivabili, sancito come limite massimo per escludere la valenza penale della condotta, attestato nel progetto di legge, sulle quattro unità, appare frutto di un compromesso al ribasso, rispetto all’indirizzo della giurisprudenza di rito ( su tutte la sentenza 12348/20 SSUU) e soprattutto di merito, venutasi a creare in questi anni.

L’orientamento prevalente ha, infatti, ritenuto di potere fare rientrare nel concetto di inoffensività della condotta coltivativa anche piccole piantagioni composte da 6/7 esemplari (V. ex plurimis, addirittura sin dal 2007 sentenza GIP Cremona dott. Salvini).

Sicchè non è dato modo di comprendere la timidezza del legislatore nella determinazione della quantità-limite delle piante coltivabili, che avrebbe potuto essere maggiore.

Indubbiamente corretto appare, però, il richiamo correlato (al citato art. 26 che è norma caposaldo del regime delle autorizzazioni) operato dalla lett. d) dell’art. 2, la quale modifica il comma 4 dell’art. 73 dpr 309/90, specificando espressamente – una volta di più - la non punibilità della coltivazione di 4 piante femmine di cannabis.

Importante mi pare, sul piano scientifico e botanico – la precisazione relativa all’indicazione del sesso delle piante, la cui coltivazione è ammessa.

E’ nozione propria di chi si interessi in materia, che solo i vegetali-femmine sono in grado di produrre in modo apprezzabile quantitativi di THC, che possano indurre nell’assuntore effetti psicoattivi.

Ulteriormente correlata alla norma principale è, indi, la disposizione dell’art. 5 , la quale integra il novero delle circostanze, già declinate come idonee ad accertare la destinazione ad uso personale della sostanza stupefacente

Viene, così, introdotta – dopo le lett. a) e b) - una lettera c) al comma 1-bis dell’art 75 -

La previsione valorizza, tra i vari parametri che possano indicare la destinazione del prodotto per il fabbisogno personale del coltivatore  “...le infiorescenze e le resine, quale prodotto estratto da una coltivazione domestica di cannabis di minima dimensione per la rudimentalità delle tecniche usate”, nonché “ lo scarso numero di piante, anche se superiore al limite di cui al comma 1-bis dell’art. 26, e la mancanza di indici di un inserimento dell’attività nell’ambito del mercato degli stupefacenti”.

 Anche se la volontà del legislatore è certamente apprezzabile, non si può non rilevare che, con questa, norma, presenta profili superflui e contiene indicazioni viziate da indeterminatezza e genericità, caratteri  che spesso connotano l’attività legislativa.

E’ indubbio, infatti, che i paradigmi precisati, in deroga al limite delle 4 piante (estrazione della sostanza detenuta da una coltivazione domestica di cannabis di minima dimensione per la rudimentalità delle tecniche usate), creano una situazione di incertezza e di inutile confusione, lasciando molto spazio ad una discrezionalità interpretativa in capo al giudice.

Atteso che la previsione in questione focalizza la condotta di detenzione di sostanza stupefacente, non si comprende, quindi, per quale motivo si debba accertare il tipo di coltivazioni da cui essa provenga.

D’altronde, una volta raccolto il prodotto è usualmente assai difficile ricostruire gli esatti termini della pregressa coltivazione.

Ritengo, invece, davvero rilevante ed utile la previsione della “... mancanza di indici di un inserimento dell’attività nell’ambito del mercato degli stupefacenti”.

Si tratta di un accertamento di carattere soggettivo, che si incentra sulla personalità del detentore e che permette sicuramente anche alla difesa di potere proficuamente applicare il principio del difendersi provando, attraverso forme di allegazione e produzione a discarico.

In questo contesto di parziale riordino della struttura incrimatrice del TU Stup. si inserisce anche la previsione dell’abrogazione dei commi 5, 5 bis e 5 ter dell’art. 73, che vengono  sostanzialmente ricompresi nell’art. 3, che concepisce ex novo l’art. 73 bis.

Si deve segnalare di riflesso, anche l’abrogazione del comma 7 bis dell’art. 73 dpr 309/90 e del comma 2 lett. h) dell’art. 380 c.p.p., quale correlazione della formulazione ed introduzione dell’art. 73 bis.

Pur dovendo ribadire che la materia degli stupefacenti andrebbe, infatti, affrontata con un riforma organica e strutturale, che non si limiti ad un maquillage involgente e ristrutturante qualche norma precettivas e sanzionatoria, come avviene nel progetto n. 2307, non si può, però, tacere il lodevole l’intento di prevedere una norma – l’art. 73 bis – la quale disciplini autonomamente l'istituto della lieve entità.

