Macrolesioni e danni da lesione del rapporto parentale

Articolo di Alessia Cesaretti e Annamaria Chiodo del 31/10/2025

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Quando si verifica un evento dannoso ad una persona (per esempio un incidente stradale, un sinistro in generale, come una caduta imputabile a un altro soggetto, o un caso di mala sanità) di primo acchito si è portati a pensare che il soggetto leso da tale evento sia unicamente ed esclusivamente quello che, ha riportato danni in via immediata e diretta a causa del suddetto evento dannoso.

Invero in tal caso i soggetti danneggiati in via principale sono anche i congiunti di colui che subisce in prima persona l’evento dannoso. La vicenda che colpisce quest’ultimo, infatti, si ripercuote inevitabilmente anche sul suo contesto familiare. Più precisamente, se una persona riporta delle lesioni a causa di un evento dannoso, i familiari subiscono un danno di carattere anche non patrimoniale, consistente nella sofferenza legata alla malattia del congiunto ed al cambiamento che tale situazione comporta nel rapporto con lui e nella vita di tutti i giorni (in altre parole, si determina una lesione, o compromissione, del rapporto parentale). Quindi, anche ai congiunti deve essere riconosciuto un risarcimento dei danni iure proprio, ossiaa proprio titolo.

Tali assunti rappresentano il punto d’arrivo dell’evoluzione giuridica e dottrinale in materia.

Dopo le prime pronunce degli anni Ottanta che hanno aperto la strada a tale nuova fattispecie risarcitoria, negli ultimi decenni si è registrata una maggiore attenzione da parte della giurisprudenza di legittimità in merito al tema de quo. E sono sorte molte diatribe in merito: 1) alla natura giuridica di tali danni (si sono succedute diverse teorie, fra cui quella che li riconduceva a danni riflessi); 2) all’entità delle lesioni che facevano sorgere il diritto al risarcimento in capo ai congiunti; 3) a quali congiunti dovessero essere risarciti.

Il presente articolo si propone di analizzare la disciplina attuale dei c.d. “danni patiti dagli stretti congiunti di soggetto vittima di lesioni” (o cd. anche “danni da lesione del rapporto parentale”) e del conseguente diritto al risarcimento di tali danni in capo ai congiunti del medesimo, alla luce della normativa vigente e dei più rilevanti orientamenti giurisprudenziali, senza indulgere verso una trattazione storica del tema. Data la vastità dell’argomento in commento, verranno approfonditi alcuni degli aspetti più significativi della sua applicazione pratica, evidenziando le questioni giuridiche emergenti e le prospettive future.

1. Il diritto leso.

In primis, si precisa che in base al nostro ordinamento giuridico, per il risarcimento dei danni in commento si deve invocare l’art. 2059 c.c. (e non l’art. 2043 c.c.). Si deve trattare, quindi, di diritto che sia collegato ad un interesse protetto dalla Carta costituzionale e, inoltre, non avente natura patrimoniale. Infine, la sua lesione darà diritto al risarcimento, ex art. 2059 c.c., senza che si applichi il limite di cui all’art. 185 c.p., poiché non può essere effettuata una valutazione economica del danno (Cass. 8827 e 8828 del 2003).

L’interesse fatto valere non è quello all’integrità psicofisica (che si collega alla violazione del diritto alla salute tutelato dall’art. 32 della Costituzione) bensì “quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione” (Cass. 8827 e 8828 del 2003 predette).

2. La natura giuridica.

I “danni patiti dagli stretti congiunti di soggetto vittima di lesioni” hanno natura giuridica di danni diretti. In altre parole, tali danni sono la diretta conseguenza della lesione inferta al loro congiunto, lesione che rappresenta un fatto pluri-offensivo, con vittime diverse, ma parimenti dirette, che patiscono pregiudizi immediati e diretti.

Gli stretti congiunti del soggetto leso, quindi, sono vittime primarie dell’evento dannoso e non vittime secondarie (Cass., sez. III civile, ordinanza 8 aprile 2020, n. 7748).

È opportuno dar conto del fatto che, nella prassi, vi è chi utilizza tuttora i termini “vittime secondarie” e “danni riflessi”. Si deve precisare che, attualmente, tale utilizzo può essere ammesso soltanto per mere esigenze descrittive e di semplificazione dell’argomentazione, nella consapevolezza però che, altrimenti, tali termini sarebbero utilizzati impropriamente.

