
Il licenziamento disciplinare può fondarsi su un report di un’agenzia investigativa privata?
La risposta arriva dalla Cassazione, Sezione lavoro, sentenza n. 30821 del 24 novembre 2025, che chiarisce quando il controllo investigativo rientra nei poteri datoriali e quando, invece, viola i limiti posti dallo Statuto dei lavoratori.
La decisione prende le mosse dal caso di una guardia campestre licenziata per giusta causa da un consorzio, dopo che un’indagine aveva accertato la non corrispondenza tra i rapporti di servizio redatti dal lavoratore e la sua effettiva condotta durante l’orario di lavoro.
La questione centrale è se il datore possa legittimamente avvalersi di un investigatore privato per verificare condotte tenute dal dipendente durante il turno di lavoro, senza incorrere nel divieto di controlli a distanza.
La Cassazione conferma che il controllo investigativo è ammissibile quando ha natura difensiva ed è diretto ad accertare condotte illecite del lavoratore, anche solo potenzialmente penalmente rilevanti o comunque idonee a raggirare il datore di lavoro e a ledere il patrimonio o l’immagine aziendale. In questi casi, l’attività non rientra nell’ambito applicativo dell’articolo 4 della legge n. 300/1970, perché non mira a monitorare l’ordinario adempimento della prestazione, ma a tutelare l’integrità dell’impresa.
Nel caso deciso, la Corte territoriale aveva accertato che l’agenzia investigativa si era limitata a osservazioni in luoghi pubblici, senza intrusioni nella sfera privata del lavoratore, e che l’indagine era stata attivata a fronte di segnalazioni specifiche provenienti dall’utenza. L’attività investigativa aveva evidenziato che, in più occasioni, il dipendente sostava in auto in luoghi diversi da quelli indicati nei rapporti di servizio, integrando una condotta fraudolenta e sistematica.
La Suprema Corte ribadisce un principio già consolidato: il datore di lavoro può ricorrere a investigatori privati per accertare comportamenti estranei all’esecuzione fisiologica della prestazione, come la falsificazione dei dati di servizio, l’uso distorto dei beni aziendali o altre condotte ingannevoli. Diversamente, resta vietato l’utilizzo dell’investigatore per un controllo generalizzato e continuativo su ritmi, modalità e correttezza dell’attività lavorativa quotidiana.
Un ulteriore profilo affrontato dalla sentenza riguarda il valore probatorio del report investigativo. La Cassazione conferma che il giudice di merito può fondare il proprio convincimento sul complesso delle risultanze istruttorie, comprese le relazioni dell’agenzia e le testimonianze degli investigatori, valutate secondo il criterio del libero apprezzamento delle prove e del ragionamento presuntivo ex articoli 2727 e 2729 cod. civ.. Le censure che mirano a una diversa lettura delle prove sono inammissibili in sede di legittimità.
Nel caso concreto, la reiterazione delle condotte e la presenza di precedenti disciplinari per fatti analoghi hanno rafforzato il giudizio di gravità, conducendo all’affermazione della giusta causa di licenziamento e all’esclusione del carattere ritorsivo del recesso.
Dalla sentenza n. 30821/2025 emergono alcuni criteri utili:
il controllo tramite agenzia investigativa è legittimo se fondato su sospetti specifici e circostanziati di comportamenti illeciti;
l’attività deve svolgersi in luoghi pubblici o comunque senza indebite intrusioni nella vita privata del lavoratore;
l’oggetto del controllo deve riguardare condotte fraudolente o illecite, e non il mero accertamento dell’adempimento della prestazione;
il report investigativo, se coerente e corroborato da testimonianze o altri riscontri, può costituire base idonea per il licenziamento disciplinare, ferma la valutazione di proporzionalità della sanzione.
In sintesi, la Cassazione conferma che il confine tra controllo lecito e controllo vietato passa dalla finalità dell’indagine: non sorveglianza del lavoro, ma difesa dell’impresa. Chi confonde i due piani, prima o poi, se ne accorge… magari leggendo il report.
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