
La Cassazione, con la sentenza n. 36553 depositata il 10 novembre 2025, chiarisce che il processo penale può proseguire in assenza dell’imputato solo quando sia provata una conoscenza effettiva del procedimento e una scelta volontaria di non partecipare.
Non bastano presunzioni, negligenze o la sola nomina di un difensore: serve un accertamento concreto caso per caso.
Nel caso di specie, un soggetto era stato condannato in primo grado in sua assenza e poi era stato destinatario di un’ordinanza di rigetto della richiesta di rescissione del giudicato da parte della Corte d'Appello di Torino.
L'imputato, tuttavia, non risultava reperibile al domicilio dichiarato, non aveva avuto contatti con il difensore e non aveva ricevuto comunicazioni sull’evoluzione del processo.
La Corte territoriale aveva attribuito questa situazione alla sua negligenza, ritenendo quindi valida la dichiarazione di assenza.
La Cassazione, però, ribalta l’impostazione.
Il cuore della decisione gira attorno a due norme chiave:
Art. 420-bis c.p.p.: regola la dichiarazione di assenza, disponendo che il processo possa proseguire senza l’imputato solo se vi sono elementi che dimostrino una sua scelta volontaria e consapevole di non partecipare.
Art. 629-bis c.p.p.: disciplina la rescissione del giudicato, rimedio che consente di riaprire un processo celebrato in assenza se l’imputato dimostra di non averne avuto conoscenza.
La Cassazione richiama inoltre il principio secondo cui la conoscenza effettiva del processo non può essere presunta, desumibile da:
la riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), che ha abbandonato il sistema delle presunzioni di conoscenza;
gli arresti delle Sezioni Unite Ismail (2020);
la giurisprudenza della Corte EDU (sentenze Somogyi e Sejdovic), che esigono un accertamento concreto della conoscenza del procedimento.
Analizzando il caso concreto, la Cassazione osserva che la Corte d’Appello ha fatto un uso improprio del concetto di "negligenza informativa".
La situazione presentava vari elementi che avrebbero dovuto portare a una valutazione opposta:
la notifica al domicilio eletto era risultata inesitata;
la successiva notifica era stata eseguita al difensore ex art. 161, comma 4 c.p.p.;
il difensore di fiducia aveva rinunciato al mandato per impossibilità di contattare il cliente;
anche il nuovo difensore d’ufficio aveva tentato invano di mettersi in contatto con Ba.Ra.
Alla luce di ciò, la Corte territoriale non ha spiegato perché Ba.Ra. avrebbe dovuto essere considerato a conoscenza del procedimento né come da tali elementi potesse desumersi una sua volontaria sottrazione.
La Cassazione sottolinea invece che:
la nomina del difensore non è sufficiente a provare la conoscenza;
la mancata diligenza dell’imputato nel reperire informazioni non equivale a una volontà di sottrarsi al processo;
serve un accertamento positivo, non presuntivo, della conoscenza del giudizio.
Per questo l’ordinanza è stata annullata.
La sentenza stabilisce un principio chiaro: non si può giudicare una persona in assenza sulla base di presunzioni. Occorre verificare in modo concreto e puntuale se l’imputato fosse davvero a conoscenza del processo.
È un richiamo forte al modello introdotto con la riforma Cartabia, fondato sulla effettività della conoscenza e sulla necessità di evitare automatismi.
In pratica: prima di procedere in assenza, il giudice deve rispondere a una domanda semplice ma decisiva: posso affermare con certezza che l’imputato sapeva del processo?
Se la risposta è no, il processo in assenza non può proseguire.
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