La condotta vessatoria dopo la cessazione della convivenza integra i maltrattamenti?

Articolo di Anna Larussa del 13/12/2022

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La condotta vessatoria dopo la cessazione della convivenza integra i maltrattamenti?

Interpretazione letterale e ratio dell’art. 572 del Codice penale fanno propendere la Cassazione, con sentenza 30 novembre n. 45520, per una risposta negativa.

L’art. 572 c.p. descrive una condotta illecita tra soggetti “conviventi”, postulando l’attualità della relazione; l’interruzione della convivenza, determinando il venir meno del rapporto di necessaria prossimità tra vittima ed autore degli illeciti, che costituisce la ragione della tutela rafforzata apprestata dalla norma incriminatrice, impedisce la configurabilità del reato di maltrattamenti.

Il fatto. La sentenza muove dal ricorso dell’imputato, il quale era stato condannato nei due gradi del giudizio di merito per il reato di maltrattamenti in famiglia, commesso nei confronti della ex compagna, in epoca successiva alla cessazione della convivenza more uxorio, nel corso della quale era nato un figlio.

L’interessato aveva articolato tre motivi, con i quali: - deduceva l’omissione della citazione in giudizio; - censurava la motivazione della sentenza di condanna nella parte in cui non aveva tenuto conto delle relazioni dei servizi sociali che documentavano una conflittualità reciproca fra le parti; - si doleva, infine, della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

La sentenza. La Corte di cassazione, pur ritenendo infondati i motivi di ricorso, ha stigmatizzato l’erronea qualificazione del fatto di reato contenuta nelle sentenze di merito e ha disposto l’annullamento dell’impugnata sentenza.

Più precisamente, partendo da un dato accertato, ovvero la collocazione dell’inizio delle condotte maltrattanti in epoca successiva alla cessazione della convivenza della coppia, la Corte ha escluso la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, poiché ha posto l’accento sul fatto che le condotte erano state realizzate ai danni di persona non più convivente e che la disposizione incriminatrice che non contempla tale ipotesi.

In ordine all’integrazione della fattispecie di cui all’art. 572 c.p. nei confronti di persona non più convivente, si sono delineati in giurisprudenza due diversi orientamenti.

Secondo un orientamento giurisprudenziale prevalente fino a qualche tempo fa, il reato di maltrattamenti in famiglia sarebbe configurabile, pur in caso di cessazione della convivenza, ove la relazione tra i soggetti rimanga comunque connotata da vincoli solidaristici, invece si configurerebbe l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (prevista dal secondo comma dell’art. 612 bis c.p.) in presenza di comportamenti che, sorti nell’ambito di una comunità familiare (o a questa assimilata), o determinati dalla sua esistenza e sviluppo, continuino nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare e affettivo o comunque della sua attualità.

Secondo, invece, un altro indirizzo giurisprudenziale, le condotte vessatorie poste in essere  dopo la cessazione della convivenza, non sarebbero riconducibili al reato di maltrattamenti in famiglia, ma all’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori ex articolo 612 bis c.p., comma 2, ovvero, in difetto dei requisiti previsti da tale fattispecie, ad ulteriori e diverse ipotesi di reato (quali lesioni personali, minacce): ciò sul presupposto che con la cessazione della convivenza vengano meno la comunanza di vita e di affetti, nonchè il rapporto di reciproco affidamento che giustificano la configurabilità della più grave ipotesi di cui all’articolo 572 c.p.

Nella sentenza che si annota la Corte di cassazione ha dato seguito proprio a quest’ultimo orientamento, ritenendolo più aderente dato normativo e alla ratio sottesa alla maggior gravità del reato commesso in un ambito “familiare” o, comunque, ad esso assimilabile.

I giudici di legittimità hanno a riguardo richiamato la sentenza n. 98 del 2021, con la quale la Corte costituzionale ha sottolineato la necessità di un’interpretazione dell’articolo 572 c.p., conforme al principio di legalità e divieto di analogia in malam partem, che eviti di ricondurre al reato di maltrattamenti in famiglia anche condotte poste in essere ai danni di soggetti nei cui confronti non è configurabile una relazione - attuale e privilegiata - con l’autore dell’illecito che possa giustificare la più grave risposta sanzionatoria.

Ed invero l’art. 572 c.p. descrive una condotta illecita tra soggetti “conviventi”, postulando l’attualità della relazione. La correttezza di tale interpretazione troverebbe conferma nella ratio della norma incriminatrice, che è quella di apprestare una tutela rafforzata in presenza di un rapporto di prossimità tra autore del reato e persona offesa, qual è quello che tipicamente si instaura tra persone legate da vincoli familiari o, comunque, conviventi o negli altri casi elencati dall’art. 572 c.p. caratterizzati dalla “condivisione prolungata di spazi e contesti deputata allo svolgimento di determinate attività”.

In quest’ottica, l’interruzione della convivenza determina il venir meno del rapporto di necessaria prossimità tra vittima ed autore degli illeciti e, quindi, impedisce la configurabilità del reato di maltrattamenti, a nulla rilevando il fatto che gli ex conviventi siano tenuti ad intrattenere rapporti per effetto della condivisione della potestà genitoriale, poiché la necessità di relazionarsi tra di loro per quelle che sono le problematiche di gestione dei figli minori è tendenzialmente circoscritta nel tempo e nello spazio e tale da non determinare quella stabilità di frequentazione che costituisce il presupposto logico per l’instaurazione di una condotta maltrattante.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello per vagliare la possibilità di qualificare diversamente i fatti addebitati all’imputato per come descritti nella contestazione, verificando anche l’eventuale sopravvenuta prescrizione degli stessi.


Il provvedimento:

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