Sì alla messa alla prova per l'addebito originario nel caso di nuova contestazione di reati connessi

Articolo di Simone Marani del 12/08/2022

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La richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova può essere formulata solo fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen.).

La norma esclude così implicitamente che la relativa istanza possa essere avanzata a seguito di una nuova contestazione ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., come nelle specie è avvenuto a seguito dell’escussione di un testimone della lista del pubblico ministero.

Sulla problematica è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza del 14 giugno 2022, n. 146.

La commenta per noi l'avv. Simone Marani.

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La Consulta, con a pronuncia in esame, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 517 c.p.p., nella parte in cui non prevede, in seguito alla contestazione di reati connessi a norma dell'art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p., la facoltà dell'imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli.

Preme, innanzitutto, ricordare come l'istituto della messa alla prova sia uno strumento di definizione alternativa del procedimento, che si inquadra a buon diritto tra i riti alternativi e al contempo disegna un percorso rieducativo e riparativo, alternativo al processo e alla pena, ma con importanti connotazioni sanzionatorie in quanto conduce, in caso di esito positivo, all'estinzione del reato.

La disposizione censurata consente al pubblico ministero di procedere durante il dibattimento a contestazioni suppletive che possono consistere nell'aggiunta di una aggravante o nell'addebito di uno o più reati connessi a quello originariamente indicato nell'imputazione, ovvero commessi con la medesima azione od omissione o con condotte diverse ma in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.

Il problema è dato dal fatto che nel momento della nuova contestazione dibattimentale il termine per richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova è necessariamente spirato, posto che detta istanza deve essere formulata di solito prima dell'apertura del dibattimento di promo grado, ai sensi dell'art. 464-bis, comma 2, c.p.p.

La preclusione all'accesso alla messa alla prova violerebbe, secondo il rimettente, l'art. 24 Cost., in quanto la richiesta di sospensione con messa alla prova, annoverata tra i riti alternativi, costituirebbe una tra le più pregnanti modalità attraverso le quali si esplica l'esercizio del diritto di difesa, e l'art. 3 Cost., poiché l'imputato verrebbe discriminato in conseguenza della maggiore o minore esattezza o completezza della valutazione discrezionale circa le risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico ministero; sarebbe, inoltre, irragionevole non equiparare detta ipotesi a quelle nelle quali risulta possibile accedere ai riti alternativi a seguito di nuove contestazioni.

La Corte Costituzionale da tempo ha evidenziato come il diritto di difesa dell'imputato sia un principio supremo dell'ordinamento costituzionale; da ciò ne deriva la necessità di salvaguardare la pienezza del diritto di difesa dell'imputato, che comprende il diritto di optare per il rito alternativo alle condizioni stabilite dalla legge ed evitare una irragionevole disparità di trattamento tra l'imputato che abbia potuto confrontarsi con una imputazione completa prima dell'inizio del dibattimento e quello in cui l'imputazione sia stata precisata o integrata solo nel corso del dibattimento, quando la scelta del rito alternativo non è più possibile per lo spirare del termine.

In merito alla sospensione del provvedimento con messa alla prova, questa può ben essere richiesta a fronte di una nuova contestazione per un fatto diverso, ex art. 516 c.p.p., e di una circostanza aggravante, ex art. 517 c.p.p., ma la Corte non si è mai pronunciata in relazione alla nuova contestazione in dibattimento di reati connessi.

Sulla specifica questione si premette che i giudici delle leggi, con la sentenza n. 82 del 2019, hanno affermato che fatto diverso e reato connesso, entrambi emersi per la prima volta in sede dibattimentale, integrano evenienze processuali che, in merito all'accesso ai riti alternativi, non possono non rappresentare situazioni fra loro del tutto analoghe, con la conseguenza che, anche rispetto alle nuove contestazioni di reati connessi deve riconoscersi all'imputato al facoltà di richiedere la messa alla prova.

La previsione di cui all'art. 168-bis c.p., secondo cui la sospensione del procedimento non può essere concessa più di una volta, non esclude la concedibilità della messa alla prova quando venga contestato più di un reato quando per ciascuno dei reati in concorso sia astrattamente applicabile l'istituto della messa alla prova (Cass. pen., Sez. II, 12 marzo 2015, n. 14112).

Sono quindi da accogliere le doglianze fatte valere dal rimettente, secondo cui la richiesta di riti alternativi costituisce una delle modalità qualificanti di esercizio del diritto di difesa e si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento se, al ricorrere di situazioni processuali analoghe, la facoltà di chiederli fosse disciplinata diversamente; la facoltà di richiedere i riti alternativi si salda a doppio filo al diritto di difesa, in particolare al diritto di scegliere il modello processuale più congeniale all'esercizio di quel diritto, e risulterebbe di dubbia coerenza qualsiasi preclusione che ne limitasse l'esercizio concreto, allorquando il sistema consenta una mutatio libelli in sede dibattimentale.


La pronuncia:

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