3. La disciplina applicabile.

Attualmente non vi è ancora una Tabella Unica Nazionale che disciplini i danni in commento.

La disciplina giuridica al momento vigente in materia, pertanto, continua ad essere composta sia da provvedimenti normativi che da pronunce e/o raccolte di pronunce giurisprudenziali, munite di efficacia paranormativa, in quanto essi concretizzano il criterio della liquidazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c. La stessa Corte di Cassazione, inoltre, ha enunciato il principio interpretativo secondo il quale per la liquidazione dei “danni da lesione del rapporto parentale” devono essere applicate le “Tabelle del Tribunale di Roma, ed. 2023” (Cass. n. 13540/2023; vedi anche Cass. n. 1752/2023 e n. 21017/2023). Al riguardo, si precisa che il valore punto base è stato aggiornato dall’edizione 2024 di tali Tabelle.

Per comprendere le ragioni di quanto sopra esposto è necessario effettuare un breve excursus storico-giuridico, che consente anche di spiegare il motivo per il quale la predetta pronuncia della Corte di Cassazione n. 13540/2023 deve essere coordinata con l'intera normativa di settore.

Le Tabelle di Roma e di Milano sono tabelle giurisprudenziali elaborate rispettivamente dal Tribunale di Roma e da quello di Milano. Quelle del Tribunale di Milano si applicano a livello nazionale ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale. Ciò avviene perché la Corte di Cassazione, Sez. III civile, con la sentenza del 7 giugno 2011, n. 12408 - stante l'assenza di una tabella unica nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale - ne ha riconosciuto l’efficacia paranormativa nella materia de quo.

Successivamente, la Corte di Cassazione è tornata più volte sulla materia, in modo da indirizzare e correggere, secondo i principi giuridici che ispirano il nostro ordinamento, l’orientamento giurisprudenziale di un Tribunale ad essa inferiore. Ad esempio: nel caso del risarcimento dei danni in commento, la Cassazione è intervenuta con la succitata ordinanza n. 13540/2023.

Il potere di attribuire alle Tabelle milanesi e/o romane efficacia paranormativa deriva dal fatto che, ai sensi dell’art. 65 della “Legge fondamentale sull’ordinamento giudiziario n.12”, la Suprema Corte di Cassazione è al vertice della giurisdizione ordinaria italiana. Tra le sue principali funzioni vi sono quelle di assicurare “l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”.

In altre parole, quindi, i provvedimenti emessi in materia dalla Suprema Corte di Cassazione e le “Tabelle per la liquidazione del danno alla persona” predisposte dal Tribunale di Milano e -in alcuni casi – anche dal Tribunale di Roma, hanno efficacia paranormativa, ossia producono effetti simili a quelli di una norma di legge. Invero, la parte interessata non ha l’obbligo di deposito in giudizio di tali Tabelle. Infatti, dovendo il Giudice di merito attenersi ai principi interpretativi dettati dalla Suprema Corte (Cass. n. 12408/2011 punto 3.2.3 - in particolare lett. C - predetta e Cass. n. 392/2018) deve ritenersi che egli sappia di dover liquidare il danno alla salute applicando i valori risultanti dalle “Tabelle del Tribunale di Milano” oppure dalle “Tabelle del Tribunale di Roma, ed. 2023”, a seconda dei danni da risarcire.

4. L’entità della lesione che fa sorgere il diritto al risarcimento del danno de quo.

Il diritto al risarcimento del danno patito dallo stretto congiunto di soggetto vittima di lesione sorge in capo ai suoi congiunti in caso di lesione di non lieve entità o c.d. “macro permanente” (vale a dire per ipotesi di invalidità permanente da 10% a 100%, ex art. 138 del D.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, c.d. “Codice delle assicurazioni private”).

Le recenti pronunzie della Suprema Corte di Cassazione (ex multis, sent. n. 1752/2023 e ord. n. 21017/2023) statuiscono che il diritto al risarcimento del danno patito dallo stretto congiunto di soggetto vittima di lesione non sorge solo e unicamente in caso di lesione di lieve entità o c.d. “micro permanente” (vale a dire da 1% a 9%, ex art. 139 del D.lgs. n. 209/2005). Per converso, tale diritto si presume esistente in caso di lesione di non lieve entità o c.d. “macro permanente” (vale a dire da 10% a 100%, ex art. 139 del D.lgs. n. 209/2005) a prescindere dalla relativa percentuale di invalidità permanente riconosciuta. In sintesi, l’unico limite che sussiste all’esercizio del diritto de quo è quello di accertata lesione micro permanente. In caso di lesione macro permanente e, dunque, a prescindere dalla relativa percentuale riconosciuta, invece, il diritto de quo sorge sempre in capo allo stretto congiunto e ne è ammessa prova anche presuntiva.

