
La Cassazione civile, Sezione II, con l’ordinanza n. 30761 del 22 novembre 2025, torna sul tema del frazionamento del credito nei rapporti tra avvocato e cliente. Il chiarimento è netto: la parcellizzazione delle pretese non è vietata in via automatica per il solo fatto che esista un rapporto di durata. Prima di dichiarare una domanda improponibile, il giudice deve verificare in concreto se la tutela separata comporti un uso distorto del processo e se difetti un interesse oggettivamente apprezzabile del creditore.
La decisione si colloca nel percorso giurisprudenziale ricostruito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7299/2025.
Un avvocato agisce per ottenere la liquidazione dei compensi professionali relativi a una specifica attività difensiva svolta per Co.Ro. e Fu.An. in un contenzioso civile. I clienti eccepiscono l’abusivo frazionamento del credito, evidenziando che il professionista aveva promosso undici ulteriori procedimenti contro Co.Ro. per il recupero di altri crediti professionali (in alcuni casi anche in favore della coniuge).
La Corte d’Appello di Bologna dichiara la domanda improponibile, affermando che dagli atti non emerge alcun interesse del creditore ad agire separatamente.
L’avvocato ricorre in Cassazione.
La Cassazione ribadisce che l’improponibilità per frazionamento abusivo non può fondarsi su formule generiche. Serve un accertamento concreto, che tenga insieme:
la possibilità che i crediti siano riconducibili allo stesso ambito oggettivo di giudicato oppure siano fondati su fatti costitutivi identici o analoghi;
il rischio di un inutile e ingiustificato dispendio dell’attività processuale dovuto alla trattazione separata;
l’eventuale assenza di un interesse oggettivamente apprezzabile del creditore alla tutela frazionata.
Questi passaggi sono coerenti con l’impostazione delle Sezioni Unite e vanno applicati senza automatismi: in pratica, non basta dire “ci sono molte cause” o “c’è un rapporto professionale di durata” per chiudere il processo con una improponibilità.
Secondo la Cassazione, l’ordinanza della Corte d’Appello è viziata perché si limita a una valutazione apodittica, senza collegare le conclusioni ai dati specifici del caso.
In particolare, il giudice di merito avrebbe dovuto misurarsi con elementi concreti, come:
l’eterogeneità delle prestazioni professionali e delle singole controversie;
la possibile diversità delle prove disponibili e delle esigenze istruttorie;
il rischio che un cumulo totale produca un appesantimento istruttorio “ai limiti dell’ingestibilità”;
un dato decisivo: dopo le declaratorie di incompetenza, le cause risultavano distribuite tra uffici diversi (in alcuni casi Corte d’Appello di Ancona, in un caso Tribunale di Roma, e in altri casi Corte d’Appello di Bologna). Questo rendeva, di fatto, impossibile una trattazione unitaria complessiva.
Di conseguenza, la pendenza contemporanea di più giudizi nel 2020 non poteva essere valorizzata in modo astratto, senza aggiornare la verifica alla situazione “attuale” e senza limitare l’analisi ai procedimenti effettivamente riassunti davanti al medesimo ufficio.
La Cassazione osserva che, quando esistono più cause connesse pendenti davanti allo stesso ufficio, il giudice deve anche interrogarsi sulla possibile riunione delle controversie, verificando i presupposti dell’art. 274 c.p.c..
In altri termini: prima di arrivare alla “tagliola” dell’improponibilità, occorre considerare se il sistema processuale consente una gestione coordinata delle cause (quando ciò è possibile e ragionevole).
Nel ricorso, il professionista aveva richiamato un’altra ordinanza resa tra le stesse parti e poi confermata in Cassazione, sostenendo che si fosse formato un giudicato ostativo.
La Suprema Corte chiarisce però un punto: la questione della proponibilità/improponibilità per frazionamento abusivo è processuale e produce solo un giudicato formale. Non impedisce, in linea di principio, di riproporre la domanda in modo unitario.
Per la ricostruzione completa degli effetti del giudicato e del diverso trattamento quando un pezzo della pretesa è già definitivo, si rinvia all’articolo collegato sulle Sezioni Unite n. 7299/2025.
La Cassazione accoglie i motivi di ricorso che contestano la declaratoria di improponibilità fondata su una motivazione astratta e cassa l’ordinanza impugnata, rinviando alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, perché:
ricostruisca in concreto i presupposti del possibile frazionamento abusivo;
valuti l’esistenza di un interesse oggettivamente apprezzabile del creditore alla tutela separata;
consideri la concreta praticabilità della trattazione unitaria e della riunione delle cause realmente pendenti davanti allo stesso ufficio.
Il frazionamento non è vietato “per definizione”. Diventa abusivo quando moltiplica i processi senza un interesse reale e con un dispendio ingiustificato di attività giudiziaria. Ma questa conclusione, per la Cassazione, deve essere il risultato di una verifica concreta: non può essere una presunzione legata solo al numero di cause o alla durata del rapporto professionale.
Se il processo viene usato come una fotocopiatrice di giudizi, il giudice può fermarlo. Ma prima deve guardare bene cosa c’è nel fascicolo.
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