Fine vita: la Consulta salva a metà la legge toscana sull’aiuto al suicidio

Articolo del 30/12/2025

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La Corte costituzionale interviene sulla legge regionale toscana n. 16 del 2025 in materia di aiuto al suicidio e chiarisce fino a che punto le Regioni possano disciplinare il fine vita in assenza di una legge statale organica.

Con la sentenza n. 204 del 29 dicembre 2025, la Consulta respinge l’impugnazione governativa sull’intero impianto della legge, ma dichiara incostituzionali diverse disposizioni che eccedono le competenze regionali. Il risultato è una normativa che resta in vigore, ma solo entro confini ben tracciati.

La competenza delle Regioni sul fine vita

La questione nasce dal conflitto tra potestà legislativa regionale in materia di tutela della salute e competenze esclusive statali in ambito civile e penale. La Toscana aveva adottato una disciplina sull’assistenza al suicidio medicalmente assistito, nel solco delle pronunce della Corte costituzionale n. 242 del 2019 e n. 135 del 2024, che hanno individuato le condizioni in cui l’aiuto al suicidio non è punibile.

Il Governo ha impugnato la legge regionale sostenendo che essa travalicasse i limiti costituzionali, intervenendo su profili riservati allo Stato. La Consulta è quindi chiamata a stabilire se e in che misura una Regione possa regolamentare procedure e organizzazione dei servizi sanitari in un ambito così delicato.

Competenze concorrenti e limiti costituzionali

Secondo la Corte, la legge toscana è in linea generale riconducibile alla competenza legislativa concorrente in materia di tutela della salute. La Regione può quindi dettare norme organizzative e procedurali per garantire, in modo uniforme sul territorio, l’assistenza del servizio sanitario regionale a chi si trovi nelle condizioni già definite dalla giurisprudenza costituzionale.

Tuttavia, resta fermo un principio: le Regioni non possono sostituirsi al legislatore statale nel fissare regole che incidono sull’ordinamento civile e penale, né “cristallizzare” in norme regionali principi elaborati dalla Corte in attesa di una legge nazionale. Questo però non significa che l’inerzia dello Stato blocchi ogni intervento regionale: nella competenza concorrente, infatti, i principi fondamentali possono essere già desunti dalle leggi vigenti, lette alla luce della giurisprudenza costituzionale. I bilanciamenti tra tutela della vita, autodeterminazione e responsabilità penale spettano allo Stato.

Le norme bocciate dalla Consulta

Muovendo da questi criteri, la Corte dichiara incostituzionali alcune disposizioni chiave della legge toscana.

È illegittimo l’articolo 2, che individua direttamente i requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito rinviando alle sentenze della Corte. Così facendo, la Regione invade la competenza statale in materia civile e penale, appropriandosi di principi ordinamentali che non le spettano.

Viene colpito anche l’articolo 4, comma 1, limitatamente alla parte che consente la presentazione dell’istanza tramite un delegato. Questa previsione deroga al quadro delineato dalla legge n. 219 del 2017 sul consenso informato e sulle decisioni di fine vita.

Sono poi dichiarati incostituzionali gli articoli 5 e 6 nella parte in cui impongono termini stringenti per la verifica dei requisiti e per la definizione delle modalità di attuazione. La Corte osserva che tali scelte richiedono uniformità nazionale e contrastano con la logica dell’alleanza terapeutica, che presuppone tempi adeguati per valutazioni cliniche approfondite. Qui non si tratta di un procedimento amministrativo “a calendario”: la procedura implica accertamenti medici accurati, anche con decisioni interlocutorie, e deve lasciare spazio alla concreta messa a disposizione di cure palliative efficaci, anche nella prospettiva di prevenire o ridurre la domanda di suicidio assistito.

Infine, viene censurato l’articolo 7: la Consulta colpisce il comma 1, che impegna le aziende sanitarie a garantire supporto tecnico, farmacologico e assistenza nella preparazione all’autosomministrazione del farmaco, perché la Regione finisce per determinare – e non solo dettagliare – principi che spettano allo Stato. La Corte dichiara inoltre incostituzionale il comma 2, primo periodo, perché – qualificando la prestazione come “livello superiore” ai livelli essenziali di assistenza (LEA) – interferisce con una definizione riservata al legislatore statale. Resta invece fermo il principio secondo cui la persona, una volta verificati requisiti e modalità nelle forme previste, ha diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nella procedura, secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza costituzionale. È infine dichiarato incostituzionale il comma 3: nel suicidio medicalmente assistito non c’è una “erogazione di trattamento” sospendibile o annullabile (come nelle ipotesi di eutanasia attiva), ma l’assistenza dei sanitari a una persona che compie da sé la condotta finale che causa la morte.

Per il resto, la legge regionale supera il vaglio di costituzionalità. La Corte afferma che l’assenza di una disciplina statale organica non impedisce alle Regioni di adottare norme procedurali e organizzative, purché rispettino i principi fondamentali già desumibili dalla legislazione vigente e dalla giurisprudenza costituzionale.

Conclusioni

La sentenza assicura una cornice operativa ancora utilizzabile, ma impone attenzione alle parti espunte. Le strutture sanitarie sono chiamate ad aggiornare protocolli e prassi, evitando automatismi e rispettando la centralità della valutazione clinica multidisciplinare.

Per gli avvocati, la decisione offre indicazioni chiare sui margini di legittimità dell’intervento regionale e sui possibili profili di contenzioso, soprattutto quando vengano in rilievo competenze riservate allo Stato.

La sentenza n. 204/2025 disegna un equilibrio netto: le Regioni possono organizzare e gestire le procedure sanitarie sul fine vita, ma non possono colmare il vuoto lasciato dal legislatore statale sui profili sostanziali e penali dell’aiuto al suicidio. La legge toscana è quindi salva, ma solo a metà. Il resto, ancora una volta, è rimesso a un intervento nazionale che continua a mancare.


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