5. Il soggetto legittimato attivo.

Il soggetto legittimato attivo della richiesta di risarcimento dei danni de quo è, certamente colui che si trova in una particolare relazione affettiva e di parentela con chi è stato danneggiato in via primaria e diretta dall’evento dannoso. È proprio l’esistenza di tale particolare relazione affettiva e di parentela che giustifica il fatto che il medesimo abbia sofferto a causa delle lesioni subite dal proprio caro. Per ragioni di politica del diritto, tuttavia, si è reso opportuno circoscrivere tali soggetti. È necessario, quindi, fare un distinguo.

Per quel che riguarda gli stretti congiunti del soggetto macroleso (ossia coloro che fanno parte della sua “famiglia nucleare”: genitori, fratelli, coniuge,convivente more uxorio, figli), tali familiari sono presunti soggetti legittimati attivi. E quindi i danni de quo possono essere provati per presunzioni: secondo la Suprema Corte il rapporto di parentela, per normalità sociale, è considerata una valida presunzione. Infine, è disposta un’inversione dell’onere della prova, pertanto è la controparte a dover provare che non sussiste il legame affettivo nel caso concreto e che, quindi, un determinato stretto congiunto non ha diritto a vedersi risarcire i danni in commento.

Riguardo ai prossimi congiunti (ad esempio: nonni e nipoti) anche il pregiudizio da loro subito può essere provato ricorrendo a presunzioni e massime di comune esperienza, giacché la mera esistenza del vincolo parentale fa presumere la sofferenza interiore del familiare superstite. In merito si ritiene che sia irrilevante l’assenza di convivenza e l’eventuale lontananza spaziale; tali elementi non escludono la sofferenza e, quindi, il diritto al risarcimento, ma incidono solo sulla sua quantificazione (Cass. n. 13540/2023 predetta). È sempre onere della controparte dimostrare l’assenza di un legame affettivo e quindi superare tale presunzione: prova ammissibile trattandosi di presunzione semplice e quindi suscettibile di prova contraria.

Se non si dubita sull’esistenza del diritto al risarcimento in capo a tali congiunti, tuttavia, qualche difficoltà sorge nel momento in cui li si deve liquidare. I medesimi, infatti, non sono ricompresi nello schema di liquidazione contenuto nelle “Tabelle del Tribunale di Roma, ed. 2023”. In tal caso, soccorrono le “Tabelle del Tribunale di Milano, ed. 2024”, che, pur non avendo predisposto una tabella ad hoc, nella sezione “Domande e risposte” dell’Allegato 2 – “Tabelle integrate a punti per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale - Edizione 2024”, prevedono la possibilità di liquidare i “danni da lesione del rapporto parentale” adattando e calibrando al caso concreto i criteri liquidativi previsti per la perdita del rapporto parentale (vd. risposta n. 17).

Per quel che riguarda gli altri parenti e familiari, invece, la suddetta presunzione non vale. Questi ultimi, pertanto, per dimostrare di aver diritto a veder risarciti i danni in commento, dovranno provare che sussiste il legame affettivo nel caso concreto e che hanno sofferto a causa delle lesioni subite dal proprio caro in dipendenza dell’affetto che provano nei confronti del medesimo. Una valida prova a favore è considerata la convivenza con il soggetto macroleso. Deve precisarsi, comunque, che quest’ultimo requisito non è una condicio sine qua non. Anche qui, però, si deve fare riferimento alle “Tabelle del Tribunale di Milano, ed. 2024”. Nella predetta sezione “Domande e risposte” del suddetto Allegato 2, infatti, si suggeriscono le modalità per liquidare “altri tipi di rapporti parentali non menzionati in queste tabelle”. In tale caso, però, deve essere fornita la prova dell’esistenza di un intenso legame affettivo e di un reale sconvolgimento di vita di tali altri parenti e familiari (vd. risposta n. 15).

6. Il soggetto legittimato passivo.

Il soggetto legittimato passivo della richiesta di risarcimento del danno de quo è, ovviamente, il soggetto che ha causato l’evento dannoso.

