
Il Tribunale di Brindisi, con l'ordinanza 2 dicembre 2025, solleva la prima questione di costituzionalità sul Decreto Sicurezza (D.L. 48/2025).
Il GIP contesta l’art. 18, che introduce un divieto generalizzato sulla commercializzazione dei derivati della canapa sativa, ritenendo che la norma possa oltrepassare i limiti costituzionali dell’urgenza e incidere sul principio di offensività.
Il caso nasce dal sequestro di due carichi destinati ad aziende italiane e dal successivo ordine di distruzione disposto dalla Procura: secondo il giudice, in assenza di una comprovata idoneità psicotropa, il divieto rischia di colpire condotte prive di reale lesività, con possibili ricadute anche sul diritto UE.
Avv. Carlo Alberto Zaina e Avv. Giacomo Bulleri
L’ordinanza del GIP di Brindisi, con la quale viene rimessa alla Consulta la questione di costituzionalità dell’art. 18 D.L. 48/25, si inserisce nel segmento di articolate osservazioni, che hanno trovato già nella relazione n. 33 del Massimario della Corte di Cassazione, un fertile e valido terreno di obiezione a tale compendio normativo.
Il provvedimento pare proprio recepire quelle plurime ed ampie perplessità che anche la dottrina penalistica e processualpenalistica aveva in varie occasioni evidenziato.
Le stesse investono, da un lato, il profilo squisitamente procedurale concernente il ricorso allo strumento del Decreto Legislativo.
La critica investe, infatti, il DL. 48/2025 nella sua interezza e globalità.
Viene evidenziata, con chiarezza, l’assenza del carattere di essenziale ed indifferibile dell’urgenza (condizione strutturale che l’art. 77 co. 2 Cost. prevede).
Parimenti viene, invece, sottolineata la presenza, invece, di una serie di previsioni di scopo, del tutto eterogenee e, tra loro, talmente differenti e beni giuridici tutelati, da giungere ad esorbitare ed a stravolgere l’asserito fine normativo di creare un compendio di norme a presidio della generale sicurezza pubblica.
Da altro canto, poi, ancor più profondamente, l’ordinanza del GIP penetra il merito del contenuto della specifica norma in esame – siccome applicabile al caso di specie –.
Ciò avviene lucidamente, seppure con il limite del cadere in un equivoco di fondo susseguente ad una interpretazione, ad un richiamo ed ad un uso non del tutto convincenti dei parametri scientifici, evocati in funzione dell’applicazione delle vigenti norme – L. 242/2016 e Dpr 309/90 -.
Senza, pertanto, ripercorrere tutto il percorso ricostruttivo della vicenda sottesa e del complessivo ragionamento sviluppato, siano sufficienti poche notazioni.
Metodologicamente risulta assai apprezzabile ed istruttivo che il giudice riporti per intero la parte motiva dell’elaborato peritale tossicologico del consulente dell’accusa (svolto evidentemente ai sensi dell’art. 359 c.p.p.), comprensivo dei quesiti proposti dal PM.
Così facendo, il GIP permette e favorisce appieno la comprensione – sotto l’aspetto strettamente scientifico – dei presupposti tossicologici, che costituiscono l’incipit allo sviluppo del tema dell’offensività, quale istituto di rango costituzionale (supportato dagli artt. 13, 25 co. 2 e 27 Cost. che in fin dei conti è il volano della decisione in commento e la loro decisiva funzionalità in relazione al tema.
La perizia dell’accusa, indiscutibilmente, dimostra storicamente e fattualmente come le merci, poste sotto sequestro, nonché sotto indagine penale e scientifica, presentassero due aspetti che – penalmente- possono risultare e risultano realmente contraddittori.
