
Con la pronuncia della Quinta Sezione Penale, la Corte di Cassazione ha posto la parola fine al processo Open Arms, rigettando il ricorso presentato dalla Procura di Palermo contro l’assoluzione di Matteo Salvini, già pronunciata dal Tribunale di Palermo il 20 dicembre 2024. La sentenza di primo grado diventa così definitiva.
La Suprema Corte ha ritenuto infondata l’imputazione di sequestro di persona (art. 605 c.p.), precisando che la permanenza dei migranti a bordo della nave ONG non derivava da una condotta coercitiva direttamente riconducibile all’allora ministro dell’Interno.
Si tratta di una conferma integrale della motivazione già accolta in primo grado, secondo cui la posizione dell’Italia nel caso di specie non generava responsabilità penali, in assenza di un obbligo giuridico preciso e immediato.
Elemento centrale della decisione è la bandiera spagnola della nave Open Arms. La Cassazione ha ribadito che, al momento dei fatti (agosto 2019), l’Italia non era competente né responsabile della gestione del caso, poiché il salvataggio era avvenuto fuori dalla zona SAR italiana e la nave non era ancora entrata nelle acque territoriali nazionali.
Inoltre, nessuna situazione di emergenza immediata o pericolo per la vita dei migranti risultava provata, elemento che avrebbe potuto legittimare un dovere d’intervento da parte dello Stato costiero più vicino.
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La decisione segna la chiusura definitiva di uno dei procedimenti simbolo della politica dei “porti chiusi”. Per la Cassazione, la linea politica adottata in quel periodo – pur oggetto di critiche sul piano politico e umanitario – non ha integrato fattispecie penalmente rilevanti.
Nessun obbligo violato, nessuna condotta sanzionabile secondo i canoni del diritto penale, che richiedono precisione normativa, tassatività e certezza del precetto.
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