In caso di sinistro stradale, inoltre, è legittimata passiva anche la compagnia assicurativa del responsabile civile. L’art. 141 del Codice delle assicurazioni private, infatti, dispone che il soggetto danneggiato ha azione diretta nei confronti di quest’ultima. Secondo la giurisprudenza di legittimità, tale norma si applica anche al congiunto del soggetto che abbia riportato lesioni macropermanenti (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 30.11.2022 n. 35318).

7. Le voci di danno risarcibili.

L’evento dannoso, che causa lesioni macropermanenti ad un determinato soggetto può determinare ai suoi stretti congiunti sia un danno biologico (ossia una malattia del corpo e/o della mente) sia, appunto, i danni da lesione del rapporto parentale. Questi ultimi non consistono in una malattia accertabile (per esempio, una sindrome depressiva o una malattia psicosomatica, malattie che possono certamente insorgere in conseguenza di un evento grave che colpisce un proprio caro e che rientrano nel “danno biologico”) ma la sofferenza che sprigiona i suoi effetti negativi sulle abitudini e sugli stili di vita dei congiunti.

Alla lesione del diritto illustrato al punto 1, più precisamente, può conseguire un duplice pregiudizio consistente non solo nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì, per un verso, nello sconvolgimento dell'esistenza (il c.d. profilo dinamico-relazionale) rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita e, per altro verso, nella sofferenza interiore (il c.d. profilo morale soggettivo) derivante dal venir meno del rapporto (Cass. n. 8827 e n. 8828 del 2003, predette).

Quindi, il danno da lesione parentale si compone di due diversi elementi, ossia:

1) l’aspetto interiore del danno sofferto (ossia la sofferenza morale pura subita allorché si sia colpiti “dai danni alla persona e dalle sofferenze patite da un proprio stretto congiunto”, la quale sofferenza morale si estrinseca, per esempio, in dolore, paura, disperazione, ansia e incertezza in ordine al futuro del congiunto macroleso);

2) l’aspetto dinamico-relazionale (coincidente con la modificazione peggiorativa delle relazioni di vita esterne dello stretto congiunto che chiede il risarcimento del danno da lesione parentale: il c.d. “sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto”).

Tali elementi possono anche non concorrere.

Relativamente al secondo, è necessario fare due precisazioni. Innanzi tutto, in base alla disciplina attualmente vigente e applicabile (le Tabelle del Tribunale di Roma) tale componente può essere richiesta solo dai soggetti che hanno “l’obbligo giuridico dell’assistenza” individuati in ordine successivo e cioè: i genitori e, in caso di impossibilità di questi ultimi, i fratelli; l’altro coniuge e, in caso di impossibilità di quest’ultimo, i figli). La prova è presuntiva.

Nel caso in cui il soggetto giuridicamente obbligato all’assistenza in via principale (ossia i genitori o il coniuge) si sia trovato nell’impossibilità oggettiva di prestare la detta assistenza al proprio congiunto macroleso per cause fisiche, tale componente di danno potrà essere richiesta dai soggetti obbligati in via successiva. Sarà necessario, però, dar conto dei motivi per i quali non si è potuta prestare la detta assistenza.

Nel caso in cui, invece, tale componente venga richiesta da più soggetti giuridicamente obbligati all’assistenza e, più precisamente, sia da quelli obbligati in via principale (ossia i genitori o il coniuge) e sia da quelli obbligati in via successiva (per esempio, i fratelli o i figli) essa potrà essere riconosciuta a tutti i soggetti richiedenti, ma agli obbligati in via successiva solo in presenza dell’effettiva prova che si sia verificato un concreto sconvolgimento della loro vita di relazione.

Infine, nel caso in cui sia stato erogato un contributo pubblico per l’assistenza, al soggetto che ha prestato l’assistenza spetterà la metà del risarcimento liquidato.

8. Criteri di quantificazione dei danni da lesione del rapporto parentale.

I criteri per la quantificazione dei danni da lesione del rapporto parentale sono quelli predisposti nelle “Tabelle del Tribunale di Roma, ed. 2023” (Cass. n. 13540/2023) per tutti i motivi illustrati al precedente punto 3. Al riguardo, si precisa che il valore punto base è stato aggiornato dall’edizione 2024 di tali Tabelle.

Per quanto non previsto, potrebbero applicarsi, in via residuale, le “Tabelle del Tribunale di Milano, ed. 2024”, come evidenziato al precedente punto 5.