Da un lato, queste sostanze sarebbero derivate dalla coltivazione di varietà di canapa non ricomprese nel novero previsto dal Catalogo contemplato dalla direttiva UE n. 53/2002, art. 17, che disciplina le specie ritenute utilizzabili e che rendono ab origine lecita la coltivazione. Dall’altro, invece, il tasso di THC presente nei reperti – esaminati utilizzando un numero significativo di campioni – non solo sarebbe inferiore al limite ritenuto psicoattivo (0,5%)1, ma addirittura, presenterebbe un rapporto fenotipico pesantemente sbilanciato in favore del CBD presente2 .
Dunque, si tratterebbe senza dubbio, di canapa da fibra con un’idoneità stupefacente minimissima, se non, addirittura, assente.
Da qui la plausibilità del richiamo al principio nullum crimen sine iniuria, che è l’essenza di questa espressione più profonda del concetto di antigiuridicità.
Ne consegue, però, che, pur in carenza di uno dei requisiti fondamentali per la collocazione del prodotto nel contesto della L. 242/2016 (la predetta non provenienza del prodotto dalla coltivazione di semi di canapa non rientranti in una delle categorie di legge), prima di potere affermare eventualmente, che, nella specie, debba trovare automatica applicazione la previsione del Dpr 309/90, ad avviso del GIP è necessario confrontarsi con il tema dell’offensività di una condotta che ha per oggetto una sostanza (elemento del tutto essenziale della fattispecie) che pare affatto non risultare stupefacente.
L’indicazione del GIP di Brindisi è, quindi, assolutamente condivisibile sotto il generale profilo sistematico.
Sul piano più squisitamente metodologico, non convince, invece, appieno chi scrive la scelta di porre al centro della valutazione in oggetto – la cui correttezza argomentativa sostanziale non è, però, in discussione – il valore percentuale dello 0,2% (relativamente alla presenza di THC).
Tale dato aritmetico viene, infatti, posto come valore soglia, come spartiacque per ritenere, comunque, lecito – e non drogante – il prodotto della coltivazione.
Ci si permette, quindi, di dissentire riguardo all’uso centrale di questo parametro.
Il ragionamento del GIP comporta un’evidente quanto concreta discrasia fra il valore dello 0,2% (ma pare che ancora nessuno si sia accorto che da tempo a livello europeo il limite è stato alzato a 0,3%) posto a base del principio di inoffensività (o di offensività che dir si voglia) ed i veri valori tossicologici.
La letteratura chimico tossicologica e lo stesso elaborato peritale del perito del PM richiamano espressamente la percentuale di THC dello 0,5%, cioè il rapporto 5 mg/1 gr, quale bastione oltre il quale – pur con alcuni aggiustamenti soggettivi – si verte in ambito di sostanza potenzialmente (e forse effettivamente drogante).
Ritiene chi scrive che, quindi, si continua a spacciare per soglia scientifica null’altro che un limite che, invero, è solamente e puramente legale (siccome fissato dall’art. 4 l. 242/2016) ma, soprattutto, è di natura fiscale o, comunque, economica, perché espressamente funzionale a sovvenzioni europee.
Quindi niente di tossicologicamente rilevante ai fini della valutazione in ordine alla possibile idoneità psicoattiva.
Una ulteriore perplessità deriva dalla circostanza che il GIP circoscriva alla sola attività coltivativa l'incidenza effettiva dell'art. 18.
In primo luogo, pare sfuggire il principio che la coltivazione è propedeutica proprio a quella commercializzazione del prodotto, così ottenuto, attività che il GIP ritiene, invece, ultronea al recinto sanzionatorio dell’art. 18.
Il rilievo che questa norma incida espressamente su altre previsioni specifiche della L. 2.12.2016 n. 242 non appare sufficiente, in quanto il divieto involge anche la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna, cioè, condotte tipicamente e geneticamente connesse con la messa sul mercato del prodotto.
In secondo luogo, balza all’evidenza il richiamo alla tematica della libera circolazione delle merci (artt. 34 e 36 TFUE), che costituisce un combinato di norme indubitabilmente deputate a presidiare e tutelare la libertà del profilo commerciale.