Esso, è stato ritenuto, finalmente ed espressamente dalla L. 79/2014, una ipotesi di reato autonoma, superando, così, quell'interpretazione che lo relegava a mera circostanza attenuante, con tutti i relativi limiti di operatività emersi negli anni.

E’, quindi, indubbiamente, apprezzabile la distinzione, operata in punto di pena, fra fatti di lieve entità concernenti sostanze appartenenti a tabelle tra loro differenti.

Viene, così, recepita anche nel contesto dell’istituto della lieve entità, ed in modo coerente e corretto, la dicotomia sanzionatoria prevista dai commi 1 e 4 dell’art. 73 dpr 309/90.

La attuale pena (6 mesi – 4 anni di reclusione) rimane applicata per le sostanze pesanti, mentre per la cannabis il quadro sanzionatorio scende ad un range che va da un minimo di 2 mesi ad un massimo di 2 anni.

Ciò posto, è’ sperabile che i criteri di applicazione dell’istituto della lieve entità non subiscano una involuzione, con una stretta interpretativa che, alla luce della pena – prevista per la cannabis - obbiettivamente modesta, è, purtroppo, ragionevole temere.

Ancora troppo generici ed ondivaghi risultano i criteri definitori i canoni applicativi del comma 5 e la campagna di criminalizzazione di condotte minimali, che un certo ceto politico da sempre agita, può fare presa anche in giurisprudenza, dove molti sono sensbili ad una visione repressiva in punto a sanzioni.

La scelta di pene diverse attesta, comunque e giustamente, un differente disvalore, una differente offensività, una strutturale diversità di effettivo pericolo sociale e sanitario, nonchè di antigiuridicità fra condotte aventi ad oggetto gli stupefacenti cd. pesanti rispetto a quelli cd. leggeri, (recependo le indicazioni dei più approfonditi studi di tossicologia mondiale).

Il comma 2 prevede, a propria volta, una circostanza attenuante ad effetto speciale, modellata sulla struttura del co. 7 sia dell’art. 73, che dell’art. 74 dpr 309/90, che  riconoscono congrue diminuzioni di pena a chi collabori.

Merita giudizio positivo, anche la previsione contenuta nel comma 3, laddove si prevedono misure alternative alla pena, in situazioni di non concedibilità della sospensione condizionale della pena, sul modello dell’utilizzo dei lavori socialmente utili (applicato proficuamente sia con la messa alla prova, che con l’art. 186 co. 9 bis e 187 co. 8 bis CdS).

La valenza della disposizione in parola viene rafforzata anche dalla possibilità per l’imputato di fruire della misura alternativa per due volte e  dall'estensione della stessa – co. 4 – per reati differenti da quelli specifici in materia di stupefacenti.

Quest’ultima previsione appare, peraltro, di limitata applicabilità, in quanto la pena, in relazione alla quale l’istituto verrebbe applicato, non deve essere superiore ad un anno.

Una indicazione di maggiore ampiezza (almeno entro i due anni) avrebbe rafforzato  non poco l’efficacia ed il ricorso all’uso dell’istituto; non è, quindi, per nulla apprezzabile la timidezza che il legislatore manifesta nell’occasione.

Ciò premesso, si deve affermare che è indubbio che l’originario progetto di legge è stato seriamente modificato e migliorato.

E’ stata, così, superata la locuzione “un numero limitato di piante di cannabis, idonee e finalizzate alla produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope destinate a un uso esclusivamente personale” che era stata concepita quale risposta rispetto ad un tema così scottante propone.

Questa impostazione, infatti, avrebbe potuto legittimare ogni giudice ad offrire risposte differenti, situazione che ritengo sia stata  sventata.

L’individuazione di un numero esatto di piante – ferma restando la perplessità sul numero adottato - permette agevolmente di affermare che la norma in questione dovrebbe  risolvere il tema delle indagini preliminari e dovrebbe impedire perquisizioni, sequestri e denunzie.

La norma presenta, infatti, un carattere di natura preventiva, cioè in linea teorica impedisce che il coltivatore venga indagato (con tutto ciò che ne consegue).

E’ auspicabile , pertanto, il superamento della discrezionalità delle Procure e delle forze dell’ordine, che – salvo fantasiose interpretazioni – saranno vincolate al numero di piante sancito come soglia.

Ovviamente al dato aritmetico, dovrà essere correlato l’onere del coltivatore di dimostrare la propria condizione di assuntore.

Questi sono i presupposti, staremo a vedere se da auspici, diverranno realtà.

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