9. Il regime probatorio.

La Suprema Corte di Cassazione, senza addivenire ad un riconoscimento in re ipsa del danno da lesione parentale, ha applicato il seguente principio di diritto: “il fatto illecito, allorché causa lesioni personali a un determinato soggetto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nelle conseguenze pregiudizievoli sul rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela” (ex multis, Cass. 28 agosto 2024, n. 23300 - 17 maggio 2023 n. 13540 - 20 gennaio 2023 n. 1752 - 30.09.2022 n. 25541 - 8 aprile 2020 n. 7748 - 24 aprile 2019 n. 11212 - 31 gennaio 2019 n. 2788 - 11 luglio 2017 n. 17058 - del 14 giugno 2016 n. 12146 - Cass. S.U. 26492 del 2008 - 3 aprile 2008 n. 8546 - 12 giugno 2006 n. 13546).

Quindi, “il rapporto di stretta parentela è una valida presunzione che consente di accertare, anche da sola, il danno da lesione parentale (danno che non è accertabile con metodi scientifici)”. In altre parole, lo stretto vincolo di parentela fa ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che gli stretti congiunti soffrano a causa di una siffatta situazione.

È opportuno distinguere, però, le due componenti di tale voce di danno.

Quanto alla prima componente (l’aspetto interiore del danno sofferto) gli stretti congiunti non devono fornire alcuna prova della sofferenza da loro provata per la condizione in cui l’evento lesivo occorso ha ridotto il congiunto macroleso. Ciò perché, secondo il suddetto criterio di normalità sociale, è appunto “normale” che tali soggetti soffrano in una siffatta situazione. Ciononostante, è comunque opportuno dar conto degli elementi e delle circostanze idonee a far emergere: - gli aspetti incidenti sulla relazione familiare dai quali risulta l'effettività del legame affettivo; - il dolore che ha colpito le esistenze dei componenti della famiglia, sconvolta dall'evento lesivo per la penosità della situazione in cui versava il congiunto macroleso successivamente all'evento occorso; - la lesione di interessi costituzionali dei medesimi, diversi dalla salute. Per quel che riguarda l’onere probatorio previsto per i congiunti prossimi e gli altri familiari, per “l’aspetto interiore del danno sofferto” si rinvia a quanto già illustrato al precedente punto 5.

Quanto alla seconda componente (l’aspetto dinamico-relazionale) è opportuno descrivere come si sono modificate le proprie abitudini di vita a causa dell’assistenza prestata, di modo da far emergere: - lo stato di necessità di assistenza del soggetto macroleso (anche dalla documentazione medica che lo riguarda); - la circostanza che, quindi, la persona richiedente la voce di danno in esame ne è “care giver familiare”; - la ricaduta che questa situazione può avere sulla vita del “care giver familiare”, sia in ambito lavorativo - in ordine ai permessi di lavoro richiesti e alle assenze da lavoro fatte - che nelle relazioni di vita esterne e familiari.

10. La convivenza del congiunto col soggetto macroleso è una condicio sine qua non?

La convivenza col soggetto macroleso non è un requisito strettamente necessario affinchè un suo congiunto possa richiedere il risarcimento dei danni in oggetto.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, la non convivenza può essere considerata una situazione normale, soprattutto se si tratta di soggetti adulti, che non consente, di per se stessa, di mettere in dubbio la permanenza dei legami affettivi (Cass. n. 13540/2023).

Per quel che riguarda gli stretti congiunti (come sopra individuati) la non convivenza, al più, potrebbe incidere sul riconoscimento dell’aspetto dinamico-relazionale, salvo prova della stessa.

Per quel che riguarda inoltre i congiunti prossimi (come sopra individuati) la non convivenza, al più, potrebbe incidere sulla quantificazione della prima componente, ossia l’aspetto interiore del danno sofferto.

Per quel che riguarda infine gli altri parenti e familiari, invece, la convivenza potrebbe incidere sullo stesso riconoscimento del diritto al risarcimento.

11. Il lasso di tempo necessario perché possano configurarsi i danni da lesione parentale.

Spesso si è portati a pensare che il lasso di tempo necessario perché possa configurarsi, in capo a un congiunto il danno da lesione parentale debba avere una durata considerevole. E che, quindi, se dopo un certo tempo dal verificarsi del sinistro, la situazione di fatto si modifica, per i più disparati motivi (per esempio: se il coniuge contrae un nuovo matrimonio, lasciando intendere che non soffra più per lo stato in cui versa l’ex-coniuge macroleso, essendosi allontanato affettivamente dal medesimo; se il soggetto macroleso muore per cause non riconducibili al sinistro, dopo qualche tempo dal verificarsi dello stesso) non si dovrebbe poter parlare di danno morale risarcibile. Ebbene, il danno morale, quale sofferenza interiore patita dal soggetto leso, si realizza invero nel momento stesso in cui l'evento dannoso si verifica, di modo che la sua liquidazione deve essere effettuata con riferimento a tale momento, senza che assuma rilievo la durata del periodo di residua sopravvivenza della vittima o il verificarsi di altre circostanze (ex multis, Cass. n. 12060/2022).