Il paventato contrasto con le stesse non pare affatto secondario.Per effetto del richiamo all’art. 117 Cost, infatti, appare di tutta evidenza come il nucleo della questione risieda nella compatibilità dell’art. 18 del Decreto Sicurezza con la normativa euro-unitaria che, in realtà, si estende ben oltre il richiamo agli artt. 34 e 36 TFUE rilevati dal Tribunale di Brindisi.
Tale sindacato deve estendersi infatti all’art. 38 TFUE ed alle Direttive 2002/53/CE, 2002/57/CE, dei Regolamenti n. 1307/2013, 1308/2013, 2115/2021 e 126/202234, nonché agli artt. 35 e 36 del TFUE, oltre alla Decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004 e alle previsioni su richiamate dei Regolamenti n. 178/2002 e 1223/2009 che concernono l’intera disciplina della pianta di cannabis anche con riferimento alle sue destinazioni d’uso.
Appare pertanto manifesto come il quesito posto sia piuttosto riduttivo e necessiti di essere ampliato anche e soprattutto in considerazione della precedente ordinanza n. 8813/2025 del 11.11.2025 con cui il Consiglio di Stato, sez VI, pronunciandosi nel procedimento n,. 7267/2023 Reg. Ric. avente ad oggetto l’impugnazione delle sentenze del TAR Lazio, V Sezione, nn. 2313 e 2316 del 14.02.2023 in atti, aveva disposto la rimessione di questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea proprio sui medesimi quesiti.
Tale ordinanza (non nota evidentemente al GIP di Brindisi), aveva già affrontato le medesime tematiche dubitando della compatibilità con il diritto comunitario della normativa nazionale vigente in materia sia con riferimento alla L. n. 242/2016, così come modificata dall’art. 18 del Decreto Sicurezza sia con riferimento al dPR n. 309/1990 nella parte in cui non consente di produrre ed utilizzare infiorescenze e derivati di cannabis sativa appartenenti alle varietà certificate, il cui tenore di THC non sia superiore ai limiti di legge.
Sotto un diverso profilo difettano anche i riferimenti alla lesione degli artt. 11 e 41 Cost. che sicuramente hanno un evidente impatto sulla materia e sugli interessi (meritevoli di tutela costituzionale) degli operatori del settore.
I principi di concorrenza e libertà d’impresa e libera circolazione delle merci sono, infatti, riconosciuti sia nell’ordinamento italiano che in quello europeo e sovranazionale per cui ogni norma dell’ordinamento può trovare applicazione solamente nella misura in cui sia possibile una interpretazione che non sia lesiva del bene giuridico in questione.
Corollario ne è che non può trovare spazio nell’ordinamento attuale alcuna disposizione che vieti senza alcuna evidenza scientifica la produzione e la commercializzazione della canapa per le finalità consentite dalla legislazione eurounitaria.
Ad ogni buon conto, al di là dell’oggetto del sindacato di costituzionalità che presupporrà un ampliamento da parte di altri giudici a quo che saranno investiti di giudicare su fattispecie analoghe, ciò che rileva è la evidente illegittimità della formulazione dell’art. 18 del Decreto Sicurezza che, alla luce della pendenza di questione pregiudiziale alla CGUE e di costituzionalità alla Corte Costituzionale, offre la concreta possibilità al legislatore di intervenire abrogando la suddetta norma e regolamentando l’impiego di infiorescenze e derivati di cannabis sativa provenienti da varietà certificate e con tenore di THC inferiore ai limiti di legge, in modo da evitare ulteriori conflitti e dare norme certe al settore.
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Note:
1 Uno dei due carichi sequestrati si attestava attorno allo 0,2%, l’altro superava di livelli infinitesimali la soglia dello 0,5%, facendo risultare un percentuale dello 0,522%.
2 Il rapporto fenotipico rilevato varia da 1 a 18 ad addirittura 1 a 27, dove 1 è il valore del THC e 18 o 27 costituiscono i valori del CBD