Reati contro la polizia: cade il divieto di applicare la particolare tenuità del fatto

Articolo del 02/12/2025

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

La Corte costituzionale, con sentenza n. 172 depositata il 27 novembre 2025, ha dichiarato illegittimo l’art. 131-bis, terzo comma, cod. pen., nella parte che escludeva la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto nei reati di violenza o minaccia (art. 336 c.p.) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), commessi contro ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o polizia giudiziaria durante le funzioni.

La questione sollevata

È possibile riconoscere la particolare tenuità del fatto nei reati di violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.) e di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) quando la condotta è diretta contro un agente di pubblica sicurezza? Oppure la legge esclude questa possibilità in modo rigido?

La questione è stata sollevata dal Tribunale di Firenze, che stava giudicando una donna, incensurata e affetta da patologia oncologica, accusata di aver toccato con un dito e poi schiaffeggiato un agente durante il divieto di accesso a una manifestazione politica nel 2019.

Il fatto era di lieve intensità, ma l’art. 131-bis c.p., comma 3, impediva in modo assoluto di applicare la causa di non punibilità.

Le regole applicate dalla Corte

La Consulta richiama il funzionamento dell’art. 131-bis c.p., come modificato dalla riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022):

  • la causa di non punibilità può essere applicata ai reati con pena minima non superiore a due anni;

  • alcune eccezioni restano escluse, fra cui proprio gli artt. 336 e 337 c.p. se il fatto è commesso contro ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria;

  • ciò significa che, pur avendo una pena minima di soli sei mesi, questi reati non potevano mai essere considerati di lieve entità.

La Corte, però, evidenzia una disarmonia normativa: la tenuità è invece ammessa per l’art. 338 c.p., che punisce la violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, con pena più grave (uno a sette anni).

È qui che scatta la violazione dell’art. 3 Cost.: manca proporzionalità e coerenza nella disciplina.

La decisione della Corte

Secondo la Corte, è irragionevole impedire al giudice di valutare la lieve entità proprio dove la pena è meno severa, come nei reati contro il singolo agente, mentre lo stesso giudice può farlo nei confronti di condotte rivolte a un organo collegiale ben più istituzionalmente rilevante.

La scelta legislativa escludeva ogni possibilità di personalizzare la risposta punitiva, finendo per sacrificare:

  • il principio di proporzionalità;

  • la funzione rieducativa della pena (art. 27 Cost.);

  • la stessa logica del 131-bis, costruito sul criterio della minima offensività concreta.

Per questo la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale della norma nei limiti indicati, rendendo ora possibile una valutazione caso per caso.

La decisione assorbe anche la questione subordinata sull’aggravante dell’art. 339 c.p. per fatti commessi durante manifestazioni pubbliche.

Conclusione

La pronuncia in esame ripristina la valutazione individualizzata delle condotte di lieve entità, anche quando siano rivolte contro agenti di pubblica sicurezza. Il giudice torna a poter misurare la risposta penale sulla concreta offensività del fatto.

Non è un automatismo in meno, è un metro di giudizio in più. E questa volta lo decide il giudice, non il legislatore.


Documenti correlati:

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472