12. Il termine di prescrizione.

Il termine di prescrizione è lo stesso previsto per il risarcimento del danno patito dal soggetto macroleso che, si rammenta, essendo rimasto macroleso, ha inevitabilmente subito delle lesioni personali penalmente rilevanti. Pertanto, entrambi i soggetti beneficeranno di una prescrizione più lunga di quella ordinaria di due anni di cui all’art. 2947, c. 2, c.c. e precisamente il loro diritto al risarcimento del danno si prescriverà in 6 anni.

Il motivo di ciò è che la natura del danno de quo in caso di lesioni personali riportate dal soggetto al quale è occorso il sinistro esclude la fondatezza dell’eccezione di prescrizione ex art. 2947, c. 2, c.c. (Trib. Ascoli Piceno sent. n. 693 del 3.11.2023, pag. 6, punto II e ss.). Tale esclusione è disposta ai sensi dell’art. 2947, c. 3, c.c. che recita: “In ogni caso, se il fatto (che ha cagionato il sinistro stradale, n.d.r.) è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga (ossia superiore a 2 anni, n.d.r.) questa si applica anche all’azione civile” (di risarcimento del danno, n.d.r.). Ciò anche se non sia stata esercitata la relativa azione penale (ex multis, Cass. n. 2350/2018 e Cass. n. 24988/2014).

Poiché, nel caso di specie, il fatto che ha cagionato il sinistro stradale integra gli estremi del reato di lesioni personali (se un soggetto ha conseguito un “danno di non lieve entità”, a seguito del sinistro occorsogli, infatti, vuol dire che ha riportato delle lesioni personali) la prescrizione dovrà essere calcolata applicando l’art. 157, c. 1, c.p. che recita: “La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria”.

Si rammenta che essendo ormai da tempo pacificamente superata la tesi secondo cui il danno in commento veniva considerato un danno riflesso, ad oggi la prescrizione del diritto de quo non è più di soli cinque anni.

13. Le questioni giuridiche emergenti e le prospettive future.

Attualmente, quindi, la disciplina applicabile alla materia in oggetto è quella ampiamente illustrata nel presente articolo. Si tratta di una disciplina che anche la magistratura in toto riconosce come vigente e cogente. E ciò è confermato addirittura dalla Scuola Superiore della Magistratura. A tale proposito si veda la dispensa recentemente predisposta dalla SSM per il Laboratorio di formazione per i magistrati alla prima valutazione di professionalità (funzioni civili) dal titolo “La responsabilità extracontrattuale. Tecniche di liquidazione del danno.” (Cod. FPFP24014), in particolare il paragrafo “11.1. Il danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale”.

Certo, potrebbe capitare che il soggetto legittimato passivo, di fronte ad una richiesta di risarcimento di tali danni, la respinga, invocando a giustificazione del diniego la disciplina giuridica ormai non più vigente. Ma mantenere scientemente una posizione non conforme alla vigente disciplina contrasta nettamente con i principi di correttezza, buona fede e collaborazione e di non aggravamento della posizione giuridica di controparte e dunque dovrebbe comportare conseguenze sanzionatorie. Il soggetto che richiede il risarcimento dei “danni da lesione del rapporto parentale”, infatti, viene costretto a tutelare i propri diritti in sede giudiziaria, con un inevitabile aggravio di costi e di tempi per ottenere quanto gli spetta di diritto e che arbitrariamente gli viene negato.

14. Normativa.

Alla luce di tutto quanto esposto nel presente articolo, data l’attuale mancanza di una normativa di legge e in virtù della delicatezza e dell’importanza della materia trattata, si auspica un celere ed efficace intervento del Legislatore, che finalmente introduca una disciplina inconfutabile, che non lasci più spazio ad infondate chiusure e ad ingiustificati dinieghi da parte dei soggetti legittimati passivi a fronte di fondate richieste di risarcimento dei danni de quo.

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